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Negli ultimi mesi, è tornata in maniera imponente all'attenzione dell'opinione pubblica la riflessione sulle carceri italiane e sulle problematiche ad essa annesse e connesse, stimolata in particolar modo dai mezzi di comunicazione e dal dibattito politico. Dopo l'entrata in vigore della Legge Smuraglia (L. 22 giugno 2000 n. 193), le considerazioni in merito alle questioni carcerarie rimasero relegate ai cosiddetti "addetti ai lavori", lasciando nell'ignoranza la gran parte dei cittadini italiani, che erano, anche volutamente, a conoscenza unicamente delle vicende di cronaca, quali evasioni, arresti e condanne. Lo scenario che apre l'interessamento mediatico e popolare odierno è il sovraffollamento, o meglio gli episodi di insofferenza che sottendono a questa problematica, portato alla ribalta nei primi mesi del 2002. L'opinione pubblica è oggi indirettamente informata sulla realtà carceraria, indipendentemente dal fatto che questa scuota o meno le coscienze, o si possa considerare una delle priorità dell'agenda politica del nostro paese. Scrivo dopo l'introduzione del cosiddetto "Indultino", approvato dalle Camere con la legge 1 agosto 2003 n. 207. Questo atipico provvedimento, fortemente invocato da Papa Giovanni Paolo II e altrettanto osteggiato dal Ministro della Giustizia e dal suo partito, è frutto della convergenza di entrambi gli schieramenti politici che, se pur con valutazioni diverse, hanno ritenuto necessario procedere all'approvazione di un atto finalizzato a ridimensionare il problema del sovraffollamento delle carceri[1]. L'efficacia di questa legge non è ancora sufficientemente valutabile, si può solamente evidenziare che le prescrizioni della suddetta stabiliscono che saranno coinvolti "i condannati che hanno già scontato almeno la metà della pena detentiva", con pene non superiori ai quattro anni, ai quali sarà sospesa l'esecuzione della pena nel limite massimo di due anni", e ai sensi dell'art. 4 della L. n. 381 del 1991 modificato dalla legge 22 giugno 2000 n. 193, si considereranno in misura alternativa. Ulteriori prescrizioni prevedono, congiuntamente alla sospensione della pena, l'applicazione delle seguenti disposizioni: si stabilisce che il condannato debba presentarsi all'ufficio di polizia giudiziaria indicato dal magistrato di sorveglianza, il quale fissa i giorni e l'orario di presentazione; s'impone l'obbligo per il condannato di non allontanarsi dal territorio del comune di dimora abituale o del comune indicato dal magistrato; è stabilito inoltre il divieto di espatrio. Come indicavo poco sopra, tali prescrizioni, sono frutto dell'incontro di due componenti opposte: una che proponeva contemporaneamente indulto ed amnistia generalizzata, l'altra che si opponeva a qualsiasi provvedimento di clemenza nei confronti dei detenuti. In un incontro pubblico organizzato a Mestre (Ve) nel periodo di discussione in parlamento della proposta di legge Pisapia, Sergio Segio, esponente dell'associazione Gruppo Abele, una delle organizzazioni che nel 2000 proposero, in riferimento al problema del sovraffollamento, l'indulto accompagnato da un'amnistia, definisce riduttiva la proposta, chiedendo formalmente un "indulto senza se e senza ma" per "obbiettiva necessità". Appare significativo che, nel momento in cui la legge entra in vigore, ci siano sostanziali perplessità da parte degli addetti ai lavori e delle associazioni che si occupano di volontariato penitenziario, stimolati in particolar modo dalla supposizione che difficilmente questo tipo di provvedimento interesserà la grande maggioranza dei detenuti, anzi, si ipotizza che non riuscirà minimamente a dare temporaneo sollievo al sovraffollamento, e quindi ad intervenire con efficacia nel problema che era all'origine della sua discussione.
Non è solo il problema delle carceri superaffollate ad essere al centro del dibattito degli ultimi mesi. Ad esso si accompagnano una serie di tematiche, che risulta impossibile approfondire in questa mia tesi, perché meriterebbero di essere studiate con altrettanta attenzione, al fine di esplicarne chiaramente le sfaccettature. Mi limiterò ad elencarle, facendo naturalmente alcune considerazioni.
Il fenomeno dell'immigrazione costituisce uno dei grandi interrogativi della società occidentale del nuovo millennio e rappresenta un fenomeno di proporzioni vastissime, difficilmente controllabile od ostacolabile. Esso colpisce direttamente anche la realtà carceraria e, come nota Wacquant, tocca le categorie più vulnerabili del mercato del lavoro e meno tutelate dal settore assistenziale dello Stato, tanto da costituire una nuova componente cospicuamente rappresentata all'interno degli istituti penitenziari italiani. Oggi gli stranieri detenuti in Italia sono quasi un terzo della popolazione carceraria. Dal 1990 al 1996 sono passati dal 17,3% al 28,1%, arrivando negli ultimi anni a raggiungere la soglia del 36,2% della popolazione detenuta[2]. Diverse e variegate sono le spiegazioni che si possono dare a questo incremento. Dario Melossi parla "di un trend di aumento che va stabilizzandosi di pari passo con la presenza degli immigrati nel nostro paese". La condizione di marginalità sociale di gran parte dei detenuti stranieri li accomuna ai cittadini italiani dell'area del disagio, rendendoli, anche se con caratteristiche proprie, facilmente collocabili tra gli individui ai margini della società. Nel caso degli stranieri si evidenzia come i provvedimenti legislativi atti a fermare l'immigrazione clandestina, siano spesso l'elemento che facilita l'iscrizione di questi soggetti tra i futuri detenuti.
Altro fenomeno di estremo interesse in ambito di detenzione, anche se sicuramente non altrettanto nuovo quanto la consistente presenza straniera in carcere, è il problema legato alla droga e alla tossicodipendenza. I dati rilevano come tra il 1990 e il 2000, il fenomeno dei tossicodipendenti presenti nelle carceri abbia avuto un incremento pressoché omogeneo, con picchi del 32% nel '91 fino a stabilizzarsi al 27,2% dei presenti il 31 dicembre 2002[3]. Sarebbe rilevante poter valutare anche come il carcere possa divenire, in alcuni casi, luogo d'avvicinamento alla tossicodipendenza. Accanto alle tossicodipendenze è confortante il netto calo dell'incidenza dei detenuti sieropositivi sul totale dei presenti, con un valore che è passato dal 10% del 1990 al 2,57% attuale.
Altrettanto importante appare il fenomeno delle morti in carcere, portato alla ribalta anche da un recente dossier del Centro di Documentazione Due Palazzi di Padova. Questo dossier mette in luce i principali motivi delle morti in carcere, focalizzando l'attenzione sui suicidi e sul sistema sanitario dei penitenziari. E' indubbio che i suicidi in carcere abbiano una frequenza decisamente maggiore rispetto a quelli delle persone libere, tenuto conto del fatto che le condizioni di vita sono peggiori e che la risonanza mediatica su questi episodi è particolarmente debole. Diversi sono i motivi di tale gesto. "Si uccide chi conosce il proprio destino e ne teme l'ineluttabilità" come scrive l'Associazione A Buon Diritto-Associazione per le libertà, in sostanza per una mancanza totale di prospettive. Altro motivo è riconducibile alla "qualità della pena", incapace di assolvere i requisiti previsti dalle normative. Ultimo versante è costituito dalla possibilità di reinserimento al termine della pena, che si collega necessariamente alle aspettative di ogni singolo detenuto all'uscita dal carcere. Da considerare tra i motivi di morte in carcere c'è anche la morte dovuta a malattia, che implica, una riflessione sul sistema di assistenza sanitaria dei detenuti. Spesso l'assistenza sanitaria in prigione risulta difficile, perché i detenuti approfittano del proprio stato di salute per ottenere migliori condizioni di detenzione, il rinvio della pena o la detenzione domiciliare. A loro volta i medici, a conoscenza di questo fenomeno, tendono considerare i detenuti dei "simulatori", minimizzando sui sintomi di una malattia. Il comportamento di entrambe le parti impedisce così, l'instaurarsi di un rapporto di fiducia che consentirebbe nel rispetto reciproco la collaborazione, soprattutto quando c'è di mezzo la salute delle persone.
Come ho voluto far notare, molti e complicati sono i temi di possibile dibattito e approfondimento all'ordine del giorno quando si parla di detenuti e di istituti penitenziari. La mia attenzione si continuerà a focalizzare sui detenuti lavoranti e sul loro percorso di reinserimento.
Dopo aver illustrato la normativa attuale in materia di lavoro penitenziario, ritengo opportuno esplicare osservazioni, percorsi ed esperienze, di inserimento lavorativo per detenuti ed internati in Italia, prima di stringere il campo d'osservazione sulla realtà della Provincia di Venezia, oggetto del mio lavoro di ricerca.
Con una propria legge regionale, ogni Regione ha declinato i contenuti del decreto 469, organizzando il decentramento del mercato del lavoro attraverso la definizione di modalità di funzionamento dei servizi per l'impiego integrati con iniziative di politica attiva del lavoro e di formazione professionale. Le Regioni hanno costituito le Commissioni Regionali per le politiche del lavoro, organismi con rappresentanza delle parti sociali che mirano alla concertazione, alla proposta, alla progettazione e alla verifica delle linee programmatiche per le politiche del lavoro locali, ed i Comitati Istituzionali di Coordinamento delle Province, finalizzati a rendere effettiva l'integrazione locale fra l'erogazione dei servizi all'impiego, le politiche del lavoro e quelle formative. Ecco che alle Province spetta il compito di definire la rete dei Centri per l'Impiego al fine di erogare tutti i servizi volti al collocamento ed i servizi connessi: informazione, orientamento, preselezione, incontro tra domanda e offerta. Affidando la competenza alle Province, le Regioni trasmettono anche il compito di occuparsi delle misure rivolte alle fasce deboli del mercato del lavoro, che comprendono detenuti ed ex detenuti. Con la Legge Smuraglia (L. n. 193/2000), il terzo settore acquista un ruolo interessante nella realizzazione di politiche attive per l'integrazione degli "svantaggiati", agevolato dall'abbattimento degli oneri sociali previsti dalla legge sia per le cooperative sociali, che per gli altri datori di lavoro pubblici e privati.
Vediamo nel dettaglio i passaggi di possibile inserimento lavorativo per i detenuti e gli ex detenuti.
Il primo passo per progettare un inserimento lavorativo è l'iscrizione alle liste di collocamento. La facilitazione introdotta dall'art. 19 della Legge n. 56/1987 agevola i detenuti perché li esonera, finché permane lo stato di detenzione, dall'obbligo di confermare lo stato di disoccupazione. Su richiesta del detenuto o dell'internato, la direzione dell'istituto penitenziario provvede a segnalare periodicamente lo stato di detenzione e quindi di disoccupazione. Costituisce ambito di competenza dei nuovi servizi all'impiego avviare percorsi di politica attiva del lavoro per soggetti tossicodipendenti od ex detenuti. Secondo passaggio dopo l'iscrizione, è promuovere la conoscenza della possibilità d'iscrizione alle liste di collocamento, soprattutto perché, dopo la maturazione di due anni di anzianità di iscrizione, un'azienda che assume un detenuto può accedere agli stessi sgravi fiscali fissati per l'assunzione di disoccupati di lunga durata. Congiuntamente alla promozione si ritiene opportuno incentivare l'assunzione al fine di interessare l'offerta di lavoro per gli svantaggiati. Un esempio sono gli incentivi alle imprese per l'assunzione a tempo indeterminato di soggetti ammessi al lavoro all'esterno. Altro mezzo è costituito dai tirocini formativi o lavorativi e dalle borse lavoro all'esterno. Con il tirocinio formativo si prevede uno stage di breve durata che consente di verificare le competenze lavorative della persona e le capacità di adattamento alle regole della vita "esterna". Non sono previsti corrispettivi economici, solamente coperture assicurative. Diversamente, il tirocinio lavorativo, prevede un contributo economico che però non è a carico dell'impresa. La borsa lavoro, strumento tra i più utilizzati nelle esperienze di inserimento, è finalizzata a costituire un rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendimento e formazione del borsista. Prevede per il borsista, come nel caso del tirocinio lavorativo, un contributo economico, sempre non a carico dell'impresa. Questi strumenti consentono di allentare la difficoltà dell'incontro tra domanda e offerta per i detenuti, dovuto molto spesso alla diffidenza dei datori di lavoro nei confronti di chi ha sulle spalle un periodo di carcerazione, evitando di accollare all'impresa un onere economico.
Quali sono le possibilità di svolgere per i detenuti una attività lavorativa finalizzata al reinserimento, durante il periodo di detenzione? Nella trattazione sulla normativa recente ed attuale ho cercato di spiegare le possibilità formali, previste dal nostro ordinamento giuridico, atte a consentire ai detenuti di lavorare. Ora è da verificare, in primo luogo attraverso l'esperienza indiretta, e successivamente attraverso l'esperienza diretta degli interessati nello studio del capitolo successivo, come la possibilità formale combaci con la possibilità reale di avviare percorsi d'inserimento. Per ciò che riguarda le attività lavorative all'esterno della struttura penitenziaria ricordiamo la possibilità di lavoro all'esterno (art. 21 O.P.), il lavoro all'esterno attraverso le misure alternative della semilibertà e dell'affidamento in prova ai servizi sociali. Per ciò che concerne il lavoro all'interno teniamo in considerazione il lavoro a domicilio o lavoro domestico che consente di lavorare anche per ditte esterne diverse dall'Amministrazione Penitenziaria.
Per avere un quadro completo delle attività di inserimento lavorativo ho utilizzato lo strumento della ricerca informatica attraverso la rete web. Questo tipo di ricerca di mi ha consentito di accedere a tutte le attività presenti sul territorio nazionale che hanno suscitato un interesse mediatico, o siano state portate alla pubblica attenzione dagli enti promotori. Particolarmente utile è stata la rassegna stampa del Centro di Documentazione Due Palazzi di Padova, che dispone di una raccolta consistente di materiale pubblicato dai maggiori quotidiani nazionali e da alcuni quotidiani locali, relativo ai progetti di inserimento lavorativo per detenuti ed ex detenuti. Altrettanto interessanti sono gli atti dei convegni sul lavoro penitenziario organizzati, negli ultimi anni, dagli istituti penitenziari sia all'interno che all'esterno del carcere, con la collaborazione degli enti locali, delle associazioni di volontariato e delle cooperative sociali. Raccolto il materiale, in prevalenza costituito da articoli di giornale, interviste, interventi pubblici, ho proceduto ad una catalogazione, al fine di raggruppare per tipologie i vari progetti di inserimento lavorativo. Le categorie scelte sono: gli sportelli informativi, i progetti di lavoro all'esterno presso gli enti locali, i progetti di lavoro avviati attraverso la collaborazione degli enti locali, delle realtà produttive, del Ministero di Giustizia e delle cooperative sociali , e infine i progetti delle cooperative sociali per favorire il reinserimento lavorativo. Dopo aver catalogato le esperienze raccolte, ho scelto di spiegarne alcune tra le più significative, con la consapevolezza che la scelta, motivata dalla catalogazione e dalla rilevanza del progetto, rappresenta comunque una discrezione personale.
Gli sportelli informativi nascono dalla volontà di offrire ai detenuti e agli ex detenuti degli strumenti in grado di aiutarli nella ricerca del lavoro e fornire loro una serie di competenze utili al loro reinserimento lavorativo. Le esperienze che si sono consolidate nel territorio sono: il PILD di Firenze, lo sportello informativo di Brescia, il CILO di Roma, lo sportello di Palermo, gli sportelli della provincia di Milano, lo sportello di Reggio Emilia, lo sportello SOS di Torino e infine lo sportello di Bologna. Alcune tra le esperienze più significative.
Il PILD (Punto Informazione Lavoro Detenuti) di Firenze è un servizio ideato nel 1994 dall'Associazione Container per fornire ai detenuti una conoscenza basilare dell'insieme del mondo del lavoro e, contemporaneamente, dare delle prime risposte immediate, o comunque degli indirizzi concretamente percorribili. Ciò tenuto conto della diversità delle figure, delle problematiche spesso coincidenti (immigrati, tossicodipendenti, ecc.) accomunabili in linea di massima da una scarsa conoscenza della realtà lavorativa, della cultura che la sottende, dei meccanismi d'ingresso nel mercato occupazionale, dei diritti e doveri che lo regolano, della richiesta formativa emergente e così via. Tale funzione propedeutica, volta a fornire gli strumenti informativi per iniziare ad orientarsi e ad evidenziare tanto i limiti personali in tal senso, quanto i punti di forza da cui partire, deve necessariamente affrontare tutti gli altri aspetti strettamente collegati e che rappresentano quegli ostacoli alla partenza che impediscono l'avvio di un percorso. Fattori obiettivi di svantaggio possono essere diversi, ed è considerato importante partire da questi reali bisogni per costruire modelli operativi sufficientemente elastici. Allo stesso modo, la figura dell'operatore risulta essere "eclettica", in grado di spaziare su settori diversi, e "mobile", anche fisicamente, per andare incontro a chi difficilmente si presenta spontaneamente nei luoghi istituzionalmente deputati. La possibilità di accedere all'indennità di disoccupazione per quanti lavorano in carcere o di ottenere una pensione di invalidità, sono aspetti fondamentali per l'approccio al lavoro. Diritti spesso difficili da ottenere dovendo seguire i normali iter burocratici, e che quindi vanno ad alimentare quella sfiducia personale che si somma ai motivi oggettivi dello svantaggio. Pertanto il servizio a cui è chiamato un "operatore sociale del lavoro", non può che essere di pre-orientamento, lasciando alle figure professionali specifiche gli eventuali sviluppi nel campo della formazione, dell'orientamento al lavoro o degli altri ambiti collegati. A questa seconda fase ovviamente accede quel target più ristretto di persone che hanno trovato soluzioni adeguate attraverso l'iniziale attività di informazione allargata. Quanti presentano i prerequisiti basilari per presentarsi nel mercato del lavoro ed affrontare i passaggi obbligati della formazione, del rapporto con i diversi canali per l'impiego, di ricerca personale del lavoro hanno oltremodo bisogno di quel sostegno graduato caso per caso che l'operatore in qualità di tutor deve assicurare. Il superamento della condizione comune di precarietà, infatti, passa dall'acquisizione pura e semplice di un bagaglio informativo alla messa in atti di azioni coerenti, risentendo della scarsa abitudine a muoversi tra i canali privati e pubblici del lavoro, della difficoltà nella ricostruzione di un profilo professionale accettabile e dell'insieme degli strascichi giudiziari o sociosanitari di origine diversa. Ecco che, il momento di incontro con un datore di lavoro, può essere facilitato dalla capacità di "contrattare" la forma più adeguata di inserimento, ricorrendo alle normative che possano agevolarlo. Pertanto l'operatore nel seguire la persona da reinserire dovrebbe intervenire contemporaneamente nei rapporti con i soggetti del pubblico e del privato, cercando soluzioni agili per superare gli iter più complessi o costruendo, ad esempio, una rete di rapporti con imprese disponibili a favorire l'ingresso di soggetti svantaggiati. Ciò impone dall'altra parte, la costruzione di un albo delle professionalità che tenga conto delle condizioni sociali e dei percorsi precedenti. Per i detenuti, le possibilità immediate sono offerte principalmente dalle cooperative presenti nel territorio, o riconsiderando conoscenze di lavoro precedenti con cui tentare un approccio. Per gli esterni sono indicate le agenzie di lavoro interinale, qualora posseggano specifiche competenze, quindi i centri per l'impiego o altri luoghi dove trovare informazioni utili e personale preparato[4].
Il senso dello sportello CILO (Centro di Iniziativa locale per l'occupazione) di Rebibbia, è di offrire un servizio di orientamento ed assistenza tecnica all'inserimento e reinserimento per detenuti o ex detenuti nel mercato del lavoro. Con il contributo del Comune di Roma, il Consorzio Informagiovani ha gestito dal 1996 al 1999 i CILO. La società Soluzione si è occupata anche del decollo delle cooperative sociali composte da detenuti. La struttura fornisce informazioni, orientamento alle scelte e consulenze ai detenuti al fine di rafforzare le loro capacità di autonomo inserimento al lavoro in collaborazione con la rete dei servizi per l'impiego e le sezioni circoscrizionali per l'impiego e il collocamento in agricoltura. Il servizio vuole altresì orientare la domanda lavorativa verso centri specializzati nell'assistenza e nel collocamento, in collegamento con il provveditorato agli studi, i distretti scolastici, i laboratori di quartiere interessati all'amministrazione comunale. Cura, al momento della dimissione dei detenuti, la presentazione dell'utente ad uno degli sportelli presenti nel territorio; svolge l'analisi dei bisogni formativi e occupazionali, rileva le competenze individuali e le valorizza, fornisce informazioni sistematiche su percorsi di reinserimento specifici, tirocini e borse di studio, legislazione in materia di diritto del lavoro, pari opportunità, legislazione nazionale e regionale in materia di autoimprenditorialità. Lo sportello tende quindi a valorizzare le capacità progettuali del detenuto e porsi quale soggetto canalizzatore di risorse. Il progetto prevede la realizzazione in più fasi: una fase preliminare, una fase di informazione e orientamento, l'attivazione di laboratori di ricerca attiva sul lavoro, l'attivazione di laboratori d'impresa e del servizio di documentazione. Ha avuto inizio nel 2001. Lo sportello in carcere funziona per diciotto ore settimanali durante le quali esperti svolgono colloqui mirati con i detenuti. Un locale esterno al carcere, contiene la banca dati con le informazioni su: concorsi pubblici, siti lavorativi, esperienze indicative, contratti di formazione, corsi di formazione e tirocini, stage, offerte di lavoro.[5] I risultati sono ancora difficilmente valutabili. Si conta che finora si siano svolti 40 colloqui individuali .
Il Progetto Sportelli della provincia di Milano
Il progetto Sportelli ideato e realizzato dall'Agenzia di solidarietà per il Lavoro di Milano (Age.Sol.), nasce nel 1999, con il sostegno della Provincia di Milano. Per far fronte ai bisogni dell'utenza carceraria, le organizzazioni fondatrici (API Milano, Confartigianato, CNA, AGCI, Confcooperative, Lega Coop Lombardia, CGIL, CISL, UIL Milano, Caritas Ambrosiana, Sodalitas, Gruppo di Lavoro di San Vittore), hanno ritenuto necessario coordinare gli interventi che, nelle carceri milanesi, associazioni di volontariato, servizi pubblici e privati, amministrazione penitenziaria svolgono per i detenuti in diversi ambiti. Esiste la volontà di stabilire un rapporto organico di collaborazione e sinergia con i centri e i servizi che si occupano di politiche attive del lavoro, al fine di rendere efficace il servizio evitando una sovrapposizione dell'azione. E' ritenuto indispensabile stabilire un rapporto organico di collaborazione e sinergia con gli operatori del Ministero della Giustizia, con le strutture e le iniziative dell'Amministrazione Penitenziaria ai diversi livelli. Con interventi pratici si cerca di collocare il servizio in un progetto sociale che veda impegnati diversi attori nell'intento di inserire nel tessuto produttivo e sociale detenuti ed ex detenuti. Il Progetto si pone come obiettivi prioritari: la creazione di un'area di servizio sugli aspetti motivazionali e gli aspetti di orientamento, preparare percorsi d'inserimento mirati e personalizzati, basati sull'analisi dei bisogni del singolo utente che richiede l'intervento durante l'espiazione della pena e dopo la scarcerazione, preparare una mappatura e fornire informazioni sui servizi di sostegno al reinserimento operanti sul territorio di appartenenza dell'utente, mettersi in rete con gli interventi attivati dentro e fuori dal carcere, fornire informazioni e procedure per l'accesso al mercato del lavoro e per la ricerca del lavoro, fornire informazioni sulle opportunità di formazione e qualificazione professionale dentro e fuori il carcere. Il Progetto Sportelli si articola su due piani: un piano motivazionale ed uno informativo. Il piano motivazionale mira a sviluppare la cultura del lavoro, laddove per cultura del lavoro s'intende non solo la conoscenza del mondo del lavoro stesso, ma anche il lavoro come alternativa al reato, vissuto come unica fonte di sostegno. Riuscendo nell'obiettivo si pensa di permettere ai detenuti un migliore e più adeguato reinserimento al momento dell'uscita, sia a fine pena, sia utilizzando le misure alternative alla detenzione, al fine di orientarli, anche in termini formativi, ad un possibile inserimento lavorativo. Il piano informativo riguarda la conoscenza della normativa vigente sul lavoro, previdenza, iscrizione al collocamento e relativi aggiornamenti. Per esplicarlo al meglio si organizzano dei gruppi informativi tra detenuti nelle varie sezioni degli istituti.
Per far conoscere gli sportelli interni, il servizio si avvale di tre detenuti per istituto, di media scolarità, formati in un corso di circa trenta persone per una durata di 400 ore. I colloqui e la presa a carico sono gestiti invece da collaboratori esterni, con un profilo professionale adeguato a svolgere tale ruolo. Tutto il lavoro è svolto su percorsi d'inserimento personalizzati sulla singola persona. Gli inserimenti avvenuti, a seguito di progettazione di un percorso, dall'avvio dell'attività sono stati 117. Naturalmente tali inserimenti si differenziano in diverse forme contrattuali: 51 utenti con contratto a prestazione d'opera, come soci di cooperative e in borsa lavoro, 21 utenti con contratto a tempo indeterminato/determinato, 45 utenti godono di una posizione lavorativa stabile. Attraverso una ricerca interna a campione, il servizio ha rilevato che il 70% ha mantenuto il lavoro, il 15% svolge un lavoro precario, mentre il restante 15% sta cercando una nuova occupazione. Gli utenti, pur arrivando da svariate esperienze di lavoro, sono in prima battuta disponibili ad accettare lavori d'ogni genere. La condizione socioeconomica prevalente degli utenti, evidenzia la stretta necessità di un lavoro e di un reddito pieno e continuato, inoltre, non tutti hanno la possibilità di muoversi con mezzo proprio e questo limita le possibilità d'inserimento lavorativo nel vasto territorio milanese[7].
L'esperienza del Servizio di Palermo
Il Progetto integrato tra Comune di Palermo e CRESM ha realizzato uno sportello d'informazione, orientamento e collegamento, collocato all'interno della Casa Circondariale Pagliarelli. Il progetto partito nel 1998 è terminato nel 2000 e oggi prosegue come progetto Equal. Le attività effettuate in stretta collaborazione con gli operatori del carcere, si effettuano con: la pubblicizzazione dell'iniziativa tramite una locandina affissa nei locali dell'istituto penitenziario, la somministrazione di una scheda sintetica per la raccolta dati dei beneficiari che richiedono di usufruire del servizio, incontri individuali di valutazione tra i beneficiari e i consulenti per la stesura di una seconda scheda ai fini dell'individuazione dei relativi percorsi formativi lavorativi, l'analisi dei percorsi individuali. Dopo questo primo screaming, si avviano incontri individuali tra i beneficiari e i consulenti, relativi ai vari gruppi tematici, e alla costruzione del piano di lavoro e individuazione dei finanziamenti necessari. La metodologia si divide in due fasi. La prima fase avviene attraverso l'analisi da parte dell'operatore della realtà del soggetto e del suo sistema di relazioni, accompagnato dal tentativo di capire i bisogni individuali della persona. La seconda fase prevede l'attivazione di una rete di supporto nel territorio al fine di consentire al soggetto la fruizione di risorse pubbliche e private: informazione, orientamento, project work, attivazione di ammortizzatori sociali, ricerca e progettazione per l'acquisizione di finanziamenti a sostegno di nuove attività, percorsi formativi personalizzati, consulenze di settore.
Il tentativo di coinvolgere i detenuti in attività lavorative all'interno degli enti locali e a contatto diretto con la cittadinanza, è frutto della maturazione culturale da parte di alcune amministrazioni comunali, che il problema del carcere rappresenta un problema della società e non dei singoli, e la comunità ha il dovere di farsi carico di questo problema. Appare evidente che la scelta di alcuni sindaci ha rappresentato in un primo momento un atto impopolare, talvolta osteggiato dalla cittadinanza o dai dipendenti comunali, ma con il passare del tempo ha sortito l'effetto contrario, ovvero ha coalizzato amministrazione, dipendenti e cittadini rendendoli promotori di iniziative analoghe in altre realtà. Le esperienze rilevate riguardano i Comuni di: Limena (PD), Galliera Veneta (PD), Ribera (AG), (Ardesio (BG), Gandellino, Gromo, Valbondione, Valgoglio, Villa d'Ogna, Castione, Cerete, Fino del Monte, Onore, Rovetta, Songavazzo) della cintura bergamasca, Albenga, Trieste, Viterbo, Cremona, Monza.
I detenuti di Bergamo al lavoro nei paesi della zona
Il progetto Albatros avviato da sei Comuni della Val Seriana, nella Provincia di Bergamo, è frutto di una convenzione tra la direzione della Casa Circondariale di Bergamo, l'associazione Carcere e territorio e i Comuni, che ha visto promuovere percorsi di reinserimento sociale e lavorativo di persone sottoposte a misure limitative della libertà personale sia all'esterno del carcere (arresti domiciliari e affidamento in prova ai servizi sociali), che all'interno (misure alternative e articolo 21), nonché di ex detenuti nei sei mesi successivi al fine pena. I primi ad aderire all'iniziativa sono stati i Comuni di: Ardesio, Randellino, Gromo, Valbondione, Valgoglio e Villa d'Ogna. Ogni mattina sei detenuti della Casa Circondariale di Bergamo uscivano per raggiungere le loro destinazioni dove svolgevano compiti che andavano dalla manutenzione del verde a incarichi negli uffici amministrativi. Visto il successo di questa esperienza altri sei Comuni hanno deciso di sperimentare forme di reinserimento sociale. I detenuti coinvolti, selezionati tra coloro considerati ammissibili al progetto, hanno avuto a disposizione un mezzo per recarsi al lavoro, un buono pasto, e una borsa lavoro pari a 2 euro l'ora.
Nel mese di marzo 2003 il Consiglio Comunale di Songavazzo ha approvato la convenzione tra la casa circondariale, l'Associazione Carcere e Territorio ed il Comune. In base a tale convenzione, l'istituto si è fatto carico di individuare i detenuti idonei da impiegare nel progetto, in condizioni di articolo 21, semilibertà o affidamento in prova ai servizi sociali. Esclusa la borsa lavoro di 2 euro l'ora, a carico dell'associazione, il Comune si fa carico della spese relative all'assicurazione INAIL, delle spese per l'assicurazione sulla responsabilità civile, e le spese relative al trasporto e alla somministrazione del pasto. Il detenuto impiegato nel Comune si trova in articolo 21 e svolge una attività per cinque giorni alla settimana, dal lunedì al venerdì, dalle ore 8.00 alle ore 1 Al termine del pasto, rientra in istituto. Le mansioni assegnate sono di tipo amministrativo vario, e in caso di necessità, anche di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale. Trattandosi di lavoro prevalentemente d'ufficio i referenti individuati sono il Responsabile del servizio affari generali e il Responsabile del servizio finanziario. L'esperienza è partita il 30 giugno 2003 e ad oggi vede un progressivo inserimento del detenuto nella realtà cittadina e comunale.
Anche Galliera Veneta è un piccolo comune, in provincia di Padova, che ha attivato in collaborazione con l'Amministrazione Penitenziaria del Carcere Due Palazzi di Padova una serie di iniziative di inserimento lavorativo di detenuti a partire dal 2000. Grazie alla sensibilità di un cittadino, il Sindaco è stato sollecitato ad attivare le procedure per consentire ad alcuni detenuti di lavorare all'interno dell'ente comunale. Per far funzionare questa iniziativa e superare il pregiudizio diffuso della popolazione, si è cercato di diffondere l'esperienza, al fine di coinvolgere il più possibile la cittadinanza. L'attività richiesta dal Comune interessava la manutenzione del verde ed il recupero del patrimonio comunale. I detenuti, impiegati inizialmente attraverso la misura dell'articolo 21, hanno potuto beneficiare in un secondo momento di misure alternative più ampie, quali la semilibertà o l'affidamento in prova ai servizi sociali. Particolarmente rilevante è risultata la volontà da parte di un detenuto lavoratore al termine della pena di svolgere l'attività risarcitoria, prevista per legge, nel Comune di Galliera Veneta, al fine di continuare a coltivare un percorso di inserimento nella realtà cittadina avviato attraverso l'esperienza lavorativa offerta durante la detenzione.
Innumerevoli sono le iniziative di collaborazione avviate tra enti locali, Ministero di Giustizia, cooperative sociali. Questo tipo di collaborazione consente di mettere in rete competenze e conoscenze diverse, utili a realizzare progetti, in alcuni casi efficaci, di reinserimento lavorativo per detenuti ed ex detenuti. Più complicato invece risulta il coinvolgimento di realtà produttive private (aziende profit), che sembrano più restie ad assumere detenuti. Il grande salto di qualità rappresenta sicuramente il progressivo coinvolgimento delle aziende private affinché si possa parlare di reale reinserimento. Ciò non toglie che i progetti messi in atto negli ultimi anni in varie zone della penisola rappresentino esperienze importanti, che sono riuscite a sensibilizzare positivamente l'opinione pubblica sul tema del lavoro penitenziario. Seguono alcune tra le esperienze più significative.
Il "progetto speciale lavoro" della città di Torino, è un esempio tipico d'iniziativa finalizzata all'inserimento. Il progetto, preparato in collaborazione con il "Centro di formazione professionale piemontese", che svolge già corsi di formazione professionale per i detenuti, si articola in vari settori. Il più interessante è il progetto "Forsythia", poiché vede impegnate nella realizzazione, oltre agli enti locali, anche dell'Amministrazione Penitenziaria del carcere delle Vallette di Torino che ha il compito di selezionare i beneficiari, e la Magistratura di Sorveglianza, chiamata a pronunciarsi sulla concessione dell'art. 21 O.P. (lavoro all'esterno), contemplato dal progetto. E' prevista la formazione di giardinieri e floricoltori al fine del miglioramento ambientale dell'area attorno al carcere. Impiegati in questo progetto ci sono cinque detenuti che lavorano 35 ore settimanali nella sistemazione di parchi e giardini. Il compenso loro spettante è erogato attraverso una borsa lavoro pagata dalla Regione Piemonte. La realizzazione del progetto prevede due fasi. La prima con una durata di sei mesi che coinvolge tre detenuti giornalieri. Gli allievi impiegati in uno stage di formazione-lavoro, percepiscono una borsa lavoro mensile di 430 euro circa. La seconda fase del progetto lavorativo, della durata di dodici mesi, equipara l'erogazione dello stipendio alle modalità previste dai cantieri di lavoro. L'organizzazione considera questo periodo sufficiente all'acquisizione delle competenze professionali, necessarie a facilitare un inserimento lavorativo presso le aziende che si occupano di manutenzione del verde. Unitamente alla formazione professionale si è avviato un servizio di "Tutoring" che accompagna il soggetto coinvolto nel progetto, nelle difficoltà naturali di inserimento progressivo.
Accanto a questa esperienza, la Regione Piemonte ha attivato, attraverso l'Assessorato alla Formazione professionale e al Lavoro, dei corsi di formazione professionale all'interno degli istituti penitenziari, finanziando alcune attività formative più brevi e flessibili, dedicate a detenuti con pene brevi. Si sono sperimentati stages di formazione - lavoro, utilizzando detenuti in semilibertà o in art. 21 per lavori socialmente utili a protezione dell'ambiente. Fortemente richiesti dai comuni e dalle comunità montane attualmente i detenuti sono impiegati per un periodo che va da tre a dodici mesi, con opportunità lavorative post-progetto.
Nel febbraio del 1998 viene siglata un'intesa tra Tim e le organizzazioni sindacali, alla presenza del Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale e del Ministro della Giustizia, finalizzato al reinserimento lavorativo dei detenuti. Nell'accordo previsto tra Amministrazione penitenziaria, Ministero della Giustizia e Tim mirano a sviluppare le opportunità lavorative all'interno degli istituti penitenziari con la costituzione di una cooperativa sociale, affiancata dal supporto tecnico di un'azienda con fini di lucro. Nel promuovere una stretta collaborazione tra istituzioni, associazioni e mondo imprenditoriale, il progetto ha portato alla costituzione di società cooperative di detenuti a Milano (carcere di San Vittore), e a Roma (carcere di Rebibbia). Nell'esperienza di Rebibbia sono stati coinvolti dodici detenuti. A loro sono stati richiesti requisiti di scolarità e di qualificazione professionale al fine di condurli all'impiego in tre settori specifici: data entry, controlli manuali e riproduzione di materiale informativo. La prima tipologia riguarda l'aggiornamento degli archivi tramite computer, i controlli manuali sono mirati ad assicurare l'abbinamento tra copie di uno stesso documento, mentre la terza attività riguarda la riproduzione di materiale informativo prodotto dalla Tim, sia su supporto cartaceo che multimediale, rivolto ai clienti e al personale. Tim ha fornito alla cooperativa le attrezzature necessarie allo svolgimento delle attività tramite il coinvolgimento di manager d'azienda, ha realizzato dei corsi di formazione per i detenuti lavoratori, al fine di fornire loro le necessarie competenze teoriche e tecniche sulle attività da svolgere. Il contratto prevede una durata triennale nel periodo di detenzione e un prolungamento indeterminato al termine della pena[8].
L'avvio del progetto "Inserimento detenuti" avviato con un bando congiunto delle province di Pesaro e Urbino, è iniziato nel 2000 e si è concluso nel 2001. L'obiettivo consisteva nell'inserimento e reinserimento lavorativo di gruppi svantaggiati attraverso azioni mirate di formazione. Nella descrizione del risultato atteso emergeva la necessità di proporre settori possibili di lavoro, quali la manutenzione di aree verdi, la tipografia e la meccanica, in vista della possibile richiesta di misura alternativa alla detenzione o di inserimento a fine pena. Gli enti coinvolti nel progetto erano: la Direzione della Casa Circondariale di Pesaro, l'Istituto per la formazione IAL CISL, la Confartigianato Provinciale di Pesaro, e le Cooperative Sociali "Magma" e "Tiquarantuno B". Il percorso di formazione ha coinvolto dieci persone, che hanno partecipato a 210 ore di formazione mirata. Il progetto formativo intendeva arrecare elementi di innovazione all'interno dell'offerta formativa rivolta alle persone ristrette nella Casa Circondariale di Villa Faggi - Pesaro. Oltre che per l'integrazione fra soggetto diversi -enti pubblici e settori produttivi privati, per la prima volta cooperanti in tale settore, il corso si caratterizzava per l'effettiva possibilità di coniugare la formazione con un accompagnamento guidato all'esterno, attraverso lo strumento normativo offerto dall'art. 21 dell'Ordinamento Penitenziario (ammissione al lavoro esterno), mediante l'incontro reale con il mondo produttivo locale, grazie alla possibilità di effettuare un periodo di tirocinio, presso le aziende selezionate sulla base delle positive esperienze avvenute nel passato riguardo all'inserimento di persone in misura alternativa alla detenzione, e dell'offerta di un ambiente di lavoro sensibile alle problematiche del disadattamento sociale. Finalità del progetto era quella di sperimentare un percorso calibrato sulle esperienze e sulla maturazione personale dei corsisti, in grado di incentivare un inserimento lavorativo a fine pena, o in misura alternativa. Le motivazioni che hanno prodotto questo tipo di intervento nascono da due tipi di considerazioni: da un punto di vista normativo, la finalità costituzionale della rieducazione del condannato (art. 27, comma 2, Cost.), trova attuazione concreta nell'ordinamento penitenziario, riafferma il diritto delle persone in esecuzione penale alla formazione ed al lavoro, indipendentemente dalla condizione di ristretti; in secondo luogo, da un punto di vista di prevenzione sociale, in riferimento all'alto tasso di recidiva relativo alla commissione di reati, si sta facendo strada negli operatori del settore la consapevolezza di "riempire" il tempo "vuoto" della carcerazione con attività trattamentali, volte a tentare un'opera di prevenzione. Restituire al mondo esterno una persona che abbia ripreso confidenza con se stesso, che abbia scoperto e rafforzato le proprie competenze umane e professionali, che sappia orientarsi nella ricerca di lavoro e di relazioni interpersonali valide, significa lottare in concreto contro il reiterarsi di fenomeni delinquenziali. La formazione professionale, tradizionalmente presente negli Istituti di pena, rappresenta un punto privilegiato di contatto tra carcere e territorio. Per l'intreccio di competenze che implica, essa obbliga le diverse istituzioni alla non- autoreferenzialità ed all'integrazione su progetti concreti d'intervento, nel comune riconoscimento di finalità condivise. Su questa linea si è mossa anche la Regione Marche che, recependo gli indirizzi formulati dalla Commissione Nazionale consultiva per i rapporti fra il Ministero della Giustizia, le Regioni e gli enti locali, è pervenuta alla stipulazione di un protocollo d'intesa con il Ministero della Giustizia. La situazione relativa alla popolazione detenuta presso la Casa Circondariale di Villa Fastigi al 20 marzo 2001 era la seguente: presenti in Istituto 147 uomini e 17 donne, rispettivamente 76 e 7 condannati definitivi, 10 semiliberi e 1 semilibera. La popolazione straniera costituiva il 46,4% del totale. Le persone che hanno potuto usufruire della concessione di misure alternative alla detenzione (affidamento in prova al servizio sociale e semilibertà) sono state 20 nel 1997 e nel 1998; 12 nel 1999, 11 nel 2000 (dopo l'entrata in vigore della Legge Simeone). Il progetto prevedeva un'alternanza formativa tra aula e azienda. La scansione attivava: una fase iniziale presso la Casa Circondariale, per complessive trenta ore, in cui si sono svolti i moduli relativi al bilancio delle competenze e d'orientamento al mondo del lavoro; una seconda fase teorica in cui i docenti dei tre settori professionali hanno illustrato le caratteristiche dei rispettivi ambiti lavorativi (manutenzione aree verdi, tipografia, meccanica), alla fine della quale i corsisti hanno scelto il settore per il tirocinio in azienda; una terza fase che prevedeva l'alternanza fra i periodi di stage ed i rientri in aula[9].
Attraverso il progetto sopranazionale "Equal", la Provincia di Pescara ha firmato un accordo di cooperazione con i partners belgi, francesi e olandesi, con l'obiettivo di scambiarsi informazioni ed esperienze reciproche nel campo del reinserimento lavorativo e sociale dei soggetti a rischio di esclusione. L'iniziativa della Provincia di Pescara ha coinvolto sessanta soggetti ex detenuti residenti nella provincia: uomini e donne che sono occupati in trenta aziende artigianali. Dopo un periodo di formazione iniziale attraverso dei corsi specifici, gli indirizzari del progetto sono coinvolti presso le aziende con stage professionali. Il progetto ha visto il coinvolgimento, oltre alla Provincia, del Provveditorato di Giustizia dell'Abruzzo e del Molise, del Cna, del Enfab UIL e del Ebrart, l'associazione che riunisce al suo interno le associazioni artigianali e i sindacati i categoria dei lavoratori[10].
Il progetto Carcere e Società promosso dal Comune di Parma, è esteso anche al territorio di Piacenza, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Forlì, Cesena, Ravenna, Ferrara e Rimini. Attraverso la costituzione di un Comitato Area Esecuzione Penale Esterna, si mira a: valutare e valorizzare tutte le esperienze formative e di inserimento lavorativo dei detenuti efficaci, ed individuare delle buone prassi e degli elementi di successo degli interventi; ad adeguare i percorsi e i modelli di transizione lavorativa sperimentati alle modificazioni introdotte dal mercato del lavoro; a valorizzare l'apporto degli attori in rete e a sostenere le reti territoriali per una maggiore efficacia degli interventi integrati a sostegno dei percorsi lavorativi; ad offrire gli strumenti necessari ad implementare le iniziative nel campo della formazione e dell'avviamento al lavoro, a mettere in rete i soggetti istituzionali che si occupano di detenuti attraverso la condivisione del modello di monitoraggio e valutazione degli interventi di formazione professionale e ad integrare la formazione professionale e l'area trattamentale del carcere attraverso l'utilizzo e la messa in rete di professionalità, saperi, mission e la conoscenza dei reciproci strumenti, al fine di consolidare le proposte di inserimento dei partecipanti. Del 9 aprile del 2002 è l'accordo siglato dall'Assessorato alle Politiche Sociali di Parma e la direzione degli Istituti Penitenziari, che prevede un impegno congiunto nell'attivare tutte le iniziative possibili al fine di favorire l'accesso alle misure alternative, riconoscendo alla formazione professionale un rilevante ruolo nel trattamento penitenziario. Già attivate sono iniziative di formazione per disegnatori CAD meccanico, operatore grafico, addetto alla ristorazione, operatore elettrico, addetto all'assistenza di base, in collaborazione tra le cooperative sociali, il Comune di Parma e gli Istituti Penitenziari).
Al fine di avviare un collaborazione efficace tra il Comune di Ferrara, l'ASL , la Direzione della Casa Circondariale e il CSSA, e la Cooperativa sociale Monopati, il progetto mira a sviluppare esperienze di formazione-lavoro a favore del reinserimento sociale delle persone sottoposte a misure alternative alla detenzione o privative della libertà. Il progetto prevedeva: una formazione professionale all'interno della Casa Circondariale, degli stages di formazione pratica e avviamento al lavoro semestrali attuati per mezzo di una borsa lavoro, l'inserimento al lavoro presso la cooperativa sociale e l'attivazione di percorsi di apprendimento per la ricerca attiva del lavoro. Ogni ente in questo progetto si è ritagliato dei compiti specifici: la Casa Circondariale di Ferrara ha individuato i detenuti in possesso dei requisiti per accedere alle misure alternative della semilibertà o dell'affidamento in prova ai servizi sociale, il CSSA ha proceduto agli inserimenti lavorativi, il Servizio Sociale delle ASL ha coordinato il progetto svolgendo un'azione di aiuto e sostegno durante il percorso, al Comune di Ferrara spettava il compito di verificare l'attuazione del progetto e rendicontare le spese, il Centro di Formazione Professionale si è impegnato ad attivare i corsi finalizzati ad aggiornare e mantenere le conoscenze e le abilità acquisite dei soggetti coinvolti, e la Cooperativa Sociale ha cercato di offrire nel percorso riabilitativo gli strumenti utili all'organizzazione del lavoro dei detenuti ammessi agli stages. I risultati vedono il coinvolgimento di 41 persone che sono riuscite parzialmente, ad avviare in un successivo momento agganci con il mondo imprenditoriale, ma hanno maturato alcune competenze tecniche in grado renderli più spendibili sul mercato del lavoro e realizzare un effettivo reinserimento a fine pena. I dati relativi al percorso hanno visto: 15 persone che hanno trovato inserimento all'esterno in quanto regolarmente assunte in cooperative sociali o altre aziende situate nella città di residenza, 4 persone che sono state inserite in borsa lavoro, 2 che hanno usufruito di una borsa di formazione, 9 che sono in attesa di occupazione, 2 che sono in carico al servizio sociale, 2 che sono state rimpatriate, e una di cui al termine del programma, non si è avuta nessuna notizia.
L'esperienza lavorativa avviata da detenuti o da ex detenuti in una cooperativa sociale, costituisce il canale privilegiato delle esperienze in ambito di lavoro penitenziario. Per loro formazione, le cooperative rappresentano il datore di lavoro più sicuro per coloro che chiedono di essere ammessi alle misure alternative alla detenzione, sia agli occhi della direzione dell'istituto penitenziario, sia nei confronti del Tribunale di Sorveglianza, chiamato a decidere sulla concessione del beneficio. Allo stesso tempo le cooperative diventano il punto di riferimento per gli ex detenuti che possono divenire soci e concludere un percorso di reinserimento lavorativo, che sarebbe assai più complicato presso una qualsiasi azienda privata. L'attività propositiva di queste realtà produttive a favore del reinserimento lavorativo degli "svantaggiati" negli ultimi anni si è fatta consistente, grazie anche ad alcuni interventi normativi che hanno permesso di ottenere sgravi fiscali per chi assume soggetti detenuti in misure alternative o ex detenuti, e che hanno aperto le attività produttive in carcere alle imprese esterne. Fare una catalogazione delle iniziative delle cooperative sociali in Italia è risultato un lavoro molto complicato, poiché sono moltissime le realtà che sono nate negli ultimi anni e hanno trovato nel cosiddetto terzo settore l'ambito privilegiato d'attività, inoltre, a differenza delle categorie esplicate in precedenza, questo gruppo presenta numerose iniziative comuni, che fanno sì che i medesimi progetti siano proposti in città anche molto diverse tra loro e con risultati positivi. A seguire alcuni significativi progetti tra le innumerevoli esperienze messe in atto dalle cooperative sociali che si occupano di lavoro penitenziario in Italia.
La Cooperativa Sociale Blow Up nasce a Roma nel 1989 con l'obiettivo di avviare percorsi di reinserimento sociale per detenuti o ex detenuti attraverso il lavoro. Negli anni di attività si è specializzata professionalmente divenendo "Centro di informatica musicale e sviluppo software". Ad oggi la cooperativa impiega 3 detenuti soci, che stanno scontando la pena in misure alternative alla detenzione (semilibertà, affidamento in prova ai servizi sociali) e in articolo 21. Dopo un periodo di difficile avviamento, la cooperativa sociale ha scelto di creare possibilità concrete di lavoro e di reddito per i soci detenuti curando particolarmente l'aspetto della formazione professionale (anche durante la detenzione stessa), al fine di garantire la continuità e la riproducibilità dell'esperienza. Il campo di azione della cooperativa è quello informatico-telegrafico, e integra al proprio interno soci tecnici informatici. Tra i suoi scopi c'è anche l'organizzazione di servizi e la produzione di spettacoli musicali, manifestazioni sportive e culturali, ricreative e musicali. In base alla legge 381/91 favorisce tutte le persone svantaggiate o a rischio di esclusione sociale. Attraverso gli incentivi proposti dalla cosiddetta legge Smuraglia la cooperativa sta attivando negli istituti romani dei progetti, che consistono: nell'impaginazione di testi scolastici per bambini ipovedenti, nella formazione professionale di personale da cucina, in particolare cuochi, pastai e panificatori, nella costruzione di un laboratorio interno per la produzione di pane e pasta biologica. Il progetto di impaginazione e di costruzione del laboratorio biologico è finanziato attraverso la Legge Bersani, che consente di ricevere finanziamenti per la riqualificazione delle periferie, per la creazione di laboratori esterni dove inserire detenuti e/o ex detenuti. La cooperativa mira molto alla formazione professionale che ritiene uno strumento importante nelle mani dei detenuti e degli ex detenuti una volta fuori dal carcere per potersi inserire e trovare lavoro. Il corso d'informatica avviato in collaborazione con il Ministero di Giustizia e il CSSA, ha consentito di formare programmatori informatici che poi sono stati inseriti in azienda attraverso contratti di collaborazione. Ciò ha permesso loro di perfezionare le loro conoscenze informatiche e di avviare un reinserimento lavorativo. In cinque anni di attività sono passate per la cooperativa circa 50 persone , di queste, la percentuale di recidivi dopo il percorso con la cooperativa è stato del 6% e questo viene considerato positivamente, tanto da incoraggiare la presidenza ad incrementare le attività di reinserimento.
Il consorzio Sol.Co. di Varese nasce nel 1991, su iniziativa di un ristretto gruppo di cooperative sociali operanti nella Provincia di Varese, dalla necessità di condividere esperienze differenti e dalla volontà di poter incidere più efficacemente nel territorio attraverso progetti comuni. Nell'arco dei primi dieci anni di attività il consorzio si è sviluppato e oggi conta 15 cooperative sociali. Il consorzio risulta essere pienamente integrato nella rete delle principali organizzazioni della cooperazione sociale operanti a livello regionale, nazionale e provinciale. L'insieme delle 15 cooperative attualmente offre un'attività lavorativa a 50 soggetti svantaggiati riconoscibili tra le diverse aree del disagio, i detenuti coinvolti sono circa una decina con diverse modalità detentive (art. 21, semilibertà, affidamento, arresti domiciliari) e provengono dalle Case Circondariali di Varese, Busto Arsizio, Bollate e dal CSSA di Como. Solitamente sono le cooperative sociali a farsi carico del reinserimento lavorativo di questi soggetti, impiegando i detenuti in attività varie quali pulizie, assemblaggi, manutenzione aree verdi, sartoria. Attualmente un'azienda privata utilizza due soggetti detenuti nel settore degli assemblaggi. Il lavoro del consorzio consiste nel far raggiungere al detenuto un buon livello di autonomia e capacità lavorativa e tutti gli strumenti utili a facilitarne l'ingresso nel mondo del lavoro. Non svolge alcuna attività all'interno delle carceri, mentre all'esterno ci sono diversi progetti di inserimento tramite tirocinio o borsa lavoro. Ultimamente è stato attivato un progetto chiamato "Lavorare vale la pena" che consiste in un percorso di formazione, orientamento e accompagnamento al lavoro avviato già all'interno delle mura carcerarie. Promosso da due consorzi di cooperative sociali, il progetto vede la collaborazione dell'ASL e della Casa Circondariale di Varese. L'idea è quella di portare il mondo del lavoro all'interno del carcere, e con questo obiettivo sono state coinvolte nel progetto alcune delle più importanti organizzazioni di categoria della Provincia di Varese. La prima tappa prevede un incontro con l'Unione degli Industriali della Provincia di Varese finalizzato a offrire un quadro della situazione attuale del mercato del lavoro nel territorio; successivamente i delegati sindacali di CGIL e CISL illustreranno i diritti e i doveri del lavoratore, le tipologie di contratto, mentre un addetto alla selezione aziendale curerà una simulazione di colloquio di lavoro. Parallelamente saranno avviati percorsi di orientamento individuale al fine di aiutare la persona nella definizione delle proprie risorse/competenze utilizzando specifici strumenti di analisi quali la stesura di un curriculum vitae. Con l'obiettivo di migliorare le competenze lavorative dei detenuti sono stati attivati dei corsi di formazione professionale, e da gennaio 2003 è partito il primo modulo formativo d'informatica che alterna ore di teoria a momenti di esercitazione pratica, al fine di formare in maniera completa i soggetti coinvolti.
La cooperativa sociale Saldo & Mecc nasce nel 1999, e dopo una accurata analisi del tessuto economico-produttivo della realtà vicentina, ha indirizzato le attività della cooperativa nel campo della saldatura, della carpenteria e dell'assemblaggio meccanico. Deciso il settore di intervento il DAP di Vicenza ha dato a disposizione un capannone attrezzato ove la cooperativa ha attivato un corso di formazione per addetti alla saldatura. Dal 1999 ad oggi hanno lavorato presso la cooperativa 12 lavoratori detenuti, regolarmente assunti con il CNL Cooperative Sociali. Con l'Associazione Artigiani, la Casa Circondariale e la Provincia di Vicenza vengono rinnovati rapporti di collaborazione in grado di reinserire attraverso il lavoro i detenuti del Carcere di Vicenza. Poiché in Veneto il mercato del lavoro soffre di carenza di manodopera in diversi settori, dalla meccanica all'edilizia, e proprio in questi campi una preparazione professionale risulta essere indispensabile per l'assunzione, si è ritenuto importante puntare sulla formazione in questi settori per mettere il detenuto nella condizione di trovare più facilmente lavoro al termine della pena. La cooperativa si è posta da "ponte" tra la situazione detentiva attuale e il futuro di persona libera del detenuto, fornendo professionalità utile al detenuto per fare un lavoro vero in una vera azienda. Le difficoltà iniziali della cooperativa derivavano dalla necessità di far convivere una realtà imprenditoriale, che per essere tale ha bisogno della massima rapidità, del rispetto degli orari, di libertà di movimento, con una realtà carceraria rigida, naturalmente destinata al contenimento e alla sicurezza. Poi con il crescere dell'attività, la maturazione dei soci detenuti, un rapporto di reciproca collaborazione con l'Amministrazione Penitenziaria, la cooperativa è riuscita ad attivare un percorso di reinserimento lavorativo reale per diversi detenuti, responsabilizzando e formando le persone, in modo che, una volta in libertà siano in grado di vivere il lavoro da persone "normali".
Dopo aver catalogato le esperienze di inserimento e averne analizzate alcune tra le più significative, risulta naturale portare alcune riflessioni sulle attività sviluppate al fine del reinserimento lavorativo dei detenuti. Molte delle attività concentrano le proprie energie sulla formazione, che viene identificata come l'elemento comune tra le varie esperienze, poiché è ritenuta indispensabile per dare al detenuto un bagaglio di competenze successivamente spendibili nel mercato del lavoro. In realtà la formazione serve anche a riavvicinare il detenuto agli schemi e alle regole della società che egli ha violato. L'elemento formativo viene inteso sia in maniera teorica che pratica, poiché molto spesso è accompagnato da stage o tirocini in grado di permettere al detenuto di poter applicare le competenze acquisite durante la formazione teorica. In molti casi però l'esperienza termina dopo lo stage, quando dovrebbe essere l'inizio di un percorso di progressivo inserimento da concludersi solo dopo la scarcerazione. Il turn-over di soggetti svantaggiati nei progetti di inserimento presenta il pregio di dare delle concrete possibilità di crescita formativa e di avviamento al lavoro, ma anche l'evidente difetto di dover continuamente cambiare destinatari d'intervento, e ciò non consente di realizzare con i soggetti progetti d'inserimento completi.
L'attività degli Sportelli Informativi, avviata nelle grandi città, come Roma, Milano, in un contesto ove esistono molti detenuti verso i quali attivare delle attività, appare lo strumento più efficace quando ci si trova davanti ad un numero elevato di detenuti. Difficilmente sarebbe possibile attivare, esperienze simili a quelle realizzate dal Comune di Galliera Veneta o di Songavazzo, poiché come avrò modo di far notare in seguito, sono indispensabili alcuni requisiti tipici di una comunità piccola distanti dalla realtà delle metropoli. La linea scelta da questi Sportelli Informativi è quella dell'informazione e della conoscenza, per stimolare e arricchire i detenuti di competenze indispensabili nella ricerca del lavoro e nel reinserimento post-detenzione. Inoltre, l'attività di incrocio tra la domanda e l'offerta di lavoro, consente di sfruttare tutte le opportunità in campo per dare lavoro ai detenuti o agli ex detenuti. Questo è reso possibile anche grazie all'opera di sensibilizzazione che viene avviata nei confronti degli imprenditori, affinché siano a conoscenza di tutti i vantaggi derivanti dall'assunzione di soggetti detenuti o ex detenuti (sgravi fiscali ad esempio). Chiaramente un'attività costante e coordinata ha consentito l'inserimento lavorativo di diverse persone che dall'iniziativa intra-carceraria sono state accompagnate fino al termine della detenzione.
L'esperienza avviata da alcuni piccoli comuni risulta un esperimento recente per favorire il reinserimento dei detenuti ed anche molto complicato, tant'è che attualmente queste esperienze coinvolgono poche persone. Assumere un detenuto in un ente locale istituzionale vuol dire, da parte dell'Amministrazione Comunale, dimostrare di aver superato il pregiudizio nei confronti di una persona che ha infranto le regole della società, e concedergli una seconda possibilità. Che sia l'istituzione a farsi promotore dell'assunzione di un detenuto è un segnale forte nei confronti dei cittadini e delle realtà produttive del territorio, poiché la fiducia riposta nelle istituzioni locali è estremamente alta, soprattutto quando si tratta di piccoli comuni. Il pregio di queste esperienze consiste proprio nel costituire un forte esempio, in grado, una volta accettato dalla cittadinanza, di essere per il detenuto un vero reinserimento in una comunità-società, che ha dato alla persona una seconda possibilità, ma come è successo in alcuni casi (come nel Comune di Galliera Veneta (PD) ), ha anche ricevuto un contributo prezioso per la sua vita (la riqualificazione del municipio ristrutturato da alcuni detenuti). Il difetto, o meglio la difficoltà di questo tipo di progetti, consiste proprio nel convincere la cittadinanza e in particolar modo i dipendenti comunali dell'importanza di coinvolgere dei detenuti e anche dell'utilità del progetto per l'intera comunità. Compito di primo piano in questa difficile impresa spetta al sindaco che, dopo aver capito che il problema carcere è un problema della collettività e anche della sua cittadinanza, deve convincere i suoi concittadini che assumere una persona con precedenti penali, può rappresentare per questa persona un'occasione di riscatto e di reinserimento sociale.
Nell'opera di reinserimento lavorativo dei detenuti che usufruiscono di misure alternative alla detenzione, o nell'organizzare attività lavorative in carcere, giocano un ruolo di primo piano le cooperative sociali. Attualmente le cooperative sociali sono gli unici soggetti in grado di organizzare all'interno degli istituti penitenziari attività produttive che siano competitive con l'esterno, e che possano dare ai detenuti un introito che consenta loro di sostenere le spese derivanti dalla detenzione. Oltre a questa importante attività, le cooperative sociali rappresentano il principale datore di lavoro di soggetti che usufruiscono della misura alternativa della semilibertà o dell'affidamento, poiché sono un datore di lavoro "sicuro" per il Tribunale di Sorveglianza, e poiché per formazione sono incentivati ad assumere soggetti svantaggiati che difficilmente trovano lavoro presso aziende con fini di lucro. Grossa problematica per le cooperative sociale è rappresentata dal vincolo delle "commesse" di lavoro, che legano le assunzioni e le possibilità di lavoro di quasi tutte le cooperative. Avere delle commesse rappresenta il requisito essenziale per avviare progetti di inserimento lavorativo di detenuti o ex detenuti. Altro elemento di negatività è costituito dal turn-over di soggetti svantaggiati che è tipico delle cooperative, questo molto spesso impedisce di concludere un percorso di reinserimento lavorativo, poiché le assunzioni terminano con il fine pena, ed è necessario assumere nuovi detenuti per consentire loro di avviare percorsi lavorativi tramite le misure alternative.
Ho potuto constatare che i progetti di reinserimento più efficaci, tra le esperienze presenti in Italia che ho catalogato, sono quelli realizzati sfruttando le competenze delle istituzioni penitenziarie, degli enti locali, delle realtà produttive e delle cooperative sociali. L'attività coordinata tra tutti i soggetti coinvolti nel reinserimento lavorativo del detenuto, consente di mettere in campo le risorse ed energie necessarie affinché il progetto sia completo ed efficace, e non si concluda al termine della pena. Dall'attività di formazione avviata all'interno del carcere, all'attività lavorativa attraverso gli stage in azienda, esiste un percorso che, tappa per tappa, da al detenuto la possibilità di acquisire competenze, prendere confidenza con una attività lavorativa vera e propria, ristabilire un contatto con l'esterno, imparare a rapportarsi con i datori di lavoro, e riacquistare fiducia nelle proprie possibilità al fine di concludere un percorso di reinserimento, lavorativo in primo luogo, ma anche progressivamente sociale. I progetti coordinati permettono di seguire il detenuto in tutte le fasi del progetto attraverso la diverse competenza che ogni ente o organizzazione può mettere in campo. Il problema è che molto spesso le difficoltà burocratiche, la diffidenza a collaborare tra le varie realtà, fanno perdere di vista il vero obiettivo che è quello di fare in modo che il carcere, e in questo senso intendo anche le misure alternative e il lavoro penitenziario, debba servire alle persone per non commettere ulteriori errori e ritrovare, o trovare veramente, un senso nelle regole della società che in precedenza sono state violate.
Gonnella P., Anastasia S., Inchiesta sulle carceri italiane, Roma, Carrocci editore, Associazione Antigone, 2002, p. 34.
Rosselli L. R., "Tra lavoro e non lavoro", in Gonnella P., Anastasia S., Inchiesta sulle carceri italiane, Roma, Carrocci editore, Ass. Antigone, 2002, pp.128-130.
Appunti su: inserimento lavorativo dopo gli arresti domiciliari, detenuti lavoratori esperienze, isolamento carcerario in italia appunti, tesi sul carcere e reinserimento lavorativo, |
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