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Appunti scientifiche |
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Anche se il termine 'materia oscura' può sembrare misterioso, è semplicemente il termine che fisici, astrofisici e cosmologi danno alla materia che non emette luce visibile, onde radio, raggi X, raggi gamma o altre radiazioni elettromagnetiche . Materia oscura ed energia oscura sono due componenti fondamentali dell'universo, tanto da ritenerle le sue maggiori componenti. La prima è entrata nel contesto cosmologico da alcune decine di anni in seguito a tutta una serie di osservazioni astronomiche che ne indicavano l'esistenza, della seconda se ne parla solo da qualche anno ma il suo ruolo risulta essere determinante nell'economia cosmica. La materia oscura è una entità invisibile, la cui presenza viene dedotta dagli effetti gravitazionali che essa induce su oggetti che emettono luce e che pertanto possono essere osservati con i telescopi.
Le prime
evidenze della presenza nell'Universo di materia che non possiamo
osservare, risalgono a studi effettuati negli anni trenta, riguardanti ammassi
di galassie, cioè aggregati di molte galassie separati da grandi spazi
vuoti.
Zwicky, nel 1933, e Smith, nel 1936, studiando grandi ammassi di
galassie (rispettivamente quello della Chioma di Berenice e quello della
Vergine), osservarono che le velocità di rotazione delle galassie erano molto
superiori a quelle previste per un sistema gravitazionalmente legato la cui
massa fosse solamente quella delle galassie visibili. Essi conclusero che le
galassie nell'ammasso dovevano essere tenute insieme da effetti gravitazionali
dovuti ad una gran quantità di materia invisibile, che essi chiamarono
'materia mancante'. Oggi questo termine è in disuso e si preferisce
parlare di materia oscura, cioè non osservabile tramite la luce emessa.
Fu solo negli anni '70, con la maggiore affidabilità dei dati sperimentali, il maggior numero di galassie campionate e in particolare sulla base di studi dettagliati del moto delle stelle nelle galassie, che la comunità scientifica fu costretta a prendere atto del problema della materia oscura.
N.B. Va sottolineato che tutte le analisi astrofisiche citate presuppongono la validità della legge della gravitazione universale anche a distanze molto grandi. Se la dipendenza della forza gravitazionale dalla distanza R fosse diversa dalla forma 1/R2, molte delle conclusioni sulla materia oscura dovrebbero essere riviste.
Sono molte le prove sperimentali a favore dell'esistenza nell'Universo di materia oscura.
Velocità tangenziale delle stelle attorno al centro della galassia M33 in funzione della distanza dal centro. I punti con le barre di errore sono le misure sperimentali; sui punti è riportata la curva che meglio riproduce la dipendenza dalla velocità. La linea tratteggiata rappresenta la decrescita della velocità che ci si aspetta per le relativamente poche stelle che si trovano a distanze superiori alla dimensione media della galassia. Per maggiore chiarezza, l'immagine ottica della galassia è stata sovrapposta al grafico.
Moto delle galassie nei grandi ammassi. Gli ammassi di galassie sono raggruppamenti di galassie e le velocità con cui le singole galassie si muovono in un ammasso si possono determinare con l'effetto Doppler. Lo spostamento verso il rosso complessivo dell'ammasso è causato dall'espansione dell'universo, ma le singole galassie presentano spostamenti verso il rosso leggermente diversi, poiché i loro moti individuali si aggiungono ( o sottraggono) allo spostamenti verso il rosso cosmologico. Da questi studi risulta che all'interno degli ammassi le galassie si muovono spesso troppo rapidamente per poter essere trattenute in essi dalla gravità del materiale accessibile alla nostra osservazione. Poiché le galassie vengono trattenute efficacemente negli ammassi, altrimenti questi non esisterebbero, dev'essere presente in essi altra materia, non osservabile direttamente, e in una quantità 10 volte maggiore di quella contenuta nelle galassie stesse, compresa la componente oscura delle galassie.
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Immagine a raggi X
presa dal satellite ROSAT
sovrapposta ad una fotografia di un gruppo di galassie. L'immagine mostra, in
falso colore rosa, una gigantesca nube di gas 'caldo' che emette una debole
quantità di raggi X. La presenza di questo gas fa supporre una forte
attrazione gravitazionale in grado di mantenerlo confinato; la sola
massa delle galassie visibili non sarebbe sufficiente. Deve quindi essere
materia oscura diffusa fra le galassie di un ammasso. |
Quando la lente gravitazionale è costituita da una galassia o un ammasso di galassie, l'immagine della sorgente è rispettivamente formata da due o più oggetti 'puntiformi' oppure da grandi archi luminosi . Dalla misura dell'angolo di curvatura della luce o del grado di distorsione dell'imagine, si può stimare la massa della lente (deflector). Nella maggior parte dei casi si è trovato che questa massa è molto maggiore di quella associata alla materia visibile.
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Immagine sdoppiata per effetto di lente
gravitazionale. La foto presa dal Telescopio
Spaziale Hubble (HST 14164+5215) mostra, al centro, la galassia
'lente' posta tra la terra e la sorgente. |
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L'ammasso di galassie Abell 2218. Questo ammasso è così denso e compatto che la luce proveniente da oggetti molto lontani situati oltre l'ammasso lungo la direzione di osservazione viene amplificata e distorta sotto forma di archi luminosi. (Credits: NASA, Andrew Fruchter and the ERO Team [Sylvia Baggett (STScI), Richard Hook (ST-ECF), Zoltan Levay (STScI)] (STScI |
La
deviazione della luce di una galassia distante intorno ad un oggetto massivo.
Le frecce arancioni indicano la posizione apparente della galassia distante. Le
frecce bianche il reale percorso della luce
MACHO è un acronimo che sta per MAssive Compact Halo Object, ossia oggetto massivo compatto di alone. Esso viene utilizzato per indicare oggetti astronomici che potrebbero rappresentare una parte importante della materia oscura presente nell'alone galattico. Per questo motivo, la categoria dei MACHOs non comprende solo gli oggetti compatti propriamente detti (nane bianche, stelle di neutroni e buchi neri) ma anche pianeti e nane brune, che come i primi sono caratterizzati da un rapporto massa/luminosità molto più elevato di quello delle stelle normali (e sono quindi molto meno luminosi). D'altra parte, un oggetto di una di queste classi che non faccia parte dell'alone non è un MACHO (ad es., i pianeti del Sistema solare non sono dei MACHOs).
Quando la lente è costituita da un MACHO (si parla di microlente), la separazione angolare delle immagini generate è troppo piccola per permettere di vedere lo sdoppiamento. Tuttavia se la sorgente è fissa e la lente è in movimento rispetto alla stella si osservano apparenti variazioni di luminosità nella luce emessa dalla stella sorgente: la luminositá è massima quando sorgente, lente e osservatore sono sulla stessa retta; la luminositá è minore (ed è quella vera) quando la lente si è spostata dalla posizione di allineamento. Misurando di quanto è stata amplificata la luce della sorgente, si è riusciti a 'pesare' l'oggetto non visibile che genera la lente gravitazionale.
Rappresentazione
pittorica di lente gravitazionale prodotta da un MACHO.
(Credit: Davide Centomo, Dip. di Fisica Università di
Bologna)
In particolare sono state analizzate sistematicamente le variazioni luminose delle stelle nella Grande Nube di Magellano, una piccola galassia satellite della nostra Via Lattea. In alcuni casi sono state osservate delle variazioni luminose delle stelle, interpretate come dovute a lenti costituite da oggetti invisibili aventi masse come quelle di grandi pianeti, che muovendosi al bordo della nostra galassia intercettano la luce di alcune stelle. Sono stati individuati un certo numero di questi corpi, ma il loro numero e massa danno solo un piccolo contributo alla materia oscura.
Le lenti gravitazionali permettono di ottenere informazioni sulla presenza di materia non visibile localizzata in posti specifici, come grandi pianeti, buchi neri, galassie. Questa materia oscura dovrebbe essere dello stesso tipo di quella visibile (materia ordinaria, materia barionica).
Il Telescopio
Spaziale Hubble ha mostrato che nel cielo, in una dimensione
angolare pari a quella sotto cui è vista la luna, vi sono milioni di galassie.
Da molte misure di questo tipo si riesce a stimare che nell'Universo vi siano
circa 100 miliardi di galassie e che ciascuna di esse sia in media composta di
circa 100 miliardi di stelle!
Questa enorme quantità di materia è in realtà poca cosa quando la si confronta
con la materia
oscura, sia essa materia oscura 'ordinaria'
oppure 'esotica'.
L'ammontare nell'Universo di materia
ordinaria o barionica (cioè costituita di protoni e neutroni), sia
visibile che oscura, può essere stimata sulla base della quantità
relativa di deuterio
e di elio presente oggi e presente circa tre minuti dopo il Big Bang.
Se allora vi fosse stata molta materia barionica, le collisioni fra nucleoni
prima, e fra nuclei
poi, sarebbero state molto probabili nei primi attimi dell'Universo e la
frazione di deuterio dovrebbe essere ora molto piccola perché i nuclei di
deuterio danno luogo ad elio; se invece la materia barionica fosse poca, allora
la quantità di deuterio dovrebbe essere relativamente più abbondante.
Dalle misure più recenti delle attuali quantità relative di deuterio e di elio,
si deduce che la materia barionica presente nell'Universo sia circa solo un
settimo di quella necessaria per tenere legate le stelle nelle galassie e le
galassie negli ammassi. Con metodi indiretti gli astrofisici hanno inoltre
stimato che la materia barionica che non emette luce visibile sia circa 9 volte
quella che emette luce visibile.
Di cosa è composta? Si tratta di enormi nubi di gas nei grandi ammassi
di galassie, di ' buchi neri
' provenienti dal collasso di stelle e anche di buchi neri massicci al
centro delle galassie , di stelle 'morte' ( nane bianche,
stelle di
neutroni, ), di oggetti di dimensioni planetarie, indicati con il
nome generico di MACHO
(MAssive Compact Halo Objects), ecc..
Ci sono due modi in cui la materia barionica presente nella nostra galassia potrebbe essere oscura. Le stelle risplendono a causa delle reazioni di fusione nucleare che hanno luogo nel loro interno, per mezzo delle quali convertono elementi leggeri ( di norma idrogeno) in elementi più pesanti (per lo più elio) con liberazione di energia.queste reazioni di fusioni possono però essere innescate solo se la massa della stella è abbastanza grande da poter comprimere l'idrogeno nella sua regione centrale con una forza tale da superare la tendenza dei nuclei atomici, di carica elettrica positiva, a respingersi reciprocamente.
La massa critica per la formazione di una stella è compresa fra la massa del Sole e la massa di Giove, il massimo pianeta del sistema solare, con una massa pari a solo 1/1047 di quella del sole. Un oggetto di massa inferiore all'8% della massa solare (ossia di massa 84 volte maggiore di quella di Giove) può ancora riscaldarsi, contrarsi per effetto della gravità, ma non diventerà mai abbastanza caldo da innescare la combustione nucleare. Esso diventerebbe una nana bruna, con una temperatura alla superficie che non salirà mai sopra i 2000K e una luminosità che non supererà mai un milionesimo della luminosità solare. Dopo di che sarebbe condannato ad un totale oblio, diventando una nana nera.
La seconda
possibilità è più spettacolare ma meno plausibile. Alcuni astronomi hanno sostenuto
che, quando
Ma cosa si può dire del materiale non barionico richiesto per mantenere le coesione degli ammassi e per rendere piatto lo spazio-tempo?
Questo materiale viene indicato collettivamente con un'altra sigla, WIMP, formata con le iniziali di Weakly Interacting Massive Particles, ossia particelle dotate di massa debolmente interagenti. Ciò significa che questo è un tipo di particella che ha massa, e perciò interagisce attraverso la gravità, avendo altrimenti solo un'interazione debole con la comune materia barionica. Le WIMP si presentano in due varietà (ipotetiche). La materia oscura FREDDA è costituita da particelle che emergono dal big bang viaggiando a una velocità molto inferiore a quella della luce.
La materia oscura CALDA è costituita dalle ipotetiche WIMP che emergono da big bang viaggiando a velocità prossime a quelle della luce. Fatto molto interessante, le grandi Teorie Unificate richiedono l'esistenza di particelle non ancora scoperte, e ammettono la possibilità di entrambi i tipi di WIMP.
Così sia la cosmologia, sia la fisica delle particelle suggeriscono ai fisici che dovrebbe esistere la materia oscura, sotto forma della WIMP.
Se il grosso della materia nell'universo è sotto forma di WIMP, queste devono avere esercitato un'influenza profonda sul modo in cui si formano le galassie quando l'universo quando era giovane. Le particelle della materia oscura tendono ad aggregarsi insieme e a produrre "buche gravitazionali", le quali attraggono con la loro gravità il materiale barionico (idrogeno ed elio). Se l'universo fu dominato dalla materia oscura fredda, le galassie crebbero dal "basso verso l'alto", partendo da piccole contrazioni di materia che andarono crescendo gradualmente al passare del tempo.
Le particelle veloci della materia oscura calda, invece, dovettero avere la tendenza a dissolvere qualsiasi nube di gas che cominciasse a formarsi nell'universo primordiale, con un effetto distruttivo simile a quello di una palla di cannone sparata contro un muro di mattoni. A mano a mano che la materia oscura calda andò raffreddandosi e rallentando il suo moto, la materia barionica poté distendersi in tutto l'universo in grandi strutture relativamente sottili, le quali poi si ruppero in conseguenza dell'instabilità gravitazionale, formando frammenti di galassie, in un processo che potremmo definire "dall'alto verso il basso".
Nessuno di questi due modelli semplici dà risultati esattamente concordanti con la distribuzione reale delle galassie in cielo. Ma combinando gli studi sul modo in cui le galassie sono oggi raggruppate in ammassi con le increspature nella radiazione di fondo osservate dal satellite COBE, le quali indicano il tipo di irregolarità esistenti quando l'universo era giovane, diventa possibile ipotizzare che avrebbe potuto formare la distribuzione della materia che noi vediamo oggi nell'universo uscito dal big bang: un miscuglio formato per due terzi circa da materia oscura fredda, per un terzo da materia oscura calda e solo l'1% da barioni. Questo è il modello della materia oscura mista. Ciò significa che due terzi della massa dell'universo sarebbero nella forma di particelle che non sono mai state rivelate, pur essendo richieste dalla teoria delle particelle. Esse hanno nomi come assioni e gravitini, e oggi si stanno facendo sforzi per trovare questo WIMP della materia oscura fredda in esperimenti di laboratorio.
Fino ad un
terzo della massa dell'universo potrebbe ancora essere sotto forma di
particelle della materia oscura calda, e c'è un candidato noto per questo
ruolo: il neutrino. Anche se in
origine si suppose che il neutrino avesse massa nulla, fino all'inizio del 1995
gli esperimenti di laboratorio fissarono solo un limite superiore alla sua
massa:20 elettronvolt. Questa è una massa risibilmente piccola anche se
paragonata alla massa di un protone, di circa 1miliardo di eV, ma nell'universo
c'è un numero sterminato di neutrini, circa un miliardo per ogni barione.
Perciò la massa che il neutrino dovrebbe avere per poter assolvere per poter
assolvere il ruolo della materia oscura calda nel modello della materia oscura
mista sarebbe di solo 5-7 eV, un valore seducentemente vicino a quello fissato
dagli esperimenti. La maggior parte delle discussioni sui neutrini si concentra
su una varietà, i cosiddetti neutrini
elettronici,che si produce nelle reazioni nucleari implicanti neutroni.
Questi sono i neutrini che, secondo la teoria, sarebbero prodotti in grandi quantità
all'interno del Sole e che sciamerebbero nello spazio investendo e superando
Questo passaggio dei neutrini da una varietà a un'altra può verificarsi solo se essi hanno una massa molto piccola. Questa era una buona notizia per i cosmologi, e le tesi recenti che i neutrini abbiano una massa si concentrò in origine sulla possibilità che un tipo di neutrino possa avere una massa di circa 5 eV, un centomillesimo della massa dell'elettrone. Questa è esattamente quella necessaria per fornire il 20% di materia oscura calda richiesto dai cosmologi. Ma alcuni cosmologi suggerirono che, per spiegare le quantità osservate dei neutrini che arrivano sulla Terra dallo spazio, sia necessario ammettere che almeno due delle varietà di neutrino abbiano quasi la stessa massa. Questo fatto favorirebbe le oscillazioni che fanno passare i neutrini da una varietà all'altra. Ci sono due possibilità in accordo con le osservazioni dei neutrini solari. O tutt'e tre le varietà dei neutrini hanno la stessa massa , oppure hanno la stessa massa i neutrini muonico e tauonico, mentre il neutrino elettronico sarebbe molto più leggero e associato ad un cosiddetto neutrino "sterile", che non svolge alcun ruolo in reazioni nucleari. Secondo loro la determinazione della massa del neutrino all'inizio del 1995 si fondò su dati sperimentali che possono essere spiegati dalla seconda possibilità ma non dalla prima. Ciò significa che la materia oscura calda dell'universo sarebbe fornita non da un tipo di neutrino di massa 5 eV, ma da due tipi, ognuno di massa 2,4 eV circa. E la ciliegina sulla torta consisterebbe nel fatto che, quando le simulazioni del modo di crescere delle galassie vengono compiute con il 20% di materia oscura calda nella forma di una quantità doppia di particelle di massa pari a metà di quella ipotizzata, si ottiene una corrispondenza con l'universo reale ancora migliore di quando l'intera massa del neutrino viene attribuita a una sola varietà di quella particella.
Di qui a pochi anni si dovrebbe essere in grado di misurare direttamente le masse dei neutrini. Se e quandi gli sperimentatori le misureranno, e se risulterà che la loro somma dà circa 5 eV, questi sarà il massimo trionfo della teoria cosmologica completa fondata sull'inflazione, sul big bang e sulla materia oscura. I cosmologi saranno riusciti allora a predire la massa della particella più leggera che si conosca - a parte le particelle prive di massa come il fotone- ancora prima che i fisici fossero in grado di misurarla.
Un parametro che permette di discriminare fra le possibili forme geometriche dell'Universo e di stabilire il destino ultimo dell'Universo, è la densità media di materia presente nell'Universo.
Omega >1 Omega =1 Omega <1
Si introduce il parametro Omega uguale al rapporto tra la densità dell'Universo e un valore specifico chiamato densità critica. Se Omega > 1, lo spazio ha una geometria sferica e l'Universo si espanderà per poi richiudersi su se stesso. Esso viene detto Universo chiuso. Se Omega = 1, lo spazio è euclideo, la sua geometria è piatta e l'Universo si espanderà per sempre. Se Omega < 1 l'Universo è detto aperto, si espanderà per sempre e la sua geometria è iperbolica. Diventa quindi estremamente importante valutare la massa totale dell'Universo e discriminare fra le varie forme del Cosmo e il suo possibile futuro.
Modelli cosmologici inflazionari predicono un valore del parametro Omega uguale ad 1 e un Universo piatto. Poiché dalla quantità di materia visibile si deduce un valore di Omega di 0.005, ne deriva che la materia oscura dovrebbe essere il 99.5% della massa dell'Universo. Ma è possibile verificare se la densità di materia corrisponde effettivamente alla densità critica come previsto dalla teoria dell'inflazione?
La quantità di materia totale richiesta per tenere legate le stelle nelle galassie e le galassie in grandi superammassi, è stimata essere circa il 28% di quella necessaria per ottenere un Universo a geometria euclidea. Si ritiene inoltre che essa sia così suddivisa:
Materia barionica visibile |
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Materia barionica invisibile |
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Neutrini |
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Materia non barionica (es. neutralini) |
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D'altra parte alcuni studi (il più recente
è quello dell'esperimento WMAP) hanno mostrato che le piccole fluttuazioni in
temperatura della radiazione
cosmica di fondo a microonde hanno le caratteristiche aspettate nel
caso di un Universo con densità energetica uguale a quella critica.
Stiamo vivendo in un Universo piuttosto strano! L'idea che l'Universo visibile
è costituito da solo il mezzo percento di tutto quello che c'è, è difficile da
digerire.
Che cosa è allora il restante 72% di
'densità' che non ha a che fare né con la materia luminosa, né con
quella oscura? Ne parlò in inglese al
punto successivo.
Carl Sagan aveva ragione quando diceva che siamo formati di stelle, ma gli
astrofisici ora ci dicono che l'Universo non lo è!
La figura mostra le
fluttuazioni in temperatura della radiazione cosmica di fondo rivelata
dall'esperimento WMAP
(Wilkinson Microwave Anisotropy Probe). Queste fluttuazioni sono molto
piccole: deviazioni di 1/1.000.000 dal valore della temperatura media (~ 2.73
oK). Nell'immagine in falsi colori, le zone rosse indicano le zone
più calde e quelle blu, le zone più fredde rispetto al valor medio. Si tratta
di una proiezione su una mappa ovale della distribuzione della radiazione
elettromagnetica nella regione delle microonde
dell'intero cielo e ci mostra come era l'Universo a 379.000 dopo il Big Bang.
Le piccole fluttuazioni hanno poi dato origine a galassie, ammassi di
galassie, ecc. |
It is an irony of nature that the most abundant form of energy in the universe is also the most mysterious. Since the breakthrough discovery that the cosmic expansion is accelerating, a consistent picture has emerged indicating that two-thirds of the cosmos is made of 'dark energy' - some sort of gravitationally repulsive material.
In 1988, observation of type Ia supernovae ("one-A") by two teams of astronomers suggested that the expansion of universe is accelereting.
The type Ia supernovae provide the most direct evidence for dark energy. Measuring the scale factor at the time that light was emitted from an object is accomplished easily by measuring the redshift of the receding object. Finding the distance to an object is a more difficult problem, however. It is necessary to find standard candles: objects for which the actual brightness, what astronomers call the absolute magnitude, is known, so that it is possible to relate the observed brightness, or apparent magnitude, to the distance. Without standard candles, it is impossible to measure the redshift-distance relation of Hubble's law. Type Ia supernovae are the best known standard candles for cosmological observation because they are very bright and thus visible across billions of light years. The consistency in absolute magnitude for type Ia supernovae is explained by the favored model of an old white dwarf star which gains mass from a companion star and grows until it reaches the precisely defined Chandrasekhar limit. At this mass, the white dwarf is unstable to thermonuclear runaway and explodes as a type Ia supernova with a characteristic brightness. The observed brightness of the supernovae are plotted against their redshifts, and this is used to measure the expansion history of the universe. These observations indicate that the expansion of the universe is not decelerating, which would be expected for a matter-dominated universe, but rather is mysteriously accelerating. These observations are explained by postulating a kind of energy with negative pressure: dark energy.
The existence of dark energy, in whatever form, is needed to reconcile the measured geometry of space with the total amount of matter in the universe. Measurements of the cosmic microwave background (CMB), most recently by the WMAP satellite, indicate that the universe is very close to flat. For the shape of the universe to be flat, the mass/energy density of the Universe must be equal to a certain critical density. The total amount of matter in the Universe (including baryons and dark matter), as measured by the CMB, accounts for only about 30% of the critical density. This implies the existence of an additional form of energy to account for the remaining 70%.
The most recent WMAP observations are consistent with a Universe made up of 74% dark energy, 22% dark matter, and 4% ordinary matter.
The exact nature of this dark energy is a matter of speculation.
The simplest explanation for dark energy is that it is simply the 'cost of having space': that is, a volume of space has some intrinsic, fundamental energy. This is the cosmological constant, sometimes called Lambda (hence Lambda-CDM model). Since energy and mass are related by E = mc2, Einstein's theory of general relativity predicts that it will have a gravitational effect. It is sometimes called a vacuum energy because it is the energy density of empty vacuum. In fact, most theories of particle physics predict vacuum fluctuations that would give the vacuum exactly this sort of energy. The cosmological constant is estimated by cosmologists to be on the order of 10−29g/cm3, or about 10−120 in reduced Planck units.
The cosmological constant has negative pressure equal to its energy density and so causes the expansion of the universe to accelerate (see equation of state (cosmology)). The reason why a cosmological constant has negative pressure can be seen from classical thermodynamics; Energy must be lost from inside a container to do work on the container. A change in volume dV requires work done equal to a change of energy −p dV, where p is the pressure. But the amount of energy in a box of vacuum energy actually increases when the volume increases (dV is positive), because the energy is equal to ρV, where ρ (rho) is the energy density of the cosmological constant. Therefore, p is negative and, in fact, p = −ρ.
In spite of some doubts of cosmologists, the cosmological constant is in many respects the most economical solution to the problem of cosmic acceleration. One number successfully explains a multitude of observations. Thus, the current standard model of cosmology, the Lambda-CDM model, includes the cosmological constant as an essential feature.
Cosmologists estimate that the acceleration began roughly 5 billion years ago. Before that, it is thought that the expansion was decelerating, due to the attractive influence of dark matter and baryons. The density of dark matter in an expanding universe disappears more quickly than dark energy, and eventually the dark energy dominates. Specifically, when the volume of the universe doubles, the density of dark matter is halved but the density of dark energy is nearly unchanged (it is exactly constant in the case of a cosmological constant).
If the acceleration continues indefinitely, the ultimate result will be that galaxies outside the local supercluster will move beyond the cosmic horizon: they will no longer be visible, because their line-of-sight velocity becomes greater than the speed of light. This is not a violation of special relativity, and the effect cannot be used to send a signal between them. Rather, it prevents any communication between them and the objects pass out of contact. The Earth, the Milky Way and the Virgo supercluster, however, would remain virtually undisturbed while the rest of the universe recedes. In this scenario, the local supercluster would ultimately suffer heat death, just as was thought for the flat, matter-dominated universe, before measurements of cosmic acceleration.
There are some very speculative ideas about the future of the universe. One suggests that phantom energy causes divergent expansion, which would imply that the effective force of dark energy continues growing until it dominates all other forces in the universe. Under this scenario, dark energy would ultimately tear apart all gravitationally bound structures, including galaxies and solar systems, and eventually overcome the electrical and nuclear forces to tear apart atoms themselves, ending the universe in a 'Big Rip'. On the other hand, dark energy might dissipate with time, or even become attractive. Such uncertainties leave open the possibility that gravity might yet rule the day and lead to a universe that contracts in on itself in a 'Big Crunch'. Some scenarios, such as the cyclic model suggest this could be the case. While these ideas are not supported by observations, they are not ruled out. Measurements of acceleration are crucial to determining the ultimate fate of the universe in big bang theory.
"La conoscenza della ragione arriva solo fino ai fenomeni, lasciando senz'altro che la cosa in sé sia per se stessa reale, ma sconosciuta."
(Immanuel Kant- Critica della Ragion Pura, B XX, p. 46)
Immanuel Kant
Critica della Ragion Pura
Kant è stato
definito un "Giano bifronte": è una grande personalità che vive a cavallo tra
la civiltà del- l'Illuminismo e quella del Romanticismo. Si può considerare il
più conseguente degli illuministi, ma nello stesso tempo apre le prospettive
dell'età successiva. Kant, dunque, filosofo dal duplice aspetto. Qual era la
caratteristica dell'Illuminismo che Kant riprende ed esalta? La fiducia nella
razionalità. Kant porta questa fiducia all'estremo, nel senso che la ragione,
dopo avere giudicato con l'Illuminismo la storia, la religione, l'autorità
della tradizione, i miti, le credenze dei popoli, adesso sottopone anche se
stessa a giudizio.
"Criticismo" significa bilancio critico delle facoltà conoscitive umane. Col
criticismo kantiano l'Illuminismo raggiunge il suo culmine e viene superato. Il
conoscere, dice Kant, è giudicare: si ha una conoscenza quando si collega un
soggetto con un predicato. Il giudizio è appunto unione di un soggetto con un
predicato. La conoscenza scientifica consiste in una concatenazione di termini.
La più elementare concatenazione di termini è il giudizio. Kant, analizzando
come funzionano i giudizi nell'empirismo e nel razionalismo, ne riesce a
mettere in rilievo la debolezza. L'empirismo, col suo metodo induttivo, cioè col metodo che va dal particolare
all'universale, e si fonda sui sensi, dava luogo a giudizi sintetici a posteriori. Il giudizio è sintetico perché unisce due
termini non necessariamente collegati fra loro, ed è a posteriori perché lo posso enunciare soltanto dopo che l'ho verificato con i sensi.
Questo tipo di giudizio presenta un vantaggio: è produttivo di vera conoscenza in quanto il predicato mi dice
qualche cosa di nuovo rispetto al soggetto, mi dà una conoscenza in più
rispetto al soggetto. A fronte di questo vantaggio c'è però un elemento
negativo: questo tipo di giudizio non riesce mai a pervenire all'universalità e
alla necessità della scienza, in quanto è fondato sui sensi. I sensi sono
sempre stati considerati in filosofia come qualche cosa di soggettivo nel senso
negativo del termine, cioè di variabile da individuo a individuo. Questi
giudizi, essendo fondati sui sensi, sono soggettivi, e quindi non possono
aspirare alla universalità e alla necessità indispensabili per la scienza. Per
riepilogare: i giudizi sintetici a
posteriori hanno il vantaggio di essere produttivi, di ampliare la
conoscenza, ma presentano lo svantaggio di non raggiungere l'universalità e la
necessità.
Dall'altra parte il razionalismo, con il suo metodo deduttivo, per cui si parte
da affermazioni universali e si cerca di arrivare a conoscenze più particolari,
si fonda su giudizi analitici a priori. Questo giudizio è tipico del razionalismo.
Perché è un giudizio analitico a priori? È analitico
in quanto analizzando - anche analizzare
viene dal greco e significa "sciogliere nelle componenti" è un giudizio analitico in quanto analizzando il
soggetto ritrovo il predicato, ed è a
priori perché non ho bisogno di verificare con i sensi. Il giudizio
razionalistico presenta quindi questo vantaggio: è un giudizio assolutamente necessario. Visto che nel predicato non
faccio altro che ripetere quello che è già presente nel soggetto, sono sicuro
della verità, dell'assoluta necessità di quanto sto affermando. Conseguito però
il vantaggio della necessità non mi ritrovo più quello della produttività,
della estensione delle mie conoscenze. Il giudizio analitico è sterile, non è
produttivo. I giudizi analitici a priori sono necessari, sono universali -
devono essere riconosciuti da tutti - ma non ci danno nuove conoscenze. La
scienza però tende a un accrescimento continuo di conoscenze. Anche il giudizio
razionalistico quindi non serve ai fini scientifici.
Ora, Kant sostiene che esistono giudizi che sono sintetici e a priori insieme: riesce a unificare gli
aspetti positivi del giudizio dell'empirismo e di quello del razionalismo
identificando i giudizi sintetici a priori, i quali presentano tutti i vantaggi
del giudizio empirico e di quello razionalistico senza averne gli svantaggi. I
giudizi di Kant sono sintetici, quindi produttivi
di conoscenza, ampliano il sapere, ma, nello stesso tempo, essendo a priori,
sono universali e necessari, quindi rispondono al canone
scientifico dell'assolutezza e della necessità. Essi, quindi, raccolgono tutti
gli aspetti positivi e respingono gli aspetti negativi dei tipi di giudizi
dell'empirismo e del razionalismo.
EMPIRISMO |
RAZIONALISMO |
KANT: giudizi sintetici a priori (estensivi della conoscenza, universali) |
Kant scrive: «In tutti
i giudizi, in cui è pensato il rapporto di un soggetto col predicato, questo
rapporto è possibile in due modi. O il predicato B appartiene al soggetto A
come qualcosa che è contenuto (implicitamente) in questo concetto A; o B è del
tutto fuori del concetto A, sebbene in connessione con esso. Nel primo caso
chiamo il giudizio analitico, nel secondo sintetico. I giudizi analitici sono a
priori. Infatti sarebbe assurdo fondare sull'esperienza un giudizio analitico,
poiché io non ho affatto bisogno di uscire dal mio concetto per formare il
giudizio, e di ricorrere quindi ad alcuna testimonianza dell'esperienza. Che un
corpo sia esteso, è una proposizione che vale a priori, e non è un giudizio
d'esperienza. Infatti, prima di rivolgermi all'esperienza, io ho tutte le
condizioni del mio giudizio già nel concetto, dal quale posso trarre il
predicato in virtù del principio di contraddizione, e acquistare nel tempo
stesso coscienza della necessità del giudizio, che l'esperienza non potrebbe
mai insegnarmi. Al contrario, nel
concetto di corpo in generale io non includo il predicato della
pesantezza: ma poiché quel concetto
rappresenta pure un oggetto dell'esperienza mediante una parte di essa, io
posso aggiungere a questa ancora altre parti della stessa esperienza, come
appartenenti a quel concetto». «Posso
prima conoscere il concetto di corpo analiticamente mediante le note
dell'estensione, dell'impenetrabilità, della forma, ecc. [cioè le note, le
caratteristiche intrinseche al concetto di corpo] che sono tutte pensate in questo concetto [sono già intrinseche]. Ma poi estendo la mia conoscenza, e
rivolgendomi di nuovo all'esperienza, dalla quale ho tratto il concetto di
corpo, trovo costantemente collegata con le note precedenti anche quella della
pesantezza, e l'aggiungo quindi sinteticamente, come predicato, a quel
concetto. Sull'esperienza dunque si fonda la possibilità della sintesi del
predicato della pesantezza col concetto del corpo, perché i due concetti,
sebbene l'uno non sia contenuto nell'altro, tuttavia, come parti di un medesimo
tutto, cioè dell'esperienza, che è essa stessa una connessione sintetica
d'intuizioni, convengono l'uno all'altro, benché solo in modo accidentale [non
necessario]».
Così Kant ha tratteggiato le caratteristiche del giudizio analitico dei
razionalisti e del giudizio sintetico degli empiristi. Ora, la posizione
specifica di Kant si comincia a delineare nell'analisi del concetto di
esperienza: «Non c'è dubbio che ogni
nostra conoscenza comincia con l'esperienza; da nient'altro infatti la nostra facoltà conoscitiva potrebbe esser
stimolata al suo esercizio [l'esperienza è solo uno stimolo per la
conoscenza], se ciò non avvenisse per
mezzo degli oggetti che colpiscono i nostri sensi e che, per un lato, danno
origine da se stessi a rappresentazioni, per l'altro muovono l'attività del
nostro intelletto a paragonare queste rappresentazioni, a riunirle o separarle,
e ad elaborare così la materia grezza delle impressioni sensibili per formarne
quella conoscenza degli oggetti, che si chiama esperienza. Nel tempo, dunque,
nessuna conoscenza in noi precede l'esperienza, e tutte comincian con questa. -
Ma sebbene ogni nostra conoscenza cominci con l'esperienza, non per questo essa
deriva tutta dalla esperienza». Questo è il fatto decisivo, che distacca
Kant dall'empirismo: la conoscenza inizia con l'esperienza, ma poi c'è
l'apporto formale della ragione umana; la conoscenza quindi inizia con
l'esperienza, ma non deriva tutta dall'esperienza: «Infatti la nostra conoscenza è un composto di ciò che noi riceviamo
mediante le impressioni e di ciò che la nostra propria facoltà di conoscere
trae da se stessa (non essendo che stimolata dalle impressioni sensibili)».
Le impressioni sensibili sono semplicemente uno stimolo e non costituiscono
l'essenza della conoscenza come negli empiristi. Quello che è importante è la
forma che la nostra ragione dà a queste impressioni.
Come fa Kant a sostenere che esistono giudizi universali, necessari e insieme
estensivi del sapere, cioè giudizi sintetici a priori? Per arrivare ad
affermare questo, egli deve capovolgere le prospettive della conoscenza come
erano state interpretate fino ai suoi tempi, deve dare luogo a quella che egli
stesso ha definito "rivoluzione copernicana" della conoscenza. Che cosa vuole
dire questo paragone che Kant stesso istituisce con Copernico? Fino a Kant
c'era stato un dogma - come Kant stesso dice - cioè una credenza non
dimostrata: che il mondo fosse ordinato, che la natura, la realtà, avesse
leggi, ordine in se stessa. L'uomo va alla ricerca, alla scoperta di queste
leggi; ci può andare col metodo induttivo degli empiristi o col metodo
deduttivo dei razionalisti, ma in ogni caso il soggetto sta di fronte al mondo
e deve cercare in qualche modo di svelare quali sono le leggi del mondo. Con
Kant, invece, la prospettiva è capovolta: il soggetto conoscente ha in sé
meccanismi di funzionamento, leggi, forme, che proietta nell'oggetto
conosciuto. Come, secondo il paragone, per Kant l'uomo ha leggi nelle proprie
facoltà conoscitive, leggi che egli poi proietta sulla realtà. È l'uomo il
legislatore della natura, non è la natura ad avere in sé una legge che l'uomo
deve andare a ricercare. «L'io è il
legislatore della natura», afferma Kant. Compito del filosofo sarà allora
quello di indagare le strutture conoscitive umane, che Kant chiama nel loro
insieme "ragione", e che sono articolate in intuizione, intelletto e ragione
propriamente detta. Kant, quindi, fa la critica, il bilancio critico della
ragion pura, cioè della ragione nella sua purezza formale, a prescindere dai
contenuti che essa conosce. Dei contenuti Kant non si interessa: egli indaga
l'aspetto puramente formale della ragione. Va notato che Kant usa il termine
"ragione" in senso lato per intendere le facoltà conoscitive dell'uomo nel loro
complesso, in senso stretto per indicare la più alta facoltà conoscitiva umana.
L'intuizione, grosso modo, equivale alla percezione negli altri
filosofi;.L'insieme delle facoltà conoscitive umane, ovvero la ragione, per
Kant è come una forma che si va a stampigliare sui contenuti di conoscenza che
il mondo ci offre. Non possiamo avere alcuna conoscenza delle cose quali sono
in loro stesse, prescindendo dall'apporto formale, dall'aggiunta formale, che
noi stessi diamo alla conoscenza. Non possiamo mai raggiungere la conoscenza
delle cose nella loro oggettività, quali esse sono in loro stesse. Di
conseguenza abbiamo una conoscenza soltanto fenomenica del mondo (dal verbo
greco pháinomai, apparire). L'uomo,
come il re Mida della leggenda, trasforma tutto quello che tocca. Non può
entrare in contatto con qualche cosa rispettandola per quello che essa è, ma,
inevitabilmente, nel toccarla la trasforma, o meglio, le dà forma con le proprie strutture conoscitive. In altri termini,
nel conoscere non possiamo prescindere da come noi stessi siamo fatti. come se inforcassimo lenti colorate
che non ci possiamo togliere a piacimento: tutta la realtà esterna è filtrata
attraverso queste lenti colorate, noi non possiamo percepirla quale essa è in
se stessa, la percepiamo e la percepiremo sempre quale ci appare attraverso
questo filtraggio, attraverso questo meccanismo che le dà una certa forma.
Questo meccanismo dipende appunto dalle nostre facoltà conoscitive.
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Ragione |
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Intuizione |
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Per Kant la conoscenza
della cosa quale essa è in se stessa non è mai raggiungibile. Vediamo le cose
soltanto quali appaiono a noi. A questo punto sembrerebbe che siamo ricaduti in
una posizione ancora peggiore dello scetticismo di Hume. E invece non è così,
perché Kant sostiene che è vero che trasformiamo ogni conoscenza del mondo
esterno, ma ognuno di noi opera una trasformazione analoga, identica a quella
degli altri. Anche in questo senso Kant è fortemente illuminista: per gli
illuministi la ragione è una struttura universale, è propria cioè di tutti gli uomini, è ciò che rende uguali
tutti gli uomini. Questo è accettato pienamente da Kant: per Kant tutti gli
uomini sono dotati di ragione, cioè tutti gli uomini posseggono la ragione,
strutturata in intuizione, intelletto e ragione in senso stretto, quindi tutti
gli uomini operano una deformazione della realtà esterna o, meglio, danno forma alla realtà, ma tutti lo
fanno nella stessa maniera. Quello specchio deformante che è la nostra
coscienza, che è la nostra ragione, opera in maniera identica in ogni
uomo: è vero che si tratta di una
deformazione della realtà esterna, ma questo nulla toglie all'universalità.
Questa è una delle difficoltà che presenta la comprensione della novità del
pensiero kantiano. Fino a Kant ciò che è soggettivo è personale, è arbitrario,
ecc., mentre ciò che è oggettivo è universale. In Kant invece si raggiunge l'universalità all'interno della
soggettività: le strutture soggettive (intuizione, intelletto e ragione),
essendo uguali in tutti gli uomini, danno luogo a conoscenze universali. Kant
recupera l'universalità all'interno della soggettività. Per Kant ogni
conoscenza, da quella più elementare a quella più complessa, è sempre frutto di
due componenti, cioè di un elemento materiale
e di un elemento formale. L'elemento
materiale è quello che viene dall'esterno, ma ad esso è inevitabilmente
aggiunto un elemento formale, che è un apporto della nostra ragione. È come se,
in tre fasi successive, avvenisse una donazione di forma alla materia (che ci
viene dall'esterno). Ci sono come tre rielaborazioni, tre filtraggi successivi
della conoscenza, che avvengono ad opera dell'intuizione, dell'intelletto
e della ragione. La conoscenza più
elementare, che è quella intuitiva, cioè percettiva, è quella del mondo
sensibile. Secondo Kant, anche nella conoscenza sensibile più elementare c'è
già la forte presenza di una forma dovuta alla nostra facoltà dell'intuizione.
Infatti, non appena apriamo gli occhi sul mondo, collochiamo gli oggetti in uno
spazio, collochiamo le cose a destra, a sinistra, avanti, dietro, in alto, in
basso, "spazializziamo" gli oggetti, i quali non si trovano di per se stessi
nello spazio. La conoscenza, pur essendo soggettiva, perché è il soggetto,
l'uomo conoscente che inserisce la relazione spaziale, è però una conoscenza
universale. Qualunque osservatore compie la stessa operazione di
spazializzazione. La prima forma che viene data agli oggetti esterni attraverso
l'intuizione è quella dello spazio, che è una forma a priori della conoscenza,
ma è una forma a priori presente nella stessa maniera in tutti gli uomini, in
termini kantiani è una forma a priori trascendentale.
A tutte le forme a priori della
conoscenza Kant aggiunge sempre l'aggettivo "trascendentale", termine cardine
della sua filosofia, in cui si condensa la novità del suo pensiero. Infatti il trascendentale di Kant è opposto sia
all'empirico, sia all'a priori dei razionalisti, è una via di mezzo rispetto
all'a posteriori sensibile degli
empiristi e all'a priori dei
razionalisti. Che cosa significa che lo
spazio è una forma a priori trascendentale? Significa che lo spazio non è
empirico, non è ricavato dall'esperienza, non è nelle cose: tolto l'uomo, lo
spazio non esiste. Lo spazio di Kant non è qualche cosa che sta al di fuori dell'esperienza,
come una idea innata posseduta a prescindere da essa. Lo spazio non c'è né
empiricamente nella realtà oggettiva, né nella mente come un'idea a priori
bensì è "trascendentale", è una forma a priori trascendentale in quanto esiste
soltanto nell'incontro tra soggetto e
oggetto. Ogni volta che Kant usa il termine "trascendentale" vuole con
questo sottolineare che si tratta di qualche cosa che nasce dall'incontro tra
il soggettivo e l'oggettivo, oppure, in altri termini, tra la forma e la
materia del conoscere, cioè tra la forma conoscitiva del soggetto e il
contenuto oggettivo, il dato. Ognuno di noi non appena fa esperienza colloca
gli oggetti spazialmente, attraverso la forma a priori trascendentale di
spazio. La seconda forma trascendentale dell'intuizione è quella del tempo, che
è la forma a priori trascendentale dell'esperienza non più esterna bensì interna. Per Kant anche il tempo non è
qualche cosa di oggettivo, bensì qualche cosa che noi aggiungiamo alla realtà.
Kant sottolinea che il tempo è più estensivo dello spazio, in quanto, mentre lo
spazio si applica soltanto agli oggetti esterni, il tempo si applica sia agli
stati interiori, sia agli oggetti esterni. Ogni evento esterno, essendo
inquadrato dalla nostra intuizione, viene assorbito dalla nostra facoltà
intuitiva. Mentre gli atti di volontà, i desideri, ecc. non vengono collocati
spazialmente, le percezioni che vengono dal mondo esterno vengono da noi
interiorizzate e collocate in successione nel tempo. Ricorriamo di nuovo alle
parole di Kant: «Vi sono due forme di
intuizione sensibile, come principii della conoscenza a priori, cioè lo spazio
e il tempo. Mediante il senso esterno noi ci rappresentiamo gli oggetti come
fuori di noi, e però tutti nello spazio. Quivi sono determinate, o determinabili,
la loro forma, la loro grandezza e le loro reciproche relazioni. - Mediante il
senso interno, lo spirito intuisce se stesso, o i suoi stati interiori,
rappresentandoseli secondo rapporti di tempo [gli uni prima o dopo gli altri].
Il tempo è la condizione formale a priori di tutti i fenomeni in generale. Lo spazio, essendo la forma pura di ogni
intuizione esterna, è limitato (come condizione a priori) ai soli fenomeni
esterni. Invece, siccome tutte le rappresentazioni - abbiano o no per oggetto
cose esterne - considerate in se stesse, quali modificazioni dello spirito
[del soggetto], appartengono sempre
allo stato interno; e siccome questo stato interno rientra sotto la condizione
formale dell'intuizione interna, e quindi del tempo, così il tempo è condizione
a priori di tutti i fenomeni in generale; condizione immediata dei fenomeni
interni (dell'anima nostra), e, con ciò, mediatamente anche degli esterni. Se
posso dire a priori che tutti i fenomeni esterni sono nello spazio e
determinati a priori secondo relazioni spaziali, posso anche, in base al principio del senso
interno, dire univer- salmente che tutti i fenomeni in generale, cioè tutti gli
oggetti dei sensi, sono nel tempo, e stanno necessariamente in reciproci
rapporti di tempo».
Una volta che i fenomeni sono stati inquadrati nelle forme dello spazio e del
tempo essi subiscono un'ulteriore rielaborazione: vengono unificati dall'intelletto. L'intelletto è una facoltà
capace di emettere giudizi, e quindi di conoscere in maniera piena, infatti,
come abbiamo detto prima, per Kant conoscere è giudicare, connettere termini
fra di loro. Ora, l'intelletto opera queste connessioni, cioè emette giudizi, e
in questo senso arriva alla conoscenza piena. Per la prosecuzione del discorso
va sottolineato che l'intelletto, essendo una facoltà che unisce soggetto e
predicato, si muove in una dimensione limitata, cioè unisce un singolo soggetto
con un singolo predicato, dà luogo quindi a una visione del mondo atomizzata,
non riesce ad arrivare alla grande sintesi delle conoscenze che invece
costituisce l'ambizione della ragione. La distinzione tra intelletto e ragione
è questa: l'intelletto è una facoltà analitica, che si ferma a un mondo
frammentario, mentre invece la ragione in
senso stretto ha l'ambizione di cogliere la totalità del mondo, la totalità
delle conoscenze, cioè di operare grandi sintesi.
L'intelletto opera le sintesi di soggetto e predicato mediante dodici categorie
o concetti, cioè dodici modi di connessione dei fenomeni tra di loro
ricavandole dalla storia della conoscenza umana: considera i giudizi
storicamente dati, e sostiene che tutti i giudizi si possono raggruppare in
giudizi di quantità, di qualità, di modalità e di relazione.
Ognuno di questi quattro tipi si articola in tre caratterizzazioni, si giunge
così a dodici tipi di giudizi, in cui si possono catalogare tutti i giudizi
conoscitivi possibili. Se ci sono dodici tipi di giudizi ci devono essere dodici modi per connettere soggetti e
predicati, cioè dodici categorie:
Kant chiama categorie o concetti puri questi modi di connessione del soggetto
col predicato.
I concetti puri o categorie kantiane sono qualcosa di rivoluzionario e
assolutamente diverso dalla maniera aristotelica e classica di intendere le
categorie. Non sono i frutti supremi dell'astrazione, bensì meccanismi di
connessione dei dati, sono funzioni
del nostro intelletto che appunto connettono soggetti con predicati. A questo
proposito rientra in gioco con forza il termine "trascendentale": le categorie
sono trascendentali. Vale a dire che esse sono meccanismi di connessione che si
esercitano soltanto su un materiale già elaborato nelle forme dello spazio e
del tempo ed entrano in gioco quando hanno un materiale concreto da poter
riordinare, da poter mettere insieme.
Si pone a questo punto il problema di come le categorie a priori
dell'intelletto possano applicarsi a ciò che è a posteriori, ai dati sensibili.
Egli identifica un ponte fra intuizione e intelletto, un elemento comune alle
esperienze intuite e alle categorie che colmi l'abisso che sembra separare il
sensibile dalle categorie dell'intelletto: questo ponte è dato dal tempo.
Riprendiamo
la lettura di Kant: «Chiamiamo sensibilità la ricettività del nostro spirito,
ossia la sua capacità di ricevere rappresentazioni, quando esso è in un qualche
modo modificato [la sensibilità implica ancora una certa passività, la
ricettività rispetto al dato]; intelletto è invece la facoltà di produrre da sé
rappresentazioni [concetti], ossia la spontaneità della conoscenza. - Nessuna
di queste due facoltà può anteporsi all'altra. Senza la sensibilità nessun
oggetto ci sarebbe dato, senza l'intelletto nessun oggetto sarebbe pensato. I
pensieri senza contenuto [sensibile] sono vuoti, le intuizioni senza concetti
sono cieche . Quindi è altrettanto necessario rendere sensibili i propri
concetti (cioè riferirli all'intuizione) quanto rendere intelligibili le
proprie intuizioni (cioè trasformarle in concetti)». Questa importante
affermazione ci riporta all'inizio del discorso: abbiamo detto che
«Ogni nostra intuizione non è che la
rappresentazione di un fenomeno. Le cose che noi intuiamo non sono in se stesse
quali noi le intuiamo, né i loro rapporti sono cosiffatti come ci appariscono;
e se sopprimessimo il nostro soggetto o anche solo la natura subbiettiva dei
sensi in generale, tutte le proprietà, tutti i rapporti degli oggetti, nello
spazio e nel tempo, anzi lo spazio stesso e il tempo sparirebbero, poiché come
fenomeni non possono esistere in sé, ma soltanto in noi. Quale possa essere la
natura degli oggetti considerati in sé e separati dalla recettività dei nostri
sensi, ci rimane interamente ignoto». A questo punto Kant definisce il
concetto di cosa in sé. Possiamo conoscere la realtà quale ci appare, ma la
realtà quale è in se stessa ci sfugge irrimediabilmente. Kant la chiama cosa in
sé e la considera inattingibile, irraggiungibile. Il fatto che la realtà in sé non sia conoscibile non implica
che non possa essere pensata. Pensare non significa conoscere; si può pensare
anche qualche cosa di fantastico o di immaginario. Kant chiama perciò la cosa
in sé anche noumeno (noûs in greco significa mente): la cosa in sé è una realtà
pensabile, ma non conoscibile. Si comincia a delineare in Kant un dualismo tra
fenomeno e noumeno. Per il vero, Kant denota due significati al noumeno:
noumeno è in un primo senso (negativo) ciò che non non è oggetto della nostra
intuizione sensibile, in un secondo senso (positivo) l'oggetto d'una intuizione
non sensibile. Kant chiarirà poi che si può parlare di noumeno correttamente
solo nel primo senso, poiché il nostro intelletto è tale da non poter cogliere
nessun oggetto se non per mezzo di una intuizione sensibile.
«Noi non conosciamo se non il nostro modo di
percepirli, che ci è peculiare, e che non è neanche necessario che appartenga
ad ogni essere, sebbene appartenga a tutti gli uomini». Esse sono quindi universali e vengono da Kant indicate anche con la
formula: "Io penso". Con questa espressione Kant vuol sottolineare che esistono
dodici categorie, ma le dodici categorie sono pur sempre categorie adoperate da
un unico soggetto: l'"Io penso" è il
soggetto portatore di tutte le categorie. È l'elemento che unifica la
conoscenza. La conoscenza è unificata non più nel concetto di mondo oggettivo,
bensí nel concetto di Io penso, che è l'insieme delle dodici categorie, ma
soprattutto - per il fatto or ora sottolineato che queste dodici categorie sono
identiche in ogni uomo - è la struttura conoscitiva umana dell'uomo con la "U"
maiuscola. C'è quindi una universalità delle strutture conoscitive. L'"Io
penso" da' ordine all'esperienza sensibile; quando non c'è nessuna esperienza
sensibile non c'è nessun "Io penso". Per questo Kant lo denomina anche
"appercezione trascendentale". L'"Io penso" è una funzione che riunisce tutte
le funzioni trascendentali della ragione umana.
«Noi abbiamo da fare solamente con esso.
Spazio e tempo sono le forme pure di esso; la sensazione, in generale, ne è la
materia. Anche se portassimo questa nostra intuizione al più alto grado della
chiarezza, non per questo ci accosteremmo di più alla natura degli oggetti in
sé. Giacché in ogni caso noi non potremmo conoscere compiutamente se non il
nostro modo di intuizione, cioè la nostra sensibilità, e questa sempre nelle
condizioni originarie inerenti al soggetto, di spazio e tempo; ma che cosa
siano gli oggetti, in se stessi, per quanto possa essere chiara la conoscenza
dei loro fenomeni - la sola che ci sia data - non ci sarebbe mai noto».
Quindi, non possiamo mai raggiungere la conoscenza oggettiva.
«Quando noi consideriamo, come è giusto,
gli oggetti dei sensi come puri fenomeni, ammettiamo con questo nello stesso
tempo che ad essi sta a fondamento una cosa in sé, quantunque noi non la
conosciamo come è costituita in sé, ma ne conosciamo solo il fenomeno, ossia il
modo con cui questo ignoto qualcosa impressiona i nostri sensi. L'intelletto
quindi, pel fatto stesso che ammette i fenomeni, ammette anche l'esistenza di cose
in sé, e pertanto noi possiamo dire che la rappresentazione di questi esseri
che stanno a fondamento dei fenomeni e cioè la rappresentazione di puri esseri
intelligibili [noumeni] non solo è legittima, ma è inevitabile». L'uomo non
può raggiungere il mondo noumenico, il mondo delle cose come sono in loro
stesse, ma c'è, dice Kant, un'illusione
trascendentale di poterlo fare. La suprema facoltà conoscitiva dell'uomo, vale
a dire la ragione in senso stretto, ha l'ambizione di cogliere sinteticamente
che cos'è il mondo, che cos'è l'anima, che cos'è Dio. Mentre le forme
trascendentali dell'intelletto sono le categorie dell'intelletto, quelle della ragione sono tre idee: Dio,
anima e mondo, le quali sono grandi direttrici di sintesi delle conoscenze.
L'idea di mondo è la tendenza alla sintesi di tutte le conoscenze esterne;
l'idea di anima è la tendenza alla sintesi di tutte le conoscenze interne,
degli stati interiori; l'idea di Dio è la tendenza alla sintesi di tutte le
conoscenze esterne e interne. Che questa tendenza sia legittima per Kant si
vede già dal fatto che, come emerge nella citazione precedente, egli accredita
l'aspirazione dell'uomo al noumeno, e questo aprirà la strada alla Critica
della ragion pratica. Ma delle idee della ragione, che segnalano una esigenza
metafisica dell'uomo, si fa un uso sbagliato, un uso costitutivo. La metafisica
ha compiuto questo errore: ha considerato queste tre idee come tre realtà. La
tendenza a unificare tutte le conoscenze esterne, che è un'idea, è stata vista
come il mondo; la tendenza a unificare tutte le sensazioni interiori è stata
sostanzializzata nell'anima e così si è sostanzializzata l'idea di Dio in un
Dio esistente come entità suprema. Per Kant l'uso corretto delle idee è invece
l'uso regolativo, cioè quello che spinge a scorgere insiemi di conoscenze
sempre più vasti, a superare la limitatezza dell'intelletto, la limitatezza
analitica, nello sforzo di raggiungere una visione complessiva e organica della
realtà: l'intelletto ci fornisce come le tessere di un mosaico, che la ragione
cerca di mettere insieme.
Dice Kant: «Io intendo per idea un
concetto necessario della ragione, al quale non può esser dato nessun oggetto
corrispondente nella realtà sensibile. Le idee sono concetti della ragione
pura, perché esse considerano ogni conoscenza empirica come determinata da una
totalità di condizioni. Non sono invenzioni arbitrarie, ma sono imposte alla
ragione dalla loro stessa natura. E sono trascendenti, perché trascendono i
limiti di ogni esperienza, non potendosi dare in questa un oggetto che sia
adeguato all'idea trascendentale. Le idee sono tre: l'idea del soggetto
assoluto, sostanziale [l'anima, come essere permanente attraverso il variare
degli stati dell'esperienza interna], l'idea della serie assoluta delle
condizioni [il mondo come tutto, come serie compiuta o sistema chiuso di tutte
le condizioni della connessione dei fenomeni dell'esperienza della natura], la
determinazione di tutti i concetti nell'idea di una totalità assoluta del
possibile [Dio, come il principio della totalità assoluta dell'essere, nel
quale tutti gli esseri si unificano e si accomunano]. La prima idea è
psicologica (anima), la seconda cosmologica (mondo), la terza teologica (Dio)».
Ripeto: Kant ammette un uso regolativo delle idee, ma nega che possa essere
fatto un uso costitutivo di esse. Leggiamo ancora due righe e concludiamo: «Così le idee trascendentali servono, se non
a darci delle cognizioni positive [perché non ci dicono niente su Dio, l'anima
e il mondo, non ci danno conoscenze positive], a distruggere le temerarie
affermazioni del materialismo, del naturalismo e del fatalismo, così dannose
per la ragione». Kant è un pensatore complesso: nel momento in cui nega
la metafisica, ci tiene però a dire: «Guardate
che non per questo sono un materialista; su Dio non si può dire niente sulle
basi della metafisica, non si può dire né che è, né che è causa del mondo, però
non si può dire neppure l'inverso. Non si può dire che Dio non esiste e non è
causa del mondo. «e per questa via aprono alle idee morali un libero campo
al di là di quello della speculazione. Questa è, mi sembra, la spiegazione
adeguata di quella disposizione naturale alla metafisica».
Le tre idee trascendentali di Dio, anima e mondo, usate male dalla metafisica,
sono però il segnale che l'uomo aspira e può aspirare a un mondo diverso, può
entrare in contatto col mondo superiore del noumeno. Non riesce ad accedere a
questo mondo per via conoscitiva. L'analisi delle facoltà conoscitive si è
chiusa. Il bilancio, da positivo che era per matematica e fisica, è diventato
totalmente negativo per la metafisica. L'uomo con la conoscenza non si può
mettere in relazione con Dio e con l'anima, ma la presenza in lui di queste
idee trascendentali lascia intravedere uno spiraglio per cui può aspirare, per
altra via, a entrare in contatto con queste entità. C'è nell'uomo una
disposizione naturale alla metafisica e Kant tenterà di fondarla in un modo
completa- mente nuovo nella Critica della ragion pratica.
Il dibattito sulla "cosa in sé"
Kant è giunto alla conclusione che le leggi naturali non valgono per la cosa in sé, con la quale non avremo mai a che fare, ma solo per i fenomeni: l'oggettività è raggiungibile da parte degli uomini, i quali possono ottenere un sapere universale e necessario, ma esso sarà tale proprio e solo per essi e non anche per altri esseri non umani che, se esistono, saranno in possesso di un differente apparato a priori. Questa fondamentale limitazione non è tuttavia istituita da Kant con atteggiamento scettico. Io potrei infatti lamentarmi del fatto che non conosco il fenomeno; meglio, potrei essere incerto sulla correttezza della mia conoscenza (esclusivamente fenomenica) e sulla corrispondenza tra fenomeno e cosa in sé. Ma ciò avrebbe senso solo se avessi modo di confrontare fenomeno e cosa in sé, possibilità che mi è tuttavia preclusa. Kant perciò non intende la determinazione spazio-tempo-categoriale della nostra conoscenza come un limite, quanto piuttosto come uno strumento: << La leggera colomba, mentre nel suo libero volo fende l'aria, di cui incontra la resistenza, potrebbe immaginare di poter più agevolmente volare in uno spazio privo d'aria>>, ma noi ben sappiamo che senza quella resistenza essa non si potrebbe sollevare in volo di un centimetro.
"Le immagini vanno viste quali sono, amo le immagini il cui significato è sconosciuto poiché il significato della mente stessa è sconosciuto"
(René Magritte)
René Magritte
René François Ghislain Magritte (Lessines, 21 novembre - Bruxelles, 15 agosto ) è stato un pittore belga.
Insieme a Paul Delvaux è considerato il maggiore esponente del Surrealismo in Belgio, e uno dei più originali esponenti europei dell'intero movimento. Dopo inizi vicini al Cubismo ed al Futurismo, il suo stile s'incentrò su una tecnica raffigurativa accuratissima basata sul trompe l'oeil, alla pari di Salvador Dalí e di Delvaux, ma senza il ricorso alla simbologia di tipo paranoide del primo o di tipo erotico-anticheggiante del secondo.
Alcune sue opere, quelle in cui i volti sono coperti da lenzuola, sono da collegare allo shock avuto dal pittore a tredici anni, quando vide recuperare il cadavere della madre suicida in un fiume, coperta appunto da un panno intorno alla testa.
Con il padre e i due fratelli si trasferisce nuovamente, questa volta a Charleroi, per allontanare il dolore della tragedia. Dopo gli studi classici, René volge i suoi interessi alla pittura. Nel si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Bruxelles, città dove la famiglia si trasferisce nel .
Inizia ad interessarsi alle ricerche futuriste,
conosciute attraverso Pierre Floquet; nel espone la sua prima
tela, Trois Femmes, presso
Nel 1922 si sposa con Georgette Berger, che aveva conosciuto nel , quando aveva 15 anni. Nel vende il suo primo dipinto, il ritratto della cantante Evelyn Brélin, e nel frattempo inizia a lavorare come grafico, principalmente nel design di carta da parati.
I suoi inizi di pittore si muovono nell'ambito delle avanguardie del Novecento, assimilando influenze dal cubismo e dal futurismo. Secondo quanto affermato da lui stesso in un suo scritto, la svolta surrealista avviene con la scoperta dell'opera di Giorgio De Chirico, dalla quale viene profondamente colpito, in particolare dalla visione del quadro Canto d'amore, nel quale compare sul lato di un edificio la testa enorme di una statua greca ed un gigantesco guanto di lattice.
Nel 1925 entra nel suo periodo surrealista con l'adesione al gruppo surrealista di Bruxelles, composto da Camille Goemans, Marcel Lecomte e Paul Nougé, e dipinge il primo quadro surrealista, Le Jockey perdu, mentre lavora a diversi disegni pubblicitari.
Nel 1926 prese contatto con André Breton, leader del movimento surrealista, e l'anno successivo si tiene la sua prima mostra personale, presso la galleria Le Centaure di Bruxelles, nella quale Magritte espone ben 61 opere; successivamente si trasferisce con la moglie a Perreux-sur-Marne, nei pressi di Parigi nel .
Nel 1940, per timore dell'occupazione tedesca, si trasferisce con la moglie nel sud della Francia, a Carcassonne. In questi anni, sperimenta un nuovo stile pittorico, detto alla Renoir o solare, che porta avanti sino al .
Inizia il periodo vache, una sorta di parodia del fauvismo. Dopo un ultimo, lungo viaggio fra Cannes, Montecatini e Milano, avvenuto nel , muore il 15 agosto dell'anno successivo a Bruxelles.
Magritte svolge un tipico illusionismo di ordine onirico; illustra, ad esempio, oggetti e realtà assurde, come un paio di scarpe che si tramutano nelle dita di un piede o un paesaggio simultaneamente nella parte inferiore notturno e in quella superiore diurno, ricorrendo a tonalità fredde, ambigue, antisentimentali, quali quelle del sogno.
Magritte è l'artista surrealista che, più di ogni altro, gioca con gli spostamenti del senso, utilizzando sia gli accostamenti inconsueti, sia le deformazioni irreali. Ciò che invece è del tutto estraneo al suo metodo è l'automatismo psichico, in quanto egli, con la sua pittura, non per vuole far emergere l'inconscio dell'uomo ma vuole svelare i lati misteriosi dell'universo. Ed è proprio su questo punto che la sua poetica conserva lati molto affini con quelli della Metafisica; non a caso il suo periodo surrealista inizia con la scoperta delle opere di Giorgio De Chirico.
I suoi quadri sono realizzati in uno stile da illustratore, (può essere utile sapere che da giovane lavorò come disegnatore di carta da parati, esperienza che gli servì probabilmente a maturare il suo stile freddo ed impersonale) di evidenza quasi infantile. Volutamente le sue immagini conservano un aspetto pittorico, senza alcuna ricerca di illusionismo fotografico. Già in ciò si avverte una delle costanti poetiche di Magritte: l'insanabile distanza che separa la realtà dalla rappresentazione. E spesso il suo surrealismo nasce proprio dalla confusione che egli opera tra i due termini.
In altri quadri Magritte gioca con il rapporto tra immagine naturalistica e realtà, proponendo immagini dove il quadro nel quadro ha lo stesso identico aspetto della realtà che rappresenta, al punto da confondersi con esso.
Di notevole suggestione poetica sono anche i suoi accostamenti o le sue metamorfosi. Combina, nel medesimo quadro, cieli diurni e paesaggi notturni. Accosta, sospesi nel cielo, una nuvola ed un enorme masso di pietra. Trasforma gli animali in foglie o in pietra.
Il suo surrealismo è dunque uno sguardo molto lucido e sveglio sulla realtà che lo circonda, dove non trovano spazio né il sogno né le pulsioni inconscie. L'unico desiderio che la sua pittura manifesta è quello di 'sentire il silenzio del mondo', come egli stesso scrisse. In ciò quindi il surrealismo di Magritte si colloca agli antipodi di quello di Dalí, mancandovi qualsiasi esasperazione onirica o egocentrica.
Ceci n'est pas une pipe
L'uso della parola I
René Magritte, 1928-29
Più che un quadro un
rebus o una riflessione che gioca molto seriamente con i meandri del
linguaggio. Così la pipa che non è una pipa sfida il modo comune di guardare la
realtà. E magari anticipa pure certe istanze dell'Arte Concettuale.
Sulla tela un'immagine dipinta in modo così verosimigliante da non lasciare
dubbi. Rappresenta sicuamente un oggetto chiamato pipa. Una didascalia da
abbecedario afferma però che no, Ceci n'est pas une pipe. A questo proposito
scrisse il filosofo Michel Foucault nel saggio omonimo: "paragonato alla
tradizionale funzione della didascalia, il testo di Magritte è doppiamente
paradossale. Si propone di nominare ciò che, evidentemente, non ha bisogno di
esserlo (la forma è troppo nota, il nome troppo familiare). Ed ecco che nel
momento in cui dovrebbe dare un nome, lo dà negando che sia tale." La
didascalia contesta dunque il criterio di equivalenza tra somiglianza e
affermazione e afferma che la pipa del quadro è solo la rappresentazione di un
oggetto tangibile che non ha niente a che vedere con essa.
René Magritte (1898-1967), grande protagonista del surrealismo, dipinse più
volte durante la sua vita il quadro con la pipa e la sua didascalia.
In questa versione il
mistero s'infittisce: cosa significa la grande pipa grigia? Sta a simboleggiare
l'idea platonica di "Pipa", aleggiante nell'iperuranio, o è solo un dispositivo
per confondere ancor di più chi guarda? Qual è insomma la vera pipa? Nessuna
delle due ovviamente.
Il messaggio di Magritte è infondo abbastanza chiaro, ovvero: attenzione,
rappresentazione non significa realtà, l'immagine di un oggetto non è l'oggetto
stesso! La pipa del quadro non si può fumare così come le mele delle nature
morte non si possono addentare.
Questa contraddizione genera uno stato di shock che costituisce la poesia dell'opera che viene osservata. Inoltre il
contenuto, il messaggio che il dipinto trasmette, è di tipo filosofico e invita
a riflettere. Per la prima volta, pertanto, scopo dell'opera d'arte non è più
l'arte di per sé, ma una riflessione
sull'arte stessa.
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