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Il sistema solare: origine




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Il sistema solare: origine


Possiamo classificare le teorie sulla genesi del sistema solare in catastrofiche e nebulari.

Le prime, oramai completamente abbandonate, ipotizzano la formazione dei pianeti attraverso l'espulsione violenta di materia solare per cause diverse. Ricordiamo ad esempio l'ipotesi del naturalista francese Buffon il quale, nel 1745, avanzò l'idea che i pianeti si fossero formati in seguito alla condensazione di uno spruzzo di materia solare generato dalla caduta di una cometa sulla superficie del sole. Teorie di questo genere vennero riprese anche nel nostro secolo. Agli inizi del '900, ad esempio, trovò un certo credito l'ipotesi che i pianeti si fossero formati per aggregazione di materia solare strappata al sole dall'attrazione gravitazionale di una stella passata casualmente nelle vicinanze (Chamberlin, Moulton, Jeans). L'ipotesi venne presto abbandonata quando divenne chiaro che le probabilità di collisione tra due stelle sono talmente basse da risultare trascurabili e che la materia solare eventualmente strappata al sole sarebbe comunque troppo calda per potersi condensare in pianeti.


Verso gli anni '40 del secolo scorso iniziò dunque a prendere definitivamente piede la teoria di una nascita del sistema solare per evoluzione di una nebulosa primordiale. Si trattava della riedizione di una vecchia ipotesi nota come teoria nebulare di Kant-Laplace

Nel 1755 Kant ipotizza che il sole ed i pianeti si siano formati per aggregazione gravitazionale (ricordiamo che la legge di gravitazione newtoniana aveva da poco dimostrato tutta la sua potenza) all'interno di una nebulosa discoidale di gas e polveri in lenta rotazione.

Nel 1796 Laplace tentò di giustificare dal punto di vista scientifico le affermazioni di Kant, cercando di dimostrare che mentre la nube primordiale si contraeva essa doveva aumentare la sua velocità di rotazione (per la conservazione del momento angolare) fino a produrre nelle sue regioni periferiche una forza centrifuga tale da permettere la separazione di anelli di materia, all'interno dei quali si sarebbero successivamente formati i pianeti.

La teoria laplaciana si affermò durante la prima metà dell'ottocento soprattutto grazie all'enorme fama ed autorità di cui godeva l'autore presso il mondo scientifico contemporaneo. Ma nella seconda metà dell'ottocento Maxwell dimostrò che l'ipotetica nube in contrazione non poteva avere velocità sufficiente per espellere anelli di materia per forza centrifuga.

La teoria nebulare non era inoltre in grado di spiegare l'attuale distribuzione del momento angolare all'interno del nostro sistema solare. Se infatti il sole ed i pianeti si sono formati per contrazione e frammentazione di una massa di gas in rotazione, il momento angolare complessivo della nebulosa si sarebbe dovuto suddividere proporzionalmente alle masse dei diversi componenti del sistema solare. Così ci si dovrebbe attendere che la maggior parte del momento angolare si trovi concentrato nel sole il quale possiede il 99,9% della massa del sistema solare. In realtà il sole contribuisce solo per il 2% al momento angolare complessivo, mentre il rimanente 98% è concentrato nei pianeti.


Nel 1943 Carl von Weizsäcker ripropone la teoria nebulare di Kant-Laplace integrando e rendendo più solida l'ipotesi originaria. La teoria nebulare, nella formulazione odierna, può essere così riassunta.

La nebulosa primordiale, costituita prevalentemente di idrogeno, elio e piccolissime quantità di elementi pesanti aggregati in granuli microscopici, si trovava in lenta rotazione intorno ad un asse. Il moto di rotazione costrinse il materiale in fase di collasso a distribuirsi su di un disco appiattito, rigonfio al centro. E' infatti facile verificare che mentre la forza gravitazionale ha la stessa intensità in tutti i punti periferici della nebulosa equidistanti dal suo centro, la forza centrifuga risulta maggiore per il materiale più distante dall'asse di rotazione. La composizione di tali forze produsse quindi una risultante diretta non verso il centro della nebulosa, ma verso il suo piano equatoriale.

Possiamo inoltre facilmente convincerci che durante tale processo di sedimentazione sul piano equatoriale, il materiale che si trovava nelle adiacenze dell'asse di rotazione era in quantità maggiore rispetto a quello che si trovava a maggiori distanze da esso. Ciò spiega la formazione della massiccia protuberanza centrale destinata a formare il protosole


Nelle fasi iniziali il protosole era ancora instabile ed emetteva enormi quantità di materia sotto forma di un intenso vento solare. E' lo stadio T-Tauri (dal nome della giovane stella variabile nella costellazione del Toro, in cui per la prima volta venne rilevato tale fenomeno), attraverso il quale il sole avrebbe allontanato dalla zona più interna del disco nebulare gran parte dei gas più leggeri e si sarebbe alleggerito di una frazione notevole della sua massa.

L'introduzione dello stadio T-Tauri nel modello nebulare permette di giustificare l'anomala distribuzione osservata del momento angolare. Perdendo massa il sole diminuisce infatti anche il suo momento angolare.

Nelle regioni adiacenti al protosole poterono accumularsi solo gli elementi più pesanti, in grado di non evaporare e di non essere spazzati via dal vento solare. Essi precipitarono sul piano del disco fornendo il materiale col quale si formarono poi i pianeti interni. I composti più leggeri, come l'elio, l'idrogeno, l'acqua, l'ammoniaca ed il metano si accumularono invece nella parte più esterna del disco nebulare, più lontana dal protosole e quindi più fredda, diventando il materiale da cui si formarono in seguito i pianeti gioviani e i corpi cometari.

A poco a poco le particelle iniziarono ad aggregarsi all'interno del disco nebulare, creando agglomerati di dimensioni maggiori, detti planetesimi, che divennero centri di attrazione gravitazionale per i frammenti più piccoli. Ogni planetesimo spazzava così lo spazio intorno a sé, accrescendosi a spese del materiale intercettato, in modo analogo a quanto fa una valanga.

Non tutti i planetesimi erano destinati a diventare pianeti. Negli urti reciproci alcuni si disgregarono ritornando a formare materiale meteorico di piccole dimensioni, mentre altri prevalsero definitivamente diventando i protopianeti.

Le differenze di dimensioni tra Giove e Saturno, da una parte, ed Urano e Nettuno, dall'altra, possono essere interpretate sulla base della diversa velocità orbitale. Urano e Nettuno più distanti dal sole e quindi più lenti furono meno efficienti di Giove e Saturno nel catturare il materiale nebulare.

La grande massa acquisita da Giove divenne infine causa di disturbi gravitazionali così elevati da impedire l'ulteriore accrescimento di altri pianeti nelle immediate vicinanze. Si spiega in tal modo la presenza della fascia degli asteroidi tra Marte e Giove.

I residui della nebulosa troppo lenti e distanti per aggregarsi in pianeti rimasero a ruotare ai bordi del sistema solare andando a formare la nube di Oort


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