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MUTAMENTI DI OPINIONE E CULTURA POLITICA NEGLI ANNI SETTANTA
Tra il 1960 e il 1975 vi fu un affannoso e rapidissimo alternarsi di fasi di deideologizzazione e di reideologizzazione, di democratizzazione radicale e di culto della violenza, di rivolte culturali e di ennesime inversioni di tendenza.
Sono state delle forme estreme di un lungo sviluppo nel quale si sono manifestati sentimenti e bisogni profondi; come profonda fu l'impressione che esercitarono sulla gioventù. C'è chi parla di una "rivoluzione silenziosa".
Negli anni '70 confluiscono due correnti di pensiero: la prima quella degli anni '20, la seconda è il frutto di una trasformazione delle concezioni sociali e politiche.
La questione definitiva è: le idee e i valori, i concetti che si sono tramandati dal XVIII e XIX secolo, sono ancora validi e utilizzabili?
Proprio nel momento della sua massima diffusione e dei suoi più alti traguardi materiali, il pensiero occidentale sembra perdere definitivamente fiducia in se stesso. Questa visione pessimistica trascura la capacità di adattamento celata nel pluralismo. Nel pensiero politico la ricerca di un valore ultimo riconduce continuamente alla molteplicità e pluralità delle aspirazioni umane.
Ci chiediamo invece:
in che misura è esaurita o quanta capacità futura ha ancora l'idea di
democrazia, invocata oggi da tutto il mondo ma attuata in pochissimi Stati?
Negli anni '60 essa si affidava nell'Europa libera e negli USA, all'efficienza
politica e economica delle sue istituzioni (ruolo irrinunciabile
dell'opposizione). Essa non implicò mai la pretesa o l'obbligo dell'unanimità.
In pochi anni a questa democrazia liberale fu contrapposta l'esigenza di una visione più completa della democrazia, una democrazia "sostanziale". Accanto alle "crisi di legittimità", una polemica sulle forme pacifiche o violente degli obiettivi politici.
Questa duplice polemica scatenò il baccano degli ultimi anni '60. Dovunque fu posto il problema di sostituire le forme rappresentative con quelle plebiscitarie, e si vide quanto fosse difficile operare la distinzione, apparentemente così chiara, tra democrazia politica (nello Stato) e istituzioni funzionali (nella società). Apparve chiaramente che la richiesta di maggiore partecipazione era una tendenza di lungo periodo.
Due tendenze quindi: il passaggio da una domanda di sviluppo e di sicurezza soprattutto economici alla rivendicazione di una migliore qualità della vita e di maggiore protezione dell'ambiente, e l'aumento di informazione politica e della capacità di partecipare al processo politico, ma anche di perturbarlo.
Il fattore sicuramente più importante dello sviluppo delle democrazie occidentali appare, come sempre, il sistema dei partiti, pluripartitico.
Un compromesso possibile sta nel riconoscimento reciproco che gli obiettivi qualitativi per essere realizzati presuppongono un elevato grado di efficienza politico-economica, che a sua volta deve essere adeguata alle accresciute esigenze di vita e di cooperazione i una società industriale altamente sviluppata.
Perciò il partito popolare del secondo dopoguerra rappresenta un importante passo avanti; viene rimesso in questione dal bisogno dell'individuo di identificarsi nella società di massa. Ma viene incontro a questo bisogno molto meno di quanto non facciano i sistemi autoritari. Questi bisogni di partecipazione e identificazione con gruppi e movimenti entrano in conflitto con l'efficienza della democrazia liberale.
L'ansia di trascendere dalla dimensione materiale soprattutto negli Stati industriali porta a un nuovo idealismo romantico che si profila all'orizzonte.
Le tensioni di cui parliamo Weber le aveva definite come tensioni tra valore e mezzi. Più alti i fini, maggiori anche le sollecitazioni alle strutture e ai mezzi: la discrepanza nella relazione tra fini e mezzi emerge con evidenza nei sistemi totalitari, dove il fine giustifica sempre i mezzi.
Un problema è se la trasformazione dei valori sia possibile preservando la funzionalità delle strutture della democrazia o se la radicalizzazione dei fini non finisca col distruggere i presupposti politici della democrazia stessa.
Ciò che emerge da tutte le polemiche della fine degli anni '70 è l'accento posto sulla dimensione morale. Ciò riguarda in particolare il problema del progresso.
Il pensiero antitecnologico si richiama alle tesi del Club di Roma. Le previsioni di questo, il determinismo scientifico portano la politica dell'ambiente e dell'energia a diventare un terreno di strategico decisivo.
Qui viene in luce tutta l'inefficacia delle consuete ricette ideologiche. I teorici comunisti propongono una società autoritaria con un benessere decrescente senza ridurre i problemi dell'ambiente.
Lo sviluppo di forme
non ideologiche di cooperazione pacifica e di risoluzione dei conflitti diventa
per la prima volta un tema centrale del dibattito politico.
Data la sensibilità per i problemi di un assetto umano sempre più perfezionato
anziché di uno sviluppo generale incontrollato, i fronti ideali diventano più
complicati delle lapidarie contrapposizioni capitalismo-socialismo,
reazionario-progressista, conservatore-liberale.
Il problema qui è di bilanciare fini e mezzi, di equilibrare valori umani e procedure anch'esse umane. Fini e mezzi non devono essere in aperta contraddizione.
Nel vuoto di ideali la realizzazione di questi valori non sarà mai possibile; la differenza vera sta come sempre nel sapere se si chiede una politica democratica oppure autoritaria.
Questa fissazione dello "Stato atomico" produce opinioni che, proprio come la vecchia Kulturkritik, sfiorano appena gli interessi della "popolazione lavoratrice" o del terzo mondo che vengono evocati.
Mai come oggi hanno avuto tantopeso le nostalgie conservatrici. L'anticapitalismo di destra e sinistra è rinato come romantica dichiarazione di guerra alle conseguenze del progresso. Il socialismo dal volto umano resta un'illusione. Neomarxismo e nazionalismo si sottraggono totalmente ancora una volta alla precisa questione cui soltanto la democrazia cerca di rispondere realmente: come può un sistema politico realizzare valori umani senza violarli nella sostanza al momento di applicarli?
Il potere, come la paura, è una delle molle fondamentali di qualsiasi politica. Il nazionalsocialismo, lo stalinismo sono la dimostrazione sperimentale dei limiti che gli uomini possono raggiungere quando si dà il primato ai fini politici sui mezzi.
Un "ritorno alla natura" puro e semplice non può che complicare, riducendo ulteriormente i mezzi. Una strana contiguità di primitivismo e assistenzialismo pubblico domina nella letteratura terzomondista.
La risposta alla ripetuta accusa (autoaccusa anche) contro le democrazia occidentali. L'estensione della civiltà occidentale a tutta la sfera terrestre ha delle conseguenze ambivalenti e molto spesso negative.
Ciò che ha reso possibile l'oppressione ulteriore non è stato il trasferimento della democrazia nei paesi del terzo mondo, ma la sua distruzione politica e ideologica da parte della forza di seduzione delle forme di autorità dittatoriali e monolitiche.
Per questo occorre un equilibrio politico ed economico in Occidente. Solo quando esso sarà raggiunto anche i paesi in via di sviluppo potranno ottenere l'incoraggiamento materiale e spirituale di cui hanno bisogno.
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