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L'Assemblea Costituente e la Costituzione




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L'Assemblea Costituente e la Costituzione


L'elezione dell' Assemblea Costituente, il 2 giugno 1946, segnò per l'Italia l'apertura di un nuovo orizzonte. Alla nuova democrazia veniva restituito, dopo i tragici anni della dittatura e della guerra, il presidio forte ed autorevole di un' Assemblea direttamente e liberamente eletta dai cittadini; il confronto tra le forze politi­che ne trovava la sede istituzionale privilegiata in cui dare pienamente voce ai valori del pluralismo, della tra­sparenza e della responsabilità. Con il riconoscimento del diritto di voto, le donne italiane entravano a pieno titolo nella vita pubblica nazionale, segnando con il loro contributo di passione civile, entusiasmo ed intelli­genza la costruzione dei valori fondanti della Repubblica.                              Il tempo dell'Assemblea Costituente fu un tempo straordinario, pieno di speranze, animato da grande generosità e grande coraggio. Ma fu anche un tempo difficile, percorso da un clima di crescente conflittualità politica e ideologica e dal profilarsi di nuove lacerazioni quando si era ancora intenti a rimarginare le ferite del passato. Tuttavia, dall'alternarsi di questi elementi contrastanti emerge con forza un dato incontroverti­bile: nell'impegno dei Costituenti si è riflessa una fase unica ed irripetibile della storia del nostro Paese. La chiave per comprendere come si sia riusciti ad attraversare questa difficile fase è davanti ai nostri occhi: essa è inscritta nelle norme della Costituzione repubblicana, è custodita nei suoi principi fondamentali, è testimoniata dalla straordinaria sintesi di sensibilità e di culture che i 556 costituenti seppero realizzare nel breve lasso di tempo che separò il 25 giugno 1946 ed il 31 gennaio 1948. Quella sintesi appare oggi quasi un miracolo: donne e uomini fieramente orgogliosi delle proprie identità politiche, capaci di contrapporsi con durezza e senza sconti sui temi più delicati del governo del Paese, hanno saputo disegnare il patrimonio comune di ideali e di valori in cui tutti gli italiani continuano e continueranno a lungo a riconoscersi. Ma non si è trattato di miracolo. Si è trattato, più semplicemente, dell'impegno di una generazione di uomini concreti, rigorosi, consapevoli delle proprie responsabilità di fronte all'Italia nel momento in cui se ne decidevano le sorti. Uomini che, in questo cimento, sono stati guidati dalla loro coscienza, dalla coerenza intellettuale e dalla considerazione esclusiva dell'interesse del Paese.




La Costituzione della Repubblica italiana



Introduzione


Il dizionario della lingua italiana definisce il termine costituzione come complesso delle leggi che stanno a base del sistema giuridico- istituzionale di uno Stato.

Infatti, la Costituzione è la legge fondamentale di uno Stato, poiché è in essa che lo Stato trova le sue radici e si legittima.

Il presente capitolo, si pone l'obiettivo di esporre, per quanto possibile, i principi fondamentali e l'ispirazione di fondo della nostra Costituzione, che consentono di cogliere tutta la vitalità e l'attualità della Carta costituzionale.


La Costituzione della Repubblica italiana: forma e principi.


Come sostenne Montesquieu, ogni Costituzione ha un proprio oggetto particolare, ovvero un fine supremo che impronta di sé l'intero ordinamento.

Oggetto particolare della Costituzione italiana è la persona umana, sog­getto, fondamento e fine dell'ordinamento repubblicano, con i diritti inviola­bili, e i doveri, inderogabili, ad essa consustanziali e che ad essa si riconnettono nel continuo fluire della storia, che l'ordinamento statuale riconosce, non crea.

Una persona umana, concepita non come entità astratta, ma nella concre­tezza della sua esistenza, della sua esperienza di vita, nella multidimensionalità dei suoi bisogni, materiali e spirituali, immanenti e trascendenti, che essa cer­ca di soddisfare nella concreta realtà dei gruppi in cui viene a trovarsi, natural­mente e volontariamente, in cui nasce, cresce, entra, e si sviluppa, in rapporto con altre persone, in una relazione reale di solidarietà. Essenziale e costitutiva della persona è, dunque, la dimensione sociale, secondo la ispirazione aristotelica, ripresa e sviluppata dalla filosofia tomistica, nel senso che la per­sona è persona proprio nella società, nelle sue diverse articolazioni, portatrice di diritti «innati», che «la società non può disconoscere» .

Tale concezione trova la sua consacrazione nell' articolo 2, che «ricono­sce» e «garantisce» i diritti che ad essa fanno capo, ritenuti «inviolabili», e sancisce, con plastica formulazione, che riecheggia il pensiero di Giuseppe Mazzini, la stretta correlazione fra il «godimento» dei diritti e l'«adempimento» dei doveri inderogabili.

L'articolo 2 fa espresso riferimento alle «formazioni sociali», in cui la società si articola e dove il soggetto plasma la sua personalità, tra le quali alcune formazioni sono ritenute «tipiche», quali, ad esempio, la famiglia, la scuola, le chiese, i partiti, i sindacati, le comunità di lavoratori, le imprese, le cooperative ecc. Esse, tut­tavia, non esauriscono i fenomeni organizzativi, che si manifestano nella so­cietà, dal momento che, essendo molteplici e diversi gli interessi che fanno capo alla persona umana, molteplici e diversi possono essere le formazioni in cui essa cerca di soddisfare i suoi bisogni. L'articolo 2 racchiude, dunque, il principio ispiratore della intera Costituzione, la persona umana nella sua di­mensione sociale, che si trova in una posizione di primato, non più di sudditanza e/o di soggezione nei confronti dell'ordinamento statuale nuovo.

Si può ben dire, dunque, che l'articolo 2 è l'articolo che governa l'architettura di tutto l'edificio costituzio­nale. Dalla concezione di persona e di società accolta nella Costituzione, di­scende anche il principio di sussidiarietà, orizzontale e verticale.

Nel nostro Paese, tale principio non era esplicitato, nel testo costituzionale del 1948. Si può dire, tuttavia, che esso fosse presupposto proprio per la predetta concezione di persona e società in esso consacrato.

Uno dei pilastri dell'edificio costituzionale, proiezione della dimensione sociale della persona, è dato dal pluralismo sociale, giuridico, istituzionale. L'istanza pluralistica consente anche alla persona di realizzare il suo sviluppo nelle formazioni sociali a carattere territoriale - comuni, provincie, regioni - che, non a caso, la Repubblica, come è previsto nell'articolo 5 della Costituzione, riconosce e promuove come comunità storicamente esistite ed esistenti, che concorrono a costituire l'ordinamento della Repubblica medesima, secondo le disposizioni del Titolo V, parte seconda della Costituzione.

L'esperienza storica dimostra che la promozione e la tutela del pieno sviluppo della persona non si ottengono con il mero riconoscimento di diritti attraverso la solenne proclamazione della libertà e dell'eguaglianza per tutti, come era avvenuto in Europa, con l'avvento della Rivoluzione francese e la nascita della forma di Stato moderno.

Si consideri inoltre che il legislatore costituente non poteva non tener conto della esperienza vissuta, in Italia e negli altri Paesi, dalla persona umana nell'ordinamento prefascista e fascista; non poteva non tener conto della immane tragedia della seconda guerra mondiale, con la morte di oltre cinquantacinque milioni di persone innocenti, il loro annientamento materiale e spirituale, in forme e misure che non hanno eguali nella storia recente. Fu Giuseppe Dossetti ad individuare proprio nella tragedia della seconda guerra mondiale la vera matrice della nostra Costituzione. Eventi che hanno portato il nostro Legislatore costituente non solo a por­re, come detto, la persona umana come valore originario e finale dell'ordina­mento nuovo, con i diritti e doveri ad essa consustanziali, ma anche a prevede­re una serie di norme e di istituti, diretti a costruire un ordine sociale proietta­to a consentire alla persona, a ogni persona, di essere veramente tale, libera cioè dai bisogni, dai condizionamenti, dalla miseria che le impediscono di vivere veramente la sua vita.

Tra questi, assume valore strategico l'articolo 3 della Carta costituzionale. Dopo aver stabilito la «pari dignità sociale» e l'eguaglianza davanti alla legge dei cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di condizioni personali e sociali, esso recita: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di or­dine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva par­tecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e socia­le del Paese».

Il Legislatore costituente, partendo dalla constatazione, storicamente accertata, che nella società esisto­no i suddetti ostacoli, stabilisce che la Repubblica, ovvero tutti gli enti preposti a esercitare funzioni pubbliche e i loro organi, sono impegnati a rimuoverli per consentire ad ogni persona il raggiungimento del suo pieno sviluppo e la par­tecipazione effettiva alla vita del Paese, nelle sue diverse articolazioni.

L'articolo 3 ha la finalità di eliminare le discriminazioni delle e tra le persone, di diritto e di fatto, esistenti nelle leggi e nella società, con l'obiettivo di procedere a una graduale trasformazione della società, pro­muovendo, il pieno sviluppo di ogni persona e uno Stato stru­mento al servizio della persona .

Altra conseguenza che scaturisce dalla impostazione di fondo richiamata è la proclamazione, ad apertura del testo costituzionale, che la «Repubblica è fondata sul lavoro». La disposizione è espressione di accettazione, da parte del Legislatore co­stituente, di un valore come denominatore comune di tutte le persone, essen­do il lavoro elemento di vita e di sviluppo che costituisce la sintesi fra il principio personalistico (che im­plica la pretesa all'esercizio di una attività lavorativa) e quello solidarista (che conferisce a tale attività carattere doveroso) .

La Costituzione, assumendo, quindi, il lavoro come criterio di qualifica­zione del merito, impone alla Repubblica di creare le condizioni per realizza­re, nel rispetto anche della libertà di iniziativa economica privata e dell' econo­mia di mercato, una efficace politica di sviluppo per evitare, tra l'altro, quella specie di agonia per la persona, che è la disoccupazione, e dare effettività alla eguaglianza, alla dignità di ogni persona, alla libertà. E La Costituzione vuole coniugare, non contrapporre, libertà ed eguaglian­za, e realizzare una democrazia sociale, politica, economica, nella prospettiva di una operante solidarietà.

Strettamente correlata con la richiamata concezione della persona uma­na è la proclamazione, carica di significati giuridici e politici, contenuta nel­l'articolo l della Costituzione, che «l'Italia è una repubblica democratica» e che «la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione».

La democrazia non può trovare fondamento che nella persona umana, infatti nessun regime democratico potrebbe consolidarsi se non fosse diffusa e com­penetrata nella coscienza comune la credenza ineffabile di ogni persona umana, quale che sia la sua condizione, credenza che può essere alimentata non già dal ritenere l'uomo mero prodotto dell' am­biente, bensì dal risalire alla sua origine divina, ai diritti congeniti e inalienabili che da essa derivano. Vasta e complessa è la problematica che scaturisce dall' articolo l, che con­tiene la sintesi generale dei caratteri della forma di Stato e i criteri ermeneutici necessari per svelarne la portata. In esso, si proclama che la sovranità è attribuita al popolo in titolarità e in esercizio, al popolo inteso non quale entità astratta, mistica o spirituale, ma come insieme di cittadini, ciascuno individuato nella sua storica concretezza, ciascuno titolare di situazioni giuridiche a carattere costituzionale, che ciascu­no esercita in forma singola e collettiva nella comunità, ripartita nelle diverse formazioni sociali, in comunità territoriali, che la stessa Costituzione indivi­dua, come constatabile nella parte seconda della Carta. Il dato rilevante, dunque, è che il Costituente non si è limitato a dichiarare la semplice spettanza della sovranità al popolo, ma ha voluto stabilire che al popolo appartiene l'esercizio della sovranità. Occorre evidenziare, a tal proposito, un dato esplicitato nella stessa Costi­tuzione: l'articolo l, secondo comma, nel dichiarare che la sovranità appartie­ne al popolo, aggiunge che l'esercizio relativo sarà svolto «nelle forme e nei limiti della Costituzione». Il che significa che l'esercizio della so­vranità non è illimitato, ma è limitato ed è disciplinato dalla stessa Costituzio­ne, poichè fuori dalla Costituzione e dal diritto non c'è la sovranità popolare, ma l'arbitrio popolare.

Tra i corollari più vistosi, derivanti dall'articolo l, è che la Costituzione ha dato formale consacrazione a quella che era già una tendenza del periodo pre­fascista, il trapasso, cioè, della «sovranità» dal Parlamento al popolo, ovvero a tutti i cittadini, viventi e operanti in una pluralità di formazioni sociali. Partiti, sindacati, enti locali territoriali, altre formazioni sociali in cui la persona, il cittadino vive e opera, sono concepiti come strumenti di penetrazione della società, nella sua multiforme e variegata realtà, nelle istituzioni, viste anch'es­se come strumenti al servizio della società. L'obiettivo è, tra l'altro, quello di portare al superamento della contraddizione tra società civile e stato, tra Pae­se reale e Paese legale, che ha caratterizzato la storia italiana dopo l'unifica­zione.

È alla luce dei principi ricordati che debbono essere interpretati anche gli articoli della Costituzione dedicati ai «rapporti economici e sociali», che riconoscono e garantiscono, tra l' altro, l'iniziativa economica privata, l'impre­sa, la proprietà, la cooperazione, come oggetto di un diritto e di una libertà della persona, come manifestazione specifica della sua personalità in forma­zioni sociali cui è possibile dare vita. Dalle norme costituzionali emerge chiaramente che l'attività econo­mica, in ogni sua forma, di gestione della proprietà, di impresa, di prestazione del lavoro, è libera e deve essere finalizzata al perseguimento del «razionale sfruttamento» dei beni, di «equi rapporti sociali», della «funzione sociale», della «utilità sociale».

Il fine immediato cui è indirizzata e coordinata la disciplina costituzionale dei «rapporti economici» è, per l'appunto, l' «utilità sociale», il progresso eco­nomico della società attraverso cui ogni persona può trovare sviluppo, sicurez­za, libertà, dignità, per adoperare la stessa terminologia della Costituzione.

In questo contesto l'economia, al pari di ogni altra forma di attività uma­na, non può sottrarsi alle norme che la società si è data. Essa e la sua organiz­zazione sono al servizio della persona al cui sviluppo, dunque, i meccanismi dell'economia di mercato debbono operare.

Un altro principio fondamentale che concorre a caratterizzare la forma di stato delineata nella Costituzione repubblicana è il principio supernazionale, affermato, in particolare, negli articoli 10 e 11 della Costituzione, che stabiliscono, tra l'altro, l'adattamento automatico delle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute; il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali; la promozione e l'adesione, anche mediante limi­tazioni della propria sovranità in condizione di parità con gli altri Stati, alle organizzazioni internazionali dirette a realizzare un ordinamento internazio­nale che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni. E si sa bene che la pace, come non si è stancato di sottolineare, nel suo lungo pontificato, sua Santità Giovanni Paolo II, «si riduce al rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo - opera di giu­stizia e di pace - mentre la guerra nasce dalla violazione di questi diritti e porta con sé ancor più gravi violazioni di essi». La Costituzione vuole attuare un sistema di rapporti tra gli Stati imperniato sul principio del reciproco ri­spetto e di solidarietà.

Alla luce di queste concezioni, De Gasperi notava come, dalle tante «finestre» aperte dalla Costituzione verso l'avvenire, poteva intravedersi negli articoli citati, «qualcosa che potrebbero essere gli Stati Uniti d'Europa».


La forma parlamentare


Nel quadro delineato, debbono operare istituti e organi della forma di gover­no parlamentare, prescelta dal Legislatore costituente già all'inizio dei lavori dell' Assemblea. La Costituzione ha istituito una pluralità di organi - Camera, Senato, Presidente della Repubblica, Corte costituzionale, Governo, Presidente del Con­siglio dei ministri, Consiglio superiore della magistratura - di cui ha anche determinato direttamente le funzioni, il carattere monocratico e collegiale, il sistema di elezione, i criteri per la loro formazione e composizione, la respon­sabilità e la irresponsabilità, le prerogative, ciascuno con una propria sfera di competenza, che non si contrappone né è separata l'una dall'altra, ma reci­procamente coordinata, armonizzata, interdipendente, secondo il principio non della separazione dei poteri, ma del principio dei checks and balances, ciascuno istituzionalmente preposto, secondo le funzioni attribuite, a concorrere, a dare concretizzazione ai principi e ai diritti consacrati nella Costituzio­ne, a soddisfare i bisogni della società, del popolo, che viene a porsi come la fonte originaria di ogni potere, a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, per raggiungere le finalità di cui parla il citato articolo 3 . Il Legislatore costituente ha dato anche vita a una serie di istituti di garan­zia, di ordine formale e sostanziale, finalizzati a evitare la violazione della Co­stituzione, di cui ha affermato la supremazia e la conseguente rigidità, garan­tita da una procedura aggravata per l'approvazione delle leggi di revisione costituzionale e delle leggi costituzionali, da limiti, espliciti e impliciti, alla sua revisione, dal controllo di costituzionalità delle leggi, ad opera di un organo appositamente creato, la Corte costituzionale, per l'appunto. È appena il caso di rilevare che un altro organo supremo è preposto a garantire la Costituzio­ne, sia pure in momenti e forme diversi, rispetto al giudice delle leggi: il Presi­dente della Repubblica. Non mancano altri organi istituzionalmente competenti a garantire, in posizione di indipendenza e autonomia, diritti e interessi ai cittadini, come sono naturalmente gli organi della giurisdizione, ordinaria, amministrativa, contabile e le Autorità indipendenti.

Fra intesa e compromesso

Ho cercato di richiamare, a grandi linee, la ispirazione di fondo della Costitu­zione, i principi fondamentali che la caratterizzano, nella forma di Stato e nella forma di governo, intorno a cui gli esponenti più significativi dei partiti, rappresentati all' Assemblea costituente si sforzarono di trovare un solido e ampio terreno d'intesa, come attestano i lavori preparatori e la votazione fina­le, il 22 dicembre 1947, sul testo definitivo della Costituzione: deputati pre­senti e votanti 515; maggioranza richiesta 258; voti favorevoli 453; voti contra­ri 62. Non si ignora, di certo, la critica che la Costituzione è, nel suo complesso, espressione di un «compromesso». È così, e non avrebbe potuto essere diver­samente in presenza di un'Assemblea elettiva, costituita da rappresentanti di tutti gli orientamenti politici e culturali esi­stenti nella società italiana. Si tratta di una critica facile, ripetuta spesso anche nei tanti discorsi in Assemblea costituente, ignorando o volendo ignorare che il «compromesso» è connaturato a un ordinamento democratico, come Jurgen Habermas ha ricordato di recente. Senza poi dire che sulla ispirazione di fondo, sui principi ricordati non ci fu neanche il «compromesso», ma una intesa, come si ricava dai lavori prepa­ratori. Va a merito dei Costituenti aver messo da parte le differenti e contrap­poste posizioni di cui erano portatori, al fine di dar vita a una Costituzione in cui tutti o quasi gli Italiani potessero riconoscersi . La maggioranza così ampia raggiunta, tale da superate largamente i due terzi dei componenti l'Assemblea, rappresentò, quindi, una felice conver­genza di opinioni, l'unità necessaria per fare la Costituzione non del­l' uno o dell'altro partito, non dell'una o dell'altra ideologia, ma la Costituzio­ne di tutti i lavoratori italiani e, quindi, di tutta la nazione . All'oggi, i principi fondanti della Costituzione del 1948 non sono invecchiati e tanto meno superati; sono vivi e attuali, oggi più che mai.                           La persona umana, con i diritti e i doveri, vecchi e nuovi, ad essa connaturati; la democraticità dell' ordinamento; la sovranità popolare; la par­tecipazione di tutti i cittadini all' esercizio del potere; il pluralismo delle e nelle istituzioni e della società; il lavoro; la famiglia; la religione; la cultura; l'am­biente; la salute; la pace; l'eguaglianza formale e sostanziale; la solidarietà; la giustizia; la identificazione dell'Italia con la Repubblica; le limitazioni di so­vranità, in condizioni di parità con altri Stati, necessarie per assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni; tutti questi principi, sono valori, bisogni e aspirazioni di base della so­cietà di oggi, della persona vivente nel villaggio globale, nell' epoca della rivoluzione scientifica e tecnologica. Un'ennesima conferma dell'attualità dei principi della Costituzione può anche trovarsi nei non pochi atti approvati da organismi internazionali, dal 1948 ad oggi, come le Costituzioni adottate in questo arco di tempo da diversi Stati fino alla Car­ta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ed allo stesso «Trattato che adotta una Costituzione per l'Euro­pa». Atti tutti che, sia pure con diversa accentuazione, affermano gli stessi principi della Costituzione, come la centralità della persona umana, della sua dignità, dei diritti, di diversa specie, che ad essa fanno capo; valori, principi, che emergono sempre più come patrimonio comune dei Paesi operanti nel nuovo spazio costituzionale europeo. Si rende indispensabile, tuttavia, che essi siano tradotti, più e meglio di quanto sia avvenuto nel sessantennio trascorso, in prassi operative a tutti i livelli - politico, economico, sociale, giudiziario, amministrativo - e penetrino nelle coscienze dei cittadini, ne diventino patrimonio comune. Si sa bene che la strada per la loro affermazione è ancora irta di ostacoli. Tuttavia, bisogna operare per renderla effettivamente concreta. Che è poi la concretizzazione di un mondo umano, cioè giusto, di una giustizia realizzata con mezzi giusti, e libero, di una libertà realizzata per mez­zo della libertà. Mondo umano della storia: mondo fatto dagli uomini, per gli uomini, ma umanamente, cioè rispettando l'uomo e le leggi profonde e le profonde esigenze spirituali dell'umanità». Il giurista, il costituzionalista, in particolare, non meno del politico di professione, hanno il dovere di lottare per la edificazione di questo mondo umano. Queste considerazioni, testimoniano come la cultura dei costituenti non era una cultura del passa­to, ma sorprendentemente del futuro. Essa li portò a scrivere una Costi­tuzione che, come Gustav Mahler diceva della sua musica, «era destinata non ai contemporanei, che erano sgradevolmente colpiti dalla sua novità, ma ai posteri».

Conclusioni

In questo sessantennio, il processo di trasformazione economica, sociale, cul­turale del Paese si è realizzato nell'alveo della Costituzione, che ha garantito -pur in mezzo a tante difficoltà e tragedie- libertà, sviluppo e democrazia, in misura che non trova riscontro in nessun'altra epoca della nostra storia. Nessuno, tuttavia, può negare la esistenza di gravi disfunzioni delle e nelle istituzioni, centrali e periferiche; l'enorme debito del bilancio dello Stato; le mancate riforme strutturali dell'economia; i ritardi nei processi di liberalizzazione e di privatizzazione; la diffusa corruzione; la persistente illegalità. Questi fenomeni sono da addebitare a una Costituzione malfatta o piuttosto a una classe politica che, per molteplici ragioni, non ha saputo o potuto realizzare il disegno di un ordinamento statuale nuovo, concepito come strumento al servizio della persona e della società, delineato nella Costituzio­ne del 1948? Invero, le cause di questi fenomeni estremamente negativi per lo sviluppo del Paese sono da ricercare non nelle manchevolezze della Costituzione, ma nella crisi che, per diverse ragioni, ha colpito per decenni i partiti, i rapporti tra i partiti, tra i partiti e la società civile e nella conseguente incapacità di dare vita a maggioranze stabili in grado di assolvere a quella che è la sua funzione propria: governare. Probabilmente, alla classe politica di oggi sarebbe utile, per uscire da una ormai lunga fase di difficoltà, ripensare più spesso ai Padri costituenti, per cercare di trarre un mirabile esempio dal loro alto senso dello Stato e dal loro senso di responsabilità, cioè quei presupposti che li portò, il 22 dicembre 1947, ad approvare quasi all'unanimità il testo finale della Costituzione della Repubblica italiana.



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