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L'Oriente e L'Occidente Oggi
LETTERATURA ITALIANA: "Leopardi e la lingua cinese"
Leopardi comincia a
interessarsi della lingua e della scrittura cinese nell'aprile del 1821, su
sollecitazione di alcune letture, e non se ne occuperà più dopo il maggio dello
stesso anno, se non per ritornarvi brevemente nel 1828, citando in francese un
articolo sull'uso dei caratteri cinesi in Mongolia e in Giappone. Ne continuò a
parlare per semplici accenni, durante pensieri sull'invenzione del linguaggio e
meditazioni collegate, che scorrono nel corso di tutto lo Zibaldone. Un
interesse breve ma approfondito che rivela non solo stupore, ma pure uno
sconcerto.
Nello Zibaldone farà
ancora menzione della Cina, per esempio a dimostrazione della diversità di
gusto e d'opinione (come quando critica l'uso cinese di storpiarsi e farsi il
piede piccolo perché ciò è reputato bello, mentre il bello deve essere secondo
natura, cioè conveniente). Nel restante della sua opera solo qualche citazione
esotizzante, oppure storica, come nella Storia dell'Astronomia. Sebbene
la predilezione per l'Oriente sia presente in ogni suo periodo, e nonostante la
convinzione che l'origine stessa del genere umano, delle letterature e della
civilizzazione fosse in Oriente, lungi da lui il parlarne con tono fantastico,
come già avevano fatto in molti, da Platone in poi, se si eccettua forse la
meditazione musicale del Canto notturno di un pastore errante dell'Asia.
Chiaramente evita, anzi neppure considera, ogni fascinazione romantica.
Mosso dalla folle pretesa che tutto il mondo si possa toccare attraverso
lo studio delle parole che vi scorrono, compito che va ben oltre quello del
filologo, Leopardi si trova davanti all'enigma cinese. Nel suo continuo
allargare il cerchio, con la forza delle analogie e la disinvoltura di un
appassionato e continuo processo d'induzione ('questo paragone l'ho già fatto e
trovatolo giusto'), al cinese si ferma, sospende il giudizio, forse fedele al
suo pirronismo scettico di fondo. La conclusione, a cui egli era giunto, vale a
dire che tutte le lingue si sono formate da un'unica lingua madre, o da
pochissime lingue primitive, e che le civiltà si sono sviluppate di pari passo
alla lingua, si sospende davanti al mistero dell'immobilità del cinese e quindi
della civiltà cinese, una civiltà che non anela al progresso, così come lo si
intende in Occidente.
Come ben aveva intuito Leopardi, tali caratteristiche di impermeabilità e
solidità erano e sono dovute, almeno in parte, al tipo di linguaggio, e anzi
principalmente alla scrittura. Ma per lui resta comunque un mistero il fatto
che possa esistere una lingua non-alfabetica che non sia morta (come la
geroglifica egiziana), e che, quindi, le alfabetiche non siano le uniche
possibili a una civiltà millenaria. La sua tesi è che, dopo l'introduzione
della scrittura dipinta o geroglifica, l'uomo aveva conservato ancora la sua
natura primitiva, ma che con l'invenzione della scrittura in cifre aveva
rapidamente fatto progressi nel senso dell'artificiosità. Invece si trova di
fronte una civiltà allo stesso tempo vetusta e ricca, ma che conserva la sua
scrittura primigenia, con ininfluenti variazioni.
Ora, il suo è sì lo stupore dello
studioso, di chi fa dello studio della lingua un oggetto, principale, di
meditazione filosofica, ma è pure lo sconcerto di chiunque si avvicini all'idioma
(e alla scrittura) cinese. Uno sconcerto che permane oggi, nonostante le
odierne apparenze, di fronte alla diversità, per non dire all'impenetrabilità
della civiltà di quel popolo. E chi è abituato alle forme alfabetiche, dovrà
cambiare buona parte del suo atteggiamento mentale nei riguardi
dell'espressione, se vorrà accostarsi alla lingua cinese senza avere la
sgradevole sensazione di un macigno incombente.
Ma, allo sconcerto per il nuovo e
l'inusitato, in Leopardi si unisce la meraviglia. Per ragioni filosofiche più
che meramente caratteriali, egli non poteva non essere attirato dalla forza di
un'immutabilità culturale così varia e doviziosa. La quiete e l'inattività, che
egli riconosce come peculiari della cultura cinese, sono per lui piaceri
naturali, quindi insopportabili per l'uomo civile. Eppure, nella filosofia che
aderisce a quel popolo, proprio quiete e inattività sembrano virtù cardinali.
Sebbene si vadano moltiplicando, all'epoca, le traduzioni (o meglio i tentativi
di traduzione), di opere fondamentali del pensiero della Cina, soprattutto in
lingua francese e tedesca, sul suo tavolo arriva poco o nulla. E forse è un
bene, perché, della lingua e della scrittura cinesi, e del loro rapporto con la
civiltà cinese, Leopardi sembra aver già colto gli elementi fondamentali, e
delle opere incerte e lacunose non avrebbero certo approfondito né aumentato la
sua comprensione di fondo, la sua meravigliosa intuizione.
Palesemente, con il duro ma aereo
metodo dell'esercizio delle analogie, Leopardi arriva subito al nocciolo della
questione, ma evita di immaginare oltre, forse sente che è il carattere stesso
di quella scrittura a richiedergli di arrestarsi.
Eppure si trovava di fronte qualcosa che
contraddiceva una tesi che andava dipanando da tempo, e la curiosità avrebbe
voluto che Leopardi si chiedesse come mai la scrittura cinese si inseriva così
male nell'assioma della stretta rispondenza tra lingua e evoluzione della
civiltà.
"Che sarebbe
l'aritmetica se ogni numero si dovesse significare con cifra diversa, e non
colla diversa composizione di pochi elementi? Che sarebbe la scrittura se ogni
parola dovesse esprimersi colla sua cifra o figura particolare, come dicono
della scrittura Cinese?" (Zibaldone,
807)
Non c'è nulla di intellettuale
nella scrittura cinese, che è tutto meno che un'algebra in cui simboli scelti
vengono combinati a rappresentare le nozioni principali, e le cui derivazioni
servono poi ad esaminare le idee. Niente è più lontano dalla verità del guardare
ai caratteri come a dei rebus, delle combinazioni meccaniche di segni da
decifrare. Essi sono stati invece concepiti come degli emblemi potenti, in
grado di interagire coi fatti.
"La meravigliosa e strana immobilita' e immutabilita' della nazione Chinese, dev'essere derivata
certo in grandissima parte, e derivare dal non aver essi alfabeto ne' lettere,
ma caratteri esprimenti le cose e le idee, cioe' un dato numero di caratteri
elementari e principali rappresentanti le principali idee, i quali si chiamano
chiavi, e sono nel sistema di alcuni dotti Chinesi 214, in altri sistemi molto
piu', in altri molto meno, ma il sistema delle 214 è piu' comune e il piu'
seguito da' letterati chinesi nella compilazione de' loro dizionarii. I quali
caratteri elementari o chiavi diversamente combinati fra loro (come ponendo
sopra la chiave che rappresenta i campi, l'abbreviatura di quella che
rappresenta le piante, si fa il segno o carattere che significa o rappresenta
primizia dell'erbe e delle messi; e ponendo questo medesimo carattere sotto la
chiave che rappresenta gli edifizi, si fa il carattere che significa tempio,
cioe' luogo dove si offrono le primizie) servono ad esprimere o rappresentare
le altre idee: essendo però le dette combinazioni convenute, e gramaticali,
come lo sono le chiavi elementari; altrimenti non s'intenderebbero. Nel qual
modo e senso un buon dizionario chinese dovrebbe contenere 35.000 caratteri
come ne contiene il Tching-tseu-toung, uno de' migliori Dizionari che
hanno i chinesi. La quale scrittura in somma appresso a poco è la stessa che la
ieroglifica. La lingua chinese è tutta architettata e fabbricata sopra un
sistema di composti, non solo quanto ai caratteri, ma parimente alla pronunzia,
ossia a' vocaboli. Giacche' i loro vocaboli radicali esprimenti i caratteri non
sono piu' di 352, e 383. Ed eccetto che il valore di alcuni di questi vocaboli
si diversifica talvolta per via di quattro toni, dell'uno dei quali si appone
loro il segno, tutti gli altri vocaboli Chinesi sono composti; come si vede
anche nella maniera in cui si scrivono quando si trasportano originalmente
nelle nostre lingue" (Zibaldone, 942-943).
Leopardi nota subito, rimanendone
affascinato, 'l'immobilità e immutabilità' della nazione cinese. E
immediatamente associa tale immobilità alle caratteristiche della scrittura
cinese. Quando incontra il cinese, sta seguendo il filo di un pensiero sulla
civilizzazione dei popoli dopo l'invenzione degli alfabeti ('Popolo umano
totalmente naturale e incorrotto, non esiste. Tutti hanno origine da un
medesimo popolo, il quale fu corrotto prima di emetterli. Ma questa originaria
corruzione, secondo le diverse circostanze naturali o accidentali o qualunque,
in altri passò più o meno avanti, poi si fermò e divenne stazionaria - come nel
Messico, nella China; in altri retrocedette, poi risorse, poi seguitò e segue
sempre a progredire, come in Europa'). Per Leopardi tutte le lingue hanno
origine da un'unica lingua. Il linguaggio è una meravigliosa invenzione comune
a tutte le popolazioni del mondo, precedente alla divisione del genere umano.
Egli sostiene che l'origine di tutti gli alfabeti è stata una sola, che si
tratta di un autentico miracolo dello spirito umano, e che all'inizio tutte le
lingue erano monosillabiche ('balbettanti come fanno i fanciulli, che da
principio non pronunziano mai se non monosillabi'). Inoltre, per Leopardi, una
lingua formata è la più completa immagine del carattere della nazione che la
parla, sanzionando l'allontanamento dalla natura con l'invenzione della
scrittura per cifre, che, 'finché il mondo non l'ebbe, conservò
proporzionatamente lo stato primitivo. Così pure in proporzione, dopo l'uso
della scrittura dipinta, e della geroglifica'.
"Cosi' che la lingua Chinese quanto supera
le altre lingue nella molteplicita', complicazione, e confusione degli elementi
e della costruttura della scrittura, tanto le avanza nella semplicita' e
piccolo numero degli elementi dell'idioma" (Zibaldone, 944).
"Un tal popolo
dev'essere insomma necessariamente stazionario. E qual popolo infatti è piu'
meravigliosamente stazionario del Chinese, nel quale abbiamo osservato una
somigliante costituzione? Sir George Staunton, Segretario d'Ambasciata nella
missione di Lord Macartney presso l'Imperatore della China, nella introduzione
alla sua versione inglese del Codice Penale dei Chinesi, nota in questa
nazione, come fra le cause di certi ragguardevoli vantaggi morali e politici
posseduti, secondo lui, da essa nazione, vantaggi che non possono, secondo lui,
essere agguagliati con esattezza in alcuna societa' Europea, nota, dico, la
quasi totale mancanza di dritti e privilegi feudali; la equabile distribuzione
della proprieta' fondiaria; e LA NATURALE INCAPACITA ED AVVERSIONE E DEL POPOLO
E DEL GOVERNO AD ESSERE SEDOTTI DA MIRE D'AMBIZIONE, E DA DESIO D'ESTERE
CONQUISTE" (Zibaldone .
Sir George Staunton fu traduttore e
commentatore delle Leggi fondamentali e scelte d'alcuni Statuti
Supplementari del Codice Penale dei Chinesi, che Leopardi trovava sugli Annali
di Scienze e Lettere. Leopardi non ebbe la possibilità di avvicinarsi alle
pratiche filosofiche orientali, né tantomeno a quelle cinesi, che di queste
presentano forse le versioni più profonde. Gli assiomi del suo sistema, che
'l'uomo non è fatto per sapere' e che 'l'infelicità umana deriva dalla
conoscenza del vero', e la grande intuizione che 'la meccanica del pensiero
coincide con l'azione incessante del desiderio', non condussero Leopardi allo
studio delle filosofie orientali, che rimasero per lui arcane e misteriose. E
non poteva essere altrimenti, visto che le opere di quelle dottrine filosofiche
cominciavano ad avere all'epoca numerose ma svianti traduzioni. Della filosofia
cinese nota però che possiede una nomenclatura completamente diversa dalla
nostra e, in positivo, la chiama scienza non esatta. Nonostante questo, non ci
si è trattenuti, da parte di alcuni studiosi, dal tratteggiare e analizzare
alcuni suoi testi alla luce della nomenclatura orientale, ad esempio L'infinito
in termini di analogie con i vari stadi della meditazione buddhista.
"In somma la scrittura Chinese non
rappresenta veramente le parole (che le nostre son quelle che le rappresentano,
e ciò per via delle lettere, che sono ordinate e dipendenti in tutto dalla parola)
ma le cose; e percio' tutti osservano che il loro sistema di scrittura è quasi
indipendente dalla parola: cosi' che si potrebbe trovare uno che intendesse
pienamente il senso della scrittura chinese, senza sapere una sillaba della
lingua, e leggendo i libri chinesi nella lingua propria, o in qual piu' gli
piacesse, cioe' applicando ai caratteri cinesi quei vocaboli che volesse, senza
detrimento nessuno della perfetta intelligenza della scrittura, e neanche del
suo gusto, giacche' le opere chinesi non hanno ne' possono avere ne'
versificazione, ne' ritmo, ne' stile, e conviene prescindere affatto dalle
parole nel giudicarle; le loro poesie non sono composte di versi, ne' le prose
oratorie di periodi; il genio della lingua non ammette il soccorso delle comuni
particelle di connessione, e presenta meramente una fila di immagini sconnesse,
i cui rapporti devono essere indovinati dal lettore, secondo le intrinseche
loro qualita'. E cosi' viceversa bene spesso taluni, dopo aver soggiornato
venti anni alla China, non sono tampoco in grado di leggere il libro piu'
facile, benche' sappiano essi parlar bene il chinese, e farsi comprendere Zibaldone .
È una delle 'stranezze' del cinese.
Rispetto alle 'lingue locali', è quasi come se io scrivessi in una lingua, le
cui parole penso e sillabo in italiano mentre le scrivo, ma che verranno lette
in francese da un francese e in russo da un russo. Per verificare 'quanto sia
vero che la scrittura Chinese si possa quasi perfettamente intendere, senza saper
punto la lingua', Leopardi afferma che la realizzazione di una nuova lingua
universale è anche possibile "istituendo una nuova maniera di scrivere simile
ai segni Algebrici, od alle cifre Chinesi, in cui equivalendo ogni carattere ad
un'intera parola, ognuno possa intendere agevolmente l'idee dai caratteri
significate, e trasportarle quindi leggendo nella propria lingua". Ricordo
nell'ambito di una accorata difesa dello stile poetico, una veemente diatriba
di L. contro la moda romantica delle 'lineette, di puntini, di spazietti, di
punti ammirativi doppi e tripli'. Una 'scrittura geroglifica' che 'non sapendo
significare le cose colle parole', le vuole 'dipingere o significare con segni,
come fanno i cinesi la cui scrittura non rappresenta le parole, ma le cose e le
idee. Che altro è questo se non ritornare l'arte dello scrivere all'infanzia?'
"La lingua cinese puo' perire senza che
periscano i suoi caratteri: puo' perire la lingua, e conservarsi la letteratura
che non ha quasi niente che far colla lingua; bensi' e' strettissimamente
legata coi caratteri. Dal che si vede che la letteratura cinese poco puo' avere
influito sulla lingua, e che questa non ostante la ricchezza della sua
letteratura, puo' tuttavia e potra' forse sempre considerarsi come lingua non
colta, o poco colta". Zibaldone
Nel risveglio dell'interesse di L.,
giocarono un ruolo determinante gli articoli e i saggi sulle riviste
scientifiche, ma più che altro dalla biblioteca paterna.
"Non è verisimile che la lingua chinese si
sia conservata la stessa per se lunga serie di secoli, a differenza di tutte le
altre lingue. Eppure i suoi piu' antichi scrittori s'intendono mediante le
stesse regole appresso a poco, che servono ad intendere i moderni. Ma la
cagione è che la loro scrittura e' indipendente quasi dalla lingua, e la lingua
chinese potrebbe perire, e la loro scrittura conservarsi e intendersi ne' piu'
ne' meno. Cosi' dunque io non dubito che la loro antica lingua, malgrado
l'immutabilita' straordinaria di quel popolo, se non e' perita, sia certo
alterata. Il che non si puo' conoscere, mancando monumenti dell'antica lingua,
benche' restino monumenti dell'antica scrittura. La quale ha patito bensi'
anch'essa, e va soffrendo le sue diversificazioni; ma i caratteri (indipendenti
dalla lingua nel chinese) non essendo nelle mani e nell'uso del popolo,
(massime nella China, dove l'arte di leggere e scrivere e' si' difficile)
conservano molto piu' facilmente le loro forme essenziali e la loro
significazione, di quello che facciano le parole che sono nell'uso quotidiano e
universale degl'idioti e de' colti, della gente di ogni costume, d'ogni
opinione, d'ogni naturale, d'ogni mestiere, d'ogni vita, e accidenti di vita (20).
E lo vediamo pur nel latino, perduta la lingua, e conservati i caratteri,
quanto alle forme essenziali, e al valore. Cosi' nel greco. Ora nella China,
conservato l'uso, la forma, e il significato de' caratteri antichi, e'
conservata la piena intelligenza delle antiche strutture, quando anche oggi si
leggessero con parole e in una lingua tutta diversa da quella in cui gli
Antichi Chinesi le leggevano" Zibaldone .
"La scrittura chinese non e' veramente
lingua scritta, giacche' quello che non ha che fare (si puo' dir nulla) colle
parole, non e' lingua, ma un altro genere di segni; come non e' lingua la
pittura, sebbene esprime e significa le cose, e i pensieri del pittore. Sicche'
la letteratura chinese poco o nulla puo' influire sulla lingua, e quindi la
lingua chinese non puo' fare grandi progressi
Zibaldone .
Leopardi ribadisce che la civiltà si
costruisce per cause che paiono accidentali, e il caso ha fatto sì che in
alcune parti del mondo gli uomini ne abbiano costruite di completamente diverse
da quella europea. È una sospensione del giudizio su una nazione (e una lingua)
che, al momento, non è in grado di esplorare oltre. Siccome l'invenzione
dell'alfabeto è opera di un unico miracolo dello spirito umano, quelle nazioni
che non hanno avuti commerci con le altre non hanno alfabeto. Siccome i costumi
nazionali si modificano ad opera del commercio, una nazione come quella cinese,
che aveva (e ha continuato ad avere almeno fino agli ultimi decenni del
precedente millennio) scarsissime relazioni culturali e commerciali, ha pochissimo
o nulla modificato la sua indole e la sua lingua. Resta l'idea di una nazione
chiusa e, in senso ricco, primitiva. Il fatto è che tale chiusura e arcaicità
coincidono con una grande civiltà e una sconfinata letteratura, scritta in una
lingua che era e rimane dipinta. L'interesse di Leopardi sta per arrestarsi di
fronte all'enigma, al paradosso di un mondo chiuso, che "ha inventato polvere,
bussola, e fino la stampa; ha infiniti libri, ha prodotto un Confucio, ha
letteratura, ha un gran numero di letterati, fino a farne più classi distinte,
con graduazioni, lauree, studi pubblici ec. ec. ma non ha alfabeto". Quindi
rimane irrimediabilmente diverso, e a noi nascosto. E, almeno in parte, è forse
proprio la scrittura ad aver prodotto tale diversità.
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