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Situazione economica




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Situazione economica

I primi anni del '900 furono notevolmente decisivi per l'economia del Paese, perché avvicinarono l'Italia ai paesi industrialmente più avanzati grazie ad un notevole aumento del valore della produzione industriale. In alcuni settori della grande industria, furono introdotti i sistemi Tayloristici di riorganizzazione del lavoro e come altrove, anche in Italia il capitalismo industriale strinse solidi legami con l'alta finanza, mentre alcune banche estendevano il loro giro d'affari verso le aree più arretrate, specialmente Africa settentrionale, Medio Oriente e Balcani, dove non tardarono a concentrarsi le attenzioni della stessa politica estera nazionale. In questo Take Off (decollo iniziale) lo Stato ebbe un ruolo fondamentale. Infatti oltre a garantire il consolidamento mediante il protezionismo doganale, l'amministrazione statale rappresentò il miglior cliente per le industrie private attraverso la richiesta di opere pubbliche, forniture per l'esercito e per la marina, Grazie a ciò lo Stato diede un apporto fondamentale per una certa redistribuzione della ricchezza e garantendo allo stesso tempo la stabilità politica e sociale dell'Italia. Piuttosto diversa fu invece la situazione nelle campagne, dove l'arretratezza aveva contribuito a creare un grande serbatoio di forza lavoro a basso costo da riversare nell'industria e nel settore terziario e dove l'unica alternativa risultava essere l'emigrazione, che in quegli anni fu molto elevata.

L'opera riformatrice del gruppo dirigente

Nel campo delle riforme, il nuovo gruppo dirigente si dimostrò sin da subito favorevole ad una politica riformistica.
Innanzitutto cercò un appoggio parlamentare con il Partito Socialista e nel 1903 offrì un incarico ministeriale a Filippo Turati, esponente moderato di questo partito, il quale rifiutò l'incarico impegnandosi tuttavia ad appoggiare l'opera del Governo, al fine di proteggerlo dalla reazione cospirante.
Grazie a questa tacita intesa al vertice, si ebbe la cosiddetta Parlamentarizzazione dei conflitti sociali. In pratica il centro di gravità delle lotte sociali venne spostato dalle piazze al parlamento dove il Governo interveniva come mediatore tra lavoratori e padronato e i contrasti perdevano così la loro radicalità. Vennero quindi indebolite le correnti rivoluzionarie del movimento operaio, favorendo quelle moderate, promovendo il rafforzamento del sistema democratico-parlamentare e segnando il successo della strategia giolittiana.
Nella scia di questa strategia giolittiana furono riconosciute alle cooperative dei lavoratori delle priorità nell'assegnazione degli appalti pubblici e nel 1906 poté nascere la Confederazione generale del lavoro (Cgl), con il compito di coordinare i sindacati delle varie categorie.
Al Sindacato fu tuttavia affiancato il Consiglio nazionale del lavoro (Cnl), un organismo destinato a prevenire gli scioperi e a favorire la collaborazione tra capitale e lavoro.
La politica di riformazione tra le parti venne poi ampliata da un'ampia legislazione riformistica che comprendeva:

l'estensione dell'assicurazione per gli infortuni sul luogo di lavoro;

misure di tutela sui minori (limite di dodici anni come età minima per lavorare);

misure di tutela per le donne in fabbrica (limitazione a dodici ore lavorative);

l'incremento per gli stanziamenti per la scuola;

la realizzazione di importanti opere pubbliche nel Mezzogiorno;

il varo di un Alto commissariato per l'emigrazione chiamato a lenire il doloroso problema;

L'opera estrema di questa riforma fu infine l'Introduzione del suffragio universale maschile nel 1912


Il decennio felice

La gestione giolittiana del potere nei primi dieci anni del '900 fu indubbiamente positiva, per questo si parla di decennio felice.
I punti di successo della strategia giolittiana furono senza dubbi il progresso economico e la stabilità politica. 
Il primo, nonostante fosse stato squilibrato, era stato evidente; si era registrata una sensibile espansione dei consumi e il riformismo aveva migliorato di certo le condizioni di vita di alcuni strati della popolazione, mentre l'inurbamento e l'emigrazione avevano diminuito il malessere del mondo rurale. 
Invece, grazie alla stabilità politica,  la moneta italiana era particolarmente apprezzata e aveva acconsentito una delicata operazione finanziarie al fine di alleggerire il debito pubblico. Le notevoli possibilità di bilancio conseguite con questa operazione si riversarono per la maggior parte in opere pubbliche  e in interventi ulteriori a favore dell'economia.
Per rafforzare le istituzioni, il disegno giolittiano non doveva dimenticare quei settori popolari sui quali si esercitava l'influenza della Chiesa. Proprio per questo venne raggiunto un patto ufficiale mediante la quale la Chiesa, in cambio della disponibilità governativa ad abbandonare l'anti-clericalismo della tradizione liberale, prima abbandonava l'astensionismo politico (il non expedit stabilito dal Pontefice Pio IX nel 1874), poi appoggiava la conquista italiana della Libia nel 1911. Infine per arginare il socialismo gli esponenti del mondo cattolico raggiunsero un'intesa coi gruppi liberali vicino a Giolitti, il cosiddetto Patto Gentiloni del 1912, verso i quali si impegnavano a far convergere i loro suffragi purché venisse bloccata l'introduzione del divorzio, protetta la scuola privata e difeso l'insegnamento religioso nella scuola pubblica.

La conquista della Libia

Sotto la pressione degli ambienti finanziari e militari, in una congiuntura economica non più favorevole, Giolitti decise il rilancio dell'iniziativa coloniale italiana. Così nel 1911 fu decisa l'occupazione della Libia. L'occupazione si concluse, dopo una debole resistenza da parte dell'impero Ottomano, con l'annessione di dodici isole dell'Egeo, il Dodecanneso. La conquista della Libia era stata proposta dal Governo come una risposta risolutiva al problema dell'emigrazione, anche se l'idea di trasferirsi in regioni semi-desertiche fu completamente ignorata dai lavoratori italiani.L'iniziativa coloniale suscitò forti ripercussioni politiche di segno contrastante. A favore di esse i nazionalisti coloro che disegnavano la Libia come una specie di nuova Eldorado, sostenuti dalle maggiori testate giornalistiche, dalla stampa cattolica e da numerosi intellettuali influenti, tra i quali Gabriele D'Annunzio e Giovanni Pascoli. All'impresa libica invece si opposero con fermezza in numerosi repubblicani e radicali, il Partito Socialista, la Confederazione generale del lavoro, la maggior parte del movimento anarchico e soprattutto le masse popolari che giunsero a sabotare gli impianti ferroviari per impedire la partenza verso l'Africa delle tradotte militari.
Tutto ciò segnò l'inizio del tramonto del Decennio Felice.






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