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Nozione giuridica del franchising




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NOZIONE GIURIDICA DEL FRANCHISING


1 RICERCA DELLE FONTI

Per configurare in maniera corretta, sul piano giuridico, la tecnica di espansione imprenditoriale denominata con il termine franchising, si dovrebbe ricorrere alla ricerca di fonti di origine legislativa o, talvolta, di origine giurisprudenziale.

Parallelamente all'affermarsi del franchising, in Europa e in Italia, non ha fatto riscontro un recepimento, sul piano della legislazione positiva, della formulazione negoziale in cui i rapporti di franchising devono necessariamente tradursi. E' da rilevare che neppure negli USA è dato rinvenire una definizione destinata a valere in termini generali, nonostante l'alluvionale produzione legislativa, federale e statale. Si è proceduto in due direzioni: da un lato sono state prodotte varie discipline settoriali (franchising nel settore automobilistico, nel settore dei prodotti petroliferi, ecc..), dall'altro a regolare particolari aspetti del rapporto (obblighi preventivi di disclosure, condizioni per la cessazione od il rinnovo, disciplina degli investimenti).1

Comunque, la carenza normativa riscontrabile in quasi tutti i paesi Europei (fanno eccezione la Francia con l'emanazione della l. 31 dicembre 1989, n.89-1008, denominata 'Loi Doubin' e la Spagna con la legge n.7/1996, che introduce due importanti previsioni di diritto positivo: la previsione di un registro degli operatori in franchising, obblighi di disclosure a carico del franchisor analogo in parte a quello previsto in Francia), compreso il nostro, ha consentito al franchising di espandersi grazie proprio alla maggiore duttilità negoziale derivante dalla inesistenza di schemi di contratto rigidamente predeterminati da legislazioni positive nazionali.

Per contro esistono più elevati margini di incertezza in relazione alle formulazioni negoziali che possono condurre al pericolo di far insorgere elementi di conflittualità tra le parti, specie in presenza di una crescente serie di casi di degenerazioni che tendono ad attribuire l'etichetta di franchising anche a forme di accordo, in alcuni casi addirittura truffaldine, che poco hanno da condividere con il vero franchising.

Da qui la necessità di una redazione contrattuale che sia al tempo stesso dettagliata e rigorosa sotto il profilo della individuazione delle obbligazioni delle parti.2

DEFINIZIONE GIURIDICA DEL CONTRATTO DI FRANCHISING OPERATA A LIVELLO COMUNITARIO. REG.4087/88.

La continua espansione degli accordi di franchising in Europa e il moltiplicarsi degli accordi e delle esperienze contrattuali ha progressivamente attenuato i margini di incertezza giuridica ed ha portato ad individuare schemi negoziali e clausole ricorrenti sul piano della prassi operativa, per raggiungere livelli di 'sicurezza' contrattuale ed evitare l'insorgere di situazioni di conflitto tra affiliante e affiliati.

E' possibile ritenere che anche in Europa il rapporto di franchising sia ormai pervenuto ad un livello di 'tipicizzazione', anche in assenza di interventi specifici dei legislatori nazionali. Ciò' è dovuto all'utilizzo di schemi negoziali già ben rodati sul piano giuridico, maturati dall'esperienza normativa e giurisprudenziale statunitense. Inoltre, la creazione di Associazioni Europee e Nazionali, di imprenditori interessati ad applicare la tecnica del franchising, ha permesso l'elaborazione di 'codici deontologici', di regolamenti Associativi, (come in Italia quello dell'Assofranchising), che hanno avuto un notevole effetto sull'adozione degli schemi negoziali applicati in concreto dagli associati e in via indiretta su quelli non associati.

Infatti, le previsioni di tali regolamenti possono assurgere a criterio interpretativo per qualsiasi giudice civile o penale, di che cosa sia il franchising e di che cosa sia la 'buona fede', che il nostro codice civile richiede sia nella fase delle trattative iniziali, che nell'esecuzione ed interpretazione del contratto.

Infine la legislazione comunitaria si è interessata ai rapporti di franchising, sia pure sotto il profilo degli accordi tra imprese restrittivi della concorrenza, previsti dall'art.85 del trattato CE, con conseguenti interventi dei competenti uffici della Commissione Europea dopo la prima sentenza della Corte di Giustizia Europea (28 gennaio 1986, causa 161/84, pronuptia de Paris), in materia di franchising, resa nel caso Pronuptia, attraverso cinque decisioni della Commissione Europea d'autorizzazione di reti di accordi di franchising (Pronuntia, Rocher, Computerland, Service Master e Cherles Jourdan) e l'elaborazione di un regolamento comunitario di esenzione di categoria (reg.4087/88) degli accordi di franchising dai menzionati divieti contenuti sempre nell'art.85 del trattato CE.

Occorre dunque precisare che gli interventi comunitari non riguardano direttamente la disciplina del contratto di franchising nella sua generalità ma tendono ad esaminare tali accordi sotto il profilo della loro compatibilità con la normativa comunitaria di concorrenza e con la possibilità di esenzione di alcune clausole contrattuali che pur essendo pregiudizievoli della concorrenza, siano giustificabili, in virtù del 3° comma dello stesso art. 85, per i vantaggi recati al mercato nel suo insieme e, in particolare, ai consumatori. Un'altra carenza degli interventi comunitari è data dalla prevalente attenzione nei confronti del c.d. franchising di distribuzione, mettendo in secondo piano l'analisi nei confronti del franchising di servizi e di quello di produzione. Queste carenze non dovrebbero inficiare la validità dei contributi comunitari alla 'tipicizzazione' di fatto dei rapporti contrattuali di franchising.3

Gli elementi degli interventi comunitari possono essere raggruppati in due nuclei che sono peraltro strettamente connessi:

Il primo nucleo di contributi è rappresentato dagli apporti aventi carattere definitori del contratto di franchising e che sono ricavabili dagli interventi di soggetti facenti parte delle istituzioni comunitarie e precisamente:

a.      l'intervento degli uffici della Commissione Europea nella redazione del codice Europeo di deontologia del franchising che contiene nella premessa una sintesi degli elementi caratterizzanti ed aventi anche rilevanza sul piano giuridico;

  1. l'analisi svolta dalla Commissione Europea in occasione del caso Pronuptia pendente davanti alla corte di giustizia Europea risoltosi con la sentenza della Corte del 28 gennaio 1986;
  2. le conclusioni dell'Avv. Generale della Corte di Giustizia Europea, Pieter Verloren Van Themaat, sempre sul caso Pronuptia;
  3. la sentenza della Corte di Giustizia Europea nel caso Pronuptia che contiene una definizione di franchising che appare accettabile come definizione giuridica di validità generale: 'Nell'ambito di un siffatto sistema di franchising in materia di distribuzione, l'impresa che si sia stabilita su di un mercato come distributore e che abbia così potuto mettere a punto un insieme di metodi commerciali concede, dietro corrispettivo, a dei commercianti indipendenti, la possibilità di stabilirsi su altri mercati usando la sua insegna ed i metodi commerciali che le hanno garantito il successo. Più che di un metodo di distribuzione si tratta, per l'impresa, di un modo di sfruttare economicamente, senza investire propri capitali, un patrimonio di cognizioni. D'altro canto, detto sistema consente ai commercianti sprovvisti dell'esperienza necessaria di avvalersi di metodi che essi avrebbero potuto acquisire solo dopo una lunga e laboriosa ricerca e di giovarsi della reputazione del segno distintivo del concedente';
  4. i contenuti definitori del franchising delle Decisioni della Commissione Europea autorizzativi delle reti di franchising Pronuptia, Rocher, Computerland, MasterService e Charles Jourdan;

  1. l'art. 1, comma due, lettere a) e b) del Regolamento CEE della Commissione n. 4087/88 del 30 novembre 1988, concernente l'applicazione dell'art.85, 3° paragrafo del Trattato CE a categorie di accordi di franchising che definisce sia il franchising in sé considerato come 'un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d'autore, know-how o brevetti da utilizzare per la rivendita di beni o per la prestazione di servizi ad utilizzatori finali' e sia l'accordo di franchising definito come ' un accordo con il quale un'impresa, l'affiliante, concede ad un'altra, l'affiliato, dietro corrispettivo finanziario diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising allo scopo di commercializzare determinati beni e/o servizi; esso comprende almeno gli obblighi connessi: 4

all'uso di una denominazione o di un'insegna commerciale comune e di una presentazione uniforme della sede e/o dei mezzi di trasporto oggetto del contratto,

alla comunicazione da parte dell'affiliante all'affiliato di un know-how,

alla presentazione permanente, da parte dell'affiliante all'affiliato, di un'assistenza in campo commerciale o tecnico per la durata dell'accordo'.

Il secondo nucleo di apporti comunitari in materia di rapporto di franchising riguarda invece l'individuazione delle clausole che caratterizzano in modo significativo il contenuto negoziale di maggior rilievo del contratto e che sono ricavabili sempre dai contenuti del Regolamento CEE n. 4087/88.

L'importanza di questa analisi dei contenuti contrattuali, oltre alle considerazioni di carattere economico che ne giustificano la legittimità sotto il profilo della concorrenza, forniscono un contributo considerevole anche in chiave di disciplina sostanziale del rapporto per l'individuazione della causa negoziale del franchising, in rapporto con i singoli ordinamenti giuridici nazionali cui sono sottoposte le singole reti di accordi.



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