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La situazione italiana dopo il secondo conflitto mondiale. La descrizione data dalla poesia di Salvatore Quasimodo.
La situazione che il secondo conflitto mondiale lasciò nel nostro Paese fu, senza dubbio, disastrosa. Non ci si soffermerà, in questa sede, a descrivere ampliamente tali condizioni, ma attraverso la rilettura di una poesia del premio Nobel Salvatore Quasimodo, si cercherà di riandare a quegli anni, cercando di cogliere quelle sensazioni che solo la poesia può darci.
Questo lavoro sarà di fondamentale importanza, poiché aiuterà a comprendere più a fondo quanto si fece per rialzare l'Italia dal disastro in cui era caduta.
Salvatore Quasìmodo, autore di Milano, agosto 1943, nacque nella provincia di Ragusa nell'anno
1901. Di formazione tecnica, iniziò ben presto ad occuparsi di filosofia e
letteratura. Fu grazie alla sollecitazione di Elio Vittorini che, nel 1929, si spostò a Firenze dove conobbe diversi
intellettuali, tra i quali Montale, che costituivano il gruppo animatore di «Solaria», la rivista che pubblicò
nel 1930 alcune sue poesie. In un breve giro di anni, comparvero le prime
importanti raccolte poetiche. I consensi furono espliciti e decisamente
incoraggianti.
Nel 1934 si trasferì a Milano, dove entrò subito a contatto con gli ambienti
culturalmente più aperti, che erano impegnati in una decisa opposizione al
Fascismo.
Nel 1940 uscì la raccolta delle traduzioni dei Lirici greci,
destinata a divenire famosa. Nel 1941 viene nominato dal ministro
dell'Educazione nazionale Bottai professore di letteratura italiana presso il
conservatorio musicale «G. Verdi» di Milano.
Visse gli anni della guerra con una forte partecipazione, di cui si coglie
eloquente testimonianza in molte sue poesie tra le quali, per l'appunto, quella
che in seguito sarà analizzata. Negli anni del dopoguerra il poeta accentuò
l'impegno civile e politico, piegando la sua poesia a intenti nobilmente persuasivi
e a strumento di denuncia e di polemica; aderì nel 1945 al Partito Comunista
Italiano, ma non rinnovò in seguito la tessera.
Nel 1958 vinse il premio «Viareggio ed il 10 dicembre 1959 vinse il prestigioso
Premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione: «Per le sue poesie
che, con ardore classico, esprimono il sentimento tragico della vita del nostro
tempo».
Milano, agosto 1943
[da Giorno dopo giorno (1947)]
Nell'agosto del 1943 violenti
bombardamenti colpirono Milano. L'abituale immagine della città, fervida di
vita e di lavoro, venne sconvolta: dappertutto segni di violenza,
distruzione, morte, che non lasciavano
adito neppure alla speranza. Testimone di tanta tragedia, il poeta registra
quei terribili segni, non senza farsi interprete del dolore di tutti.
Dallo spunto da cui è nata, la lirica si innalza a una meditazione sulle
devastazioni operate dalla follia degli uomini, trasformandosi in una ferma
condanna non solo della guerra cui è tragicamente legata, ma di ogni guerra, di
ogni violenza. Lo scenario di morte è reso dal poeta in uno stile descrittivo e
discorsivo, con un linguaggio che nulla concede alle raffinatezze della forma,
ma mira, piuttosto, a tradursi in immagini vive. Messaggio di questa poesia è la condanna della guerra, concepita
dal poeta come macchina infernale di
violenza, distruzioni, omicidi, morte della voglia di vivere.
Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s'è udito l'ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l'usignolo
È caduto dall'antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.
La tragedia della seconda Guerra Mondiale e la Resistenza
operano profondamente nello spirito di Quasimodo, alla cui etica e al cui gusto
realistico-ermetico procurano contenuti e valori nuovi di aperto impegno umano
e sociale e contribuiscono in misura determinante a farlo passare
dall'attenzione alle 'parole' a quella per le 'cose'. La
sconvolgente esperienza della guerra accentua, nel cammino poetico di
Quasimodo, lo svolgersi di virtualità presenti ma nascoste, in senso
realistico-drammatico: le liriche Con il piede straniero sopra il cuore,
del 1946, e Giorno dopo giorno del '47 inaugurano una stagione veramente
nuova nella poesia italiana. Non è più tempo, ormai, di elegie malinconiche, di
delicate modulazioni intimistiche e di sogno: una dura realtà ora incombe
sull'uomo, dove egli si riscopre nella sua verità, fatta di miseria e di
sangue, di terrore e di lacrime. In queste raccolte e in quelle successive,
La vita non è sogno del 1949 e Il falso e vero verde, la poesia di
Quasimodo assume carattere civile, umanitario e sociale nel contenuto ed
oratorio nella forma. Parallelamente al
rinnovamento della tematica, si rinnova il linguaggio. È un idioma, che si
affida alla scarna e terribile eloquenza delle cose, degli oggetti, della
storia, presentata per scorci e simboli; persino della cronaca, presentata con
linearità. Ormai è lontana ogni presenza di desiderio di 'eterno',
dell'afflato metastorico, caratteristici del primo Quasimodo. Ora, il poeta
raggiunge i risultati più alti: un mondo umano riscattato dalla guerra e dalla
violenza, una patria più vasta dove si è fatta persino sensibile quella
presenza cristiana di valori morali e religiosi, che il primo Quasimodo (quello
ermetico) aveva sentito solo come oscuro travaglio e non come schietta e
risoluta esigenza sociale.
Ciò che però è stato sempre presente nel mondo poetico di Quasimodo sono alcune
tematiche come, ad esempio, la meditazione sul dolore, che ora si sposta
dall'ambito privato e personale a quello pubblico e sociale e la tensione
stilistica, che conferiscono a tutta la sua produzione una fisionomia
sostanzialmente unitaria. Il passaggio del poeta alla nuova lirica
'impegnata' è determinato dalle tragiche vicende della seconda Guerra
Mondiale. La follia omicida del conflitto apre il cuore di Quasimodo alla
realtà storica e alla cronaca del proprio tempo, strappandolo alla tematica
onirica, solipsistica ed ermetica del primo periodo ed orientandolo verso altre
di natura storica e sociale, al colloquio con gli altri, che soffrono la sua
stessa pena ed ai quali egli dona, infine la speranza di un mondo migliore.
Egli ora non è più il nostalgico ricercatore di età e terre lontane, ma il
giudice severo della sua epoca; perciò denuncia e condanna, con potenza
realistica, le atrocità della guerra, e fa percepire con grande forza al
lettore tutta la tragicità di quella situazione.
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