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L'ETA' DEL ROMANTICISMO
La delusione storica e la nascita dell'idea di nazione
Il fallimento del progetto cosmopolita illuministico è da imputare non soltanto alla violenza con cui l'ideale rivoluzionario venne imposto all'Europa durante le guerre di Napoleone, ma soprattutto al fatto che la maggior parte dei popoli del resto del continente non era affatto pronta a sostenere un cambiamento così grande, soprattutto tramite i vincoli di un occupante straniero: infatti in Francia c'era già stata, negli anni precedenti la Rivoluzione, una forte presa di coscienza del Terzo Stato (specie nella borghesia intellettuale) nei confronti del potere dell'Ancien Regime, cosa che nel resto d'Europa non accadde affatto, se si esclude la classe intellettuale di alcuni paesi.
La conseguenza di questa poca considerazione nei confronti dell'altro fu la forte reazione di interi popoli del continente alle mire espansionistiche francesi, alle cui imposizioni legislative di matrice illuminista si opposero con uno spirito del tutto nuovo, rivendicando la propria tradizione e la propria originalità storica.
Gli intellettuali in questo senso si ispirarono ad un altro filosofo illuminista più vicino però anche alle esigenze del nascente movimento di reazione chiamato Romanticismo, ovvero Jean Jacques Rousseau, che legò il senso di individualità personale (ogni uomo è diverso dagli altri) al senso di individualità nazionale e storica (ogni popolo è diverso dagli altri).
In base a ciò, il filosofo di Ginevra ritenne assurdo affermare che, come potessero esserci pensieri o sentimenti (che diventano la componente più importante nell'uomo) validi per ogni individuo, potessero esserci delle leggi universali valide per ogni popolo.
L'idea di un mondo cosmopolita in prospettiva di un'identità globale è dunque completamente morta, uccisa probabilmente dagli stessi che avrebbero voluto attuarla nella prassi.
Uno dei primi intellettuali che si schiera con forza nella difesa del sentimento nazionale del proprio popolo è il filosofo Johann Gottlieb Fichte, che pronunciò a Berlino i Discorsi alla nazione tedesca nell'inverno 1807-1808. Il contesto storico di questi quattordici documenti di fondamentale importanza è a dir poco esemplificativo: le truppe francesi occupavano ancora la Prussia dopo la vittoria napoleonica di Jena, e Fichte volle riflettere il sentimento di rivalsa del suo popolo avanzando un progetto di tipo pedagogico (sempre memore degli insegnamenti di Rousseau) esaltando il rinnovamento spirituale e fisico della Germania come nazione. E' bene chiarire: non come Stato, ma come nazione; infatti il filosofo non si riferì ad una Germania unita come realtà politica e geografica, che peraltro non esisteva in quanto divisa in numerosi staterelli, ma ad una Germania come popolo eletto, unita dallo spirito identitario comune, alla quale invocò una presa di coscienza comune per ottenere la rivalsa su Napoleone e formare uno Stato unitario.
I toni utilizzati nei Discorsi, in questo senso, furono emblematici:
<< Se c'è un briciolo di verità in quanto abbiamo esposto in questi discorsi, siete voi, tra tutti i popoli moderni, che possedete più nettamente il germe della perfettibilità umana, ed a cui spetta la preminenza nello sviluppo dell'umanità >>
Per comprendere meglio l'idea di nazione fichtiana è doveroso capire a quali valori particolari si appella, in particolar modo quando parla di germe della perfettibilità umana; innanzitutto, la purezza della lingua tedesca: questa è una lingua genuina, rimasta primitiva, senza alcun tipo di derivazione e senza imbastardimenti, carattere tipico delle lingue neolatine (di cui, peraltro, il tanto odiato francese fa parte).
In virtù del grande patrimonio linguistico, il popolo tedesco è l'unico in grado di produrre letteratura e filosofia di enorme rilievo (facendo riferimento a Lutero, Leibniz, Kant), e deve dunque affidare a sé il compito di espandere la sua civiltà agli altri popoli.
In virtù di questo dovere, Fichte stesso ammise che i tedeschi non dovranno assolutamente farsi sconfiggere e cancellare da nessun altro popolo, altrimenti non soltanto essi stessi ma l'umanità intera cadrebbe senza la guida morale della nazione tedesca:
<< Non vi consolate cullandovi nella speranza illusoria che, alla sparizione della civiltà esistente, ne subentrerà un'altra, uscita dalle rovine della prima. Non ci sono vie d'uscita: se voi cadete, l'umanità intera cade con voi, senza speranza di riscatto futuro. >>
Tuttavia l'utilizzo di questi toni perentori non deve affatto spaventare, dato che è idea comune dell'età romantica affermare la propria singolarità nazionale come fondamento di civiltà anche per gli altri popoli, e che fosse compito diffondere il sentimento di individualità anche oltre i propri confini nazionali.
La diffusione dell'ideale patriottico infatti si formò nelle diverse nazioni con caratteri diversi, a seconda appunto dei contesti locali: lo scrittore scozzese Walter Scott (riferimento letterario) volle promuovere la riscoperta del glorioso passato del proprio popolo mostrando la sua stretta connessione col presente, narrando da un nuovo punto di vista alcune delle vicende più importanti hanno riguardato il popolo scozzese (come la ribellione giacobita narrata in Waverley).
Nell'Italia nuovamente frammentata dal Congresso di Vienna le tensioni patriottistiche non poterono certo essere sedate, e l'ideale nazionale di Giuseppe Mazzini mirava a formare un'identità comune per tutto il popolo italiano per liberarlo definitivamente da ogni forma di dominazione straniera e unendolo definitivamente sotto l'egida di un unico stato sovrano, considerando gli altri popoli come fratelli chiamati ad un comune destino di libertà e di collaborazione: l'identità collettiva europea fu per Mazzini importantissima, tanto da fondare nel 1834 la Giovine Europa, movimento che avrebbe dovuto gettare le basi per una prospettiva (che richiama al cosmopolitismo già sentito in Kant, pur legato sempre ad un forte senso di patriottico di appartenenza) di convivenza rispettosa della libertà e dei diritti dei popoli. Tuttavia anche il pensatore italiano volle far assumere al suo popolo un ruolo di predominanza, affermando che l'Italia avesse un ruolo primario assegnato da Dio, per indicare a tutti i popoli la via della liberazione dal dominatore straniero.
Sulle basi teoriche espresse in questo periodo di grande fermento si coverà all'interno delle singole nazioni, per tutto il resto del secolo, quello che sarà in un prossimo futuro il nazionalismo, trasformazione del pensiero propriamente romantico: in particolare le esaltazioni dei Discorsi pronunciate da Fichte verranno considerate valide anche al di fuori del contesto delle guerre napoleoniche da un gran numero di pensatori, che misero in risalto oltre il predominio spirituale dei tedeschi, anche quello morale (utilizzando il concetto di razza come criterio per comprendere la dinamica storica) ed estetico (ereditando il canone di bellezza proprio del Neoclassicismo di J.J. Winckelmann).
Mediante questo vero e proprio stravolgimento (è infatti doveroso specificare che Fichte non parlò assolutamente di razza), il discorso di esaltazione del tedesco venne in un certo senso superato: l'esaltazione di queste caratteristiche fondamentali idealizzarono un livello più alto di quella che veniva considerata dai romantici come nazione. Si iniziò a parlare dalla metà dell'Ottocento di esaltazione della razza ariana, dal sanscrito "popolo eletto", ovvero quel popolo (quindi non solo i tedeschi) di derivazione indoeuropea linguistica e caratteriale che ha mantenuto intatta la sua virtù e la sua perfezione durante il corso della storia.
E' un concetto che, come il resto del nazionalismo più in generale, si farà sentire già nell'età dell'imperialismo ma più prepotentemente nei primi anni nel XX secolo, e sarà alla radice di alcune delle più grandi tragedie della nostra storia contemporanea.
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