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Il pianeta Terra: casa dell'uomo
La
terra è il pianeta su cui vive l'umanità, il terzo in ordine di distanza dal
Sole, il più grande dei pianeti terrestri del sistema solare.
4A- CARATTERISTICHE FISICHE
Fin
dai tempi più antichi l'uomo si è posto degli interrogativi ai quali ha cercato
di dare una risposta per mezzo della religione e della scienza. Già nel VI
secolo a.C. Pitagora di Samo
propose la sua teoria sulla struttura dell'universo, secondo la quale esiste un
fuoco intorno a cui ruotano tutti i corpi celesti, seguendo movimenti ciclici.
Nel IV secolo a.C. Aristotele
affermò che l'universo è sferico e finito, con al centro
Le prime testimonianze della sfericità terrestre ci arrivano da Pitagora e da Parmenide; poi soprattutto Aristotele comprese la vera forma della Terra perché:
Morfologicamente
Il mantello
è composto da materiale cristallino, solido, che non cambia la sua forma su
tempi brevi (quelli della vita ordinaria): ha un comportamento elastico e
quindi risponde a sollecitazioni vibrando (le onde sismiche lo attraversano) o
deformandosi. Ma il mantello ha anche un comportamento di un fluido molto
viscoso su scale di tempi più lunghi (i cosidetti tempi geologici: centinaia di
migliaia fino a milioni di anni). Quindi pur essendo un solido, su tempi più
lunghi ha il comportamento di un fluido. Questo significa che nel mantello si
hanno movimenti. È stato possibile suddividere ulteriormente il mantello in due
strati distinti. Il mantello superiore, di circa
Il nucleo
è caratterizzato da un'alta densità, il nucleo è separato dal mantello da una
discontinuità detta di Gutenberg. E' composto in prevalenza da nichel e ferro
definito "nife". Il nucleo è suddiviso in: nucleo esterno, liquido, che è
composto principalmente da ferro (80%) e nichel ed è caratterizzato da una
temperatura di
La sua superficie totale, che ammonta ad oltre 500 milioni di kmq (30% massa continentale - 70% massa liquida), la si può suddividere in due emisferi separati dall'equatore terrestre:
La terra come sappiamo è l'unico pianeta del sistema solare ad essere caratterizzato dalla presenza di forme viventi, per cui possiamo distinguere in essa una "biosfera", a sua volta così suddivisa:
Il termine Idrosfera deriva dal greco hydros' e 'sphaira', ovvero 'sfera d'acqua' e comprende l'insieme delle acque che coprono approssimativamente il 70,8% della superficie del globo. L'idrosfera del pianeta Terra è basata sul ciclo delle acque, che passano continuamente dallo stato liquido, a quello gassoso e, in alcuni casi, allo stato solido. La prima parte del ciclo dell'acqua (evaporazione → formazione delle nubi → venti) è alimentata dall'energia solare. Nella seconda parte (precipitazioni → deflusso dell'acqua) interviene la forza di gravità che provoca la ricaduta dell'acqua sul suolo e il movimento delle acque in superficie e in profondità.
4B-
La posizione della Terra
nello spazio non è stazionaria ma è il risultato di una complessa composizione
di moti con caratteristiche e periodicità differenti.
L'azione gravitazionale che gli altri corpi del Sistema Solare esercitano sul nostro pianeta provoca anche altre variazioni nella posizione della Terra nello spazio, dando luogo ad alcuni movimento che però sono più lenti rispetto ai moti precedentemente elencati.
La Terra segue il moto dell'intero sistema solare e si muove nello spazio a una velocità di circa 20,1 km/s nella direzione della costellazione di Ercole; partecipa al moto di recessione della galassia, e insieme alla Via Lattea si sposta verso la costellazione del Leone.
Il
moto di precessione degli equinozi venne scoperto da Ipparco nel II° sec. a.C.
Esso consiste in un moto molto lento dell'asse di rotazione terrestre, che, pur
mantenendo costante l'inclinazione rispetto al piano dell'eclittica, cambia la
propria direzione nello spazio. Tale movimento è lo spostamento dell'asse
terrestre lungo un superficie conica, è molto simile a quello di una trottola.
È causato dall'attrazione gravitazionale che il Sole e
Le conseguenze di questo moto riguardano il lento spostamento lungo la sfera celeste del Polo Nord e dell'equinozio di primavera. Il Polo Nord, in conseguenza della precessione descrive infatti una circonferenza sulla volta celeste, venendosi a trovare, col passare dei millenni, in diverse costellazioni. Inoltre, poiché l'asse di rotazione è perpendicolare all'equatore celeste, lo spostamento di tale asse provocherà di conseguenza uno spostamento nello spazio del piano dell'equatore, che però manterrà sempre lo stesso angolo di inclinazione rispetto al piano dell'eclittica. Il punto d'Ariete o equinozio di primavera, che è individuato dall'intersezione dell'equatore celeste con l'eclittica subirà anch'esso un lento spostamento. Il mutamento della posizione dell'equinozio di primavera ha due conseguenze: una riguarda le coordinate celesti, l'altra le costellazioni dello Zodiaco. L'equinozio di primavera costituisce il punto di riferimento per la misurazione dell'ascensione retta degli astri nel sistema di coordinate equatoriali. Poiché l'equinozio di primavera si sposta sulla sfera celeste, le coordinate vengono sempre aggiornate e si assume la convenzione di dare le coordinate che i corpi celesti avevano o avranno in una determinata epoca (per esempio nel 1950 oppure nel 2000). Al moto di precessione dell'asse terrestre, si sovrappone un quarto movimento: la nutazione. Esso consiste in piccole oscillazioni dell'asse terrestre, che originano combinandosi col moto conico di precessione un movimento lungo una superficie a doppio cono ondulato. Il fenomeno della nutazione ha un periodo di circa diciotto anni e due terzi ed è dovuto all'attrazione gravitazionale esercitata dalla Luna. L'ampiezza massima di questo moto oscillatorio è di nove secondi d'arco. Un altro moto millenario riguarda l'eccentricità dell'orbita che consiste nella variazione del rapporto tra la distanza del sole dal centro dell'orbita e la lunghezza del semiasse maggiore di quest'ultimo.
Il concetto d'Infinito in Matematica
L'Infinito,
come pure il suo corrispondente temporale, l'Eterno, è tema adeguato per
Religione, Filosofia o Letteratura, ma forse non per la scienza positiva. Meno
che mai per la più positiva delle scienze e cioè
stessa
etimologia e natura, ed anche per la comune opinione, ciò che sfugge ad ogni
possibile classificazione e misura, mentre
In
effetti, secondo una visione che risale ai tempi dell'antica Grecia e che si è
mantenuta radicata nei secoli fin quasi ai nostri giorni,
Eppure,
a smentire tutte queste pur ragionevoli premesse, va detto che
Nella Scuola Pitagorica si elaborarono le tesi di Anassimandro e Anassimene ricorrendo ad un fondamento di tipo matematico. Per Pitagora tutte le cose derivano dalla sintesi di "definito-indefinito", di "limitato-illimitato". L'essenza di tutte le cose è quella di essere figure geometriche. Esse ultimamente sono costituite di punti o unità indivisibili, quindi punti-numeri. Le cose sono così definite perché "misurabili" (in quanto enti estesi o figure geometriche) e "numerabili" (in quanto composte da unità indivisibili). La realtà nasce, allora, dall'armonia degli opposti: innanzitutto dalla prima e fondamentale opposizione, quella di "limitato-illimitato", ovvero, rispettivamente, del "dispari" (uno, limitato, forma) e del "pari" (due, illimitato, materia). Le altre opposizioni derivate dalla precedente sono quella di "diritto-curvo"; "quiete-movimento", etc. Si incomincia ad intravedere il ruolo dell'illimitato, dell'infinito come "disposizione" a ricevere determinazioni.
Sarà tuttavia con Platone, e poi soprattutto con Aristotele, quando si svilupperà quella spiegazione dell'essere, come non univoco, per cui l'«ente» si dice in molti modi che consente di passare dalla nozione puramente negativa di infinito (come indeterminato) a quella positiva (infinito "in atto").
Nasce con Aristotele la distinzione, divenuta classica, tra «infinito potenziale», sempre passibile di "ampliamento" e di attuazione, che non è mai considerato nella sua totalità, e «infinito attuale», un infinito in pienezza che viene invece considerato simultaneamente nella sua totalità.
È senza dubbio corretto identificare la nascita della scienza e della matematica moderna nella dimostrazione offerta da Galileo Galilei della legge della caduta dei gravi. Infatti la supposizione galileiana che ogni corpo in movimento dovesse percorrere attualmente "tutti" gli infiniti «momenti di velocità minore (o di tardità maggiore)», contro la medievale teoria (non aristotelica) dell'impetus, implicava necessariamente l'accettazione dell'attualità dell'infinito. Galileo affermava, infatti, che il continuo è composto dai suoi infiniti indivisibili «non quanti». Intendeva così ribaltare la critica degli aristotelici affermando che, siccome una quantità estesa può essere divisa in un numero infinito di parti, ciò suppone che le parti siano infinite, altrimenti «la divisione sarebbe terminabile». Galilei fu però anche il primo a rendersi conto dei paradossi che nascevano dall'ammettere l'infinito attuale e per questo, pur affermando con forza le sue idee sul piano filosofico, preferì essere più cauto dal punto di vista matematico, rifiutando di utilizzare gli 'infiniti indivisibili non quanti' in geometria: egli elaborò infatti dei paradossi che non riuscì a risolvere e questo lo portò ad affermare che 'Queste son di quelle difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo col nostro intelletto finito intorno a gl'infiniti, dandogli quelli attributi che noi diamo alle cose finite e terminate; il che penso che sia inconveniente'.
I paradossi proposti da Galilei che qui consideriamo sono due: Il Paradosso dei quadrati e il Paradosso delle ruote,
Il paradosso dei quadrati |
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I quadrati sono
solo una parte dei numeri naturali. E' però possibile stabilire una
corrispondenza biunivoca tra N e l'insieme dei quadrati, cioè una
corrispondenza nella quale ad ogni numero naturale corrisponda uno ed un solo
quadrato
I quadrati sono perciò tanti quanti i numeri naturali e ciò significa che una parte può essere 'uguale' al tutto. |
Il paradosso delle ruote |
Due ruote concentriche, tali che la più grande rotoli sopra una retta, toccano con i loro punti due segmenti di uguale lunghezza
facendo fare un giro completo alla circonferenza più grande fino a D, la più piccola arriverà al punto B. Ma CD = AB. 'Or come dunque può senza salti scorrere il cerchio minore una linea tanto maggiore della sua circonferenza'. Anche in questo caso ciò è dovuto alla possibilità di costruire una corrispondenza biunivoca tra la circonferenza più grande e quella più piccola (e quindi tra un segmento ed una sua parte propria): basterà infatti proiettare dal comune centro i punti della circonferenza più piccola su queli della più grande. Il paradosso sta dunque nella possibilità di stabilire una corrispondenza biunivoca tra un segmento continuo e una sua parte propria. |
Come si è accennato sopra, Galileo non riuscì a trovare una soluzione ai suoi paradossi e questo fatto lo portò a negare, come matematico, la possibilità di indagare l'infinito: quando 'siamo tra gl'infiniti e gl'indivisibili, quelli [gl'infiniti] sono incomprensibili dal nostro intelletto finito per la loro grandezza, e questi [gl'indivisibili] per la loro piccolezza'; tuttavia Galileo, come filosofo, si permise di fare delle congetture 'arbitrarie e non necessarie' sulla natura dell'infinito e questo è il suo più grande merito.
Ma chi diede la svolta fondamentale e decisiva all'intera questione fu Georg Cantor (1845-1918).
Cantor riuscì addirittura a dimostrare che tale infinito non è unico. il suo ragionamento parte dall'affermazione principale da cui deriva quasi tutta la concezione aristotelica dell'infinito, che stabilisce il rapporto tra il finito e l'infinito: 'Il tutto è più grande della parte'. Sembra una banalità: un tutto è tale per il fatto stesso che contiene le sue parti. Una parte non può essere comparata al tutto, perché perderebbe il suo carattere di parte. Quest'affermazione, funzionando come un assioma, ha chiuso per tanto tempo le porte dei numeri all'infinito.
Cantor e Dedekind invece, pongono alla base dei loro edifici una corrispondenza biunivoca tra due insiemi, ossia, presi due insiemi A e B, si associa ad ogni elemento di A uno e un solo elemento di B, e ad ogni elemento di B uno e un solo elemento di A. Essi ritengono che due insiemi tra cui si possa stabilire una simile corrispondenza biunivoca abbiano lo stesso numero di elementi. Si pone allora la definizione fondamentale: due insiemi tra cui sussiste una corrispondenza biunivoca sono equivalenti, o meglio equipotenti.
Tra il 1870 e il 1880 gli studi di Cantor e Dedekind hanno prodotto una rivoluzione nella matematica. Rovesciando completamente la tradizionale affermazione sulla parte che non può essere uguale al tutto, essi la assumono come proprietà fondamentale che definisce lo strano comportamento dell'infinito. Stabiliscono: 'un insieme è infinito quando è equipollente con una sua parte propria'. L'insieme N dei numeri interi è, ad esempio, infinito. Infatti è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra l'insieme N di tutti i numeri interi e l'insieme P dei numeri interi pari, che è certamente una parte propria di N. La corrispondenza è la seguente: ad ogni numero intero di N si fa corrispondere il suo doppio, che è un numero pari, dunque elemento di P. Viceversa ad ogni elemento di P, che è pari, si fa corrispondere la sua metà, che è un intero, dunque un elemento di N. Ecco l'infinito realizzato, in atto. L'insieme dei numeri interi non è più grande di una delle sue parti. Questo infinito svelato viene detto numerabile o discreto.
Stabilito questo pilastro centrale, l'edificio di Cantor e Dedekind ha potuto strutturarsi con sbalorditiva semplicità, demolendo qui e là certezze che resistevano da anni e anni.
I termini infinito e infinità assumono nell'analisi matematica un significato leggermente diverso, che può essere precisato ricorrendo al concetto di limite (Calcolo infinitesimale). Ad esempio, data la successione 1, 4, 9,, il cui n-esimo termine an è dato da n2, con n = 1, 2, 3,, si dice che essa tende a infinito per n tendente a infinito, poiché, per qualunque numero N, arbitrariamente grande, è possibile determinare un valore di n a partire dal quale an risulti maggiore di N. La successione 1, y ,, il cui n-esimo termine bn è dato da 1/n, con n = 1, 2, 3, , bn, tende a zero per n che tende a infinito, poiché, per qualunque valore di un numero e, arbitrariamente piccolo, è possibile determinare un valore di n a partire dal quale la differenza tra bn e 0 risulti minore di e. Analogamente la funzione f(x) = 1/(1 - x)2 tende a infinito, o diventa infinita, quando x tende a 1, e tende a 0 quando x tende a infinito.
In topologia, l'insieme reale esteso è l'unione dei numeri reali con due punti, indicati con e . In simboli:
La relazione d'ordine si estende a questi nuovi punti ponendo:
, per ogni x reale.
Il nastro di Moebius è il simbolo convenzionalmente adottato per indicare l'infinito. Deriva il suo nome dal matematico tedesco August Ferdinand Moebius. Si tratta di una particolare superficie ad una sola faccia, illimitata e priva di un interno o di un esterno. Se si pone la punta di una matita in un qualsiasi suo punto e la si sposta sulla superficie fino a compiere un percorso a forma di otto, ci si trova dalla parte opposta al punto di partenza senza mai aver staccato la punta della matita, come si sarebbe dovuto fare con un anello qualsiasi. Se si prosegue a formare un altro otto, si ritorna esattamente al punto di partenza avendo percorso tutta la superficie del nastro.
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