La
crisi della fisica newtoniana: il principio d'indeterminazione di Heisenberg
Ma anche un campo come la fisica, lettura attraverso gli
strumenti della matematica del grande libro della Natura, come l'aveva
considerata Galileo, ebbe un profondo mutamento che fece quasi gridare alla
rivoluzione. La fisica newtoniana, già messa a durissima prova dagli studi che
solo pochi anni prima aveva compiuto Einstein (la teoria della relatività
generale era stata formulata nel 1915, e l'intera comunità scientifica era
ancora alla ricerca di dati che potessero confermare quanto affermato dal
fisico tedesco) e dalla teoria quantistica introdotta da Planck (1901), fu
quasi annichilita dall'entrata in scena di un principio che sanciva
l'impossibilità di determinare esattamente al tempo stesso posizione e velocità
di un elettrone. Questa teoria, nota come "principio di indeterminazione di
Heisenberg" dal nome del fisico che la formulò nel 1927, ebbe un'importanza
cruciale sia nello sviluppo della meccanica quantistica, sia nell'immaginario
comune: la nascita di un'incertezza così grande per la fisica era, infatti, una
cosa del tutto nuova, ben lontana dalla "teoria dell'errore" che contempla sì
piccole sfasature nelle misurazioni - ed anzi afferma che nessuna misura può considerarsi del tutto priva di errori -, ma
presenta ancora come reale la possibilità di avvicinarsi, avvalendosi di mezzi
sempre più precisi, ad un errore relativo arbitrariamente piccolo; con la
teoria di Heisenberg, al contrario, non è più possibile superare una certa
"barriera" di precisione, perché tentare di determinare ulteriormente una delle
due variabili in gioco significherebbe rendere sempre maggiore l'errore nella
misurazione dell'altra.
Heisenberg ideò un esperimento ideale per giungere alla
formulazione di questo principio. Egli, infatti, immaginò di poter disporre di
una camera in cui fosse precedentemente stato fatto il vuoto assoluto(per
eliminare attriti che potessero falsare le osservazioni), di un "cannoncino" in
grado di sparare un elettrone per volta, di una fonte luminosa capace di
emettere radiazioni a qualsiasi frequenza d'onda (e quindi di qualsiasi
energia) e di un microscopio in grado di osservare tutti i tipi di radiazione.
Questa strumentazione, pur non esistendo in realtà neppure tuttora, non
contraddice alcun fondamento della fisica. L'esperimento di Heisenberg ha le
proprie fondamenta nell'idea secondo cui, per misurare la posizione e/o la
velocità di un oggetto sia necessario vederlo - cosa alquanto intuitiva - e che
per vederlo sia indispensabile colpirlo con della luce; ora, siccome Einstein
aveva già dimostrato, portando a termine l'intuizione di Planck, che la luce
viaggia in "pacchetti" ciascuno dei quali con , la minima quantità di luce con cui sarà possibile colpire
questo elettrone sarà appunto un fotone, ovvero uno di questi "pacchetti".
Immaginiamo quindi di colpire con il nostro fotone l'elettrone sparato dal
cannoncino che - per la meccanica classica - delinea una traiettoria parabolica;
dal momento che l'urto può essere considerato completamente elastico, se la
radiazione luminosa che stiamo emettendo è ad alta frequenza e quindi, per la
relazione su esposta, anche ad alta energia, la traiettoria dell'elettrone e la
sua velocità ne saranno mutate, per quanto in quell'esatto momento saremo
capaci di conoscere la posizione con precisione piuttosto elevata. Viceversa,
se ipotizzassimo di utilizzare fotoni a bassa energia e quindi a bassa
frequenza d'onda, avremmo che la velocità sarà influenzata quasi per nulla
dall'impatto, e quindi potremmo conoscerla con buona precisione; ma per effetto
della diffrazione, sul nostro microscopio avremo la posizione dell'elettrone
piuttosto sfocata (ed anzi, sempre più sfocata quanto più diminuiremo la frequenza
della luce). Pertanto, ecco dimostrato abbastanza empiricamente come, in ogni esperimento quantistico, sia
impossibile determinare con precisione arbitraria la quantità di moto
dell'elettrone e la sua posizione. Heisenberg giunse anche a stabilire l'espressione
analitica dell'errore minimo, che scoprì essere , da cui consegue che . In effetti, il principio di indeterminazione dovrebbe
essere applicato a tutta la fisica,
ma non è difficile dimostrare come, a causa dell'estrema piccolezza di h(=6,6-34 ), questo effetto risulta impercettibile; in campo
atomico invece, dove m è
sensibilmente più ridotto e le dimensioni sono infinitamente più piccole,
questo effetto inizia ad avere un peso molto considerevole.
L'influsso che una simile teoria fisica ebbe fu evidente; e
se in molti artisti questo ascendente fu nascosto e celato, altri lo esibirono
abbastanza apertamente, facendone un vero e proprio simbolo del crollo delle
certezze che colpì l'intera cultura dell'epoca.