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La libertà di stabilimento delle persone giuridiche nelle fonti primarie di diritto dell Unione Europea
1.1. Le norme del Trattato sul Funzionamento dell Unione Europea in materia di libertà di stabilimento: persone fisiche e persone giuridiche a confronto
La libertà di stabilimento delle persone giuridiche è uno dei punti maggiormente problematici del diritto dell Unione Europea e coinvolge svariati aspetti, non solo economici ma anche politici, estremamente rilevanti per comprendere appieno le dinamiche sottostanti ai fenomeni di mobilità internazionale, specialmente per quanto riguarda le societ . Inoltre è opportuno rilevare che la libertà di stabilimento, fin dalle origini della Comunità Europea, ha sempre rappresentato un aspetto cruciale per la realizzazione del Mercato Unico, strettamente connesso alla libera circolazione di merci e capitali, in ragione del quale uno degli obiettivi da perseguire era l'attuazione di tale libertà
creando le condizioni normative idonee .
Iniziando l'analisi dal Trattato sul funzionamento dell Unione Europea
TFUE , vediamo che le norme rilevanti per la questione affrontata sono rappresentate dagli articoli da 49 a 55 . E' importante infatti tener presente che per apprezzare, nonché per definire, il contenuto della libertà di stabilimento delle persone giuridiche, occorre partire dalla medesima libertà prevista per le persone fisiche in virtù dell'equiparazione fissata dal Trattato, di cui si tratterà nel corso del paragrafo.
Considerando in particolare l'art. 49 TFUE, relativo alla libertà di stabilimento delle persone fisiche, esso pone agli Stati il divieto di effettuare
restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro», estendendolo altresì alle restrizioni concernenti l'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro . Le restrizioni, dunque, non possono riguardare né la cosiddetta libertà di stabilimento primario svolgere in forma autonoma un'attività economicamente rilevante), né la cosiddetta libertà di stabilimento secondario apertura di agenzie, succursali o
filiali .
Il secondo comma del medesimo articolo fornisce inoltre la definizione di libertà di stabilimento, stabilendo che la libertà in questione importa l accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione in particolare di società .) alle condizioni definite dalla legislazione del paese
di stabilimento nei confronti dei propri cittadini . Come si ricava dal disposto letterale del presente articolo, il principio enunciato è quello del cosiddetto trattamento nazionale o di non discriminazione, secondo il quale uno Stato membro non può trattare i cittadini di un altro Stato membro in maniera diversa dai propri cittadini . Ci troviamo dunque di fronte ad un applicazione particolare del più generale principio di non discriminazione sancito all interno del primo comma dell'art. 18 TFUE .
Per quanto riguarda poi le persone giuridiche, l art. 54 TFUE rinvia all'art.
49, operando espressamente un'estensione della libertà di stabilimento prevista per le persone fisiche alle stesse persone giuridiche, purché siano costituite
conformemente alla legislazione di uno Stato membro» e abbiano la sede sociale, l amministrazione centrale o il centro di attività principale all interno della Comunit . Come può desumersi dalla formulazione del comma in questione, il Trattato non compie alcuna scelta privilegiando un criterio adottato in un determinato Stato membro e non in altri per determinare l'applicabilità delle sue previsioni, bensì comprende tutti quei collegamenti che possono essere
utilizzati per determinare lo statuto personale della persona giuridica .
L articolo in questione fornisce inoltre una definizione di società persona giuridica) rilevante ai fini dell'estensione dei diritti previsti a favore delle persone fisiche in materia di stabilimento: per società si intendono sia quelle di diritto civile e commerciale, ivi comprese le società cooperative, sia le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro .
Come si evince dalla formulazione dell'articolo, la nozione di società è intesa in senso ampio e finisce per comprendere tutti gli enti con scopo lucrativo, il che
comporta la necessità di chiarire come una pluralità di enti con differenti modalità di perfezionamento e di costituzione possano essere riconosciuti titolari delle libertà sancite dal Trattato .
Occorre innanzitutto premettere che per quanto riguarda l interpretazione del principio di libertà di stabilimento delle persone giuridiche, ricavabile dal combinato disposto degli articoli 49 e 54 del TFUE (ex artt. 43 e 48 TCE , soprattutto per quanto riguarda i suoi contenuti concreti, essa non è stata univoca e ha subito delle rilevanti variazioni nel corso degli anni.
In particolare gli Stati membri, fino alla sentenza della Corte di Giustizia Centros del 1999, ritenevano che gli articoli in questione dovessero essere interpretati nel senso di escludere dal loro ambito di applicazione le problematiche internazional privatistiche, la quali rimanevano di competenza esclusiva dei singoli Stati nazionali. Pertanto le questioni concernenti l'esistenza e il riconoscimento delle societ , preliminari ai fini del godimento delle previsioni del Trattato, erano rimesse alla discrezionalità e ai criteri nazionali.
Come approfondiremo nel capitolo dedicato alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, La sentenza Centros è intervenuta a sancire l illegittimità delle previsioni nazionali sia sostanziali che internazional privatistiche qualora esse portassero a negare la libertà di stabilimento alle società validamente costituite in un diverso Stato, impedendo in concreto alla società di usufruire appieno delle
previsioni del Trattato in uno Stato diverso da quello di costituzione .
L aspetto della costituzione risulta però essere alquanto problematico: infatti le modalità di costituzione possono variare in ragione dell'attribuzione o non attribuzione della personalità giuridica in capo all'ente che si costituisce, nonché
in ragione del tipo societario. Nel caso di enti personificati, in particolare di società di capitali, l iscrizione presso un pubblico registro rende precisamente identificabile la costituzione e di conseguenza l'attribuzione dell'ente all ordinamento presso il quale è collocato il registro di iscrizione. Con la sentenza Centros assume rilievo proprio il fenomeno della costituzione intesa come iscrizione presso un pubblico registro di uno Stato membro, ritenuto sufficiente ai fini dell esercizio della libertà di stabilimento della società negli altri Stati membri: per le società iscritte in un pubblico registro, dunque, il mancato riconoscimento in un diverso Stato membro risulta essere incompatibile
con le previsioni del Trattato .
Le cose si complicano per le società di persone, per le quali la registrazione presso un pubblico registro è eventuale e in alcuni casi non ha effetti costitutivi: in questo caso la volontà delle parti di costituire la società e la conseguente applicazione delle previsioni di diritto societario dello Stato in cui tale volontà è manifestata potrebbero non essere sufficienti ai fini dell'attribuzione della libertà di stabilimento in un diverso Stato membro. Manca infatti la certezza dell'esistenza e della conseguente applicazione delle norme di diritto societario che invece è presente nelle società iscritte nell'apposito registro. Tale circostanza si scontra con la diretta applicabilità delle norme sulla libertà di stabilimento e
con questa deve essere combinata ai fini dell'effettività della previsione .
Il quadro descritto assume fondamentale rilevanza nei fenomeni di mobilità delle societ , i quali rientrano a pieno titolo nell'esercizio della libertà di stabilimento comportando - come vedremo nel corso del capitolo - peculiari problemi di attuazione della libertà menzionata, tra cui quello della costituzione
«conformemente al diritto di uno Stato membro».
1.2. Le limitazioni che possono essere introdotte dagli Stati membri al diritto di stabilimento
Il diritto di stabilimento sancito dal Trattato non è assoluto, ma incontra delle precise limitazioni che sono stabilite all interno dello stesso Trattato. Anche in questo caso è opportuno partire dall'analisi delle limitazioni imposte alle persone fisiche per comprendere e definire concretamente le limitazioni imposte alle persone giuridiche, in tutta la loro peculiarit .
Per quanto riguarda le persone fisiche, in particolare, l'art. 51 TFUE introduce espressamente un'eccezione alla libertà dal medesimo prevista: Sono escluse dall applicazione delle disposizioni del presente capo, per quanto riguarda lo Stato membro interessato, le attività che in tale Stato partecipino, sia pure
occasionalmente, all'esercizio dei pubblici poteri .
L art. 52 fa salve poi le limitazioni introdotte dalle legislazioni nazionali che introducano un trattamento per i cittadini stranieri nel caso in cui siano giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica .
Anche in tema di libertà di stabilimento, dunque, si ritrovano i medesimi criteri stabiliti in materia di restrizione della circolazione di persone e, come in questo caso, poiché siamo in presenza di un limite ad una libertà fondamentale sancita dal trattato, occorrerà darne un interpretazione restrittiva .
Vista inoltre l'equiparazione tra persone fisiche e persone giuridiche di cui si è
detto sopra, stabilire quando le limitazioni alla libertà di stabilimento operate dagli Stati membri siano legittime impone di fare riferimento ad una sentenza della Corte di Giustizia avente ad oggetto una questione inerente alla libertà di stabilimento delle persone fisiche ma che ha assunto rilevanza anche per stabilire quando le eventuali limitazioni imposte alla mobilità delle persone giuridiche
potessero essere considerate rilevanti .
La sentenza in questione è il cosiddetto caso Gebhard , sentenza in cui la Corte di Giustizia ha stabilito che per verificare la legittimità delle restrizioni alla libertà di stabilimento occorra che la misura restrittiva sia applicata in maniera non discriminatoria, che trovi la sua motivazione nella tutela dell interesse pubblico, che sia idonea al fine di raggiungere lo scopo per cui è applicata, che sia commisurata allo scopo da raggiungere .
Come vedremo nel capitolo relativo all'analisi dei casi giurisprudenziali,
questi criteri sono stati applicati dalla Corte di Giustizia per valutare la legittimità sia delle restrizioni imposte in entrata alle societ , ovvero delle limitazioni imposte ad una società che esercita il diritto di stabilimento in uno stato diverso da quello d origine, sia delle limitazioni imposte in uscita, ovvero di quelle limitazioni applicate dallo Stato d origine alla società uscente, nonché delle limitazioni applicabili in caso di trasformazioni societarie transfrontaliere .
Alla luce di quanto fino ad ora esposto in materia di libertà di stabilimento e
degli eventuali limiti che possano essere imposti a tale libert , proprio per comprendere appieno le ragioni che portano all'applicazione di limitazioni alla mobilità di una persona giuridica, occorre ulteriormente soffermarsi sulle peculiarità tipiche di questo fenomeno, oggetto del successivo paragrafo.
1.3. Problemi peculiari nell attuazione, per le persone giuridiche, della libertà di stabilimento stabilita dal TFUE
Nel corso delle operazioni transfrontaliere, tese alla mobilità internazionale e dunque all'esercizio delle libertà predisposte dal Trattato, possono verificarsi
episodi che rischiano di rendere meramente teoriche o addirittura di vanificare del tutto le previsioni del medesimo Trattato in materia di libertà di stabilimento, a partire dalle vicende della costituzione di cui si è discusso nel primo paragrafo.
L attuazione della libertà di stabilimento da parte delle persone giuridiche comporta infatti due ordini diversi di problematiche: in primo luogo, occorre stabilire se le limitazioni imposte dagli Stati membri sono compatibili con le previsioni del diritto dell Unione, in secondo luogo occorre stabilire se sia possibile modificare la legge applicabile alla società in maniera volontaria, ossia se sia possibile modificare la legge applicabile senza passare dalla previa
liquidazione .
In merito alle limitazioni, in particolare, per quanto riguarda le persone giuridiche, gli Stati membri hanno spesso giustificato l'applicazione di restrizioni invocando l'art. 52 e le ragioni di ordine pubblico, in particolare quando il singolo episodio di mobilità avrebbe causato un uscita di capitali soggetti ad imposizione fiscale. Come vedremo nel corso del capitolo successivo, la Corte di Giustizia ha sistematicamente negato la sussistenza di queste motivazioni addotte dagli Stati membri e ha riconosciuto invece ai ricorrenti il diritto all'attuazione della libertà di stabilimento.
In questa sede è opportuno fornire, innanzitutto, un quadro generale delle situazioni che possono presentarsi nella prassi quando ci si trovi di fronte ad episodi di mobilità internazionale delle persone giuridiche . Procediamo dunque a considerare nel dettaglio che cosa comporti in concreto l'attuazione della libertà di stabilimento per una persona giuridica e con quali modalità possa essere
attuata la cosiddetta mobilità internazionale alla luce della libertà di stabilimento, in modo da comprendere quali siano le maggiori problematicità di questo fenomeno dal punto di vista giuridico.
Alla luce delle norme sulla libertà di stabilimento, è necessario rilevare che come per le persone fisiche è rilevante il criterio della cittadinanza al fine di attribuire o meno il diritto di stabilimento, così per le persone giuridiche sono stabiliti, all'art. 54 del Trattato, dei criteri per l'attribuzione del medesimo diritto (ente costituito secondo la legge di uno stato membro, che abbia nella comunità la sede sociale, l amministrazione centrale o il centro della sua attività principale). E come le norme per l'attribuzione della cittadinanza sono lasciate alla discrezionalità dei singoli Stati membri, così avviene anche per le norme
concernenti l'attribuzione della nazionalità alle persone giuridiche .
Ma se per le persone fisiche il dato della cittadinanza non viene mai perso con l'esercizio della libertà di stabilimento, in quanto l'appartenenza ad un determinato Stato membro è un dato incontestabile da parte di Stati diversi da quello di origine, non può dirsi lo stesso in merito alle persone giuridiche, in quanto i criteri per l'attribuzione della personalità giuridica come quelli di attribuzione della cittadinanza alle persone fisiche, del resto , non sono omogenei tra i vari Stati.
Tenendo presente il contenuto della libertà di stabilimento delle persone fisiche, vediamo che, sempre in ragione dell equiparazione stabilita dall'art. 54
TFUE, per le persone giuridiche usufruire della libertà di stabilimento comporta:
- in caso di stabilimento primario, che la persona giuridica svolga interamente le proprie attività nello stato di destinazione pur essendo originariamente costituita in un diverso stato. Ciò in conseguenza di nuova costituzione nello stato di destinazione, di un trasferimento effettuato senza scioglimento dell'ente nello stato d origine o di una trasformazione transfrontaliera, ad esempio una fusione;
- in caso di stabilimento secondario, invece, che la società continua a
svolgere la propria attività nello stato d origine, ma allo stesso istituisce ulteriori centri per lo svolgimento della propria attività della più svariata natura sedi secondarie, filiali, agenzie, succursali) in un diverso Stato .
Al momento della nuova costituzione dell'ente, dunque, chi lo va a costituire può scegliere di collocarlo in uno stato diverso dal proprio in modo da assoggettarlo ad una diversa legislazione, senza che ciò comporti particolari problemi e senza che vi siano particolari ostacoli al compimento di tale applicazione. E' infatti coinvolto soltanto lo stato di destinazione e le prescrizioni
vigenti al suo interno in materia di societ .
Lo stesso non può dirsi nel caso in cui l'ente sia insediato presso uno Stato e intenda avvalersi della libertà di stabilimento per attuare un trasferimento di sede.
Il termine sede è innanzitutto per sua natura ambiguo, in quanto esso può sottintendere svariati concetti. In particolare il termine sede può indicare:
a) la sede statutaria, ossia il luogo che è indicato all interno degli atti idonei a costituire la società come sede della medesima, secondo quanto stabilito dalla legge applicabile alla costituenda societ ;
b) la sede amministrativa, ovvero il luogo in cui gli organi della società prendono decisioni rilevanti per l esistenza della società stessa. E' la legge applicabile alla società che stabilirà quali soggetti siano autorizzati a decidere per la società ed eventualmente anche il luogo in cui questi dovranno riunirsi;
c) la sede reale: è il luogo in cui in concreto si svolgono le attività della società e in cui sono assunte decisioni, se diverso dalla sede
amministrativa prescritta dalla legge per le riunioni degli organi sociali .
In ragione di queste differenti definizioni, l operazione di trasferimento racchiude dunque in sé tre possibili fenomeni:
1. il trasferimento della sede statutaria; 2. il trasferimento della sede amministrativa; 3. il trasferimento della sede reale .
Queste tre diverse operazioni, racchiuse sotto l onnicomprensiva dizione di trasferimento di sede sociale, incontrano ostacoli che sono dovuti in primo luogo alle differenze tra gli Stati membri in materia di diritto societario , nonché ai criteri internazional privatistici adottati al fine di determinare la legge applicabile alla società che presenti elementi di estraneità con l ordinamento in cui si trasferisce .
I problemi che si presentano ai singoli Stati rimangono costanti: occorrerà infatti decidere quando applicare la propria legge a società registrata presso lo stato di destinazione, quando invece considerare esistenti e dunque riconoscere enti costituiti in base a leggi straniere e, infine, se consentire il mutamento della
lex societatis in mancanza di previa liquidazione dell'ente .
Gli Stati membri si dividono, in linea di massima, in stati che abbracciano la cd. Grundunstheorie, secondo la quale la legge applicabile alla società è sempre quella dello Stato in cui si è perfezionato il procedimento di costituzione o quello
di registrazione della societ , e Stati che al contrario si rifanno alla cd. Sitztheorie, la quale considera determinante un criterio di effettività della sede sociale, ragion per cui le norme da applicare saranno quelle dello Stato in cui la società viene amministrata in concreto e nel quale viene svolta concretamente l'attività di impresa .
A ciascuna di queste teorie sottostanno presupposti economici molto diversi.
In prima analisi è possibile infatti riscontrare, in linea di massima, come la teoria dell incorporazione miri ad agevolare la mobilità internazionale in quanto ovunque l'ente si instauri, la legge applicabile sarà sempre quella del luogo di costituzione ovvero del luogo di registrazione. Inoltre, anche in caso di stabilimento negli Stati in questione, la legge applicabile sarà quella del luogo di incorporazione.
Al contrario, la teoria della sede reale mira a prevenire gli abusi che potrebbero essere compiuti mediante la dissociazione tra sede amministrativa e sede di svolgimento dell'effettiva attività di impresa, richiedendo che entrambe coincidano e siano collocate nel medesimo luogo. La mobilità è dunque disincentivata in quanto sarà necessario mantenere un collegamento effettivo con lo stato di costituzione perché la società sia riconosciuta esistente e la società non potrà liberamente determinare la legge che regolerà il proprio statuto personale, bensì questa sarà automaticamente individuata a seconda del luogo in cui si trova
l'amministrazione della società .
La classificazione degli ordinamenti in Stati che seguono la teoria dell incorporazione e Stati che seguono la teoria della sede reale non è da sola
sufficiente a stabilire quale sarà in concreto la legge applicabile all'ente trasferito.
I criteri di collegamento internazional privatistici dovranno essere poi combinati con le norme di diritto sostanziale societario, le quali potranno ammettere o meno il trasferimento all'estero della sede dell ente . Occorrerà inoltre considerare non solo le norme internazional privatistiche e le norme sostanziali dello Stato di partenza, ma anche quelle dello Stato di destinazione, al fine di combinarle per determinare la legge applicabile.
Un ulteriore problema che occorre tener presente è che queste teorie non sono adottate in forma pura ma spesso sono soggette a correttivi, per cui se a prima vista la teoria dell incorporazione sembrerebbe non comportare alcun tipo di problematica nel corso di operazioni di mobilità internazionale, ad un esame più attento dei singoli casi concreti si nota invece che la questione è molto complessa non solo a causa dei correttivi adottati, ma anche a causa del fatto che in caso di controversia il foro competente potrebbe disporre il rinvio alla legge di un
diverso ordinamento .
Nella prassi si presentano in linea di massima i seguenti casi:
1. lo Stato d origine aderisce alla teoria dell incorporazione così come lo
Stato di destinazione;
2. lo Stato d origine aderisce alla teoria dell incorporazione mentre lo Stato di destinazione aderisce alla teoria della sede reale,
3. Sia lo Stato d'origine che lo stato di destinazione aderiscono alla teoria della sede reale,
4. lo Stato d'origine aderisce alla teoria della sede reale mentre lo Stato di
destinazione aderisce alla teoria dell'incorporazione.
Tutte queste possibilità devono poi essere esaminate sia assumendo il punto di vista dello Stato d'origine, che assumendo il punto di vista dello Stato di destinazione31.
Considerando innanzitutto il punto di vista dello Stato di origine, nel caso in cui questo segua la teoria della sede reale, in linea di massima il trasferimento della sede legale non dovrebbe essere rilevante perché la sede legale non costituisce un criterio per decidere quale sia la legge applicabile. In realtà, l'iscrizione della società presso il competente registro ha considerevoli implicazioni per quel che riguarda il diritto sostanziale nonché quello processuale. La competenza delle corti è spesso decisa facendo riferimento al registro presso cui è iscritta la sede, per cui la legge applicabile coincide con quella del luogo in cui è registrata la sede e, di conseguenza, nei paesi aderenti alla teoria della sede reale occorre che la sede iscritta coincida con quella amministrativa.
Nel caso in cui tale coincidenza venga meno a causa del trasferimento della sede amministrativa o in alternativa della sede legale, non potrà essere mantenuta come legge applicabile quella dello Stato d'origine, ma la società dovrà sciogliersi e ricostituirsi nello Stato di destinazione, in modo da mantenere la coincidenza tra sede amministrativa e sede legale. Non è ammesso invece il trasferimento della sola sede amministrativa con contemporaneo mantenimento
della sede legale nello stato d'origine32.
Nel caso in cui lo Stato d'origine aderisca alla teoria dell'incorporazione, invece, sarà invece possibile trasferire la sede legale senza che ciò determini un
cambiamento della legge, in quanto tale applicabile soltanto nel caso in cui le norme di diritto sostanziale consentano di trasferire la sede legale e di ricostituire altrove la società33.
Partendo invece dal punto di vista dello stato di destinazione, nel caso in cui quest'ultimo faccia riferimento alla teoria della sede reale, lo statuto personale della società che vi si trasferisce verrà necessariamente modificato, qualsiasi sia la teoria adottata dallo stato d'origine. Sarà inoltre necessario trasferire anche la sede legale poiché questa dovrà coincidere con quella amministrativa e tale collegamento effettivo non potrà venire meno. L'applicazione della legge del paese di destinazione avverrà con modalità diverse a seconda delle previsioni di
diritto societario sostanziale vigenti negli stati coinvolti34.
Nel caso in cui invece lo stato di destinazione adotti la teoria dell'incorporazione e si trasferisca soltanto la sede amministrativa, rimanendo la sede legale presso lo stato d'origine, lo stato di destinazione opererà un rinvio alla legge dello stato d'origine. In questo caso, perché si continui ad applicare la legge dello stato di costituzione, senza che sia necessario liquidare e successivamente ricostituire la società, occorrerà che lo stato in questione accetti
il rinvio35.
Nel caso in cui venga invece trasferita la sede legale, si determinerà un cambiamento della legge applicabile se la società procederà a nuova registrazione ai sensi del diritto del paese di arrivo. Ciò non è però consentito in tutti gli stati dalle previsioni di diritto sostanziale36.
Occorre inoltre tenere presente che le problematiche suddette devono essere affrontate considerando che la sede può assolvere diverse funzioni: come richiamato a proposito delle teorie sopra menzionate, essa assume la funzione di criterio di collegamento, ma nei vari ordinamenti può ben assumere altri ruoli a cominciare da quello di criterio di giurisdizione, ossia di elemento rilevante al fine di determinare la lex fori, oppure ancora come criterio di domiciliazione dell'ente, per applicare norme di diritto sostanziale come, ad esempio, quelle
relative al luogo di adempimento delle obbligazioni37.
Un'ulteriore aspetto che risulta problematico riguarda la possibilità di ricavare dall'atto di trasferimento posto in essere dagli organi sociali lo scopo che la società intenda conseguire tramite il trasferimento, visto il diverso ruolo che assume la sede sociale e i diversi effetti normativi ad essa riconducibili. Una volta ricostruita la volontà sottostante al trasferimento (ad esempio modificare la lex societatis, ovvero modificare la lex fori o semplicemente la propria domiciliazione), occorrerà passare a verificare che l'effetto desiderato sia
compatibile con il luogo in cui si intende trasferire la sede38.
Dall'esame generale delle eventualità che possono presentarsi in sede di attuazione della libertà di stabilimento da parte di una società, nonché dal diverso ruolo giocato dalla sede in tutte le sue possibili declinazioni, si evince come l'equiparazione alle persone fisiche operata dal Trattato rischi di rimanere
meramente teorica in assenza di ulteriori previsioni che vincolassero gli Stati membri ad adottare misure volte a rimuovere gli ostacoli alla mobilità delle persone giuridiche per rendere efficace la previsione delle norme del Trattato.
1.4 L'abrogato art. 293 del Trattato Istitutivo della Comunità Europea come primo tentativo di armonizzazione rimesso all'iniziativa dei singoli Stati membri
All'entrata in vigore dell'allora Trattato di Roma, erano presenti ostacoli all'attuazione della libertà di stabilimento delle persone giuridiche che non riguardavano soltanto la possibilità di trasferire la sede all'estero senza sciogliere preventivamente la società e ricostituirla successivamente, ma anche la mancanza di previsioni che consentissero le fusioni transfrontaliere e soprattutto la persistenza di significative difformità tra il diritto societario sostanziale dei
diversi Stati membri39.
Prima degli interventi della Corte di Giustizia di cui si parlerà in seguito, la soluzione inizialmente offerta dal Trattato rimetteva interamente all'accordo tra Stati membri la soluzione dei problemi sopra menzionati, precipuamente allo scopo di «far disciplinare agli Stati membri il reciproco riconoscimento delle società nonché la fattispecie della fusione transfrontaliera e della trasformazione transfrontaliera con mantenimento della personalità giuridica, essendo chiaramente escluse queste due ultime fattispecie nella libertà di stabilimento dell'art. 48 TCE»40.
Era stata inserita infatti la previsione dell'art. 293, oggi abrogato dal TFUE, il
quale disponeva quanto segue:
«Gli Stati membri avvieranno fra loro, per quanto occorra, negoziati intesi a garantire, a favore dei loro cittadini:
- la tutela delle persone, come pure il godimento e la tutela dei diritti alle c condizioni accordate da ciascuno Stato ai propri cittadini,
- l'eliminazione della doppia imposizione fiscale all'interno della Comunità,
- il reciproco riconoscimento delle società a mente dell'articolo 48, comma secondo, il mantenimento della personalità giuridica in caso di trasferimento della sede da un paese a un altro e la possibilità di fusione di società soggette a legislazioni nazionali diverse, (corsivo mio)
- la semplificazione delle formalità cui sono sottoposti il reciproco riconoscimento e la reciproca esecuzione delle decisioni giudiziarie e delle sentenze arbitrali».
Questa previsione poteva rappresentare un primo tentativo di agevolare l'applicazione concreta del principio della libertà di stabilimento. Infatti, i maggiori problemi riscontrati nell'applicazione piena delle norme comunitarie sulla libertà di stabilimento erano dovuti proprio al fatto che i singoli Stati membri adottavano criteri internazional-privatistici non sufficientemente coerenti per determinare quale legge dovesse applicarsi alle società che trasferivano la propria sede da uno Stato membro ad un altro, e ciò aveva (ed ha tuttora) dei considerevoli risvolti concreti, alla luce delle peculiari situazioni legate a tale operazione, delle quali si è detto sopra.
L'articolo in questione, nella sua formulazione letterale, poneva la questione della competenza in materia di trasferimento di sede e di fusioni transfrontaliere, poiché sembrava attribuire tale competenza ai singoli Stati membri sottraendola dal novero delle competenze comunitarie. Oltre a ciò, l'articolo non forniva alcuna definizione di sede, in particolare non specificava se si trattasse di sede amministrativa ovvero di sede legale, e ciò faceva sì che si tendesse a sottrarre dall'area della libertà di stabilimento anche il trasferimento della sola sede amministrativa, in aperta contraddizione con la diretta applicabilità del principio della libertà di stabilimento41.
Per quanto riguarda invece la questione relativa alla stipulazione delle convenzioni tra gli Stati, posta dalla prima frase dell'articolo, si sono a lungo riscontrate opinioni divergenti. In particolare, secondo una prima interpretazione, il fatto che l'articolo riportasse l'inciso «per quanto occorra» era visto come ammissione di una facoltà degli Stati nella stipulazione di convenzioni. Una diversa interpretazione, invece, sosteneva che l'art. 293 non rappresentasse un mero invito a stipulare convenzioni tra gli Stati, liberi di dare seguito a tale invito in base alla loro discrezionalità, bensì ponesse in capo agli Stati membri un vero obbligo di avviare negoziati nei casi in cui il diritto comunitario, in tutte le sue forme, non fosse stato da solo sufficiente a garantire l'ottenimento dei risultati previsti dal Trattato per le materie espressamente indicate all'interno dell'articolo
in questione42. Tale posizione è stata tuttavia confutata in ragione
dell'interpretazione adottata dal Consiglio e dalla Commissione, avvalorata anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ha chiarito, nella sentenza Überseering che sarà analizzata in seguito, come tale formulazione dell'articolo
293 non avesse carattere precettivo e come gli Stati potessero a loro discrezione ricorrere allo strumento della convenzione internazionale laddove fosse necessario per un pieno raggiungimento degli obiettivi posti dal Trattato43.
A conferma di tale interpretazione, inoltre, occorre considerare il diritto internazionale in senso ampio, ai sensi del quale i Trattati entrano in vigore soltanto dopo il deposito delle ratifiche, e, nel caso in cui il Trattato stesso preveda l'unanimità come nel caso in questione, è sufficiente che uno Stato non provveda a ratificarlo per impedirne l'entrata in vigore. Al contrario, armonizzare le previsioni normative dei singoli Stati membri implica generalmente una
parziale cessione di sovranità ad una autorità sovranazionale che sia in grado di vincolare gli Stati che ne facciano parte mediante la propria potestà normativa, lasciando loro un margine di libertà nelle modalità di recepimento e attuazione di tali previsioni44.
Sulla base dell'art. 293 del TCE è stata in questo senso redatta la Convenzione di Bruxelles del 29 febbraio 196845. L'intento della Convenzione era quello di pervenire al mutuo riconoscimento delle persone giuridiche tra gli Stati46 al fine di realizzare la piena libertà di stabilimento delle persone giuridiche, effettuando un compromesso tra il criterio dell'incorporazione e quello della sede reale, non privilegiando alcuno di questi criteri ma stabilendo essa stessa delle proprie regole da applicare alle persone giuridiche coinvolte in episodi di mobilità internazionale47.
Il testo della Convenzione datato 29 febbraio 1968 non fu però sottoscritto dall'Olanda, dal momento che essa aveva già approvato separatamente il passaggio dalla teoria della sede reale a quella dell'incorporazione. In ragione di tale mancata sottoscrizione, dunque, la Convenzione non entrò in vigore per l'assenza dell'unanimità vincolante su di essa da parte dei sei Paesi fondatori
della Comunità48.
La Convenzione ha comunque rappresentato un primo tentativo di porre in essere un sistema di diritto internazionale privato uniformemente applicabile dagli Stati sottoscrittori e capace di offrire criteri di collegamento idonei ad agevolare le stesse operazioni transfrontaliere. Tale tentativo ha comunque fornito uno spunto per i sistemi di diritto internazionale privato dei singoli Stati
nazionali nonché per le pronunce giurisprudenziali49.
E' necessario considerare inoltre che l'abrogazione dell'articolo 293 TCE avvenuta con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha comportato un significativo ridimensionamento dei contenuti della libertà di stabilimento. Come sopra menzionato, infatti, l'articolo 293 TCE rimetteva agli Stati membri la possibilità di disciplinare le materie escluse dalla portata degli artt. 43 e 48 TCE (oggi 49 e 54 TFUE), ossia le trasformazioni e le fusioni transfrontaliere. L'avvenuta abrogazione dell'articolo ha dunque fatto sì che l'intera materia della mobilità delle società in Europa, con tutti i suoi aspetti, fosse ricondotta agli artt.
49 e 54 TFUE50.
Alla luce di questa importante modifica dei contenuti della libertà di stabilimento, avvenuta anche sulla base dell'evoluzione giurisprudenziale della Corte di Giustizia, è importante analizzare le norme del Trattato che hanno posto le basi per l'intervento diretto dell'Unione in materia di libertà di stabilimento.
1.5. Le basi per l'armonizzazione poste dalle norme del Trattato
Il raggiungimento di un adeguato livello di uniformità delle previsioni normative coinvolge sia l'aspetto internazional-privatistico che quello di diritto sostanziale. Se per il primo aspetto l'uniformità può essere raggiunta attraverso
convenzioni internazionali che prevedano l'adozione di un unico criterio di collegamento tra gli Stati contraenti, in modo che in caso di conflitto di leggi sia automaticamente applicabile il criterio stabilito in via convenzionale, per raggiungere l'uniformità delle previsioni di diritto materiale occorre invece incidere sulle fattispecie previste all'interno dei singoli Stati, in via convenzionale o usufruendo degli strumenti alternativi previsti dal diritto dell'unione51.
In particolare, visto che per quanto riguarda l'aspetto internazional-
privatistico la previsione dell'art. 293 TCE non aveva ottenuto risultati a causa della mancata adozione della Convenzione sopra menzionata, l'alternativa che rimaneva per l'attuazione dei principi del Trattato era quella della cd. armonizzazione, ossia di un intervento più incisivo della Commissione, del Consiglio e del Parlamento Europeo52, sulle previsioni di diritto sostanziale, sulla base dell'attuale art. 50 del TFUE (ex art. 44 del TCE), diretto a ravvicinare le legislazioni degli Stati membri in materia societaria, sul presupposto che le maggiori somiglianze a livello di diritto societario nazionale avrebbero agevolato la mobilità delle società53.
Il primo paragrafo dell'art. 50 TFUE stabilisce infatti che «per realizzare la
libertà di stabilimento in una determinata attività, il Parlamento europeo e il Consiglio deliberano direttive secondo la procedura legislativa ordinaria, previa consultazione del Comitato Economico e sociale».
La procedura legislativa ordinaria è in particolare disciplinata all'interno dell'art. 294 del TFUE e prevede una interazione tra le istituzioni dell'Unione ai fini dell'adozione degli atti normativi. L'attività legislativa è avviata su proposta
della Commissione e inoltrata a Parlamento e Consiglio, i quali si esprimono sulla proposta intervenendo sul testo e apportando, eventualmente, gli emendamenti ritenuti opportuni prima dell'approvazione definitiva54.
Per quanto concerne più specificamente la materia societaria, la lettera g) del secondo paragrafo dell'art. 50 TFUE prevede che gli organi menzionati intervengano «coordinando, al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società, a mente dell'art. 54 secondo comma per proteggere gli interessi tanto dei soci come dei terzi».
Un ulteriore strumento previsto dal Trattato per l'adozione di atti normativi, rilevante per il tema oggetto di trattazione anche se in maniera indiretta, è quello previsto agli articoli 114 e 115 del TFUE, i quali prevedono due diverse procedure per attuare gli obiettivi previsti dall'art. 26 TFUE55, a cui rinvia espressamente il suddetto art. 114 TFUE. In particolare quest'ultimo articolo, al paragrafo 1, prevede che
«Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno»56.
Il successivo articolo 115 prevede invece che «Fatto salvo l'articolo 114, il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, stabilisce direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato interno»
Gli articoli menzionati corrispondono rispettivamente agli artt. 95 e 94 del TCE e le procedure da loro regolate erano state già previste prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, pur conoscendo una differente frequenza di applicazione. In particolare la procedura delle decisioni assunte dal Consiglio all'unanimità prevista dall'art. 94 TCE, oggi dall'art. 115 TFUE, era stata poco utilizzata, mentre si privilegiava il ricorso alla procedura a maggioranza qualificata prevista dall'allora art. 94 (il testo dell'art. 114 TFUE prevede oggi l'applicazione della procedura ordinaria più il parere obbligatorio del Comitato
Economico e Sociale)57.
Le procedure previste dagli articoli in questione avevano due basi sostanziali diverse, come si evince dalla formulazione dei due articoli. In particolare l'art. 114 TFUE (ex 95 TCE) prevedeva l'applicazione di una specifica procedura (sotto TCE a maggioranza qualificata, sotto TFUE procedura legislativa ordinaria più parere del Comitato Economico e sociale) per le direttive «che [avessero] per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno», mentre l'art. 115 TFUE (ex 94 TCE) prevedeva l'applicazione della procedura di deliberazione all'unanimità per le deliberazioni «che [avessero] un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato interno».
Nella prassi è andata invece progressivamente affermandosi una distinzione meramente procedurale dell'ambito di applicazione degli articoli in
questione, con netta prevalenza - come sopra accennato - della procedura prevista dall'art. 95 TCE58. Inoltre, nella scelta della procedura da applicare per l'approvazione di un determinato atto, l'art. 114 TFUE possiede un contenuto più ampio, in quanto utilizza il termine «misure volte al ravvicinamento delle disposizioni», mentre l'art. 115 TFUE si limita a prevedere la procedura al solo fine di approvare direttive.
Le previsioni dell'art. 50 del TFUE, espressamente riferito alla libertà di stabilimento, devono dunque essere coordinate con le previsioni degli articoli 114 e 115 del medesimo Trattato. Alla luce degli scopi e degli obiettivi espressamente menzionati dagli articoli in questione, occorre considerare le direttive emanate fino ad oggi e la base giuridica a cui esse si riferiscono per poter comprendere come in concreto le previsioni del Trattato sono state attuate a livello di diritto derivato.
Mentre l'analisi delle direttive emanate e della loro base giuridica di riferimento costituirà oggetto del capitolo seguente, basti per il momento accennare al fatto che da un punto di vista di politica dell'Unione, nel caso in cui il diritto derivato sia prodotto sulla base dell'art. 50 TFUE, esso disciplinerà gli aspetti più strettamente connessi alla mobilità delle società e alla dimensione transfrontaliera delle operazioni societarie, mentre non si occuperà di disciplinare gli aspetti interni relativi, ad esempio, al rapporto tra i vari organi societari.
Le procedure di cui agli articoli 114 e 115 TFUE, invece, possono essere applicate non soltanto per l'adozione di atti normativi relativi al diritto societario, ma anche per l'adozione di atti disciplinanti qualsiasi tipo di aspetto, dato che si riferiscono all'adozione di misure rilevanti per la creazione del mercato unico.
Inoltre, sulla base dell'art. 50 TFUE, l'Unione potrà intervenire soltanto nella misura in cui ciò sia necessario per l'attuazione delle operazioni
transfrontaliere comprese nella libertà di stabilimento59, mentre gli articoli successivi possono intervenire sul diritto commerciale generale al fine di una più incisiva armonizzazione delle previsioni normative in materia60.
Gli articoli menzionati, in conclusione, rappresentano due approcci diversi ma complementari del diritto dell'Unione nei confronti dell'armonizzazione: da una parte l'azione diretta alla rimozione degli ostacoli alla mobilità delle società e alla libertà di stabilimento, dall'altra l'inserzione di previsioni generali volte alla creazione di un diritto commerciale quanto più possibile uniforme, che oltrepassi le specificità nazionali per contribuire a sua volta a rimuovere gli ostacoli non solo alla libertà di stabilimento, ma più in generale alle libertà previste dal
Trattato61.
Nel capitolo successivo saranno ricostruite le fasi della armonizzazione, considerando inoltre gli obiettivi che possono dirsi attualmente raggiunti e quelli
che invece risultino ancora problematici o lacunosi.
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