Johann Gottlieb Fichte
& Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Fichte aveva elaborato il concetto della
"infinità dell'io" affermando che se
l'"io" è l'unico principio della
conoscenza, e se alla sua attività è dovuto non solo il pensiero della realtà
oggettiva ma questa stessa realtà nel suo contenuto materiale, è evidente che
l'io non è solo finito, ma anche infinito. Quindi Fichte può definirsi il
filosofo della infinità dell'Io, della sua assoluta attività e spontaneità e
quindi della sua assoluta libertà. Queste sue definizioni dell'io portano ad
una deduzione "assoluta e metafisica",
poiché fa derivare dall'io il soggetto e l'oggetto da conoscere.
Nella "dottrina della scienza" afferma che l'io pone se stesso chiarendo
che l'io è una attività "auto-creatrice"
ed "infinita". Il secondo principio
stabilisce che "l'Io pone il non io",
cioè che l'io non solo pone se stesso, ma oppone anche a sé stesso qualcosa
che, essendo opposta, è un non-io (oggetto, mondo, natura). Tale non io,
essendo posto dall'Io è nell'Io. "Questo
fatto deve accadere, affinché una coscienza reale sia possibile". Infatti,
l'Io senza il non io, cioè un soggetto senza oggetto, un'attività senza
ostacolo, un positivo senza un negativo, non avrebbe senso. Il terzo principio
mostra come l'Io, avendo posto il non io, si trova limitato da esso, così come
il non io è limitato dall'Io. Con questo terzo principio si giunge alla visione
concreta del mondo, nel quale troviamo una molteplicità di Io finiti che hanno
di fronte a sé una molteplicità di oggetti a loro volta finiti.
Poiché Fichte usa l'aggettivo "divisibile" per definire il molteplice e
finito, egli definisce il terzo principio con la seguente formula: "l'Io oppone nell'Io, all'Io divisibile, un
non io divisibile". Su questi tre principi Fichte fissa la sua intera
dottrina, perché essi stabiliscono: 1) l'esistenza di un dio finito, cioè di un
soggetto empirico, cioè nell'uomo come intelligenza o ragione; 2) la realtà di
un non io, cioè dell'oggetto (mondo, natura). Tali deduzioni danno origine ad
una nuova metafisica dello spirito e del soggetto. In conclusione: " l'Io è la realtà originaria e assoluta che
può spiegare sia se stesso, sia le cose, sia il rapporto tra se stessa e le
cose".
Un critico severo delle posizioni
romantiche fu Hegel che contestava gli atteggiamenti individualistici di alcuni
romantici, affermando che l'intellettuale non deve ripiegarsi sul proprio io,
ma deve tenere d'occhio "il corso del
mondo". Tuttavia Hegel pur non facendo parte della "scuola romantica" in senso stretto, risulta profondamente legato al
clima culturale dei romantici dei quali condivide numerosi motivi e soprattutto
al tema dell'"infinito", anche se
ritiene che ad esso si acceda con la speculazione (filosofia) e non attraverso
vie "immediate". A proposito
dell'infinito Hegel sostiene che la realtà non è un insieme di sostanze
autonome, ma un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è una parte.
Tale organismo, poiché non ha nulla al fuori di sé, e rappresenta la ragione di
essere di ogni realtà, coincide con l'"assoluto"
e con l'"infinito", mentre le varie
entità del mondo, essendo manifestazioni di esso, coincidono con il "finito".
Di conseguenza il finito, essendo tale,
non esiste, perché ciò che noi chiamiamo finito non è altro che un'espressione
parziale dell'infinito. Infatti come una parte non può esistere se non in
connessione con il tutto, in rapporto al quale soltanto ha vita e senso, così
il finito esiste unicamente nell'infinito e in virtù di esso. In sintesi il
finito, in quanto è reale non è tale, ma è lo stesso infinito. Hegel identifica
l'assoluto con un "soggetto spirituale in
divenire" di cui tutto ciò che esiste è un "momento" o una "tappa di
realizzazione".