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Quanti e Incertezze
1.1 Come tutto ebbe inizio.
Verso la fine dell'Ottocento negli Stati industrializzati era in atto uno scontro tra due tecnologie entrambe adatte ad illuminare le strade: gas ed elettricità. Per confrontare le due fonti era necessaria una sorgente che producesse una "luce ideale". I fisici dell'epoca avevano scoperto una sorgente di questo tipo: una cavità vuota incandescente. Analisi teoriche avevano dimostrato che all'interno di una cavità la luce emessa, sia l'intensità sia il colore, dipende solo dalla temperatura delle sue pareti e non dalla sua composizione materiale. Questo risultato piuttosto sorprendente è anche facilmente comprensibile. Se le pareti della cavità sono incandescenti emettono luce ma possono anche assorbirla fino al raggiungimento di un equilibrio. La quantità di luce nella cavità non può aumentare in modo indefinito ma si stabilizza ad un valore che dipenderà dalla temperatura: più le pareti sono calde più luce conterranno. Dunque per sfruttare nella pratica questa luce ideale si considera una cavità molto grande in cui si fa un foro in proporzione più piccolo in modo che l'influenza che esercita è praticamente nulla (in quanto la radiazione che penetra nella cavità ha un probabilità pressoché nulla di riemergere dalla stessa prima di venire assorbita dalle sue pareti). Questo sistema fisico è ciò che più si avvicina al modello teorico definito da Kirchhoff "corpo nero", ovvero un sistema capace di assorbire e di emettere tutte le radiazione elettromagnetiche(gas ad alta pressione e alta densità). Oggi sappiamo chi vinse tra gas ed elettricità ma gli esperimenti di quegli anni ebbero conseguenze inaspettate. Dal punto di vista teorico è facilmente comprensibile che il colore della luce di una cavità dipende solo dalla temperatura ma la relazione quantitativa esatta che governava il fenomeno fu per molto tempo ignota ai fisici.
Questo provocava una forte insoddisfazione, se si considera che lo scopo della fisica è quello di spiegare nel modo più semplice possibile tutti i fenomeni naturali.
1.2 Il problema del "corpo nero"
Lo studio di una radiazione ovvero lo studio dell'intensità, delle frequenze e delle lunghezze d'onda provenienti da una sorgente appartiene alla Spettroscopia introdotta da Isaac Newton nel 1666 al fine di determinare le condizioni chimico fisiche della sorgente stessa. Il procedimento è semplice: si fa passare la radiazione proveniente da una sorgente attraverso una fenditura, in modo da ottenere un raggio che si muove in linea retta; tale raggio viene fatto poi passare attraverso un prisma che lo disperde. Le radiazioni ottenute vengono raccolte su uno schermo in un immagine(spettro). Le radiazioni in uno spettro si dispongono sempre in ordine di lunghezza d'onda, subiscono infatti una deviazione tanto maggiore quanto minore è la loro lunghezza d'onda.
Lo studio della tipologia della radiazione emessa dal corpo nero è rappresentato dal diagramma cartesiano che ha sull'asse delle ascisse la lunghezza d'onda e su quello delle ordinate la densità di energia della radiazione contenuta nella cavità. Le curve sperimentali presentano un picco in corrispondenza di una determinata lunghezza d'onda(λmax) il cui valore decresce con l'aumentare della temperatura della cavità (fig.). L'intensità totale(energia contenuta nell'unità di volume della cavità su tutto lo spettro) della radiazione invece aumenta proporzionalmente alla temperatura, ed è espressa dall'area racchiusa da ciascuna curva.
.
Queste caratteristiche furono espresse in termini quantitativi dalle due leggi empiriche formulate tra il 1870 e il 1880.
Legge di Stefan-Boltzmann: L'energia totale E, relativa cioè a tutto lo spettro della radiazione, emessa nell'unità di tempo dall'unità di superficie di un corpo nero alla temperatura T è data dalla relazione seguente:
con
Legge di spostamento Wien: fra la temperatura T di emissione di un corpo nero e la lunghezza d'onda λmax in corrispondenza della quale esso emette la massima densità di energia, sussiste la relazione:
Spostamento perché i massimi delle densità di energia si spostano verso sinistra
all'aumentare della temperatura di emissione.
Non si riusciva, come ricordavamo prima, a dare un'interpretazione quantitativa alla funzione della densità di energia. Vari tentativi furono fatti per via sperimentale da fisici come Heinrich Rubens e Ferdinand Karlbaum. Quando però si riuscì a determinare la forma esatta dello spettro, ci si trovò di fronte a un mistero che nessuno, con i mezzi della fisica di allora, poteva risolvere. Nel tentativo di dedurre una qualche funzione adatta all'interpretazione delle curve i fisici J.W.Rayleigh e J.Jeans proposero un modello microscopico secondo qui le cariche si dovevano pensare come un insieme di cariche oscillanti, giunsero così a esprimere la densità di energia emessa da un corpo nero a una data temperatura T mediante la seguente relazione (Legge di Rayleigh-Jeans):
u(f,T)= 8πf ²/c ³ . E
dove E per il principio di equipartizione dell'energia è uguale a (½kT)2= kT
quindi u(f,T)= 8πf ²/c ³. kT.
E' chiara l'incompatibilità con i dati sperimentali che ci dicono che al diminuire della lunghezza d'onda la densità di energia u(f,T) aumenta ma, poi, va rapidamente a zero, la formula dei due fisici invece ci dice che al diminuire della lunghezza d'onda (all'aumetnare della frequenza) il valore di u(f,T) aumenti sempre ( un corpo nero ideale in equilibrio termico emetterebbe radiazione con potenza infinita, Catastrofe ultravioletta). Lo stesso Rayleigh concludeva così dicendo: "mi sembra che si debba ammettere il fallimento della legge di equipartizione in questi casi estremi. Se è così, è ovviamente molto importante capirene la ragione".
1.3 Max Planck: l'ipotesi del Quanto d'azione
La soluzione si ebbe nel 1900 grazie a Max Planck, allora professore dell'università di Berlino. Già nel 1894 circa il problema di come spiegare la radiazione da corpo nero scriveva: "Questo problema rappresenta qualcosa di assoluto, e poiché la ricerca dell'assoluto mi è sempre sembrata la ricerca più affascinante, ho cominciato a lavorarci con entusiasmo".
Planck trovò una formula che si accordava con i dati sperimentali nell'ottobre del 1900 e provò a darle un senso fisico preciso . Il frutto delle sue riflessioni fu presentato li 14 Dicembre del 1900 alla Physikalische Gesellschaft (società dei fisici) di Berlino, in una seduta passata alla storia. Questa è considerata, generalmente, la data di nascita della fisica quantistica. Planck studiando la radiazione da corpo nero aveva lavorato all'interno di quella che era la teoria allora dominante, secondo la quale la luce è composta da onde, scontrandosi con le difficoltà riscontrate dai fisici precedenti. Il successo arrivò solo quando come lui stesso disse si constrinse a un "atto disperato": ipotizzò che l'energia dell'oscillatore non poteva assumere valori continui, cioè che possono differire l'uno dall'altro attraverso quantità infinitesime, ma che poteva assumere solo un insieme finito e numerabile di valori, multipli di una quantità minima e fondamentale di energia. Quindi la luce non era emessa dalle pareti della cavità come un'onda, ma sottoforma di piccoli pacchetti indivisibili i cosidetti Quanti. In termini quantitativi:
E = nhv n= 0,1,2,3.
Dove h è una costante universale, il Quanto d'azione, la costante di Planck.
h=6,62606896 x J/s
Gli stati energetici dell'oscillatore assumono quantità ben definite, quantizzate. Planck riuscì dunque partendo da questa ipotesi a descrivere matematicamente la funzione della densità di energia nello spettro della radiazione da corpo nero:
Se h potesse essere assunto piccolo a piacere la formula precedente si ridurebbe alla formula classica in accordo quindi soltanto a frequenze molto basse.
La proposta rivoluzionaria di Planck fu inizialmente ignorata dai suoi contemporanei, egli stesso cercò per molto tempo di fornire una spiegazione della radiazione da corpo nero che potesse fare a meno del quanto d'azione.
Il primo che prese sul serio i quanti fin da subito fu Albert Einstein per spiegare l'effetto fotoelettrico, un fenomeno fisico da molto tempo noto.
Una placca metallica investita da una radiazione elettromagnetica si carica positivamente, dopo la scoperta dell'elettrone si provò che l'effetto era dovuto all'emissione di elettroni dalla lamina. Tali elettroni sono trattenuti all'interno del metallo da una certa energia e per espellerli occorre investire la lamina con una radiazione avente un'energia(E=hf) almeno uguale all'energia che li trattiene. La frequenza di questa radiazione viene detta frequenza critica V0 caratteristica di ogni metallo.
Con radiazioni aventi frequenza minore non si ha emissione di elettroni qualunque sia l'intensità della radiazione. Con radiazioni aventi frequenza maggiore gli elettroni emessi mostrano un'energia cintetica tanto più grande quanto più è elevata la frequenza (E= hf-W , con W= lavoro d'estrazione).
Per la fisica classica l'esistenza di una frequenza soglia è inspiegabile. Infatti, secondo le leggi dell'elettromagnetismo, una radiazione luminosa trasporta un'energia direttamente proporzionale alla sua intensità (il quadrato della sua ampiezza A), e la frequenza della radiazione non si considera direttamente associata alla sua energia. Ma Einstein aveva notato come a parità di frequenza aumentando anche notevolmente l'intensità della radiazione la velocità di emissione degli elettroni si manteneva costante. Queste osservazioni lo indussero ad applicare, per risolvere il problema, l'idea di Planck: i pacchetti di energia da egli ipotizzati si identificavano con le particelle
di luce a cui venne successivamente dato il nome di Fotoni.
Infatti solo particelle cariche di energia sarebbero in grado di spostare altre particelle ma anche di impartire loro un'accellerazione tanto maggiore quanto maggiore è la frequenza della luce impiegata.
(il fotone colpisce la lamina)
Un altro problema che ebbe come soluzione immediata l'ipotesi di Planck fu quello della struttura atomica. Rutherford nel 1911 aveva elaborato un modello atomico nel quale il nucleo era costituito da particelle con carica elettrica nulla(neutroni) o positiva (protoni), e intorno ad esso ruotavono su orbite determinate gli elettroni (negativi). Questo modello presentava un problema di fondo, in base alle leggi dell'elettromagnetismo classico l'elettrone avrebbe dovuto di continuo perdere energia, perché sottoposto ad accellerazione, e avvicinarsi al nucleo. L'inconveniente fu risolto dal fisico danese Niels Bohr che utilizzò l'ipotesi di Planck. Gli elettroni non possono muoversi intorno al nucleo lungo tutte le orbite possibili, ma solo su alcune di esse, le cosiddette orbite stazionarie. L'elettrone emette radiazione elettromagnetica solo quando passa da un'orbita ad un'altra. L'energia varia non con continuità ma a salti, per "quanti".
1.4 Le difficoltà ad accettare l'ipotesi quantistica
L'idea di Planck riuscì a spiegare molto bene due fenomeni che prima sfuggivano alla comprensione. Sia la radiazione del corpo nero sia l'effetto fotoelettrico venivano risolti in modo semplice e molto elegante, e allora perché l'ipotesi quantistica non fu accolta subito con grande entusiasmo da tutti i fisici? Il problema non riguardava l'apparato matematico (che venne compiutametne descritto solo ventanni dopo nel 1925 dal giovane Heisenbrg con la meccanica matriciale e da Schrödinger con la meccanica ondulatoria, due teorie matematicamente differenti ma che esprimevano gli stessi concetti dal punto di vista fisico) che dava descrizioni del tutto esatte. Il problema riguardava l'immagine del mondo e la sua comprensione. La domanda era: a livello più profondo, qual è il significato di questa nuova idea? Da un lato c'era la fisica classica secondo la quale tutti i processi si svolgono in modo continuo e in cui il principio di causalità ha una validità illimitata. Per ogni effetto deve esistere una causa. Il pensiero causale, il fatto di pensare in termini di causa ed effetto, è profondamente radicato anche nella nostra immagine del mondo. All'improvviso la natura si scoprì non continua perché il quanto d'azione non è divisibile: è una costante universale della natura. Inoltre esso rappresenta un ostacolo insormontabile per la nostra concezione causale della realtà.
1.5 Esperimento con doppia fenditura
Nel 1802 il medico inglese Thomas Young si presentò al pubblico con un esperimento sensazionale e molto semplice.
La luce viene fatta entrare in una piastra con due fenditure. Si osserva quindi, su un apposito schermo che raccoglie le immagini posizionato ad una certa distanza, il comportamento della luce dietro le due fenditure. La cosa straordinaria e rivoluzionaria per quei tempi fu che Young osservò sullo schermo bande chiare e scure che si alternavano. Se però copriva una delle due fenditure in modo che la luce passasse solo dall'altra, le bande scomparivano. Per poter spiegare la comparsa delle bande venne in aiuto il fatto che un comportamento simile era ben noto da secoli nel caso delle onde, ad esempio lo stesso esperimento può essere facilmente riprodotto con onde d'acqua. Un piccolo oggetto indicato come "sorgente d'onde" viene fatto muovere su e giù e produce onde circolari che vengono diffratte attraverso i due fori così che dall'altra parte della piastra otteniamo due onde semicircolari(fig.1). Se chiudiamo un foro alla volta e misuriamo la distribuzione d'intensità sul rilevatore posto dietro la doppia fenditura otteniamo le curve d'intensità I1 e I2 (fig.1)
L'intensità I osservata quando entrambi i fori sono aperti non è chiaramente la somma di queste due.
Assistiamo dunque ad un'interferenza: indicando con la differenza di cammino delle due onde parziali diffratte dalle due fenditure allo schermo di rilevazione, se =(m+½)λ, con m=0,1,2,.. si ha interferenza distruttiva, le onde si annullano mentre se =mλ, con m=0,1,2,.. si ha interferenza costruttiva, le onde si rafforzano.
Sapendo che l'intensità di un onda è il modulo quadrato della sua ampiezza le relazioni per due onde che interferiscono sono:
I A A A A A A A A I I Iint (termine d'interferenza)
Fig.1
E' naturale allora spiegare i risultati ottenuti da Young ipotizzando che la luce si comporti come un'onda. Quello di Young divenne così uno degli esperimenti più importanti della storia della fisica. Considerato come la prova diretta che la luce è composta da onde e sbaragliando la concezione Newtoniana della luce particellare.
Ma con la scoperta di Planck, il problema si ripresentò in modo inaspettato.
Come detto prima Einstein e Planck sostenevano che la luce era composta da quanti indivisibili, che oggi chiamiamo particelle di luce o fotoni. Per l'esperimento della doppia fenditura si trattava di conciliare l'idea che la luce fosse composta da singole particelle con la spiegazione convincente delle bande come figure d'interferenza delle onde passate attraverso le due fenditure.
Partendo da una semplice proposizione A che a noi sembra ragionevole possiamo dire che :
ciascun fotone attraversa o il foro 1 oppure il foro 2, quindi sembra sempre ragionevole pensare che la luce si comporti come nel caso di proiettili sparati contro un muro con due fenditure. La probablità di trovare un proiettile in un punto dietro al muro quando i due fori sono aperti è la somma delle probabilità di trovarlo nello stesso punto quando a turno è aperto soltanto uno dei due fori.
Fig. 2 (risultato che potremmo immaginare, sbagliando!)
Invece abbiamo visto come ci sia interferenza e la curva corrisponda alla Fig.1. Sullo schermo posto posteriormente vediamo bande chiare e scure analoghe all'interferenza tra due onde generiche. Se chiudiamo una delle due fenditure le bande d'interferenza scompaiono e sullo schermo vediamo una luminosità leggera ed uniforme. Perfettamente comprensibile con il modello ondulatorio ma per quello particellare? Come interpretiamo il fenomeno? Evidentemente i punti scuri sono quelli in cui non arrivano particelle, mentre in quelli chiari ne arrivano molte. I fotoni arrivano in pacchetti come delle particelle e la loro probabilità d'arrivo varia con la distribuzione d'arrivo propria di un onda. Quello che accade sulla placca di fondo può essere descritto da due numeri complessi Ψ il modulo quadrato di ci da l'effetto con il solo foro 1 aperto. P |² allo stesso modo l'effetto con il solo foro 2 aperto è dato da P
L'effetto combinato dei due fori è perciò P La matematica è la stessa delle onde! In questo senso si comportano "talvolta come particelle talvolta come un'onda". Ma se questo non ha senso in fisica classica dove i due concetti sono separati nettamente ne ha invece in fisica quantistica.
Quando ci chiediamo che strada percorre una singola particella prima di arrivare sullo schermo solleviamo problemi profondi che in ultima analisi invocheranno un cambiamento radicale della nostra visione del mondo.
Abbiamo supposto ragionevole il fatto che il fotone passi attraverso una delle due fenditure ciò che è interessante e sorprendente è che il fatto che l'altra fenditura sia aperta o chiusa fa una grande differenza. Se è aperta solo una la particella può arrivare ovunque sullo schermo mentre se è aperta anche la seconda ci sono punti in cui non può assolutamente arrivare (bande scure). Come fa una particella che ad esempio passa dalla fenditura superiore a sapere se quella inferiore è aperta o no? Possiamo dare un'interpretazione ragionevole immaginando con una luce molto intensa uno scambio di informazioni tra i moltissimi fotoni che attraversano la fenditura ma questo non è corretto. Nel 1915 Sir Geoffry Taylor eseguì l'esperimento con fasci di luce così fiochi che un fotone non aveva alcuna possibilità di incontrarne un altro. La figura d'interferenza dopo molto tempo si verificava lo stesso, è come se ogni singolo fotone sappia che ci sono punti sullo schermo dove non può andare se entrambe le fenditure sono aperte. Potremmo concludere che la preposizione A è falsa, non è vero che i fotoni passano attraversano una o l'altra fenditura, ma come è possibile?
Proviamo a conoscere le traiettorie facendo passare un fascio di elettroni dietro le due fenditure trasversalmente al fascio di luce. I fotoni urtano con gli elettroni del fascio e gli deviano, dall'osservazione di questi si può risalire alla traiettoria del fotone corrispondente. La figura d'interferenza però scompare proprio perchè i fotoni sono disturbati dagli elettroni. Conservare le due informazioni come vedremo in seguito è sempre risultato impossibile. Se riusciamo a dire attraverso quale fenditura sono passati i fotoni la probabilità di arrivo sullo schermo è quella di fig.2 senza tracce d'interferenza mentre se non mandiamo il fascio di elettroni la curva è quella di fig.1. Dobbiamo concludere che la distribuzione dei fotoni sullo schermo è differente quando gli osserviamo da quando non li osserviamo.
Ma dunque la proposizione A è vera o no? E' vero o non è vero che il fotone passa o attraverso il foro 1 o attraverso il foro 2?
Per evitare di fare predizioni errate dobbiamo dire che se guardiamo i fori (con il fascio di elettroni) allora si può dire attraverso quale fenditura passa un fotone. Ma, quando non si prova a determinare da che parte passa il fotone non si può dire se esso passa attraverso il foro 1 o attraverso il foro 2. Rende bene l'idea il filosofo Ludwig Wittgenstein con il celebre aforisma :
"Su ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere".
Il fotone è in uno stato di sovrapposizione di diverse possibilità (qualche fisico dice "nell'esperimento della doppia fenditura la particella attraversa allo stesso tempo le due fenditure"). Ritornero su questo concetto fondamentale quando analizzeremo le varie interpretazioni della fisica quantistica.
1.6 Principi base della meccanica Quantistica
Riepiloghiamo quanto detto riportando le conclusioni principali dell'esperimento. Ricordiamo che per "esperimento ideale" si intende quello in cui non c'è alcuna influenza esterna imprecisata e nel quale tutte le condizioni iniziali e finali sono specificate.
La probabilità di un evento (proprio un insieme di condizioni iniziali e finali) in un esperimento ideale è data dal quadrato del modulo di un numero complesso Ψ che vien detto ampiezza di probabilità.
P = Probabilità Ψ = Ampiezza di Probabilità P = | Ψ |²
Quando un evento può avvenire secondo varie alternative, l'ampiezza di probabilità per l'evento è la somma delle ampiezze di probabilità per le varie alternative considerate separatamente. Si ha perciò interferenza. (Su questo fatto si fonda l'idea di rappresentare l'ampiezza ovvero la densità di probabilità come un'onda).
P = | Ψ
Se si effettua un'esperienza capace di determinare se una o l'altra delle possibili alternative è effettivamente realizzata, la probabilità per l'evento è la somma delle probabilità per ciascuna delle alternative. Non si ha più interferenza.
P = P + P
Qualcuno potrebbe domandare:
"Ma cosa determina il punto d'arrivo sullo schermo di osservazione? Cosa fa si che un certo fotone arrivi in una banda e non in un'altra? Qual è il meccanismo che sta dietro a questa legge?"
1.7 "Dio gioca a dadi"
La fisica quantistica non consente una spiegazione di questo tipo. Possiamo dire di aver compreso il fenomeno perché capire in fisica significa riuscire a prevedere. La fisica quantistica riesce a prevedere infatti in modo molto preciso come avverrà la diffrazione della luce attraverso le due fenditure. Data la durata dell'esperimento, si riesce a calcolare quante particelle arriverrano in un dato punto.
Non possiamo, nemmeno con il dispositivo sperimentale migliore possibile, prevedere esattamente dove arriverà una determinata particella, possiamo calcolare solo la probabilità di trovarla in un certo punto dello schermo.
La fisica non dice altro: l'effettivo comportamento di una singola particella, la sua traiettoria, è lasciata al caso
Ma è un caso soggettivo dovuto solo alla nostra inconsapevolezza momentanea che ha in realtà un motivo ben preciso o è qualcosa di assolutamente nuovo dal punto di vista qualitativo? Se così fosse significherebbe che in meccanica quantistica il singolo avvenimento non è descrivibile nemmeno in linea di principio. In questo caso nemmeno la particella saprebbe perché arriva in un determinato punto dello schermo.
Se prima di partire un fotone avesse già deciso, per qualche suo meccanismo interno, quale foro userà e dove andrà a finire dovremmo trovare la curva di figura 2 (la somma dei fotoni attraverso i due fori) che abbiamo visto come sia errato sperimentalmente.
Un altro aspetto è l'informazione e l'importanza che riveste nella nuova fisica. Il quanto di luce che attraversa la doppia fenditura può portare pochissime informazioni, con queste possiamo sapere o da quale fenditura passa la particella o se è presente una figura d'interferenza, e la scelta delle alternative dipende dal modo con cui impostiamo l'esperimento. In entrambi i casi la singola particella non può fornire anche ulteriori informazioni sul punto dello schermo in cui arriverà. Questo avvenimento deve avvenire in modo casuale. Questa informazione non può nemmeno essere nascosta perché sarebbe in contrasto con l'ipotesi secondo cui al fotone basti il minor numero di informazioni. Il caso si presenta non perché siamo troppo stupidi per scoprire la causa del singolo avvenimento ma semplicemente perché l'avvenimento non ha alcuna causa. Proprio come diceva Heisenberg non dipende dalla nostra inconsapevolezza ma dal fatto che la natura stessa in questi casi non è determinata in alcun modo.
Sembra che Einstein per tutta la vita non sia riuscito a digerire il nuovo ruolo rivestito dal caso nella fisica quantistica e evidenziò il suo disappunto con la celebre frase: "Dio non gioca a dadi!" a cui Bohr rispose prontamente: "Piantala di dire a Dio cosa fare con i suoi dadi!".
1.8 L'ipotesi geniale di De Broglie
Fino a questo momento abbiamo parlato di interferenze solo con la luce. Ma nel 1924, a Parigi, Louis de Broglie, discendente di un'antica famiglia francese, scrisse una dissertazione in cui avanzava l'ipotesi che non solo la luce, ma anche tutte le particelle dotate di massa, massive, avessero carattere ondulatorio. Questa dissertazione era un salto coraggioso in una terra ancora inesplorata dalla scienza.
Senza dilungarci troppo diciamo che per la relatività ristretta per una particella con massa a riposo mo = 0 (come i fotoni) vale la relazione E = qc.
Utilizzando l'ipotesi di Planck q=E/c =hf/c = h/λ (compaiono simultaneamente grandezze che la meccanica classica manteneva ben separate: la quantità di moto q, tipica grandezza corpuscolare, e la lunghezza d'onda λ, tipica grandezza ondulatoria, legate tra loro dalla costante di Planck.
De Broglie invertì il significato della precedente relazione: λ= h/q (lunghezza d'onda di una particella di quantità di moto q).
Molto presto furono eseguiti realmente degli esperimenti d'interferenza con elettroni poi con neutroni e tante altre particelle. Tutti questi esperimenti diedero il risultato previsto.
Così se, nell'esperimento della doppia fenditura precedentemente descritto così come in quello dell'interferometro di Mach-Zender del paragrafo 1.10, introduciamo delle particelle (es. elettroni) nel sistema, traiamo le stesse conclusioni che con la luce (fotoni).
1.9 Il Principio d'Indeterminazione di Heisenberg
La formulazione del principio Heisenberg è la seguente: se eseguendo la misura per un oggetto qualsiasi si riesce a determinare la componente x del suo impulso(massa per velocità) con un incertezza Δp, non si può contemporaneamente conoscere la sua coordinata x di posizione, con una precisione maggiore di Δx=h/Δp. Le rispettive incertezze sono legate quindi dalla relazione:
ΔxΔp h Questo vale per tutte e tre le direzioni dello spazio (x, y, z).
Oppure un'altra formulazione per quanto riguarda l'Energia e l'intervallo di tempo in cui viene determinata è la seguente: ΔEΔt h. Quindi vi è sempre una certa indeterminazione tra questi tipi di grandezze in cui una descrive un sistema in termini di spazio e tempo mentre la seconda precisa il suo stato dinamico (Energia e impulso).
La formulazione più generale affermava che non si possono costruire apparecchi in grado di stabilire quale di due alternative è realizzata, senza, allo stesso tempo distruggere le frange di interferenza.
Per osservare un oggetto (una particella) in movimento bisogna investirlo di un fascio di luce (al minimo un fotone) che interagisce con quanto osservato. Per poter definire lo stato di un elettrone ad esempio in un dato istante, dobbiamo determinare simultaneamente la posizione e l'impulso facendo arrivare sulla stessa una radiazione di lunghezza d'onda almeno paragonabile alle dimensioni atomiche. La radiazione incidente, interagendo con la particella, fa variare in modo imprevedibile la velocità e quindi l'impulso p, così che la relativa indeterminazione Δp è tanto più forte quanto più è esatta la misura della posizione.
"Conoscere" significa "misurare" e "misurare" significa "perturbare". L'idea che il Principio d'indeterminazione di Heisenberg porta con se è la seguente: osservare un fenomeno produce un'influenza sul fenomeno stesso. Nella fisica classica si era sempre saputo che sperimentare su di un fenomeno lo perturba, ma qui il punto è che questo effetto non può essere trascurato o minimizzato. Non possiamo fare a meno di introdurre un minimo di perturbazione, e questa influenza è necessaria per la coerenza del nostro punto di vista. Quando venne scoperta la meccanica quantistica, quelli che ragionavano secondo schemi classici cioè tutti tranne Heisenberg, Schrödinger e Born, dissero: "Guardate, la vostra teoria non è buona a niente perché non sapete rispondere a certe domande come:attraverso quale foro passa una particella? qual è la sua posizione?e altre". La risposta di Heisenberg fu: "io non sono obbligato a rispondere a queste domande perché voi non potete formularle sperimentalmente".
Ma non esiste un modo ingegnoso di ingannare la natura, ottenere quindi entrambe le informazioni?
Immaginiamoci l'esperimento della doppia fenditura con elettroni (guardiamo la figura 2 paragrafo 1.5), in cui lo schermo con i fori però è costituito da una lamina montata su cuscinetti in modo da potersi muovere liberamente in su e in giù ( in direzione dell'asse x, nel nostro caso verticale). Osservando il movimento della lamina possiamo provare a determinare attraverso quale foro passa un elettrone. Immaginiamoci di porre un rilevatore in x=0, ovvero in posizione mediana sullo schermo rispetto ai due fori. Ci dobbiamo aspettare che un elettrone che passa per il foro 1(superiore) debba essere deflesso verso il basso della lamina per poter arrivare al rilevatore. Poiché la componente verticale dell'impulso dell'elettrone è variata, la lamina deve muoversi in direzione opposta con lo stesso impulso. La lamina riceverà quindi una spinta verso l'alto. Se invece l'elettrone passa attraverso il foro inferiore, la lamina dovrebbe subire una spinta verso il basso. Per ogni posizione del rilevatore l'impulso ricevuto dalla lamina sarà differente a seconda che l'elettrone attraversi il foro 1 o 2. Dunque senza per nulla perturbare gli elettroni, ma solo osservando la lamina, possiamo determinarne i percorsi.
Abbiamo scardinato la fisica quantistica? Oppure ci siamo dimenticati qualcosa?
Non abbiamo preso in considerazione le proprietà quantistiche della lamina! Infatti, occorre conoscere l'impulso dello schermo prima che l'elettrone lo attraversi per poter stabilire di quanto è variato dopo il passaggio dell'elettrone. Ma proprio in base al principio di indeterminazione, non possiamo allo stesso tempo conoscere con una precisione arbitraria la posizione della lamina. Ma se non sappiamo esattamente dove sia la lamina non sappiamo dire neppure dove siano i due fori. Essi saranno in posizioni diverse per ogni elettrone che li attraversi. Il centro delle frange d'interferenza avrà una posizione diversa per i vari elettroni. Se determiniamo l'impulso della lamina con precisione sufficiente a determinare, mediante l'osservazione del rimbalzo, quale foro è stato attraversato, allora l'incertezza sulla cordinata x della lamina sarà sufficiente a fare oscillare su e giù le frange d'interferenza. Un tale movimento, che avviene a caso, è giusto sufficiente a far si che non si osservi più una figura di interferenza.
Heisenberg riconobbe che, se fosse possibile misurare impulso e posizione simultaneamente con una maggiore accuratezza, tutta la teoria quantistica crollerebbe.
La meccanica quantistica continua dunque la sua pericolosa ma tuttora giustificata esistenza.
1.10 Onde di probabilità.
Precedentemente abbiamo notato come una particella che attraversi una fenditura sembri "sappia" se l'altra è aperta o no e quindi che ci siano punti sullo schermo che può raggiungere oppure no(nel caso ci sia interferenza). Vediamo come può essere risolto il problema mostrando un altro esempio
di esperimento che contiene gli stessi elementi concettuali e con essi, i problemi di quello con la doppia fenditura.
L'interferometro di Mach-Zender. Uno strumento in grado di misurare con notevole precisione le interferenze e quindi le sovrapposizioni di onde. Messo a punto nel 1896 da Ludwig Mach figlio del celebre Ernst e da Ludwigh Zendher. Ha una struttura molto semplice che ora descriviamo.
E' costituito sostanzialmente da quattro specchi, due di tipo consueto ovvero che riflettono completamente la luce mentre gli altri due semiriflettenti ovvero fatti in modo da riflettere esattamente la metà dell'intensità di luce che vi arriva e lasciar passare l'altra metà. (Immaginiamoci gli specchi disposti come nella figura in basso).
Ora un raggio di luce proveniente da sinistra viene parzialmente riflesso dal primo specchio semiriflettente e in parte viene attraversato, metà della luce quindi prende la traiettoria superiore e l'altra metà quella inferiore. Ciascuno di questi due raggi arriva poi ad un altro specchio che lo riflette completamente. I due raggi si incontrano così nuovamente nel secondo specchio semiriflettente. Se non consideriamo l'interferenza ognuno dei due raggi viene diviso nuovamente in due fasci metà riflesso e metà no, quindi metà del raggio andrà verso l'alto rispetto all'ultimo specchio e l'altra metà verso la nostra destra.
Vediamo ora come si formano i raggi che escono dall'ultimo specchio considerando i due raggi parziali che si generano con il primo specchio semiriflettente.
Il raggio che esce a destra è composto da due raggi parziali che si sovrappongono : l'onda parziale che nell'interferometro segue la traiettoria inferiore attraversa il primo specchio semiriflettente e viene poi riflessa dal secondo (è trascurabile lo specchio completamente riflettente), mentre l'onda parziale che segue la traiettoria superiore viene riflessa dal primo specchio e attraversa il secondo semiriflettente. Lungo ognuna delle due traiettorie il raggio è una volta riflesso e una volta attraversa lo specchio. Le due onde si rafforzano con interferenza costruttiva, in modo che tutta la luce messa nel sistema uscirà a destra. Al contrario le onde parziali che contribuiscono al raggio che esce verso l'alto si comportano in modo del tutto differente, quello che segue la traiettoria inferiore attraversa due volte gli specchi semiriflettenti mentre quello che segue quella inferiore viene deviato per due volte. Le due onde si annullano reciprocamente, si ha interferenza distruttiva. E' ragionevole pensare questo anche se consideriamo quanto detto precedentemente: tutta la luce proveniente dalla lampadina si dirige a destra (altra non può essere creata per magia).
(La luce in realtà passa tutta a destra)
Osserviamo il fenomeno dal punto di vista quantistico.
Si potrebbe sostenere che questa è una conseguenza del fatto che usiamo moltissime particelle, fotoni (fasci di luce), queste quando si incontrano in qualche modo si scambiano informazioni sulle traiettorie, decidendo insieme di prendere solo l'uscita verso destra.
Ragionamento facilmente confutabile, la teoria quantistica prevede che anche se l'esperimento viene eseguito con un fotone alla volta introdotto nel sistema , questo esce solo a destra. Si può constatare installando dei rivelatori dietro l'uscite che scattano con un "clic" all'arrivo di un fotone.(quello in alto non scatterà mai!). Nel caso di raggi di luce ad alta intensità abbiamo concluso che si trattava semplicemente dell'interferenza delle due onde elettromagnetiche parziali. Ma nel caso dei fotoni come dobbiamo interpretare il singolo fenomeno?
Anche qui si presenta la stessa questione della doppia fenditura, sembra ragionevole, considerando i fotoni particelle, che essi prendano una sola delle due traiettorie. In più il rivelatore posto in alto non rivela fotoni soltanto quando le due traiettorie sono aperte. Se ad esempio mettiamo un foglio di carta in uno dei due raggi ad esempio in quello superiore (nella figura la piastrina rossa) osserviamo che entambi i raggi in uscita portano luce e ognuno con un quarto dei fotoni inizialmente immessi nel sistema. Il foglio ha bloccato metà della luce, solo l'altra metà arriva all'ultimo specchio che ne riflette a sua volta (o ne lascia passare) un'altra metà.
Possiamo trarne una conclusione importantissima anche qui come nella doppia fenditura ciascun fotone "sa" se sono aperte entrambe le traiettorie o no. Come descriviamo il fenomeno?
Con che tipo di onde abbiamo a che fare?
Dobbiamo parlare di onde di probabilità. Onda di de Broglie nel caso di particelle dotate di massa. Rifacendoci a Schrodinger*(vedi approfondimento cap.5 par.5.2), si indica l'onda come già accenato con la lettera Ψ e si parla di funzione d'onda.
Dopo il primo specchio semiriflettente abbiamo la stessa probabilità, ½, di trovare il fotone nella traiettoria superiore o inferiore. La funzione d'onda deve quindi essere scomposta da due parti
Ψ = Ψsuperiore inferiore (questo è ciò che si intende con il termine sovrapposizione)
Se installiamo un rilevatore nella traiettoria inferiore ed uno in quella superiore ciascuono ha probabilità ½ di scattare. Ma questo non significa che prima di essere rilevato un fotone abbia percorso una certa traiettoria. Se infatti supponessimo che abbia percorso quella stessa traiettoria fino al rilevatore ci troveremmo in conflitto con li fatto che fino a queto momento la funzione d'onda è una sovrapposizione delle due onde parziali.
L'onda di probabilità ha esclusivamente lo scopo di dirci quanto è probabile trovare la particella in una certa posizione. Nel momento in cui la rileviamiamo, per esempio nella traiettoria superiore, la probabilità di trovarla in quella inferiore scende a zero. "collassa".
Vediamo così che l'immagine ingenua e realistica di un'onda che si diffonde concretamente nello spazio (nell'interferometro) provoca forti difficoltà concettuali. L'unica possibilità di evitare questo problema consiste, allora, nel non vedere l'onda di probabilità come un'onda vera e propria ma come un semplice strumento utile a calcolare la probabilità che un fotone sia rilevato in un determinato punto. Ψ non si trova nel mondo ma solo nella nostra mente. Questa interpretazione fu introdotta da Max Born nel 1926. Le onde di probabilità, le funzioni d'onda possono interferire reciprocamente proprio come le onde reali, ma sono comunque costruzioni solo concettuali, interferenze del tutto astratte. L'interferenza delle funzioni d'onda dietro al secondo specchio semiriflettente fa' si che la probabilità di trovare il fotone nel raggio in uscita a destra sia 1 (100 per cento). Lo stesso "collasso" della funzione d'onda è semplicemente una necessità concettuale.
Quindi non abbiamo alcuna possibilità ragionevole di costruirci un'immagine concreta di ciò che succede davvero tra i vari avvenimenti Anzi ci procureremmo problemi concettuali come il "collasso istantaneo" o il fatto che una particella "sa" che l'altra traiettoria è bloccata.
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