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FRANCHISING : DISCIPLINA EUROPEA E ITALIANA A TUTELA DELLA CONCORRENZA
1 EFFETTI DELLA NORMATIVA COMUNITARIA A TUTELA
DELLA CONCORRENZA
Anche negli USA, la patria del Franchising, la conformità delle clausole contrattuali con la disciplina antitrust, ha dato luogo a grandi dibattiti giudiziari e dottrinali. In Europa, la commissione CEE, che fino al 1986 non aveva ancora preso nessuna decisione individuale per l'applicazione delle regole di concorrenza in riferimento al Franchising, nel rispondere a diverse domande scritte, aveva espresso l'avviso secondo il quale, eventuali restrizioni alla concorrenza non devono essere regolate tenendo conto del nome che si da al contratto, ma piuttosto alla sua natura.
Si può affermare che i contratti di Franchising non sfuggono, come tali, alle norme antitrust, ma anche che non sono soggetti, per se stessi, all'art.85 del Trattato, in quanto la nozione generalmente accettata di Franchising, può abbracciare situazioni molto diverse tra loro.
Il problema che si pone, dal punto di vista della concorrenza, è di sapere se l'integrazione tra Franchisor e Franchisee, è spinta fino al punto di dar luogo ad una unità dal punto di vista economico, oppure se siamo sempre in presenza di imprese completamente autonome anche sul piano economico.1
Gli accordi di franchising possono costituire delle fattispecie negoziali che possono contenere delle clausole restrittive della concorrenza, sia a livello della normativa Nazionale che di quella Comunitaria. Le norme antitrust, dettate a livello comunitario, si riferiscono ai già menzionati artt.85 e 86 del trattato CE, i relativi regolamenti applicativi (Reg.4087/88) e le varie sentenze della Corte di Giustizia Europea su quest'argomento. Per quanto riguarda il nostro ordinamento, oltre alle disposizioni Comunitarie già viste, occorre riferirsi alla disciplina prevista dalla l.n.287/90.
Occorre prima di tutto fare riferimento ai limiti e alle condizioni d'applicazione della normativa Comunitaria, che è stata dettata per tutelare 'il commercio negli Stati membri'. Questo non significa che eventuali restrizioni alla concorrenza, che si verificano in uno Stato, non possano avere degli effetti negativi e rilevanti anche negli altri Stati e, di conseguenza, imporre l'applicazione delle regole comunitarie anche in questi ultimi. La Corte di Giustizia è intervenuta varie volte per accordi intercorrenti tra imprese aventi sede nello stesso Stato membro. 2
Dopo aver visto l'ambito d'applicazione territoriale della normativa sulla concorrenza, occorre vedere come le disposizioni degli artt. 85 e 86 del trattato, possano avere rilevanza per gli accordi di franchising. L'art. 85 vieta 'tutti gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni d'impresa e le pratiche concordate', mentre l'art.86 vieta 'lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante'. Per ricadere nell'ambito dei divieti contenuti nell'art.85, le intese devono avere 'per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del 'Mercato comune' ed inoltre devono poste in essere esclusivamente tra imprese (e questo è il caso del franchising).
Il significato di 'impedire', 'restringere' e 'falsare', è indicato semplificatamente con riferimento a:
a. fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;
Per quanto riguarda l'art.86, per parlare di sfruttamento abusivo di posizione dominante si deve fare riferimento, secondo la giurisprudenza e la dottrina comunitarie, ad un determinato ambito, inteso in senso geografico e merceologico, il c.d. revelant market.
Continuando nell'esame dell'art. 85, esso prevede al terzo comma che le intese vietate ai sensi delle disposizioni precedenti, possano essere esentate dai divieti, con un'autorizzazione che le dichiari inapplicabili nel caso in cui rispettino determinate condizioni, tra cui l'esistenza, per effetto dell'intesa, di miglioramenti della produzione, o dei sistemi distributivi, ovvero la promozione del progresso tecnico ed economico, senza per questo creare delle restrizioni che non siano indispensabili al conseguimento degli effetti positivi.
Proprio questo è avvenuto con l'emanazione del Regolamento 30 novembre 1988, n.4087/88 che riguarda gli accordi di franchising e che prevede un'esenzione collettiva di questi accordi, aventi particolari caratteristiche, che non fa scattare la normativa antitrust comunitaria.
C'è stato indubbiamente un favore, prima sociologico, ma poi economico e legislativo, che ha favorito il franchising, rispetto agli altri contratti di distribuzione, e questo trovava la sua fonte nel fatto che questa nuova tecnica era ideale per i piccoli dettaglianti, la cui unica soluzione era di chiudere bottega di fronte all'invadenza dei grandi gruppi, e di conseguenza, un'eccessiva rigidità nell'applicazione delle norme restrittive della concorrenza poteva compromettere lo sviluppo futuro di questa iniziativa.
Prima della Regolamentazione avvenuta con l'approvazione del Reg.4087/88, c'era stato il tentativo di applicazione analogica al franchising delle norme dettate per l'esenzione per categoria degli accordi di distribuzione esclusiva, oppure l'applicazione al franchising di divieti specifici che riguardano i contratti di distribuzione.3
2 LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA
SUL CASO PRONUPTIA
La sentenza della Corte di Giustizia Europea del 28 gennaio1986 sul caso Pronuptia, ha contribuito in modo determinante ad affermare la specificità e l'autonomia dei contratti di franchising, rispetto ad altri tipi di accordi sottoposti alle norme comunitarie di concorrenza, in quanto ha preceduto qualsiasi intervento amministrativo o normativo della Commissione Europea ed ha dato la spinta decisiva per la successiva formazione di una disciplina positiva della materia con il Regolamento 4087/88.
La vicenda può essere brevemente riassunta. Una nota casa Parigina di abiti da sposa Pronuptia si era estesa sul mercato tedesco attraverso dei contratti di franchising. Un franchisee, per non pagare le royalties convenute, aveva sollevato l'eccezione di incompatibilità con le regole della concorrenza CEE di alcune clausole contrattuali, precisamente: l'obbligo di non fare pubblicità, se non dietro approvazione del franchisor, gli obblighi relativi all'allestimento e all'immagine del punto di vendita ed alla sua localizzazione, l'obbligo di approvvigionamento esclusivo presso la casa madre.
La Corte nella sua sentenza dopo aver affermato che 'la compatibilità dei contratti di franchising di distribuzione con l'art.85, paragrafo uno, è funzione delle clausole contenute in questi contratti e del contesto economico nel quale s'inseriscono', crea una distinzione tra le clausole indispensabili a connaturare l'accordo come franchising (per impedire che i concorrenti si giovino del patrimonio di cognizioni e di tecnica forniti dall'affiliante, per tutelare l'identità e la reputazione della rete di distribuzione), e le altre clausole che sono considerate aggiuntive rispetto all'accordo, ma che possono venire esentate in forza delle disposizioni del successivo paragrafo n.3 dell'art.8
Senza analizzare dettagliatamente tutte le clausole che la Corte dichiara non in contrasto con il disposto dell'art.85 del Trattato CE, e delle quali abbiamo già parlato nell'analisi del contratto, come ad esempio la c.d. location clause, che impedisce al franchisee di trasferire il punto di vendita senza l'assenso preventivo del franchisor; il divieto imposto all'affiliato di trasferire i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto senza il consenso del franchisor, oppure l'obbligo del franchisee di 'vendere le merci oggetto del contratto solo in locali allestiti e decorati in base alle istruzioni del franchisor, etc..4
2.1 LE CLAUSOLE CHE NON COSTITUISCONO RESTRIZIONE
DELLA CONCORRENZA
Le clausole di un accordo di Franchising, che in base alla sentenza Pronuptia, sono considerate non in contrasto con l'Art. 85 paragrafo uno del Trattato di Roma, sono:
A. sotto il profilo della tutela della segretezza del patrimonio di conoscenze trasmesse dall'Affiliante all'Affiliato:
gli obblighi imposti dall'Affiliato di non aprire 'durante il contratto o in un periodo ragionevole dopo la scadenza dello stesso, un punto di vendita avente oggetto identico o simile, in zone nelle quali egli possa trovarsi in concorrenza con commercianti appartenenti alla rete di distribuzione';
gli obblighi imposti all'affiliato 'di non cedere il negozio senza l'accordo preventivo dell'affiliante'.
A. Sotto il profilo della tutela dell'identità e reputazione della rete distributiva creata dall'affiliante:
l'obbligo imposto all'affiliato 'di applicare i metodi commerciali elaborati dall'affiliante' e di 'avvalersi del patrimonio di cognizioni tecniche fornitogli';
l'obbligo dell'affiliato di 'vendere le merci oggetto del contratto, solo in locali allestiti e decorati in base alle istruzioni dell'affiliante', al fine di garantire 'l'aspetto uniforme di tutti i punti vendita della rete, per determinare la pronta e positiva riconoscibilità da parte della clientela';
gli obblighi imposti all'affiliato in ordine all'ubicazione del negozio (non trasferibile senza il consenso dell'affiliante), al fine di salvaguardare la 'reputazione' della rete, sotto il profilo di una collocazione che rispetti le esigenze di centralità e accessibilità della rete;
il divieto imposto all'affiliato 'di trasferire i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto, senza il consenso dell'affiliante';
l'obbligo imposto all'affiliato di vendere solo merci fornite dall'affiliante o da altri fornitori scelti dallo stesso;
la subordinazione di qualsiasi forma di pubblicità da parte dell'affiliato al consenso dell'affiliante.5
Come abbiamo già visto, l'esperienza maturata dalla Commissione Europea sulla scorta dei principi fissati dalla Corte di Giustizia CE, nel caso Pronuptia, ha trovato sbocco sistematico a livello comunitario, con l'emanazione del Regolamento di esenzione collettiva di categorie di accordi di Franchising, 30 novembre 1988 N°4087/88, che in mancanza di apporti positivi delle legislazioni nazionali europee, ha assunto anche un carattere definitorio del fenomeno Franchising.6
Sotto il profilo della normativa antitrust, che si sta esaminando, il combinato disposto dall'art.1 numeri 1e2, e del successivo art.2 del Regolamento, determina l'ambito diretto entro cui opera l'esenzione per categoria di accordi e, individua le clausole considerabili quali restrittive della concorrenza ai sensi dell'art.85 N.1 del Trattato CE, ma esentabili in forza del successivo paragrafo tre, sulla base di una valutazione automatica dei relativi requisiti.
L'esenzione riguarda, tanto i casi di Franchising diretto, quanto quelli di Master Franchising, e riguarda una serie di clausole che sostanzialmente ricalcano quelle indicate dalla Corte di Giustizia, e si riferiscono:
a. l'obbligo imposto all'affiliante, entro il territorio oggetto del contratto di Franchising, di non:
trasferire in tutto o in parte il diritto di sfruttare il Franchising;
sfruttare direttamente il Franchising, o fornire direttamente, i beni o i servizi oggetto del contratto, ricorrendo ad una formula simile;
fornire direttamente i beni dell'affiliante a terzi.
a. obbligo imposto all'affiliato principale di non stipulare accordi di Franchising con affiliati fuori dal territorio oggetto del contratto;
3 L'AMBITO DI ESENZIONE POTENZIALE: LA WHITE LIST
Dopo aver visto le clausole che ricadono nell'ambito dell'esenzione diretta, contenute negli artt.1 e 2 del Reg.4087/88, vediamo ora quelle contenute nell'art.3, che la Corte prima, e la Commissione Europea dopo, avevano riconosciuto come non restrittive della concorrenza, in quanto necessarie per tutelare la segretezza del Know-how, l'identità e il buon nome della rete.7
Tali clausole, non essendo restrittive della concorrenza, non necessiterebbero di esenzione e quindi di menzione nel suddetto Regolamento, ma vengono inserite per fornire un apporto alla determinazione delle caratteristiche più ricorrenti nei contratti di Franchising. L'elenco di queste clausole non ha natura tassativa e comprende:
vendere o usare, per la prestazione di servizi, soltanto beni che soddisfano le specifiche minime oggettive di qualità, stabilite dall'affiliante;
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