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Lavoro di ricerca negli ambiti operativi della natura morta (Giorgio de Chirico)
Elaborata da Daniela Paoletti 3A
Sommario
Gli anni '50
Gli anni '60
Natura morta di Giorgio de Chirico (1915)
Nature morte di Giorgio de Chirico (1917)
Giorgio de Chirico nasce a Volos, capitale della Tessaglia, il 10 luglio 1888, da Gemma Cervetto e dall'ingegner Evaristo, originario di Palermo. Frequenti (dato il lavoro del padre, responsabile di una compagnia ferroviaria) gli spostamenti che lasciano un segno profondo sul carattere dell'artista, così com' essere "italiano nato fuori d'Italia per una nascita indiretta". Il padre influenza con la sua presenza forte e insieme distaccata la sua formazione. Asseconda la sua passione per l'arte aiutandolo perfino, un giorno, ad impostare un disegno. Molti i ricordi relativi alla madre, gentildonna genovese, che lascia una notevole impronta sul carattere dei piccoli Giorgio e Andrea (il fratello). Avendo dimostrato un'inclinazione per la musica, il fratello Andrea viene iscritto al conservatorio di Atene. La famiglia si sposta da Volos ad Atene e viceversa, finché si stabilisce nel 1899 ad Atene, nel quartiere più elegante della città. Tra i ricordi: un terremoto, l'occupazione di Volos da parte dei turchi, la malattia dei genitori, i primi giochi olimpici ad Atene (1896). Fabbrica aquiloni, va a pescare, studia per poco il violoncello, visita un'esposizione e assiste a una tragedia che resterà uno dei suoi traumi. Fin da piccolo, avendo sentito i richiami del demone dell'arte, studia privatamente (con il greco Mavrudis, molto ammirato come disegnatore, poi con Barbieri e con lo svizzero Gilleron, pittore di antichità) e dal 1900 all'Istituto Politecnico di Atene, dove studia quattro anni disegno e poi inizia il corso di pittura col ritrattista Jacobidis, proveniente dall'Accademia di Monaco. La prima opera ricordata è una natura morta di limoni dipinta a dodici anni, poi paesaggi, autoritratti, frutta, soggetti dal vero. Nel 1903 il fratello Andrea si diploma a pieni voti in pianoforte e composizione presso il Conservatorio di Atene a soli dodici anni. Nel 1905 la morte del padre, dopo una lunga malattia avvenuta nella primavera, provoca un nuovo trauma. La famiglia resta per un po' in Grecia finché la madre decide di tornare in Italia, forse per ricongiungersi allo zio Gustavo residente in Firenze. Nel 1906 deve collocarsi il passaggio a Milano, dove visita la mostra celebrativa del traforo del Sempione, effettivamente tenuta nell'estate del 1906. Vede anche la mostra di Segantini e Previati, al quale dedicherà un bel saggio critico. Nello stesso anno risale il viaggio a Monaco, con tappa a Venezia, dove visita chiese e musei. L'arrivo a Monaco è fissato ai diciotto anni, giusto in tempo per iscriversi all'Accademia, dove frequenta il corso di bianco e nero e poi di pittura. Per tre anni lavora incessantemente, dividendo la sua giornata tra lo studio sistematico all'Accademia e lo studio della pittura antica nelle pinacoteche della capitale bavarese. (De Chirico stesso afferma di essere stato a Monaco tre anni e di essere tornato in Italia a ventuno). Influisce sul suo stato d'animo la città neoclassica, dagli spazi dilatati e dagli accostamenti assurdi. Quanto ai musei, cita più volte la Schackgalerie (dove può vedere i Bocklin più metafisici, i Lenbach e i romantici in genere), la stupenda Glyptotheck (dove studia i marmi greci e romani e i frontoni di Egina), l'Althe Pinakothek (gli restano soprattutto impressi Durer e i veneziani, ma anche Rubens), la Neue Pinakothek (i Nazareni e i von Marées). Uno dei miti che segnano l'adolescenza di de Chirico è quello del viaggio, dell'instabilità di città e di case. Per di più, queste incisive partenze avvengono nei mesi estivi, aggravando il temperamento lunatico, i forti disturbi psicofisici e la tendenza all'umore malinconico. Fino alla morte, la sua iconografia immagine continuerà a rimanere segnata da temi incentrati sull'enigma della partenza e del ritorno: Ulisse, il cavaliere errante. Nel 1907 de Chirico scrive esplicando simultaneamente il senso della sua ricerca della Grecia attraverso la cultura tedesca: la sua situazione di "apolide" favorisce una cultura indiretta: studia pittura, ma l'ambiente dell'Accademia non lo soddisfa, allora si interessa molto di letteratura e filosofia tedesca, visita i musei e la sera frequenta le sale da concerto, mentre il fratello Andrea studia armonia e contrappunto con Max Reger e comincia a comporre musica da vero bambino prodigio. Intravista la possibilità di un'esecuzione, la madre parte con il fratello per Roma e de Chirico rimane solo per un anno a Monaco. E' da Max Reger, presso il quale funge da interprete per il fratello che approfondisce la conoscenza di Bocklin, il quale è, a suo avviso, il pittore classico nel senso più puro della parola. Da Bocklin, de Chirico riprende il recupero di una vita antica, da Max Reger scopre il senso della cosa isolata e dell'accostamento imprevedibile. Anche da altri riprende il valore di composizione della cultura italiana. Nei più antichi manoscritti, de Chirico già accenna al pensiero di Nietszche, Schopenhaeur, Weininger. Lo colpisce di Nietszche il senso del superuomo, il valore della sorpresa trasmessa dall'opera d'arte, l'angoscia del labirinto (Arianna), il significato del senso morale, la nascita della tragedia e, soprattutto l'enigma. Nel pensiero di Schopenhaeur individua il valore dell'originalità, la rivelazione delle apparizioni e la meditazione sull'esistenza. Da Weininger riprende il valore della psicologia, il senso trascendente delle forme geometriche, il simbolismo sessuale. La definizione della metafisica deriva da un' altro libro di Weininger: Ultimi pensieri intorno alle cose supreme. Nell'estate del 1909 arriva a Milano dove si ricongiunge alla madre e al fratello. De Chirico comincia intensamente a dipingere; i temi preferiti sono tratti dal periodo intermedio di Bocklin: città alte sul mare, lotte di Centauri, esseri marini, vedute di tono romantico. Un Centauro in un paese romantico appare anche nello sfondo del ritratto dedicato al fratello in posa amletica e lapidariamente firmato e datato. Nei primi mesi dell'anno 1910 de Chirico si trasferisce con la madre a Firenze, dove rimane poco più di un anno. Si acuisce la depressione, lo stato malinconico, che tuttavia provoca la svolta della sua pittura: egli capisce che il periodo bockliniano per lui era passato ed aveva cominciato a dipingere soggetti dove cercava di esprimere quel forte e misterioso sentimento che aveva scoperto nei libri di Nietszche: la malinconia delle belle giornate d'autunno, di pomeriggio, nelle città italiane. Tra i quadri adombrati, "Enigma di un pomeriggio d'autunno", dipinto in autunno di piazza Santa Croce e, "L'enigma dell'oracolo", portati a Parigi ed esposti al Salon d'Automne del 1912. E' l'inizio della pittura metafisica. Maturata la decisione di raggiungere con la madre e il fratello Parigi (1911), nella torrida estate sosta a Torino, dove vi rimane per un paio di giorni per visitare l'esposizione che si era inaugurata allora. Dopo il soggiorno a Firenze che gli ha permesso di recuperare i luoghi amati dal suo ideale maestro Bocklin, Torino gli propone la visione fuggevole delle arcate e degli spazi metafisici della città in cui Nietszche aveva raggiunto la follia. Arriva alla Stazione di Lyon con la madre, atteso dal fratello. Il trauma del nuovo spostamento con l'inevitabile malinconia, insieme con una lunga malattia, lo costringe a restare inattivo per quasi un anno. De Chirico vive in un primo tempo con la madre in albergo e poi in un dignitoso "hotel particulier", tra l'étoile e la Senna. Come al solito continua a spostarsi: prima è in un quartiere latino, poi è al 115, Notre Dame des Champs (dove tiene una mostra recisa da Apollinaire, e infine al 9, rue Campagne Prèmiere, vicino alla casa di Apollinaire). Su questi primi anni, le memorie di de Chirico sono preziose. Alcune notizie si ricavano (anche se faticosamente) dai documenti e da qualche archivio superstite. Il luogo d'esordio di de Chirico è il "Salon d'Automne: egli stesso dice che gli fu consigliato esporre al Salon d'Automne; lui però sapeva che un pittore ignoto che manda opere ad una mostra ufficiale ove c'è una giuria, corre il rischio (indipendentemente dalla qualità di quest'ultime), di essere rifiutato. Gli venne in aiuto un signore greco di nome Calvocoressi ; egli era un critico musicale, amico di Debussy, e contava molte relazioni negli ambienti artistici ed intellettuali della capitale; egli lo raccomandò al pittore francese Laprade, il quale faceva parte della giuria del Salon. De Chirico mandò un suo autoritratto e due piccole composizioni, una ispirata dalla Piazza Santa Croce a Firenze e contente quella poesia eccezionale che aveva scoperto nei libri di Nietzsche, l'altra, invece, "l'enigma dell'oracolo", conteneva un lirismo di preistoria greca. I tre quadri furono accettati ed egli provò molta gioia e molta fierezza. Le tre pitture furono collocate i n una sala di pittori spagnoli. I tre quadri sono stati dipinti a Firenze, perché de Chirico, in questo periodo parigino, ha lavorato poco: una malattia intestinale lo perseguita per tutto l'anno dopo l'arrivo (lo guarisce un soggiorno a Vichy), fino alla successiva estate. Egli si rimise subito a lavorare, e riprese il filo delle sue ispirazioni di origine Nietzschiana. Lavora però poco, facendo pochi quadri. Passarono l'inverno e l'estate; sentiva parlare confusamente del Salon d'Automne, dei pittori rivoluzionari, di Ricasso, del cubismo, delle scuole moderne, ecc. Egli spiega come siano stati firmati proprio in occasione del Salon d'Automne i suoi quadri portati da Firenze e pochi altri, gia ideati, dipinti a Parigi: "Giorgio de Chirico" è il nome che appare sui quadri e nel catalogo dei Salon. Dalla scoperta della metafisica alla prima uscita pubblica i quadri noti sono appena una decina. Nel 1913 avviene l'incontro determinante con Guillaume Apollinaire. I primi quadri metafisici di Giorgio de Chirico erano ispirati alla Gare Montparnasse. L'edificio immenso nella enigmatica solitudine del pomeriggio d'autunno e continuato dalla sua ombra lunga, con l'orologio di fronte che segna le tre pomeridiane. Egli consigliò a de Chirico di esporre agli Indépendants, ed infatti, durante la primavera seguente, manda quattro quadri alla mostra. Questi quadri attirarono l'attenzione di Pablo Picasso, il quale segnalò ad Apollinaire il nuovo pittore. In ottobre espone nel suo studio una trentina di quadri (quasi tutti quelli dipinti fino ad allora). Una preziosa recensione di Apollinaire, arriva al cuore della nuova pittura: il poeta esclude qualsiasi dipendenza di de Chirico dall'arte precedente, sottolinea il valore dell'enigma, critica soltanto il colore scuro. In novembre interviene al Salon D'Automne con quattro quadri: "Portrait de Mme L. Gartzen, "La malinconia di una bella giornata", "La Tour rouge", "Il nudo". Vende il primo quadro, "La Tour rouge" a un signore di Le Havre, un uomo anziano che si chiamava Olivier Senn". è la prima volta che qualcuno gli offre del denaro in cambio di una sua pittura, ed egli rimane molto sorpreso. Nel 1914 espone al Salon des Indépendants: "La nostalgia dell'infinito", "L'enigma di una giornata". Questi quadri vedono la dilatazione dello spazio nelle piazze d'Italia e l'incombere di prospettive e ombre sempre più minacciose. Appaiono le composizioni di oggetti in primo piano con prospettive sullo sfondo. Si accentua lo studio del calco accademico. Alla fine dell'anno (e per la metà del 1915), compare il manichino, una variante della statua e della sagoma. Conosce Paul Guillaume, tramite Apollinaire che nello stesso periodo consiglia a Guillaume di esporre Rousseau, Matisse, Picasso, l'arte negra; De Chirico lo segue anche in vacanza con la madre e il fratello e gli resta molto legato e continua ad avere rapporti di lavoro anche all'epoca del ritorno a Parigi. Si interessano della sua pittura anche i giovani Ardengo Soffici e Giovanni Papini, conosciuti tramite Apollinaire. Sul giornale "Lacerba" esce il 14 luglio un testo di Soffici, il primo italiano a parlare di de Chirico, e Papini. Ma è soprattutto Apollinaire a sostenere la sua pittura, e non è escluso che molti titoli poetici dei quadri di questi anni si debbano alla sua ispirazione. Il 3 giugno annuncia a Guillaume l'intenzione di partire con il fratello per Firenze per arruolarsi nell'esercito francese. La motivazione è "appartenere a un paese, ad una razza ed avere un passaporto in regola". Incontrano Soffici, anche lui volontario che li ricorda un po' disorientati e impensieriti soprattutto all'idea di non poter esercitare la loro arte per chissà quanto tempo Arriva in un afoso pomeriggio a Ferrara, dove viene assegnato alla fanteria. Lo raggiunge Savinio (il fratello, in precedenza, si era fatto cambiare il proprio nome in "Albert Savinio"), e più tardi, la madre, che affitta un piccolo appartamento: ricomincia a lavorare dopo una lunga sosta. Conosce il marchesino Filippo Tirbelli de Pisis, non ancora pittore, che raccoglieva allora un curioso erbario e si circondava di oggetti metafisici. De Pisis è poeta, discute di filosofia tedesca, dedica a Savinio "La città delle 100 meraviglie" e ai due fratelli la bella prosa "Mercoledì 14". Iniziano nel 1916 le accumulazioni di oggetti e forme geometriche in un interno. Il tema dei manichini si amplifica fino al ritorno monumentale di tono lirico (Il Trovatore) o rispecchiante la tragedia delle partenze per la guerra (Ettore e Andromaca). Viene inviato all'ospedale neurologico di Villa del Seminario, dove arriva Carlo Carrà. Il fratello parte in giugno per la Macedonia come interprete sul fronte greco: da questa esperienza nascerà la sua prosa poetica "La partenza dell'Argonauta". E' un periodo di malattie, di notizie dolorose (la morte del grande amico Apollinaire), di poesia, di eventi storici. Un giorno, il fratello, tornato dal fronte, gli annuncia la pace. E' un momento di lavoro addirittura febbrile (sempre in rapporto con Paul Guillaume). Riprende il tema dei manichini già annunciato a Parigi con un nuovo effetto monumentale. Approfondisce il tema degli interni metafisici che accumulano oggetti matematici e cibi, mappe ed esercitazioni calligrafiche, segni, tavole anatomiche e quadri nel quadro. Con passione si dedica al disegno in senso sempre più "antico". Nelle lettere che Savinio scrive dal fronte lodando la sua mostra dove espone, accanto ai quadri futuristi, le prime opere metafisiche, lo definisce grande costruttore. La polemica tra Carrà e de Chirico dopo la guerra sarà accesa a proposito della priorità, mentre Carrà teorizza in un libro "La pittura metafisica" evitando la fonte de Chirco e la filosofia tedesca. Una sua mostra insieme a de Chirico è recensita da de Pisis nella "Gazzetta di Ferrara", che rivendica l'importanza di cercare forme nuove. Alla fine della guerra, durante l'inverno, si ricongiunge con la madre a Roma: i primi tempi, vive con lei a Park Hotel. La sua pittura, che aveva suscitato l'ultimo giudizio critico di Apollinaire, continua ad attirare entusiasmi e diffidenze. Alla fine dell'anno 1918 si prepara il primo numero della rivista "Valori plastici" (uscirà fino alla primavera del 1922). La dirige Mario Broglio, che de Chirico conosce attraverso Roberto Melli, incontrato a Ferrara: Broglio è giornalista, ma il ruolo di mecenate che assume verso il gruppo, lo porterà a diventare pittore. La rivista diventa il punto d'incontro del dopoguerra; già nel primo numero appaiono scritti e opere di de Chirico, Carrà, Savinio, Melli, De Pisis: i valori vengono individuati in quella tradizione italiana già riscontrata dall'avanguardia. La rivista, che registra d'ora in poi i fatti della cultura europea, diventa portavoce del "rappel-à-l'ordre" internazionale e del ripiegamento dell'avanguardia e, come tale, è apprezzata in tutta Europa. Già nell'ultimo periodo di Ferrara la pittura acquista un tono più pastoso e corposo: l'iconografia è sempre quella degli interni metafisici, ma gli oggetti cominciano a diradarsi nello spazio, i quadri rappresentati nel quadro assumono una vita autonoma, già sulla via della conversione alla pittura da museo. Il nuovo interesse per la figura umana lo riporta all'autoritratto. Scopre il museo e il valore della tecnica. Copia nella Galleria Borghese il "Gentiluomo in nero" di Lotto e a Firenze Michelangelo e Raffaello: alcune indicazioni gli vengono date dal pittore russo Lochoff, soprattutto per la tempera grassa verniciata. Insieme agli scritti teorici, sono gli Autoritratti a indicare il senso epico o drammatico della sua ricerca. Sempre si avverte il ricordo declamatorio di Bocklin. Nel febbraio 1919 espone opere dal periodo ferrarese nella nuova galleria di Anton Giulio Bragaglia, accompagnandolo con lo scritto fondamentale: "noi metafisici" . E' il periodo dell'espansione dei fogli letterari. L'editoriale de "La Ronda" (1919), parla di ritorno al mestiere, e anche "Primato" e "Convegno" si allineano sulle nuove parole d'ordine. Il primo dei quattro numeri di quest'anno di "Valori plastici" è dedicato alla cultura francese con materiali forniti da Gino Severini. Appaiono i fondamentali scritti di De Chirico sull'arte metafisica, sull'Impressionismo, ecc. Carlo Carrà pubblica "pittura metafisica", recensito da De Chirico che nota civilmente la mancanza assoluta del proprio nome. Carrà, da parte sua, già dall'anno prima, si esprime verso De Chirico in maniera pesante e irriguardosa. Continua a vivere a Roma con la madre e a Firenze. Mentre crescono accanto a lui i pittori metafisici, si spiega anche psicologicamente il deciso cambiamento di tecnica: <<la tempera mi tentò; cominciai a cercare ricette di questa tecnica e per alcuni anni dipinsi a tempera>>. All'inizio del 1921, dopo due anni di assenza, presenta a Milano un gruppo di "opere giovanili" e "dell'ultimo periodo". Sono presenti la grande copia da Michelangelo, la massima prova di una serie di copie eseguite in questi anni, alcuni dei quadri più antichi e quadri enigmatici. Nella rivista "Valori plastici", sempre più diffusa, si accentua il richiamo all'ordine, sottolineato da opere di Carrà, De Chirico, Broglio, oltre a opere di Moranti e di Arturo Martini. De Chirico vi appare anche con l'enigmatico "autoritratto" metafisico. Dalla Germania gli chiedono una litografia per la cartella di Bauhaus dedicata agli italiani. Max Ernst si converte allo spirito dechirichiano. Nella primavera 1921 viene presentata alla Galleria nazionale di Berlino una grande mostra del gruppo "Valori plastici": tra le oltre duecento opere, quelle di De Chirico appaiono accanto a Carrà, Martini, Moranti, ecc. E' la nascita del linguaggio europeo del "Magischer Realismus". Mentre Max Ernst, appena arrivato a Parigi, lo colloca come una statua nel convegno degli amici di Breton, De Chirico medita di tornare a Parigi (1922). Intanto matura il vero disegno di ordine. In sua assenza si apre una grande mostra organizzata da Paul Guillaume: 55 quadri, dai primi metafisici di Parigi, a quelli inviati di Ferrara, a quelli più recenti. Nel 1923 vive tra Roma e Firenze nella casa dell'amico Giorgio Castelfranco, il suo mecenate in questi anni e anche suo raffinato critico. Recupera l'impaginazione e il segno di Bocklin, ideale maestro, forse sollecitato dall'ambiente di Firenze: uno dei quadri esposti quest'anno non è solo in rapporto con la mitica "isola dei morti", ma anche con la Villa Bellagio dove visse Bocklin, in quella Firenze che De Chirico riscopriva tramite Monaco e ricordi d'infanzia. Scopre anche Courbet al quale dedicherà una piccola monografia. Nel 1924 conosce Raissa Gurievich, che sposerà: fa parte del balletto del "Teatrino degli Undici", fondato da Pirandello (nello stesso ambiente, Savinio conosce la sua futura moglie). Il 19 novembre dello stesso anno si rappresenta a Parigi "La giara", commedia coreografica di Alfredo Casella con scene e costumi di De Chirico. De Chirico era entrato in contatto con Casella a Roma, insieme a Savinio. Esce a dicembre il primo numero della rivista "La rivoluzione surrealista" : De Chirico è presente con lo scritto Reve. Ogni numero della rivista, ogni iniziativa del gruppo, registra da questo momento la sua impronta, anche se, già dal marzo 1926, la polemica si inasprisce. Proprio a fine anno si registra un soggiorno di De Chirico a Parigi. L'occasione è offerta dalla rappresentazione dei Balletti Svedesi. Si spiega così il suo rinnovato contatto con Breton e l'amicizia con Max Ernst. Nel 1925 espone alla biennale di Roma: al silenzio della critica, attribuisce la decisione di tornare a Parigi. Mostra personale in luglio alla "Galerie de l'Effort Moderne": essa sottolinea il nuovo valore che ha assunto la sua tecnica. L'ambiente di Roma non è il più adatto per i suoi quadri romantici o enigmatici: nelle Biennali appare sempre con gruppi di opere senza rilievo, mentre a Carrà (per esempio), si riservano eloquenti celebrazioni. Si trasferisce quindi a Parigi (autunno del '25). Si tratta di un ennesimo viaggio o ritorno del figliol prodigo. Entra nel gruppo dei Surrealisti guidato da Andrè Breton e dal suo amico Paul Eluard. A Roma, il fratello comincia a dipingere. Dallo stile ancora romantico del 1924, si assiste a un brusco cambiamento sia tecnico che stilistico. La pittura diventa liquida, e l'effetto generale non finito; i temi si orientano verso oggetti antichi collocati in uno spazio ambiguo tra interno ed esterno con azzurri troppo carichi e nuove ambigue marionette. Dopo un breve soggiorno a Montparnasse (1926), si trasferisce in un bell'atelier a Montmartre. Ritrova De Pisis che lo ritrae e per il quale scrive il testo per una mostra al "Sacre du Printemps" con i quadri più dechirichiani del pittore ferrarese. Lavora intorno a un racconto autobiografico, che registra tutti i miti e inquietudini di questo periodo. La rivista del gruppo continua a pubblicare i quadri di De Chirico; ne appaiono cinque datati tra il 1913 e il 1922. De Chirico ha avuto il torto di far presentare il catalogo della sua personale dal collezionista Barnes. L'eco di questa clamorosa rottura rimane nelle pagine di De Chirico, che da allora assume un atteggiamento antimodernista e antisurrealista. Al fratello che gli ha mandato da Roma le sue prime prove pittoriche risponde di: <<non mescolarsi ai surrealisti, gente cretina e ostile>>. Comincia la vicenda di Savinio pittore, con le prime rievocazioni mitologiche e lo scavo nell'infanzia. Alcune opere di De Chirico compaiono nella seconda mostra del gruppo "Galerie Surréaliste" accanto a Picasso, Ernst, Mirò, ecc. Una mostra personale viene fatta in febbraio, a Milano, ambiguamente recensita da Carrà. Un'altra mostra personale in giugno, da Paul Guillaume, con il quale è stato sempre in rapporto; importante una recensione di Georges Ribemont-Dessaignes, in opposizione con i Surrealisti. In Italia intanto, si stringono le fila dei pittori restaurati: Margherita Sarfatti presenta nel Palazzo della Permanente di Milano la prima mostra del Novecento Italiano: De Chirico è presente con tre quadri, tra i quali l'enigmatico Achille. Nel 1927 si inaugura, in ottobre, la prima mostra di Alberto Savinio. Savinio ricorda che 18 dei 29 quadri esposti furono venduti. Tra il 1926 e il 1927 nascono alcuni cicli nuovi nella pittura di De Chirico: si tratta di temi classici dipinti con materia prima e tratto veloce. Poi, la materia diventa sempre più corposa, la pennellata si appesantisce, pur conservando un segno filamentoso, quasi grafico e una grande velocità di esecuzione. Nello stesso tempo espone da Rosenberg e collabora al "Bollettino della Galleria", con riproduzioni di quadri e con l'importante testo "Statues, meubles, et généraux". Appare la seconda monografia, un piccolo libro di Roger Vitrac, un surrealista quasi scomunicato dal gruppo, che è amico anche di Alberto Savinio. Continua la polemica, scoperta e non, con i Surrealisti. In quest'anno di grandi contese con i Surrealisti, reagisce continuando l'analisi della tecnica con un ricettario. "Sapere per potere" è il motto di Courbet e il primo titolo Piccolo ritratto di pittura, è polemicamente corretto in Piccolo trattato di tecnica pittorica. E' dedicato interamente al tema dei gladiatori. Per la prima volta espone a Londra e a Bruxelles, mescolando quadri metafisici e opere recenti. Il 1928 è l'anno dello scontro frontale con i Surrealisti: il catalogo originale di Aragon presenta polemicamente opere del passato; viene allestita una vetrina con parodie delle sue opere recenti. Mentre la pubblicità del libro di Breton è ancora all'insegnadi De Chirico e sempre Breton illustra Nadja con "Le delizie del poeta" del '13, poche pagine prima appare una definitiva immagine dal titolo: "Qui giace Giorgio de Chirico" (un ricordo delle piazze metafisiche trasformate in giocattolo falso-antico). Vengono dedicati tre columi a De Chirico: una piccola monografia nella serie di Scheiwiller, una monografia di George che si basa in gran parte sui quadri posseduti da Rosenberg, uni straordinario testo di Jean Cocteau a metà tra l'opuscolo polemico e la critica. Il 1929 è l'anno del boom economico e della conseguente gravissima crisi. Appare un romanzo, prima a puntate sulla rivista d'avanguardia "Bifur" e poi in volume "Hebdomeros" già in maturazione da qualche anno, dato che i suoi disegni sul tema risalgono al 1925. Si tratta di un testo autobiografico, onirico e fantastico, ancora non sufficientemente valutato. Nella primavera prepara scene e costumi per un balletto musicato da Rieti dal titolo: Le bal. Viene rappresentato nel maggio a Montecarlo e poi a Parigi dai Balletti Russi di Diaghilev. Nella prima scena appaiono statue gigantesche mimate dai ballerini; nella seconda scena si trovano tutti i suoi motivi di questi anni: il cavallo, i mobili nella valle, l'archeologo, il paesaggio nella stanza, il quadro-finestra. Il suo stile pittorico diventa sempre più classico e nostalgico del vero: nudi e vite silenti sono i quadri prediletti. La moglie Rissa è spesso la modella per i suoi ritratti e per i nudi sempre più accademici (si interessa in questo periodo della pittura di Renoir). Nel 1930 si lega agli Italiani di Parigi: il fratello Savinio, Tozzi, Severini, Magnelli. Le mostre iniziano nel 1929 e culminano nella mostra alla Biennale di Venezia nel 1930, introdotta da Waldemar George, per continuare a Parigi fino a '33. E' Savinio a chiarire che la ragione di quella congrega non consisteva in un linguaggio comune ma in un ideale richiamo ai valori costruttivi dell'arte italiana. In questi anni il fratello sperimenta una pittura sempre più onirica nella sostanza e corposa nella forma fino ad una sgradevole qualità passionale; i temi non sono lontani da De Chirico: dioscuri e centauri, deformazioni e scambi di proporzione, memoria greca e mito mediterraneo. Il lavoro di De Chirico si espande: per la Krolloper di Berlino prepara le scene per un lavoro di Krenek, uno dei suoi temi mitici. Esiste anche notizia di una scena per il "Polichinelle" di Stravinsky, eseguito per i Balletti Russi Romanov a Parigi, in sostituzione di una di Ricasso. Ormai la sua bibliografia comincia a diventare ricchissima. Da segnalare i testi frequenti di Waldemar George e un intervento in Spagna di Eugenio d'Ors. Anche le mostre collettive sono frequenti e non sempre sollecitate dall'artista. Tra il 1931 e il 1933 conosce Isabella Packswer, di origine russa, e De Chirico ne rimane colpito: <<il suo intuito nelle questioni della pittura è sempre stato prezioso per me. Nessuno come lei riesce subito a giudicare a prima vista tanto le qualità quanto i difetti di un quadro>>. Frequentissimi i ritratti della nuova moglie Isabella. Grande l'impegno per la pittura murale nel Palazzo della Triennale di Milano nel '33. Si tratta di un riepilogo della civiltà italiana, oltre che della sua vicenda pittorica di un quarto di secolo. Nel '31 espone a Milano e a Praga (presentato da Carrà) oltre che a Bruxelles. Nel '32 espone a Firenze dove si stabilisce per un lungo periodo presso l'antiquario Bellini, oltre che a Milano e alla Biennale di Venezia. Nel '33 espone a Genova, a Torino e a Zurigo. I quadri di questi anni sono tutti nello spirito dei valori monumentali e scenici espressi in pieno nel murale della Triennale e nella messinscena dei Puritani. In occasione della mostra di Praga viene tradotto il suo trattato sulla tecnica pittorica. Nel 1934 torna con la moglie Isabella Packswer a Parigi, dove la situazione generale è peggiorata. De Chirico approfondisce la ricerca tecnica. Prepara le scene e i costumi per "La figlia di Jorio" di D'Annunzio messa in scena da Pirandello al Congresso Internazionale del Teatro di Roma all'Argentina. Continua l'evocazione dei personaggi ancora legati alla messinscena dei "Puritani", mentre si fanno frequenti i temi mitologici e i nudi classici. Lo stile, tornito e corposo, è stranamente contrastante con la grande impresa di quest'anno: la collaborazione fantastica con Jean Cocteau. Nel 1935 salpa in estate da Genova sul transatlantico Roma: in questo periodo era molto depresso moralmente dato che Isabella non aveva potuto partire con lui. Il viaggio da Genova a New York gli rimarrà nella memoria come uno dei peggiori ricordi della sua vita. Nella città di New York gli sembrava di essere morto e rinato in un altro pianeta. Quelle costruzioni lisce e monotone, dalle cui superfici nulla sporgeva, non un balcone, non un cornicione, non il capitello d'una colonna, non un'asta, non un chiodo, gli procuravano un senso di grande sgomento. Ritrova Barnes, conosciuto a Parigi, che lo ospita nella sua casa-museo vicino a Filadelfia. La moglie lo raggiunge in inverno, e, durante l'estate riceve da Roma dal fratello la notizia della morte della madre: un nuovo trauma per l'artista non più giovane. Entra in rapporto con il mercante Julien Lévy che organizza una sua mostra in autunno: fu un successo, diversi quadri furono venduti, e i dollari piovevano. Nell'autunno del 1936 venne organizzata un'altra mostra: De Chirico aveva progredito le sue ricerche tecniche ed aveva perfezionato la preparazione delle imprimiture. Molte opere che espose erano superiori per qualità di pittura e potenza plastica a quelle della prima mostra; la critica, infatti, si interessò. I mercanti, tra i quali Lévy, lo appoggiano. Intanto, a Londra, si apre una sua mostra personale, pochi mesi dopo la sua grande mostra internazionale del Surrealismo dove vengono esposti undici quadri metafisici. I quadri del periodo americano alternano al solito la ricerca sperimentale con lo stile neoclassico del 1930. Collabora con illustrazioni e copertine a "Vogue", mentre un critico americano lancia la sua pittura. Torna in Italia all'inizio del 1937 sul transatlantico Rex: mentre la guerra si avverte nell'aria, vive tra Roma, Milano, Parigi, Londra, Torino e Genova, e in Versilia, ospite del fratello. Dopo tre anni di assenza torna a esporre a Roma, a Milano, a Genova, a Parigi, dove visita l'esposizione internazionale del 1937. Espone nel 1938 in una galleria della Rive Gauche una serie di pitture a tempera. A Londra espone sue opere insieme a Ricasso, mentre nel suo soggiorno mostra i quadri recenti. Questo intenso periodo si conclude con la sala alla Quadriennale del 1939. Si reca a Londra dove mette in scena il balletto "Protée" di Debussy ed ha la rivelazione di un'altra città metafisica. Dopo Milano passa il periodo di guerra tra Firenze e i dintorni di Roma: la traccia della guerra resta nelle venti litografie dell'Apocalisse eseguite su richiesta dell'amico Raffaele Carrieri, che gli dedica poi, nel 1942, un volume monografico. Intensifica a Firenze la trasposizione plastica dei temi metafisici. La tecnica grafica si distingue per il segno filamentoso e minuzioso. Dipinge quadri soprattutto in soggetto realista, copie dei quadri metafisici, esegue molte copie da Rubens e altri, inizia il ciclo dei quadri barocchi. Molti scritti teorici di questi anni li attribuisce alla moglie Isabella. La guerra ravviva la memoria: esce nel 1945 "Ricordi di Roma" e si chiude al 1944 la prima edizione di "Memorie della mia vita". Si intensifica il suo rapporto con la scena: dalla Scala al Maggio Musicale Fiorentino, all'Opera di Roma, i suoi eloquenti fondali dipinti accompagnano i fantasiosi costumi di ballerini, cantanti, attori. Le rappresentazioni sono mitologiche. Alle luci della ribalta, si accentua il carattere nostalgico e retorico della sua pittura. Negli anni '50 si stabilisce definitivamente a Roma. Sempre più frequenti gli autoritratti attraverso i quali rivive in altri spazi e in altri tempi, accentuando il suo atteggiamento da superuomo. Cominciano le cause per i falsi. Uno scandalo avviene alla Biennale del 1948: in una mostra della metafisica viene attribuito il premio a Moranti (molto stimato, tuttavia, da De Chirico). Nel 1949 è a Londra in occasione della sua ammissione alla "Royal Society of the British Artists: espone in una mostra personale un centinaio di quadri. Varie mostre personali a Venezia, fino alla mostra di quadri metafisici a New York e alle personale della Quadriennale di Roma. Si accentua la polemica verso la sedicente arte moderna: rifà il verso a Ricasso, attacca sistematicamente i Surrealisti. Soltanto con Magritte stabilisce un corretto rapporto di stima. Attraverso un piccolo libro di Isabella (1953) si ha il ventaglio del lavoro di questi anni: i temi sono autoritratti e ritratti sempre più veri, cavalli e soggetti sacri, vedute di Venezia, e sempre scene mitologiche. Lo stile è "barocco". La pennellata è veloce e corposa, i colori sempre più contrastanti e brillanti. Mentre continuano le polemiche sui falsi, negli anni '60 si registra una novità nella pittura di De Chirico, con un periodo neo-metafisico, con nuovi quadri che riprendono motivi di manichini, temi romantici, miti degli anni Venti, oltre alle illustrazioni per Apollinaire: una novità è proprio nell'accavallamento dei soggetti. Il periodo è chiuso dalla grande mostra che Milano gli concede a Palazzo Reale. Si dedica alla litografia e all'illustrazione. Le mostre ormai, non si contano più: da notare una buona scelta di opere nelle muse inquietanti a Torino nel 1967. La sua fama si stabilisce soprattutto per la valutazione degli americani: lo testimonia la rica serie di opere esposte a Milano e la collezione di Soby dove figura una serie di capolavori. Si approssima ai novant'anni. L'Accademia di Francia lo accoglie tra i suoi membri; un ritorno in Grecia acquista un valore emblematico. Ad Atene mette in scena "L'Orfeo ed Euridice" di Gluck, recuperando i temi romantici e classici. La moglie Isabella organizza alcune mostre internazionali: Ferrara, New York, Giappone, Parigi. Si spegne il 20 novembre 1978, a oltre novant'anni. I suoi ultimi quadri contengono nuovi enigmi e presentimenti.
Natura morta di Giorgio de Chirico (1915)
In questa Piazza d'Italia vi sono tutti gli elementi metafisici: le strane ombre lunghe, innanzitutto, nette e contrapposte alla luce e al colore, caldo ma terso, privo anzi di vibrazioni atmosferiche; la geometrizzazione delle prospettive e degli alti portici, quei portici che, per il loro coronamento ad arco di cerchio che ha qualcosa di incompiuto, suscitano "un'impressione eminentemente metafisica"; la solitudine, rotta soltanto da due piccole figure umane sulla sinistra e, sul fondo, da un treno a vapore che passa sbuffando, seminascosto da un muro di mattoni; la statua classicheggiante, al centro, in posa di recumbente sul basso piedistallo: la statua <<sulla piazza - nota De Chirico - ha sempre un aspetto eccezionale>>, perché ha forma umana, e al tempo stesso è immobile, marmorea, perenne.
Natura morta di Giorgio De Chirico (1917)
In questo quadro i manichini hanno i corpi in foggia di statue classiche, dalle pieghe ricadenti parallelamente, in quello di sinistra, simili alle scanalature di una colonna dorica, come in una scultura greca arcaica. Il richiamo alla Grecia giustifica il titolo: le muse; inquietanti perché inserite - senza una logica apparente - in un contesto urbano tanto posteriore, inquietanti come lo sono certi sogni, certi incubi, dove tutto sembra reale, eppure non lo è perché creato dal nostro incoscio che monta una scena complessa con motivi tratti dalla realtà quotidiana, ma riuniti senza un motivo giustificabile sul piano razionale. Come in molta pittura del Novecento, dunque, anche in questa c'è un continuo riferimento alle scoperte recenti della psicanalisi: malgrado la polemica con tutte le correnti artistiche contemporanee, si accentua l'espressione dell'<<io>> individuale.
Natura morta di Giorgio de Chirico (1917)
Entro l'ampia prospettiva con la consueta atmosfera rarefatta e sospesa, contro un cielo cupo, i due mitici personaggi si stringono nell'ultimo abbraccio presso le Porte Scee prima del duello con Achille che segnerà la morte dell'eroe troiano; ma non sono personaggi reali e neppure autentici manichini di sartoria; somigliano alla forma dei manichini perché gli elementi costituenti sono composti in quel modo; ma questi singoli elementi sono figure geometriche, astratte, come astratto è il complesso. Per raggiungere questa astrazione è importante, in De Chirico, accanto al colore, il disegno, quel disegno che fa parte della sua formazione artistica fin dall'epoca degli studi in Grecia e che ha sempre costituito un fattore idealizzante della realtà.
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