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Facilmente siamo portati ad identificare il Settecento come il periodo della vita frivola e spensierata, dei giochi e delle feste eleganti. In realtà il Settecento è in tutta Europa un secolo di profonde trasformazioni: da una parte c'è una società che si avvia alla decadenza e dall'altra una civiltà che porrà le basi dell'età moderna. Possiamo suddividere il secolo in due momenti: nel primo permane una società dominata da un'aristocrazia inetta che vive ancora di tutti i suoi privilegi, mentre nel secondo si va affermando una borghesia che avanza richieste sempre più ardite, fino a portare un paese intero alla rivoluzione.
Nella prima metà del secolo continuano a sussistere, e anzi, vengono ulteriormente sviluppati i tratti caratteristici della espressività seicentesca, basati sulla linea ondulata, sul violento contrasto tra luce e ombra, sulle superfici curve, ricche di sporgenze e cavità, sulla luce come protagonista principale dell'opera. E' questo il rococò, termine che deriva da un termine francese, rocaille, indicante una particolare decorazione a conchiglia. Molti sono gli aspetti omogenei tra barocco e rococò, soprattutto l'identico atteggiamento di privilegiare una decorazione eccessiva; ma vi è una grande differenza: il diverso peso che ha ora la Chiesa e la religione in generale sulla vita e sul pensiero del tempo. Il Settecento è un secolo del tutto laico rispetto al precedente, ed anche l'arte riflette questo suo aspetto, contrariamente a quanto avveniva in epoca barocca, che nacque proprio per soddisfare le esigenze della corte papale.
Nella seconda metà del secolo invece, si afferma con potenza la borghesia, che si ribella all'aristocrazia largamente privilegiata. Ecco allora che in arte si rifiutano sia il Barocco che il Rococò, proprio in quanto espressioni della corte assolutistica, e vengono formulate teorie sull'arte come scienza del bello. Cominciano ad essere recuperati i principi classici poiché rappresentano l'espressione di rigore morale, purezza di forme e rifiuto di ogni decoratività superflua, che potessero liberare dalle sregolatezze barocche.
Luigi Vanvitelli nasce a Napoli nel 1700 e muore a Caserta nel 1773. Figlio di un pittore olandese, egli inizia la sua attività artistica seguendo le orme paterne. Formatosi a Roma, entra in contatto con il già affermato Juvarra, del quale potrebbe essere stato anche allievo. Nell'ambiente romano, pur partendo da una base barocca, si dimostra sensibile ai temi della classicità, recuperati dallo studio delle rovine antiche che la cultura illuminista del tempo cominciava a rivalutare. Dopo aver partecipato a vari concorsi ed essere stato nominato primo architetto della Fabbrica di San Pietro, nel 1751 è chiamato a Napoli da Carlo III di Borbone, sovrano illuminato che aveva intrapreso una vigorosa azione di rinnovamento politico ed economico dello Stato rilanciando il ruolo del potere centrale.
È in questo contesto di rinnovamento generale che si inserisce la realizzazione della nuova Reggia di Caserta, commissionata al Vanvitelli dal re di Napoli,con lo scopo di realizzare una nuova Versailles. Come già lo Juvarra per la Palazzina di caccia di Stupinigi, anche il Vanvitelli non si occupa solo del progetto architettonico del palazzo, ma anche della realizzazione dell'immenso parco e della risistemazione urbanistica dell'intera città circostante. La nuova reggia vuole essere il simbolo del nuovo Stato borbonico: potente e grandioso ma al tempo stesso anche razionale ed efficiente. La Reggia di Caserta viene cominciata nel 1752, ma il Vanvitelli non vive abbastanza per vederne la conclusione avvenuta, a opera del figlio Carlo, intorno al 1780. Il palazzo appare come un massiccio parallelepipedo a pianta rettangolare. Lo spazio interno è diviso da due bracci ortogonali che intersecano i corpi principali delle facciate nel punto medio, dando origine a quattro immensi cortili rettangolari. Sulle due facciate maggiori i punti di innesto del braccio centrale delle ali laterali corrispondenti alle due facce minori risultano lievemente sporgenti rispetto al piano stesso della facciata e questa soluzione movimenta una parete che sarebbe altrimenti apparsa troppo monotona.
Perno centrale di tutto l'edificio è il grande atrio ottagonale dove i due bracci mediani si incontrano dando origine a delle prospettive estremamente scenografiche. Da questo atrio si diparte una scalinata di 18 metri di larghezza. Attorno alla reggia si estende un parco di oltre 120 ettari. Il modello del parco è evidentemente ispirato a quello di Versailles, voluto dal re di Francia Luigi XIV. In corrispondenza del centro della facciata posteriore si diparte un lunghissimo viale interrotto da fontane, vasche e cascate artificiali, in una successione che sembra perdersi prospetticamente verso l'infinito. Ai lati vialetti minori, immersi in fitti boschi, portano a fontane minori e a laghetti. In questo modo ogni elemento naturale viene volutamente e profondamente modificato. Torrenti e ruscelli dal percorso tortuoso sono incanalati in vasche dalle forme perfettamente regolari, anche gli alberi, i fiori e gli arbusti vengono piantati e disposti in base a rigorosi disegni geometrici.
BOULLEE
Architetto francese che per primo segnò la rottura definitiva con il passato barocco e rococò. Egli diede infatti il via alle semplificazioni geometriche delle forme architettoniche, da lui concepite come forme elementari, preferibilmente forme ritenute perfette, quali la sfera, il cerchio o il triangolo.
La decorazione non è concepita come isolata dall'architettura, ma ne fa completamente parte. Per il Boullèe infatti l'unico motivo decorativo devono essere le forti e profonde ombre generate dalle masse architettoniche. Una decorazione, quindi, strettamente legata alla forma, ma anche alla funzione, come è possibile vedere nel Cenotafio di Newton.
Si presenta come una sfera cava di dimensioni straordinarie, che poggia su una base a doppio anello; uno che funge da sostegno e uno che circonda l'intero edificio. Fu concepito come monumento sepolcrale al celebre Newton, che il Boullèe omaggiò cercando di riprodurvi le leggi dell'Universo da lui scoperte. Infatti l'interno del cenotafio offriva spettacolari visioni: un cielo stellato durante il giorno e un effetto diurno durante la notte, proprio per ricreare le sue leggi. La struttura spaziale consiste nella forma assoluta della sfera, con evidente riferimento al mondo classico, che da sempre considera la sfera simbolo di perfezione, compiutezza e realizzazione dell'ordine ideale e razionalità assoluta.
Boullèe applica questa concezione alla luce del pensiero illuminista, intendendo esprimere il primato della scienza su qualunque altra facoltà umana. Egli concepì inoltre le sue forme geometriche in maniera solenne e megalomane. Esse avevano infatti dimensioni titaniche e per questo motivo rimasero solo nella mente dell'architetto, poiché non furono mai realizzabili.
PIRANESI
Fu considerato come il più eloquente portavoce della romanità, intesa in opposizione all'arte greca, che aveva allora un grande sostenitore nel Winckelmann.
Egli nutrì questo amore appassionato per l'arte romana e ne fu un profondo conoscitore, grazie alle rovine archeologiche che a mano a mano venivano scoprendosi. Le rovine rappresentavano per lui l'eredità di un qualcosa che non potrà più tornare e che sarà fondamento di tutte le architetture successive.
Ispirandosi poi alle raffigurazioni magniloquenti del Boullèe, decise anch'egli di rappresentare le opere architettoniche di dimensioni gigantesche e utopiche, dando vita ad un'archeologia visionaria mediante il dilatamento della prospettiva.
Ne è un esempio la sua incisione "Fondamenta del mausoleo di Adriano", che rappresenta uno scorcio di quello che adesso è Castel Sant'Angelo a Roma. Il primo particolare che risalta subito agli occhi è l'enorme dimensione dei blocchi di pietra rispetto agli uomini, rappresentati minuscoli.
Piranesi non si staccò completamente dal barocco e dal rococò e non riuscì ad accettare i principi del Neoclassicismo, poiché riteneva l'architettura frutto di fantasia e creatività, che sarebbero state abolite completamente dall'adesione alle regole neoclassiche.
NEOCLASSICISMO
Nuova tendenza artistica e letteraria che riproponeva un ritorno alla classicità, vista come unica eccezionale interprete del bello ideale, un bello da poter nuovamente imitare. Questa nuova corrente prese vigore in seguito alle numerose scoperte archeologiche che vennero alla luce in quel periodo e che riportarono alla luce tanti degli splendori greci e romani.
Il punto di riferimento nella scultura era l'Antinoo di Belvedere, mentre in pittura ci si rifaceva al più classico dei pittori rinascimentali, e cioè Raffaello, con le sue strutture geometriche complesse ed il metodo prospettico.
WINCKELMANN
Fu il massimo teorico ed esponente del neoclassicismo. Egli proponeva un ritorno più che all'arte classica, a quella greca, che era la più perfetta tra tutte; secondo lui, infatti, ogni qual volta l'arte si era allontanata da quella greca aveva avuto un calo e si era corrotta. Bisognava imitare quindi le opere greche, delle quali egli sintetizzò i tratti principali: l'estrema levigatezza e candore, una nobile semplicità e una quieta grandezza, conferite dalla pacatezza dell'espressione del volto,sul quale non vi è traccia di passione o turbamento, e che viene ritratto non nel momento dell'azione ma in quello di stasi, precedente o successivo all'azione stessa.
Questi i canoni da lui stabiliti: canoni che però si rivelarono in seguito del tutto errati, in quanto furono ritrovati marmi del Partenone di Fidia e parte del frontone del tempio di zeus ad Olimpia, che furono ritenuti dei falsi, proprio perché non rispondenti alle regole prefissate dal Winckelmann. Ma il suo sistema si basava tutto su una cattiva ed errata conoscenza dell'arte greca, in quanto aveva fissato quei canoni su statue che evidentemente erano nient'altro che copie romane.
Ad ogni modo, i principi da lui esposti furono seguiti dalla maggior parte degli artisti neoclassici, dei quali il maggiore fu senz'altro Antonio Canova.
CANOVA
Fu un artista eccezionale, dalla grande personalità, la cui formazione avvenne in Veneto,ma che arrivò all'apice del successo durante il suo soggiorno a Roma, dove compose le sue più incredibili opere. Meglio di ogni altro artista seppe recuperare il vagheggiato ideale dell'arte antica, rendendolo vivo e attuale. Fra le sue opere si annoverano monumenti funebri, statue celebrative, gruppi mitologici e anche ritratti. Significativo è anche il corpus dei suoi disegni.
Bisogna ricordare infatti l'importanza del disegno per l'artista neoclassico, che, di fronte ad un'opera antica, nel suo processo di imitazione, si ritrovava costretto ad analizzarne i rapporti numerici e proporzionali per essere in grado di riportarla in vita. Ecco allora che il disegno diventava rilievo, mezzo per studiare le proporzioni dell'opera e le ombreggiature. Ma tra i disegni del Canova ve ne sono anche altri fatti esclusivamente come progetto dell'opera da eseguire; si tratta in questo caso di schizzi dal tratto immediato, approssimato e rapido, per niente rifiniti e precisi come erano invece quelli di rilievo.
La sua tecnica scultorea si articolava in 4 fasi principali: l'esecuzione dello schizzo,che rifletteva l'idea dell'autore; la preparazione del modello di creta, da cui derivava poi il calco in gesso; il trasporto delle misure dal gesso al marmo ed infine la rifinitura della statua quasi ultimata, che spettava nuovamente all'arte creativa dell'autore.
La sua scultura si basa principalmente su due punti:
egli dà plasticità alle sue figure, tanto da fare sembrare la carne quasi vibrante, tanto è vero che era solito rivestire le sue statue di una patina di cera per renderle traslucide e quasi trasparenti, talvolta una cera rosea, per rendere ancora più viva la statua,colorandola proprio del colore della pelle. Tutto ciò aumentava l'effetto plastico delle statue e dava più morbidezza ai panneggi,sempre presenti nelle sue opere.
Vi è un forte rigore intellettuale, nel senso che i volti e le figure non mostrano alcuna espressione o sentimento, ma completa quiete e dominio delle passioni
Le sue opere più importanti:
Teseo sul Minotauro
Canova rappresenta l'eroe seduto sul Minotauro ormai ucciso; ritrae quindi il momento successivo all'azione, quando ogni segno di rissa e turbamento si è pacato. Il complesso marmoreo è perfettamente liscio e levigato e vuole significare la vittoria della ragione umana sulla bestialità animalesca.
Amore e Psiche
Celeberrima opera del Canova, che raffigura un episodio mitologico preso dalle Metamorfosi di Apuleio: Amore si innamora della bellissima Psiche, con la quale si congiunge pregandola però di non guardarlo in faccia; ma la giovine, presa dalla curiosità, lo guarda nel sonno, e lui fugge via promettendole di non farsi vedere mai più. Venere allora, madre di Amore, schiavizza Psiche e la costringe ad andare da Proserpina, nell'Ade, per prendere un vaso che non avrebbe dovuto aprire; ma ancora una volta, spinta dalla curiosità, lo apre.e cade in un grande sonno. Interviene a questo punto Amore, mosso dal sentimento forte che prova per la ragazza; tenta di rianimarla e infine convince Giove a metterla tra le dee.
Il Canova prende proprio il momento in cui Amore tenta di rianimarla e si protende verso di lei. Vi è rappresentata tutta la tensione precedente il momento del bacio; i due corpi si sfiorano appena, specchiandosi l'uno negli occhi dell'altro. Psiche solleva le braccia circondando la testa dell'amato, che le sostiene con delicatezza la nuca, cingendo con l'altro braccio il seno. Le linee di contorno fluiscono dolcemente accarezzando i corpi seminudi dei due amanti. Vi è riflessa quindi una sensualità sottile e raffinata e un erotismo languido, ma mai volgare. Il gruppo scultoreo dei due amanti palpita di aneliti di vita e di passione.
Ebe
Ebe, la coppiera degli dei, è qui ripresa dal Canova così come aveva progettato nel suo schizzo. Essa avanza con la leggerezza di una danzatrice, in un perfetto ed armonico bilanciamento delle braccia e delle gambe. Il busto è nudo, mentre la parte inferiore è ricoperta di una veste che il vento sospinge indietro, facendo intravedere le forme dell'esile corpo. E' proprio nella parte di dietro che la veste, con le sue innumerevoli pieghe, crea i più forti e marcati effetti chiaroscurali.
Paolina Borghese
E' uno dei ritratti che il Canova realizzò per la famiglia di Napoleone. Qui ritrae la sorella Paolina nelle vesti di Venere vincitrice del pomo. La si vede infatti con il frutto della vittoria tra le mani. E' in atteggiamento divino, con il corpo steso su un divano, la parte superiore ancora una volta scoperta, mentre quella inferiore rivestita di un drappo perfettamente realizzato che segna le sue curve. La superficie marmorea del letto fu modellata in modo tale da rendere, con esattezza minuziosa, le pieghe provocate dal peso della donna. Come era sua consuetudine, una volta terminata l'opera, Canova stese sul corpo della Venere uno strato di cera in modo da creare sul marmo un luminoso effetto rosato che aumentasse il realismo dell'intera composizione scultorea. E' questo un esempio di come il Canova, e in genere ogni artista neoclassico, intendeva il concetto di bellezza ideale: una bellezza che non poteva essere raggiunta imitando semplicemente la natura, ma scegliendo di essa le parti più belle e fondendole insieme. Si origina quindi una figura idealizzata,per niente reale.
Monumento funebre a Maria Cristina d'Austria
Con quest'opera il Canova rivoluziona completamente il significato della tomba, non più vista solo come celebrazione del defunto, ma soprattutto come unico legame con il mondo dei vivi. Influente è la concezione del Foscolo a riguardo.
Canova rappresenta il sepolcro a forma piramidale, con una porta centrale che rappresenta proprio l'ingresso nel mondo dei morti. Qui vi entra in processione una fila di persone, tra le quali donne, uomini, bambini e vecchi, come a voler dire che la morte tocca a tutti, senza distinzione di età. Questa processione è legata da corone di fiori e dal tappeto sul quale tutti procedono: sono questi i legami che tengono accesa la corrispondenza del defunto con i vivi..
Maria Cristina è rappresentata in alto, portata al cielo dalla Felicità celeste. Ne sono presentate anche le virtù, rispettivamente la fortezza, nel leone sulla destra, la pietà, la donna che accompagna il vecchio in processione, e la tenerezza del marito, rappresentata dal genio alato che si appoggia sul leone.
La prospettiva è una prospettiva centrale, il cui punto di fuga è proprio la porta.
DAVID
Jacques-Louis David nacque a Parigi da una famiglia colta e benestante. Fin dalla giovinezza manifestò la sua passione per il disegno e subì l'influenza di Boucher, anticlassico e di gusto rococò. Dopo i primi studi in Francia ottenne una borsa di studio e si recò all'Accademia a Roma. Questa fu un'esperienza molto importante per l'artista, perché qui entrò in contatto con l'arte antica, l'architettura classica e le opere di artisti come Michelangelo e Raffaello. David decise allora di abbandonare lo stile rococò e gli insegnamenti di Boucher.
Rientrato in Francia si impegnò in ogni sorta di attività durante la rivoluzione; vi partecipò attivamente, in quanto fu deputato e poi presidente della Convenzione Nazionale. Militò al fianco di Robespierre e fu poi imprigionato in seguito alla morte di quest'ultimo; poi, così come tanti altri artisti di tutta Europa, si innamorò della grandezza di Napoleone ed enorme fu poi la delusione in seguito alla sua sconfitta. Egli si recò quindi in esilio e morì a Bruxelles.
La Francia rivoluzionaria e giacobina dell'epoca di David, impegnato in prima persona nell'attività politica come deputato della Convenzione, identificava se stessa e i propri modelli nella storia della Grecia e della Roma antica, riscoprendo temi legati ad esempi di virtù civiche e di rigorosa moralità, che fungessero da stimolo per meglio agire nel presente. I soggetti prediletti celebravano l'eroismo, l'impegno civile, il rispetto delle leggi, il patriottismo, virtù universalmente valide che l'arte deve riproporre per la loro funzione educativa.
Morte di Marat
E' una delle più elevate opere di David,che fu molto coinvolto emotivamente nella vicenda. Infatti Marat era un capo storico della rivoluzione, una guida per il popolo, che ad esso dedicava tutte le sue energie. Fu dunque grandissimo lo sconforto e lo sconcerto in seguito al suo assassinio. Questo coinvolgimento personale indusse David ad abbandonare l'idea di una semplice rappresentazione dei fatti e lo portò invece a proporre dei commenti sull'accaduto. Dell'opera emerge quindi il giudizio, non il fatto in sé. A questo riguardo è utile notare che non viene rappresentata l'azione, ma il momento successivo, in accordo con i principi neoclassici.
Del delitto rimangono solamente il sangue, la ferita e il coltello utilizzato dall'assassina, assente, quindi con la pena di non essere ricordata.
Marat giace riverso nella vasca da bagno, dove era costretto a passare gran parte delle sue giornate per curare una grave affezione cutanea, contratta nascondendosi in ambienti malsani, perché perseguitato dai nemici della rivoluzione. E' questo un fatto che mette in risalto l'amore di Marat per il popolo, la sua dedizione ad esso: tra le sue mani vi si può leggere ancora il biglietto che l'assassina aveva presentato per ottenere una sua visita. Segno che solo con l'inganno un uomo così intatto nei suoi ideali poteva essere ucciso.
La parete è vuota e buia, per concentrare l'attenzione sulla figura di Marat e sul dramma appena consumato.
Per rappresentare la morte di Marat, dell' "amico del popolo", l'artista si ispirò ai modelli iconografici della deposizione di Cristo, presentando il cadavere in primo piano, abbandonato su un drappo bianco come un sudario, con il braccio abbandonato lungo la sponda della vasca e la ferita aperta sul costato che ancora gronda sangue.
L'episodio suscitò profonda emozione e scalpore nella Parigi rivoluzionaria; celebrando il martire della Libertà, David ci restituì l'immagine drammatica di un eroe, vera e allo stesso tempo idealizzata.
Il giuramento degli Orazi
David,nei suoi dipinti, si propone di educare il pubblico attraverso la raffigurazione di temi storici importanti. E' ciò che fa anche nel Giuramento degli Orazi, dove egli ci racconta il sentimento di pietas, dolore e angoscia attribuito alle donne, mentre agli uomini tocca l'eroismo e il sacrificio per una ragione superiore, un ideale collettivo, che è la Patria. L'episodio è preso dalla storia della Roma monarchica, quando,sotto il regno di Tullo Ostilio, i tre fratelli romani Orazi affrontarono i tre fratelli albani Curiazi per risolvere una contesa sorta tra Roma e Albalonga. Alla fine rimase vivo uno solo degli Orazi, che decretò la vittoria di Roma. E' quindi un esempio dell'eroismo di tre giovani che scelgono di sacrificare la propria vita per Roma, cioè per la Patria.
La scena rappresentata non è ovviamente il momento dell'azione,ma quello precedente, in cui il padre dei giovani dà loro le spade. Nella scena, che si svolge all'interno di un cortiletto vi é un porticato a tre arcate che divide lo spazio antistante in altrettante zone, ciascuna corrispondente a uno dei tre diversi momenti psicologici: al centro la ferma volontá del vecchio padre che, prima di affidare loro le spade, esige dai figli il giuramento: 'vincere o morire'; a sinistra l'adesione totale senza tentennamenti, dei tre giovani; a destra l'angoscia silenziosa delle donne, consce del dramma che, per la salvezza della patria, colpisce la loro famiglia. Non vi é posto né per gli estranei nè per sentimenti intermedi: tutto é definito senza sfumature. Il padre è la figura centrale della composizione; ai suoi lati vi sono tre gruppi di figure, i tre giovani sulla sinistra e le tre donne sulla destra, rispettivamente dal fondo la madre degli Orazi, la sorella e la moglie di uno dei tre. Esse lasciano trasparire tutto il loro dolore e la loro enorme angoscia.
I colori utilizzati sono attentamente studiati per mettere in risalto la narrazione; non ci sono sfumature, ma solo il colore compatto e brillante e gli accostamenti forti e contrapposti.
A rendere la determinazione degli uomini sono l'inesorabile rigore geometrico delle linee costituite dagli arti e dai movimenti e in generale dall'impianto prospettico centralizzato che focalizza l'attenzione nel punto culminante, là dove si incontrano gli sguardi e le mani.
L'abbandono doloroso delle donne è invece reso dalla prevalenza di andamenti curvi.
ARCHITETTURE NEOCLASSICHE
L'architettura si rivelò il genere artistico che anticipò i risultati della teorizzazione neoclassica. In modo particolare architetti come Carlo Lodoli, Francesco Milizia e lo scozzese Robert Adam condannarono apertamente i caratteri dell'architettura barocca e rococò: bisognava evitare, a loro dire, la sfarzosità e le eccessive decorazioni che avevano contraddistinto gli edifici settecenteschi, cercando piuttosto di raggiungere, come avevano fatto già gli antichi, una piena corrispondenza tra funzione e forma. Gli edifici dovevano essere progettati secondo un disegno architettonico semplice e funzionale che tenesse conto della struttura urbanistica della città: ecco allora il proliferare di edifici costruiti per la pubblica utilità, come musei,mercati, teatri ecc ecc.
Carlo Lodoli era un abate veneto, che aprì la strada ai principi neoclassici in architettura. Egli, sulla scia del Boullèe, rifiutava l'ornamentazione fine a se stessa e riteneva che una forma non ha ragione di esistere se non ha una funzione specifica, quindi la funzione deve essere chiaramente espressa nella sua rappresentazione.
Al Lodoli si rifece anche il pugliese Francesco Milizia, che fu il più convinto oppositore dell'arte barocca. Anch'egli asseriva che tutto ciò che veniva progettato doveva avere una specifica funzione: tutto ciò che è in rappresentazione deve essere anche in funzione. Per questo egli riteneva che la massima arte architettonica si era avuta nella Grecia antica, con il suo stile puro e semplice. Egli studiò anche artisti del passato, criticando negativamente Michelangelo, Borromini e addirittura Vitruvio, del cui trattato non prese in considerazioni alcune parti.
Robert Adam riprende in Inghilterra le caratteristiche dell'architettura neoclassica. Egli venne in Italia, in particolare a Roma e in Campania, dove vide le numerose rovine antiche, le disegnò e le studiò successivamente. La sua caratteristica principale era lo stretto legame tra l'architettura, la decorazione e l'arredo; ogni sua opera infatti era curata minuziosamente nei dettagli.
Giuseppe Piermarini fu allievo del Vanvitelli, con il quale giunse a Milano divenendo lo scultore principale della città veneta, e addirittura assumendo il titolo di Imperial Regio Architetto.
Uno dei suoi progetti fu il teatro alla Scala, uno dei teatri più importanti del mondo, prototipo per tutti quelli che verranno dopo. La facciata è costituita da tre corpi agettanti; può essere diviso in tre parti orizzontalmente: in basso vi è un bugnato sporgente, con al centro un portico per la fermata delle carrozze, il secondo livello è invece occupato da una terrazza centrale e si alternano finestre timpanate e colonne binate, che ai lati diventano semplici lesene; l'ultimo piano, infine, è costituito da un'alternanza ancora una volta di finestre e paraste, sormontato da un timpano e una balaustra che alleggeriscono la struttura.
Egli utilizza, dunque, elementi della grammatica architettonica classica, come colonne, lesene e frontoni, che aggiunge ai volumi. Al contrario di Boulleè, che predilige le forme pure e semplici senza alcun'aggiunta, egli invece fonde ai volumi questi elementi architettonici classici che fungono da decorazione.
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