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Le origini dell'Unità Europea




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Le origini dell'Unità Europea


L'Unione Europea è ormai diventata una concreta realtà nei diversi aspetti della vita civile, economica, sociale e istituzionale: per rintracciare le radici di quello che attualmente è un impegno comune occorre risalire ad un'epoca storica che ha avuto grande influenza nella formazione di generazioni che hanno cominciato a guardare all'Europa come a una possibilità effettiva di unione.

Si tratta, dunque, in primo luogo di ritornare all'interesse concretamente suscitato, anche in Italia, dal Federalist, una raccolta di scritti a sostegno dei principi contenuti nella Costituzione federale degli Stati Uniti d'America, in cui si sottolinea il principio della superiorità dell'ordinamento federale su quello dei singoli Stati e la preminenza dell'unione come suprema autorità.

Per quanto riguarda direttamente il nostro Paese, merita particolare attenzione il periodo del Risorgimento, a proposito del quale si può osservare che, pur prevalendo l'esigenza dell'unità nazionale, era tuttavia presente l'aspirazione verso la prospettiva di una dimensione più ampia, quella europea, che potesse trascendere i limiti dello Stato. In quest'ottica si collocano le figure di Giuseppe Mazzini, che nel 1834 fonda la Giovine Europa, la quale doveva rappresentare l'espressione visibile di quella concezione democratica delle nazioni che Mazzini aveva sempre concepito su scala europea e quella di Carlo Cattaneo per la realizzazione degli Stati Uniti d'Europa, proposta anche come soluzione ai problemi dell'Italia. Cattaneo fu un liberale genuino: in economia difese il libero scambio, ripudiò il protezionismo statale, si schierò a difesa della proprietà privata, del "promuovimento della piena e libera proprietà".

In politica, il suo liberalismo diventa lotta contro ogni dispotismo seppur larvato, preferenza della repubblica alla monarchia, patriottismo sincero. Sempre sul piano politico, la teoria di maggior rilievo è quella del Federalismo: del federalismo europeo e del federalismo all'interno di ciascuno Stato nazionale. Cattaneo si definiva "veramente e incorreggibilmente" federalista. E mentre per i Neoguelfi il Federalismo era un mezzo per raggiungere l'indipendenza, per Cattaneo il Federalismo era il fine. Per Cattaneo, " il Federalismo è la teoria della libertà, l'unica possibile teoria della libertà". "Libertà è repubblica - egli sostiene -; e repubblica è pluralità, ossia federazione".

A base del suo Federalismo, Cattaneo pone il principio per il quale lo Stato unitario non può essere autoritario e dispotico né l'unita deve tramutarsi in soffocamento delle autonomie, della libera iniziativa e della storia delle differenti comunità umane.

Per quanto più specificatamente riguarda gli Stati Uniti d'Europa, Cattaneo era dell'idea che "avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d'Europa". "Quel giorno l'Europa potesse, per consenso repentino, farsi tutta simile alla Svizzera, tutta simile all'America, quel giorno ch'ella si scrivesse in fronte Stati Uniti d'Europa, non solo essa si trarrebbe da questa luttuosa necessità delle battaglie, degli incendi e dei patiboli, ma ella avrebbe lucrato cento mila milioni".


Analizzando più specificamente le diverse vicende storiche che hanno portato alla creazione dell'Europa, occorre procedere ad analizzare epoche più direttamente vicine a quella attuale, soprattutto il periodo intercorso fra le due grandi guerre.

La conclusione della prima guerra mondiale (1914-18) portò con sé l'avvio del declino politico dell'Europa, in conseguenza dell'apparizione sulla scena internazionale degli Stati Uniti d'America, intervenuti militarmente quasi alla fine del conflitto.

La pace, sancita dal Trattato di Versailles del 28 giugno 1919, provocò una frammentazione politica dell'Europa centrale e orientale, basata sul principio della nazionalità e del diritto dei popoli all'autodeterminazione, con la forte conseguenza della disomogeneità etnica dei territori che avevano dato vita a Stati autonomi, comprendenti considerevoli enclave costituite da minoranze o addirittura frutto dell'unione di zone assai diverse tra loro per razza, lingua e religione. Per risolvere le controversie di carattere internazionale, garantire il nuovo ordinamento mondiale sancito dalla pace di Versailles ed evitare altri possibili conflitti, il presidente americano Wilson lanciò l'idea di dare vita ad un'organizzazione internazionale, la Società delle Nazioni.

In questa nuova realtà, l'aspirazione all'unità europea, sempre presente nel pensiero dei più avvertiti esponenti politici, trovò forte eco negli scritti dell'economista italiano Luigi Einaudi, che fin dal 1897 aveva sostenuto l'esperienza unitaria, affermando tra l'altro che in mancanza di una soluzione europea, i Paesi dell'Europa sarebbero 'rimasti polvere senza sostanza: l'alternativa non è - affermava Einaudi - tra l'indipendenza e l'unione ma tra l'esistere e lo scomparire'. Al pari di Einaudi, anche Giovanni Agnelli, il fondatore della FIAT, nel libro Federazione europea o Lega delle nazioni? scritto insieme con l'economista Cabiati, tentò di dare un contributo alla soluzione dei problemi italiani in termini europei, come molto più tardi avrebbero fatto, con maggiore organicità, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.

Analoghe tendenze sono riscontrabili in altri Paesi europei; fra tutte meritano un cenno l'iniziativa paneuropea dell'austriaco Richard Graf von Coudenhove Kalergi, basata non su una prospettiva federale, ma sulla collaborazione paritaria fra Stati sovrani, nonché le opere giovanili del belga Henri Brugmans secondo la sua idée européenne. Fra i sostenitori di una soluzione unitaria europea vanno considerati, in periodi diversi, anche alcuni statisti impegnanti nei governi dei rispettivi Paesi alla fine della prima guerra mondiale: David Lloyd George premier britannico dal 1916 al 1922, Gustav Stressemann, ministro degli esteri tedesco tra il 1923 e il 1929 e soprattutto il francese Aristide Briand, a lungo presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, nonché leader del partito socialista.

Nel 1926 un apposito Comité d'Action, costituito da un gruppo di politici, economisti e industriali francesi, diede vita a Parigi all'Unione economica e doganale europea, un progetto che avrebbe dovuto propagandare la proposta unitaria.. Nel 1929, sempre in Francia, fu presentata proprio da Aristide Briand la proposta più avanzata e organica fra quelle formulate nel periodo tra le due guerre: un disegno europeo di carattere federale basato sulla riconciliazione franco-tedesca, che anteponeva alla creazione di un mercato unico europeo una scelta di carattere politico che in primo luogo garantisse la sicurezza. Il progetto presentato alla Società delle Nazioni il 5 settembre 1929, dove aveva ottenuto un'accoglienza sostanzialmente favorevole, venne però abbandonato in seguito alla morte di Stressemann, all'inerzia del governo di Mussolini in Italia e all'avvento al potere di Hitler. Dopo di esso per molti anni non venne più avanzata alcuna altra proposta di un'organizzazione unitaria europea.

Nel 1939, anno in cui, con l'invasione della Polonia, iniziava il secondo conflitto mondiale, in Gran Bretagna si costituì, su iniziativa di William Beveridge, il comitato promotore della Federal Union europea, organizzazione di sollecitazione all'unità, che diede luogo a una fiorente attività pubblicistica di propulsione verso gli ideali europeisti. Nell'anno successivo, su ispirazione di Jean Monnet, economista e uomo politico francese, e con l'approvazione di Winston Churchill, venne lanciato un ambizioso progetto di Unione franco - britannica che prevedeva la medesima cittadinanza per entrambi i Paesi e istituzioni comuni per l'economia, la finanza, la politica estera e la difesa; tale progetto non riuscì però mai a realizzarsi a causa del successivo armistizio franco-tedesco.

Durante i primi anni della seconda guerra mondiale, alla quale l'Italia aveva dichiarato di voler partecipare il 10 giugno 1940, l'idea di realizzare un progetto federale europeo fu rilanciata a Ventotene, una piccola isola sperduta del mar Tirreno nell'arcipelago pontino, dove erano tenuti al confino molti antifascisti italiani tra cui Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colori: essi diedero vita, nel 1941, a un progetto di Manifesto Per un'Europa libera ed unita, sulle cui basi nel 1943 venne costituito, ancora durante la Resistenza, il Movimento federalista europeo, per molti anni ispirato e guidato da Spinelli. Il Manifesto di Ventotene segnò in questo senso una svolta, in quanto intendeva essere non soltanto una dichiarazione di principi, ma un programma di iniziative 'con la propaganda e con l'azione - vi si leggeva - cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami fra singoli movimenti che nei vari Paesi si vanno certamente formando, occorre sin da ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più grande e più innovatrice mai sorta in Europa'. In questo modo si venivano tra loro saldando federalismo e Resistenza; non tutta la Resistenza è stata ispirata al federalismo, ma certamente il federalismo è stato un denominatore comune a vari movimenti e tendenze in Italia e negli altri Paesi europei di resistenza al fascismo e al nazismo. I tre autori del Manifesto provenivano da posizioni intellettuali e da esperienze politiche diverse. I motivi ispiratori della Resistenza si possono disporre su tre livelli, secondo che si consideri come guerra di liberazione nazionale in nome dell'indipendenza, opposizione al fascismo e ad ogni altra forma di tirannide per ripristinare la democrazia e infine come tendenza verso un nuovo assetto sociale contro ogni tentazione di restaurazione dell'antico regime. L'idea federalista si pone su questo terzo livello: la Resistenza non come restaurazione ma come innovazione.

Con la fine della seconda guerra mondiale, l'Europa uscì ormai del tutto dal proprio ruolo di protagonista sulla scena mondiale e il suo destino venne completamente condizionato dalle due superpotenze vincitrici del conflitto, Stati Uniti d'America e Unione Sovietica.

In coerenza con i principi enunciati nel Manifesto di Ventotene, il Movimento federalista europeo, all'atto della sua costituzione operativa, decise di premettere alla pubblicazione del Manifesto alcune linee indicative delle motivazioni e delle prospettive in esso tracciate, affermando l'idea centrale che la causa essenziale delle crisi, delle guerre, delle miserie e degli sfruttamenti esistenti nella società risiedeva nella permanenza di Stati sovrani geograficamente, economicamente e militarmente caratterizzati e, come tali, viventi in una relazione reciproca di perpetuo bellum contra omnes.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il Movimento federalista europeo iniziò la propria concreta attività per la realizzazione di una prospettiva unitaria federale, partecipando attivamente alla costituzione dell'Unione europea dei federalisti, un'organizzazione di militanti articolata secondo la presenza di associazioni nei vari Paesi d'Europa senza distinzione di partito o di nazionalità. Nel frattempo si erano andate costituendo nei Paesi dell'Europa occidentale numerose organizzazioni di carattere politico, concordi nella volontà di realizzare la prospettiva dell'Europa unita, ma distinte riguardo le modalità con cui attuare tale obbiettivo: vi era chi riteneva sufficiente un sorta di confederazione o di unione paritaria e chi invece si batteva per un'effettiva federazione a carattere sovranazionale.

Gli esponenti principali di tali organizzazioni parteciparono al Congresso d'Europa, apertosi a L'Aja il 7 maggio 1948, promosso da un Comitato internazionale di coordinamento dei movimenti per l'unità europea, presieduto dal leader britannico Winston Churchill e articolato sulla base del lavoro di tre commissioni politica, economico - sociale e culturale. Le conclusioni del Congresso, sotto forma di Messaggio agli europei, furono esposte il 9 maggio ad Amsterdam nel corso di una grande manifestazione pubblica: si auspicava un'azione unitaria da parte di tutti i Paesi europei per scongiurare il pericolo di un nuovo conflitto, per garantire la pace, salvaguardare la libertà dei popoli, contrastare l'insorgere di nuovi dispotismi e tutelare i diritti dell'uomo.

In vista di una ripresa dei Paesi dell'Europa occidentale sotto l'aspetto economico-sociale, ma anche per evidenti ragioni politiche, operò concretamente l'iniziativa statunitense del Piano Marshall (il cui nome deriva dal generale Georges Marshall che lo aveva ideato). Chiamato anche "European Recovery Program", cioè "Programma di ricostruzione europea", fu un programma di aiuti economici concessi nel secondo dopoguerra (1948-1952) dal governo degli USA ai Paesi dell'Europa occidentale, danneggiati dalla guerra. Il Piano prevedeva la concessione gratuita ad ogni Paese dell'86% degli aiuti americani, mentre il restante 14% veniva concesso a titolo di prestito. Proprio per una comune gestione di questi aiuti da parte degli Stati Uniti, venne istituito il 16 aprile 1948 OECE (Organizzazione Europea di Cooperazione Economica), la prima organizzazione che sanciva una collaborazione euroamericana, ma anche una più stretta coesione tra gli Stai europei. Oltre all'organizzazione e alla gestione degli aiuti economici provenienti dall'America, l'OECE contribuì anche a:


liberalizzare gli scambi tra i paesi membri;

introdurre una prima idea di accordo monetario;

sviluppare una più concreta cooperazione economica generale.


Nonostante ci fosse una forma di opposizione da parte della Gran Bretagna verso una più profonda integrazione che si differenziasse da un'organizzazione di tipo classico, seguì comunque fra gli Stati interessati la predisposizione ad una più ampia collaborazione politica, contraddistinta dal comune impegno in un'alleanza militare, finalizzata a fronteggiare il rafforzamento dell'area di influenza sovietica. Sorse così il Patto Atlantico, un'alleanza militare che dava luogo ad implicazioni anche di carattere politico, sociale e culturale, sancita dalla firma del Trattato di Washington il 4 aprile 1949, a cui l'URSS reagì più tardi con la costituzione del Patto di Varsavia il 14 maggio 1955. Si realizzò così una contrapposizione politico-militare destinata a durare un quarantennio, con la conseguenza di ridurre ulteriormente il ruolo di protagonista dell'Europa e l'autonomia dei Paesi europei.

Dieci Stati dell'Europa occidentale, per dare concreta realizzazione alle istanze formulate al Congresso dell'Aja del Movimento europeo dell'anno precedente, il 5 maggio 1949 a Londra sottoscrivono il trattato che istituiva il Consiglio d'Europa approvandone il relativo statuto. Rispetto alla tesi federalista, prevaleva così quella unionista, nel senso che il Consiglio d'Europa non differiva dalle organizzazioni internazionali di tipo classico, basate sulla cooperazione politica a livello di consenso paritario e sull'unanimità delle decisioni. Gli organi del Consiglio d'Europa furono stabiliti in un Comitato dei ministri, sostenuto da un Segretario burocratico a da un'Assemblea parlamentare costituita dai rappresentanti dei popoli attraverso la mediazione di un'elezione di secondo grado da parte dei rispettivi Parlamenti nazionali. L'Assemblea, pur non essendo eletta a suffragio universale come era stato auspicato al Congresso dell'Aja, rappresentava comunque un elemento di grande innovazione e di effettivo progresso, tanto che, per evitare di dare luogo a un'innovazione troppo rilevante, si provvide subito a limitarne il potere a funzioni semplicemente consultive. L'istituzione del Consiglio d'Europa costituì un fatto assai importante, sebbene non si realizzasse quella prospettiva di carattere sovranazionale necessaria per consentire effettiva unitarietà all'Europa occidentale; infatti trascorsa ben presto l'euforia dell'impatto iniziale, esso si rivelò ben presto uno strumento insufficiente, una tribuna per i ministri degli Esteri dei Paesi aderenti, attraverso le riunioni del Comitato dei ministri, e per i rappresentati parlamentari, priva però di una concreta iniziativa politica. Tutto ciò  portava, da un lato, a uno scarso peso politico dell'organizzazione e, dall'altro, a una priorità delle scelte di carattere sociale e culturale fra le competenze dell'organizzazione.



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