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Il crollo della borsa del 1929
I frattali e lo studio dei mercati
Grazie ai frattali è possibile anche studiare l'andamento del mercato, con le sue lente salite e i crolli repentini. A partire dai primi anni '60 e fino ai giorni nostri, l'applicazione della geometria frattale a questioni economiche ha condotto Mandelbrot a mettere in discussione alcuni consolidati fondamenti dell'economia classica e della finanza moderna. L'analisi frattale delle variabili economiche e finanziarie ha portato nell'ultima decade alla nascita della cosiddetta finanza frattale, nella quale lo stesso Mandelbrot ritiene siano attualmente impegnati almeno un centinaio di ricercatori. Secondo Mandelbrot la comprensione dell'economia non deriva tanto da teorie astratte, ma dall'osservazione del mercato e dall'esperienza. I prezzi dei prodotti non dipendono solo dalle spese sostenute per realizzarli o trasportarli, ma anche dal loro valore, che viene rappresentato con un diagramma a campana. Il diagramma sale, ogni tanto si trovano dei flessi ovvero delle zone di stasi, e poi scende. Tuttavia possono verificarsi le cosiddette turbolenze: impennate imprevedibili del valore in un senso o nell'altro. In generale tali turbolenze sono dovute ad eventi esterni ed estranei al mercato stesso. Per esempio le condizioni meteorologiche influenzano i raccolti, i quali a loro volta influenzano i prezzi; oppure le distribuzioni di risorse quali il petrolio o l'acqua condizionano l'offerta e di conseguenza i prezzi. Da esempi così semplici e quotidiani si arriva a condizioni esogene imprevedibili, come ad esempio una catastrofe naturale. A questo punto bisogna chiedersi se il disordine dei mercati sia davvero imprevedibile. Infatti, se la probabilità che un evento accada è infinitesima, è corretto trascurarla? Secondo la teoria dei frattali, no.
Il Big Crash
Talvolta, come la storia ci ha dimostrato, l'imprevedibile si realizza con catastrofiche conseguenze, come nel caso del crollo della borsa nel 1929. Secondo i modelli studiati dall'economia tradizionale questo evento era così improbabile da essere considerato impossibile. Tecnicamente venne chiamato "valore erratico", cioè estremamente lontano dal normale valore atteso nel mondo azionario. Eppure è accaduto. Quando la crisi esplose nel 1929, la letteratura economica era assai ricca e si vantava di poter ricostruire le vicende delle varie crisi succedutesi nel tempo, nonché di poterne fornire spiegazioni logiche. Infatti, si sapeva quali fattori del processo economico potevano essere ritenuti responsabili delle crisi: ad esempio l'eccesso di risparmio, l'insufficienza del consumo, il tasso d'interesse tenuto artificiosamente basso. Si era inoltre consapevoli del peso dell'andamento dei raccolti, delle innovazioni tecnologiche e del credito, il cui utilizzo era sempre in crescita. Tuttavia il ricco bagaglio letterario non aiutò i grandi economisti statunitensi a intuire negli indubbi segni di eccitazione, che caratterizzarono l'economia americana tra il 1927 e il 1929, l'approssimarsi della grave crisi. Quest'ultima si manifestò così in maniera improvvisa: ancora alla fine dell'estate del 1929 la borsa di New York attraversava una fase di grande euforia e speculazione. Nel corso degli anni Venti il numero e il prezzo dei titoli trattati negli Stati Uniti erano cresciuti a una velocità impressionante. Il miraggio di ottenere facili guadagni fece diventare l'investimento in Borsa un fenomeno di massa e persino i piccoli risparmiatori agivano ormai in base a principi puramente speculativi.
La produzione industriale ebbe nell'estate del 1929 un rallentamento generalizzato, eppure i titoli continuavano a salire. Era dunque ormai evidente che il loro valore non rispecchiava più lo stato economico delle aziende. L'euforia diffusa si incrinò e il timore che le quotazioni azionarie gonfiate fossero destinate a un calo imminente spinse molti investitori a liquidare i loro titoli, determinando di fatto il crollo repentino del valore delle azioni. Il 24 ottobre, il cosiddetto giovedì nero, furono ceduti 13 milioni di azioni e il 29 oltre 16 milioni.
Conseguenze della crisi
La crisi borsistica produsse una serie di effetti a catena e travolse tutta l'economia statunitense, determinando la caduta dei prezzi agricoli, delle materie prime e dei prodotti industriali e la rapida contrazione del commercio in tutto il mondo. Ben presto dunque la crisi fu anche bancaria. Il fatto che le industrie non producessero e che quel che producevano dovesse essere venduto a prezzi bassi, con minor profitto, e che gli agricoltori, per la caduta dei prezzi agricoli, fossero costretti ad abbandonare la terra o ad accontentarsi di un guadagno minimo, ebbe notevoli conseguenze sul sistema bancario. Infatti, sia l'industria che l'agricoltura erano seriamente indebitate con le banche. Nel periodo del boom, che aveva preceduto lo scoppio della crisi, queste banche avevano ecceduto nei prestiti, confidando non solo in una restituzione regolare, ma anche nel fatto che i risparmiatori non avrebbero ritirato i loro depositi. La crisi dunque mise in difficoltà molte banche: compromesso dalla caduta delle vendite e dei prezzi, un numero crescente di imprese non fu in condizione di pagare i debiti e intanto le banche erano premute dai loro depositari che, a loro volta spinti da crescenti esigenze di liquidità, volevano la restituzione delle somme depositate. Schiacciate tra l'incudine del mancato rientro dei prestiti e il martello dei depositanti che pretendevano la restituzione dei loro capitali, molte di queste banche furono costrette a chiudere i battenti.
Le aziende, non potendo più accedere al credito, riducevano la produzione, tagliavano i salari e licenziavano. Secondo i dati della Società delle Nazioni, nel 1932 il numero di disoccupati superò la cifra di 25 milioni. Maggiore fu la disoccupazione in quelle nazioni a forte tasso di industrializzazione, dove la possibilità di lavoro agricolo era minore: 15 milioni negli Stati Uniti e 7 milioni in Germania. La Francia risentì in maniera nettamente inferiore del fenomeno di disoccupazione.
Primi rimedi
Di fronte al disastro la Federal Reserve Bank avrebbe dovuto abbassare drasticamente il tasso di interesse. In alternativa le autorità monetarie avrebbero potuto suggerire di abbandonare la parità con l'oro, lasciando che il dollaro si svalutasse. Diminuendo il valore del denaro si sarebbe così favorita la circolazione monetaria, ottenendo il rilancio dei crediti, degli investimenti e dell'economia in generale. Inoltre il calo del dollaro, aumentando il potere d'acquisto delle valute estere, avrebbe avvantaggiato le esportazioni americane. Tuttavia il presidente americano Herbert Hoover rifiutò di sganciare il dollaro dalla parità con l'oro e adottò una politica economica rigidamente protezionistica. Inoltre si oppose inizialmente a rigorose misure deflazionistiche, stimolando la spesa per opere pubbliche e facendo pressione sugli industriali perché non riducessero i salari. Nel 1930 creò una Grain Stabilization Corporation e una Cotton Stabilization Corporation per sostenere i prezzi sia dei cereali che del cotone, in rapida caduta. D'altra parte però si rifiutò di porre mano a un piano di pubblica assistenza, preferendo fare affidamento sulla carità privata e sull'azione dei governi locali.
Con le loro esportazioni di capitali, gli Stati Uniti avevano contribuito a mantenere in equilibrio la bilancia internazionale dei pagamenti. Infatti, nel 1924 l'economista americano Charles Gates Dawes aveva elaborato un piano per il risanamento economico della Germania, che prevedeva l'esportazione di ingenti capitali sotto forma di investimenti e prestiti agevolati. Scoppiata la crisi essi non accrebbero questa esportazione, anzi iniziarono il ritiro dall'estero dei capitali a breve termine. Questa tendenza al ritiro dal mercato internazionale, specie europeo, fu rafforzata dalla politica doganale che gli Stati Uniti perseguirono: la tariffa doganale che essi adottarono a partire dal giugno 1930 fu duramente protezionistica. La Germania subì così un aggravamento della recessione a causa dell'interruzione dei flussi creditizi dagli Stati Uniti e nel 1931 fallirono alcune grandi banche tedesche.
Roosevelt e il New Deal
Il 1932 segnò una svolta importante nella crisi: alle elezioni presidenziali fu nettissima la vittoria di Franklin Delano Roosevelt. Egli promise una politica più attenta alle esigenze e alle speranze della gente comune, affermando nel corso del suo discorso inaugurale: "l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa". Inoltre invitò gli americani a mobilitarsi e ad avere fiducia nel futuro e nelle prospettive del paese. Egli stesso sembrava incarnare, con la sua grande forza di volontà, lo spirito combattivo che intendeva infondere nei propri elettori. Infatti nel 1921, mentre era in vacanza all'isola di Campobello, Roosevelt aveva contratto una malattia -ritenuta al tempo una grave forma di poliomelite- che ne causò la paralisi degli arti inferiori, dei quali era poi riuscito a recuperare l'uso parziale. Egli si sforzò sempre di nascondere la sua disabilità: sono, infatti, conosciute solo due fotografie di Roosevelt sulla sedia a rotelle. Anche da presidente, piuttosto che farsi vedere in stampelle o con la sedia a rotelle, camminava con l'aiuto di una guardia del corpo. Il presidente promosse un programma politico con tre R: "relief, recovery and reform" (cura, risollevamento e riforma) . Le prime settimane di Roosevelt in carica furono chiamate I Cento Giorni, durante i quali preparò e approvò una serie di leggi per provocare un cambiamento immediato e impedire all'economia nazionale di destabilizzarsi. Il termine 'New Deal' (nuovo corso) venne coniato durante un discorso, quando affermò: 'Impegno voi, impegno me stesso, per un nuovo contratto per il popolo americano'. Il New Deal comprendeva una vasta serie di provvedimenti:
Nel giugno 1933 si aprì a Londra la Conferenza economica e monetaria mondiale, che sanzionò l'effettiva frantumazione del mercato mondiale. Scontratasi sul problema se bisognasse stabilizzare le varie monete e attuare nuovamente il ritorno all'oro, come base del sistema monetario e delle transazioni internazionali, la Conferenza si chiuse con la deliberata svalutazione del dollaro fermamente perseguita da Roosevelt e l'ostinata difesa dell'oro da parte della Francia. Grazie allo sganciamento del dollaro dalla parità con l'oro venne stimolata la spesa pubblica e furono favorite le esportazioni. Il mercato estero era così utilizzato come sbocco per la sovrapproduzione statunitense.
Inoltre venne emanato l'Agricultural Adjustement Act, che concedeva premi in denaro ai coltivatori che avessero limitato i propri raccolti. L'intento di tale provvedimento era quello di contrastare la sovrapproduzione e il conseguente crollo dei prezzi.
Di grande importanza fu anche il National Industrial Recovery Act, decreto con cui Roosevelt imponeva alle aziende un codice di disciplina produttiva, allo scopo di limitare la produzione e di porre un freno alla caduta dei prezzi. Inoltre tale legge imponeva la rinuncia al lavoro infantile e al lavoro nero, l'accettazione di minimi salariali e la definizione di un orario di lavoro comune.
Venne varata una riforma fiscale che prevedeva criteri di tassazione progressivi.
Fu poi promulgato il Wagner Act, che sanciva il diritto all'organizzazione sindacale e il diritto di sciopero.
Venne istituita la Tennessee Valley Athority, agenzia con il compito di sfruttare al meglio le risorse idroelettriche del bacino del Tennessee.
Fu creata la Works Progress Administration che fornì lavoro a milioni di disoccupati, impegnandoli presso enormi cantieri che sorgevano ovunque. Si perseguiva un progetto di sistemazione del territorio tramite un vasto programma di opere pubbliche.
Particolarmente innovativo fu infine il Social Security Act, con cui veniva imposta la creazione di un moderno sistema pensionistico e assistenziale, che prevedeva sussidi di disoccupazione e in generale una protezione sociale di cui i lavoratori americani erano stati fino ad allora sprovvisti.
Il grande carisma di Roosvelt e l'immagine di leader forte e rassicurante gli assicurarono un'altra vittoria schiacciante alle elezioni del 1936. Tuttavia l'uscita dalla crisi fu lenta e i risultati strettamente economici del New Deal non furono entusiasmanti. I disoccupati nel 1940 erano ancora 8 milioni e la quota dei senzalavoro sarà riassorbita in misura decisiva solo durante la seconda guerra mondiale, con l'industria bellica a pieno regime.
La crisi economica era stata decisamente favorevole all'ascesa al potere di Hitler. Le quattro elezioni che si svolsero tra il settembre del 1930 e il marzo 1933 videro il numero dei suoi deputati crescere in maniera considerevole. Nel 1933 Hitler andava al governo e l'Europa si avviava così verso la seconda guerra mondiale.
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