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Crisi economica e crisi ideologica dagli anni settanta agli anni novanta




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CRISI ECONOMICA E CRISI IDEOLOGICA DAGLI  ANNI SETTANTA AGLI ANNI NOVANTA


A livello mondiale la fine della guerra è caratterizzata da grandi speranze; enormi masse popolari hanno scoperto i valori dell'emancipazione e dell'uomo, della indipendenza politica, della democrazia e della libertà. La costituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) sembra concretare queste speranze, riaffermare la volontà di pace tra i popoli. Ma ben presto riaffiorano i conflitti ideologici ed economici fra le potenze vincitrici. La divisione del mondo in due aree di influenza, dominate dall'egemonismo delle superpotenze USA e URSS, il vuoto e la paura delle nuove generazioni per le mostruose armi belliche, il cosiddetto "in­cubo atomico", creano nuove tensioni, nuovi conflitti, in un clima di diffidenza tra i due blocchi che sbocca, attorno agli anni Cinquanta, nella cosiddetta "guer­ra fredda". È in questo clima che si irrigidiscono due sistemi ideologici e poli­tici contrapposti, che influenzano drasticamente la dinamica politica all'interno dei vari paesi nelle diverse aree di influenza. La "guerra fredda" verrà poi supe­rata dalla strategia della "coesistenza pacifica", tra gli anni '53 e '56.

Frattanto, sulla scena internazionale, si assiste a profonde trasformazioni: tra­montano i grandi imperi coloniali, vengono alla ribalta i popoli del "terzo mon­do" e quelli islamici. L'evoluzione della scienza e della tecnologia mettono in moto un rapido quanto gigantesco affermarsi della "civiltà dei consumi", coi suoi correlati di spreco, di arrivismo, di alienazione, sotto l'egida ideologica ed economica degli USA. In un mondo profondamente desideroso di vera pace, giustizia e progresso, continua la corsa agli armamenti; si susseguono le crisi: nel Medio Oriente, nel Sud-est asiatico, nell'America Latina. Contro una demo­crazia, sostanzialmente repressiva, sorgono i movimenti di contestazione stu­dentesca ('68-'69) e di gruppi intellettuali, per un bisogno di maggior giustizia sociale, di una società più aperta ed umana.

Gli anni Settanta segnano il tramonto della fragile e contraddittoria "società del benessere". Lo sfruttamento selvaggio delle materie e delle risorse energetiche crea la paura del loro esaurimento. Le ricorrenti crisi petrolifere mettono in diffi­coltà i grandi paesi industrializzati e vengono affermandosi i primi segni di inflazione galoppante, di recessione economica, di disoccupazione, che com­plicano i già precari equilibri internazionali con gravi rischi di ritorno alla guerra fredda,

Gli anni Settanta, quindi, sono trascorsi, per il mondo intero, sotto il segno di una forte crisi economica, che ha inciso a fondo sulle vicende di tutto il decennio. L'elemento scatenante della crisi, al di là di altri fattori legati ai complessi meccanismi dell'economia mondiale, è stato l'improvviso e massiccio aumento del prezzo del petrolio, deciso dai paesi produttori nel 1973, nel quadro delle tensioni e dei conflitti che, nel Medio Oriente, vedevano interessati lo Stato di Israele, l'Egitto e i paesi circostanti.

L'impennata del prezzo del petrolio ha provocato una serie di conseguenze negative per i paesi industrializzati: un calo della produzione industriale, un forte aumento dei prezzi, un rapido processo di inflazione, un cospicuo aumento della disoccupazione.

Nel complesso, tutta l'economia capitalistica avanzata è stata scossa a fondo dalla crisi, rivelando una notevole fragilità e soprattutto la sua pericolosa dipendenza dalle fonti di energia tradizionali e dalle situazioni e dalle svolte politiche dei paesi produttori di petrolio.

I problemi del Medio Oriente, quindi, già al centro dell'attenzione mondiale nel decennio precedente, hanno acquistato, dopo la crisi, un'importanza vitale per gli assetti politici ed economici internazionali, spingendo le potenze occidentali a intervenire sempre più massicciamente in quell'area, talvolta contribuendo a mediarne le tensioni, altre volte invece incoraggiando, con interventi economici e con grandi forniture di armi, la conflittualità e le guerre, come sta a dimostrare il lungo e sanguinoso conflitto tra Iran e Iraq, scoppiato nel 1980 e trascinatosi per tanti anni con enormi conseguenze su tutta l'area mediorientale. Proprio l'Iraq, guidato dal rais Saddam Hussein, ha contribuito a rendere ancora più esplosiva la situazione di questa «polveriera», occupando improvvisamente il Kuwait nel 1990 e provocando quella «guerra del Golfo» che per alcuni mesi ha tenuto in allarme il mondo intero per il diretto intervento militare statunitense.

Di pari passo, la crisi economica ha imposto la necessità di ridurre la dipendenza dell'economia occidentale dalle fonti petrolifere mediorientali, attraverso la riduzione dei consumi, la riorganizzazione della produzione industriale, la ricerca di fonti energetiche alternative.

Ciò per un verso ha stimolato la proliferazione di centrali nucleari; ma, per altro verso, ha sollecitato un ampio movimento d'opinione che denunzia l'intrinseca debolezza delle società industrializzate e mette in discussione lo stesso concetto di «progresso», quando esso sia inteso come sviluppo lineare e irreversibile attraverso l'industrializzazione avanzata, facendo nel con­tempo emergere tutti i gravi problemi creati dal violento rapporto uomo-natura e da tutte le trasformazioni e gli inquinamenti ambientali conseguenti a un incauto, e talvolta selvaggio, sfruttamento delle risorse.

Alla crisi delle illusioni derivanti da un'acritica fiducia nel progresso tecnologico e scien­tifico, si è accompagnato negli ultimi anni, ma su un altro versante, il crollo di molte di quelle convinzioni politico-ideologiche, ispirate al marxismo, che avevano alimentato i movimenti de­gli anni Sessanta e soprattutto il «mitico» Sessantotto.

La crisi economica, da un lato, la crisi ideologica, dall'altro, hanno indotto un fenomeno generalizzato e diffuso, soprattutto a livello giovanile, di diffidenza e di sospetto nei confronti di qualunque visione politico-ideologica generale, di qualunque progetto globale di trasformazio­ne della realtà sociale. L'insofferenza per gli strumenti tradizionali della lotta politica e per le organizzazioni di partito, considerate meccanismi sclerotizzati e burocratizzati, ha favorito comunque la formazione di nuove aggregazioni, meno verticistiche, più spontanee e più calate nel «sociale», cioè diretta espressione delle concrete esigenze dei cittadini; ciò ha consentito anche un più efficace coagulo di quelle componenti sociali «deboli», tradizionalmente trascu­rate nel dibattito politico, che hanno trovato in nuove forme associative importanti canali per far sentire la propria voce.

Gli anni Ottanta si aprono in un mondo tecnologicamente avanzatissimo, ma con profondi squilibri: sono squilibri sociali, economici, politici che di continuo mettono a repentaglio la pace.

Il parziale superamento della crisi economica nel corso degli anni Ottanta, le iniziative sempre più serrate dirette a creare nuovi rapporti di collaborazione tra gli Stati, soprattutto in direzione del disarmo, i processi di liberalizzazione e di riforme all'interno dei paesi ex co­munisti, il dissolvimento del sistema sovietico e la caduta del «muro di Berlino», la crisi di non pochi regimi dittatoriali di stampo fascista nell'America latina hanno aperto qualche spazio ai processi di democratizzazione e alla speranza di una possibile distensione internazionale. Tuttavia, ­gli elementi di tensione creatisi negli Stati dell'ex impero sovietico, i sanguinosi conflitti etnici tra i paesi dell'ex Jugoslavia, i rivolgimenti politici e i massacri in atto in numerosi Stati dell'Africa, l'emergere e il rafforzarsi delle ideologie e dei movimenti integralisti nei paesi isla­mici sono evidenti segni della persistenza dell'intolleranza e del razzismo, presenti in varia misura in tutti i paesi del mondo. A tutto questo si aggiungano, aggravati dalla crisi economica mondiale, gli endemici problemi della povertà e della fame che angustiano i paesi sottosviluppati e quelli, talvolta non meno drammatici, delle diseguaglianze economico-sociali e delle varie forme di emarginazione che investono tutte le società, anche quelle apparentemente più "avanzate".

È da augurarsi, e molti si augurano, che l'umanità voglia affrontare questi problemi, difficili ma non per questo insolubili, orientandosi verso quella «stella polare» (Bobbio) che è l'aspirazione all'uguaglianza e alla libertà.

Chi voglia analizzare la situazione del mondo contemporaneo, relativa cioè al cinquantennio successivo alla Seconda guerra mondiale, è profondamente condizionato dalla sua complessità, che è data, come ognuno ben sa e come può constatare quotidianamente, dall'altissimo grado di integrazione e di connessione, ovvero di interrelazione dialettica, tra le vicende e i processi che si sviluppano nell'ambito planetario.

Non vi è guerra, per quanto «regionale», non vi è decisione politica o iniziativa economica di qualche importanza, non vi è novità tecnologica o scientifica che non si ripercuota immediatamente sull'intero pianeta, sia a livello di conoscenza, dato che i mass-media sono sempre in agguato e pronti a interpretare il loro ruolo di amplificatori di notizie e di messaggi, sia a livello di oggettivi contraccolpi sull'intera rete di relazioni inter­nazionali. È un dato ormai consolidato nella coscienza collettiva, almeno nei paesi a più elevato grado di alfabetizzazione, che nessun accadimento può essere, a priori, considerato secondario o insignificante, in una trama di complessi rapporti che può fare esplodere e ingigantire eventi apparentemente poco rilevanti.

Da qui la difficoltà di individuare, tra l'enorme congerie di fatti, di svolte, di processi di mutamento, quelli più pregnanti, più incisivi, quelli, come si suol dire, destinati a diventare «epocali», ad assurgere al ruolo di eventi «determinanti», capaci di modificare in modo duraturo il complessivo sistema mondiale.

La crisi delle tradizionali ideologie, delle visioni del mondo che facevano da rassicurante supporto alle nostre interpretazioni della realtà, rende sempre più difficile un orientamento coerente tra le complesse vicende del presente.

Il fluire vertiginoso degli avvenimenti, i colpi di scena improvvisi, i continui e imprevisti mutamenti nello scenario nazionale e mondiale rendono la nostra vita, secondo una metafora diffusamente adottata, simile alla situazione di spauriti e indifesi passeggeri, chiusi in un autobus che corre all'impazzata, privo di freni efficienti, da cui si può soltanto guardare a una realtà in continuo mutamento, senza poterla osservare con attenzione, senza poterla conoscere a fondo, senza poterla controllare.

Da qui la profonda incertezza sul presente e sul futuro, il senso di insicurezza, di precarietà e di impotenza di fronte al succedersi rapido degli avvenimenti.

Se è vero che ogni analisi storiografica non può che approdare a un'ipotesi interpretativa, ben lontana dall'oggettività e dalla verità storiografica auspicata in altri tempi, è però da aggiungere che, per gli sviluppi della storia contemporanea, l'interpretazione tende sempre più a diventare incerta, indeterminata, a convertirsi in una anticipazione, dettata dalle emozioni del presente e da contingenti speranze o delusioni. Il nostro essere calati nella realtà contemporanea, il nostro essere interpreti ma insieme protagonisti di questa realtà, il fatto cioè che, in fin dei conti, stiamo parlando di una nostra, anche personale, situazione esistenziale; il fatto, quindi, che stiamo trattando, oltre che del nostro presente, anche di ciò che ci attende "dietro l'angolo", che noi ignoriamo ma che cerchiamo di prevedere con un certo affanno; tutto questo rende estremamente indeterminata e ambigua la nostra analisi della realtà storica del presente, che rischia continuamente di trasformarsi in una previsione e, al limite, in una concreta proposta operativa. Questa incertezza e questo profondo disagio, tuttavia, non possono e non devono significare una rinunzia alla riflessione e all'azione; non devono esimerci, cioè, dall'impegno a ricercare nuovi strumenti di analisi e di interpretazione dei processi mondiali in atto e a individuare paradigmi e valori che ci permettano di studiare e valutare la realtà presente, di orientare le nostre scelte e di formulare credibili ipotesi su ciò che ci aspetta dietro questo misterioso «angolo». Si pensi agli effetti dirompenti, in senso positivo, della caduta dell'impero sovietico e del simbolico «muro di Berlino», o del dissolvimento del sistema politico della Jugoslavia, ma anche ai drammatici risvolti determinati dall'emergere dei nuovi nazionalismi e dai conflitti etnici indotti da questi mutamenti.

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