DONATO
BRAMANTE
Architetto
e pittore italiano (Monte Asdruvaldo, Fermignano, 1444-Roma 1514). Nonostante l'assenza di
documenti sulla sua formazione, è indubbio che essa si svolse nell'ambiente urbinate della corte di Federico da Montefeltro,
importante centro culturale nella seconda metà del Quattrocento, permeato del
classicismo albertiano e dell'esperienza prospettica
di Piero della Francesca. Soltanto su ipotesi si basano comunque i tentativi di
riconoscere interventi bramanteschi nel Palazzo
Ducale di Urbino (nella cappella del Perdono e nello studiolo di Federico), ma
già la prima attività pittorica documentata di B. in Lombardia, prima a Bergamo
(1477, decorazione ad affresco della facciata del palazzo del Podestà) e poi a
Milano (affreschi per la sala degli Uomini d'arme di casa Panigarola,
ora a Brera, ca. 1480-85; decorazione della facciata
di casa Fontana), dimostra chiaramente la sua formazione di pittore prospettico
e lo studio attento del rapporto tra pittura e architettura, tra spazio reale e
spazio illusorio. Elementi, questi, fondamentali per la realizzazione della
prima opera di architettura di B.: la sistemazione della chiesa di S. Maria presso S. Satiro (o S. Satiro) a Milano (1482-86),
dove egli risolve i condizionamenti di spazio imposti dal preesistente edificio
con la geniale soluzione di un falso coro prospettico, che ristabilisce
l'equilibrio proporzionale dell'insieme, dando al ristretto spazio un'illusoria
qualità monumentale e scenografica. Di classiche ed eleganti proporzioni è la sagrestia
annessa alla chiesa, primo esempio della riflessione dell'architetto sulle
strutture centrali. Durante l'attività svolta per Lodovico il Moro, B. ebbe
modo di studiare a fondo la tradizione architettonica lombarda e di venire a
contatto con i maggiori artisti operosi in quel momento: con Leonardo fu
interessato alla sistemazione della piazza e del castello ducale di Vigevano;
ancora con Leonardo e Francesco di Giorgio fornì consulenze per il duomo di
Milano (resta una sua relazione sul tiburio) e per il duomo di Pavia (a un'idea
bramantesca è probabilmente riferibile il piano
generale dell'opera, e sicuramente di B. sono la poderosa cripta e la soluzione
absidale con le sagrestie polilobate). Importanti
lavori condusse in S. Maria delle Grazie (1492-97),
dove progettò, oltre al piccolo chiostro e alla sagrestia vecchia, la grandiosa
tribuna, inserita audacemente su un gracile edificio tardogotico
a tre navate, la cui forza monumentale è solo in parte sminuita dagli arbìtri di esecutori locali; altre attività degli anni
milanesi sono la parziale realizzazione della Canonica e dei chiostri di S.
Ambrogio (1492-99) e gli interventi al Castello Sforzesco
(compreso forse l'affresco con Argo). Ultima testimonianza, pressoché certa,
dell'attività lombarda di B. è l'arcone della chiesa
di S. Maria Nuova ad Abbiategrasso
(1497). Nel 1499, alla caduta di Lodovico il Moro, l'artista abbandona Milano,
lasciando dietro a sé un'esperienza fondamentale per i successivi sviluppi
dell'architettura lombarda. § A Roma, dove gli stimoli più vivi gli vengono
dallo studio dei monumenti e dei sistemi costruttivi degli antichi, il maggiore
impulso alla sua attività è dato da papa Giulio II. Se infatti le prime
commissioni ottenute da B. sono di limitate proporzioni (il chiostro di S. Maria della Pace, 1500-04, ancora gracile nella sua
classica purezza; l'incarico per il tempietto di S. Pietro in Montorio, 1502), Giulio II gli affiderà incarichi
grandiosi: il rinnovamento dei Palazzi Vaticani (1503), il progetto del cortile
del Belvedere (1504), interventi urbanistici con la ristrutturazione di via
della Lungara, via Giulia, via dei Banchi (1505-08) e
infine il progetto del nuovo S. Pietro (1505). Purtroppo ben poco è rimasto
integro di questa straordinaria attività: profondamente alterato il cortile del
Belvedere, celebre per l'uso codificato e rigoroso degli ordini classici
sovrapposti (sull'esempio del Colosseo) e per le
soluzioni scenografiche, culminanti nell'esedra finale con un'originale scala concavo-convessa; irriconoscibile l'originario progetto bramantesco, a complessa pianta centrale, per S. Pietro,
del quale furono realizzati, in vita B., solo i quattro poderosi pilastri con
gli arconi di imposta della cupola, sufficienti
comunque a condizionare tutti i successivi interventi. Perduti sono inoltre il
monumentale palazzo dei Tribunali (1506-08) e il palazzo Caprini in Borgo (ca.
1510), prototipi per l'architettura civile del Cinquecento. Integri rimangono
il coro di S. Maria del Popolo (1505-07) e il
tempietto di S. Pietro in Montorio (realizzato ca.
1508-10), vero paradigma dell'ideale pianta centrale, anche se rimasto privo
del previsto cortile circolare che doveva accoglierlo, e divenuto
immediatamente modello di proporzioni classiche e simbolo e manifesto della
nuova architettura, equiparata a quella degli antichi dai contemporanei di B.,
che lo considerarono il grande rinnovatore della 'buona maniera'
antica, il vertice del classicismo. E tuttavia B., con la propria curiosità
intellettuale e il cosciente sperimentalismo delle sue opere, attua
un''esplorazione dei limiti estremi cui i postulati del classicismo,
opportunamente ricondotti alla loro essenzialità, possono essere spinti' (Tafuri), aprendo in questo modo la via all'inquieta ricerca
degli architetti manieristi.