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La crisi del '29




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La crisi del '29




-La ripresa economica del primo dopoguerra

-Il boom economico statunitense

-Il boom diventa crisi

-Il "giovedì nero" e la "grande crisi"

-L'esportazione della crisi in Europa

-Roosvelt e il "New Deal"

-Il nuovo ruolo dello Stato nell'economia


La ripresa economica dopo il primo dopoguerra

Alla fine degli anni '20  i traumi prodotti dalla prima guerra mondiale sembravano essere superati: l'indebitamento pubblico e l'inflazione andavano riassorbendosi, la distensione franco-tedesca apriva una prospettiva di pace e di relazioni stabili, e il sistema produttivo statunitense continuava ad espandersi in modo sostenuto


Il boom economico statunitense

L'economia americana aveva tratto molti vantaggi dalla guerra:

era stata favorita la sua posizione di primo paese produttore e "banchiere" del mondo

superata la fase recessiva dell'immediato dopoguerra il sistema produttivo americano aveva saputo riconvertirsi alla domanda dei mercati internazionali, al contrario di quelli europei, che si erano quasi esclusivamente concentrati a produzioni belliche


Ciò avvenne in presenza di numerosi fattori positivi

forte mercato interno

razionalizzazione dei processi produttivi e innovazioni tecnologiche che hanno portato a un incremento enorme della produttività oraria


I settori industriali trainanti furono quelli automobilistico, degli elettrodomestici, delle fibre sintetiche.

La produzione ottenuta era diffusa su larga scala, anche grazie ai sistemi di vendita rateale.

La bilancia commerciale era in forte attivo: l'economia americana era infatti molto legata a quella europea, in quanto gli ingenti prestiti che gli USA concedevano all'Europa stimolavano la sua ripresa economica, e quindi la sua domanda di beni; la produzione statunitense era perciò molto superiore alla capacità di assorbimento interno.

Dal punto di vista politico, gli USA erano guidati dal partito repubblicano. La linea politica di questo partito era rivolta al  protezionismo e all'isolazionismo: il governo adottava una politica economica decisamente liberista sul piano interno, in modo da favorire l'iniziativa privata, e protezionistica sul piano internazionale, in modo da difendere la produzione nazionale.


Il boom diventa crisi

L'euforia e l'ottimismo derivati da boom economico misero in moto comportamenti che ebbero come risultato il crollo del mercato borsistico americano.

La grande crescita del sistema industriale fece aumentare grandemente  non solo i profitti, ma anche il valore delle azioni, e l'aspettativa di poter realizzare grandi guadagni con la compravendita azionaria; da ciò derivò una corsa sfrenata alla speculazione azionaria, cioè all'acquisto di azioni per lucrare sul loro incremento di prezzo. Ma questo incremento era sempre di più legato al gioco della domanda borsistica che agli effettivi risultati delle imprese.

Nel 1929 maturò la crisi: la saturazione del mercato interno statunitense si intrecciò con la decisione delle maggiori banche di distogliere finanziamenti dall'Europa per concentrarli sulla speculazione di borsa.Ciò ha portato ad una contemporanea caduta della domanda interna ed esterna, compromessa sia dalla caduta dei finanziamenti americani, sia dalle misure protezionistiche che molti paesi adottavano come risposta a quelle statunitensi.


Il "giovedì nero" e la "grande crisi"

La crisi finanziaria causata dal crollo della borsa di New York, esplose il 24 ottobre del 1929, il celebre "giovedì nero", quando a fronte dei primi sintomi di recessione del sistema industriale, si verificò una frenetica corsa alla vendita di azioni, cosa che, secondo il gioco della domanda e dell'offerta, causò lo sgretolamento dei prezzi delle azioni. Questo shock produsse un effetto a catena su tutti i settori economici e tutte le classi sociali: la rovina economica di molti finanzieri causò la chiusura di migliaia di aziende industriali e commerciali, e il licenziamento di milioni di lavoratori dipendenti.

Le misure politiche adottate dal governo repubblicano, furono poche e inefficaci: vennero poste barriere d'ingresso alle importazioni e vennero bloccati i finanziamenti all'estero, e ciò provocò il tracollo del commercio internazionale e la crisi finanziaria di molti Stati, soprattutto europei.

La "grande crisi" andò quindi a colpire anche l'Europa.



L'esportazione della crisi in Europa

La ripresa delle economie europee fu immediatamente arrestata dalla crisi americana, e il sistema produttivo venne messo in ginocchio dal collasso del sistema bancario e dei sistemi monetari. L'esportazione della crisi avvenne quando le banche statunitensi chiesero il pagamento dei crediti che avevano concesso all'estero. Grandi banche tedesche ed austriache fallirono, e ciò provocò una contrazione del credito, e molte industrie, non potendo più ricevere finanziamenti, furono costrette a chiudere. I Paesi più colpiti furono quelli che avevano avuto maggiore necessità dell'aiuto delle banche statunitensi, in particolare la Germania, che aveva fatto ampio ricorso al credito americano, dopo il piano Dawes.

La sterlina inglese era sull'orlo del collasso (le riserve auree della Banca d'Inghilterra erano esaurite) e venne svalutata; ciò destò grande sensazione in quanto era sancita la decadenza commerciale della Gran Bretagna. Per la Gran Bretagna le conseguenze della crisi furono comunque attenuate dall'esistenza di un mercato protetto, costituito dall'impero britannico.



Le conseguenze per gli altri Paesi furono meno gravi:


La Francia non aveva avuto bisogno di finanziamenti e aveva un commercio interno in grado di sopperire alla contrazione di quello internazionale


In Italia l'industria era poco sviluppata, così come i suoi rapporti con il mercato mondiale


Roosvelt e il "New Deal"

In piena crisi, le misure adottate dal governo repubblicano (contrazione della spesa pubblica, riduzione del numero di dipendenti pubblici, delle prestazioni sociali e degli investimenti in opere pubbliche), non furono assolutamente efficaci. Alle elezioni del 1932 viene eletto presidente il democratico Franklin Delano Roosvelt, che fin da subito dichiarò di voler inaugurare un "nuovo corso", una nuova strategia fondata sull'intervento diretto dello Stato nell'economia, con l'obiettivo di sostenere la ripresa economica e l'aumento dell'occupazione.



I punti fondamentali del "New Deal"


supporto all'azione sindacale per cercare di indurre un aumento dei livelli salariali, allo scopo di ridare fiato ai consumi

grandioso programma di investimenti in opere pubbliche, per assorbire occupazione

riforme di carattere sociale, finalizzate a una redistribuzione del reddito

leggi a tutela dei lavoratori

riduzione dell'orario di lavoro

incentivi agli agricoltori per ridurre la produzione e salvaguardare i prezzi, e crediti per riscattare le proprietà ipotecate

il mercato borsistico e il sistema bancario furono sottoposti a controlli

abbassate le tariffe doganali e per sostenere le esportazioni, svalutato il dollaro


I risultati ottenuti dal "new Deal" furono notevoli; tuttavia una piena ripresa economica si verificò solo con l'aumento della produzione dovuto alle produzioni belliche, verificatosi nell'imminenza della seconda guerra mondiale.


Il nuovo ruolo dello Stato nell'economia

Il verificarsi della grande crisi ha provocato un ripensamento delle teorie economiche, con una decisa critica al liberismo assoluto, il laissez-faire. L'economia, abbandonata a se stessa, era precipitata in un baratro da cui occorreva farla uscire attraverso una diversa linea di politica economica. Fu soprattutto l'economista inglese John Maynard Keynes a sostenerne la necessità.

Keynes sosteneva che lo Stato non doveva intervenire solo per alleviare la disoccupazione attraverso lavori pubblici, ma anche concedendo crediti a basso interesse e favorendo una politica di alti salari, intesa ad accrescere il consumo, e quindi ad allargare il mercato interno. Allo stesso modo, occorreva favorire una redistribuzione del reddito, introducendo imposte progressive, che colpissero le rendite improduttive.

Per Keynes, comunque, lo Stato non doveva assumere le funzioni dei capitalisti privati, ma solo correggere gli squilibri e le distorsioni di un'economia priva di regole.












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