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La giustizia costituzionale




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La giustizia costituzionale

L'idea di una giustizia costituzionale nasce essenzialmente in collegamento con quella di estendere le garanzie del principio di legalità alla legge medesima.

Infatti, rendere sindacabile la conformità della legge alla Costituzione, e tanto più conferire ad apposito organo, la Corte costituzionale, il potere di eliminarle dal sistema nel caso di loro riconosciuta incostituzionalità, vuol dire estendere il principio di legalità agli organi parlamentari nell'esercizio della funzione legislativa e quindi alla legge formale, rafforzando al tempo stesso le garanzie dei diritti individuali, in quanto riconosciuti dalla Costituzione, ma ulteriormente disciplinati dalla legge.

Naturalmente una tale premessa può essere accolta in un sistema come quello italiano, dove vige il principio della rigidità del testo costituzionale che permette di garantirne il contenuto da abrogazioni e modifiche che si volessero disporre con semplice legge del Parlamento. Ma una siffatta "garanzia" sarebbe rimasta astratta, se non fosse stato creato un congegno diretto a renderla operante, e tale congegno consiste, da noi, nella Corte costituzionale, come appare chiaro dal disposto dell'art. 134 Cost. che ad essa attribuisce, in primo luogo, e quale competenza primaria, quella di giudicare "sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni".

Con la previsione di questo organo creato ad hoc s'intendeva operare una netta innovazione rispetto all'ordinamento precedente, fondato su una carta fondamentale, lo Statuto Albertino del 1948, sprovvista di un chiaro regime di prevalenza rispetto alla legislazione ordinaria e pertanto liberamente derogabile da questa. Il carattere flessibile dello Statuto era, del resto, testimoniato dal fatto di essersi prestato a fare da sfondo, senza modificazioni formali, ai diversi regimi politici succedutesi dal 1848 (Monarchia costituzionale sabauda, il sistema parlamentare liberale, il regime fascista).

Dalla lettura dell'art. 134 Cost., emerge, implicitamente, la scelta operata dal costituente di offrire all'ordinamento italiano un sistema di giudicato di costituzionalità accentrato: dove un organo soltanto è competente a giudicare della conformità o meno delle leggi alla Costituzione. A tale sindacato si contrappone l'altro tipo di controllo possibile in uno Stato a costituzione rigida, il sindacato diffuso: che si ha quando è riconosciuto a qualsiasi giudice, chiamato a fare applicazione di una determinata legge in un caso concreto, il potere di accertarne preliminarmente la conformità a Costituzione, disapplicandola nel caso la ritenga incostituzionale. Il tipo di controllo svolto dalla Corte costituzionale, oltre a configurarsi come un sindacato accentrato, si atteggia come un controllo a posteriori; poiché si è considerata la legge non in modo astratto (la legge per quel che potenzialmente dispone), ma in modo concreto (la legge per quel che effettivamente dispone, attraverso l'attività degli organi giudiziari). Il controllo di costituzionalità è così agganciato all'applicazione del diritto, è, quindi, un controllo concreto, attivabile in qualunque momento, dopo l'entrata in vigore della legge, ed anche ripetutamente. In questo modo, il controllo di costituzionalità si lega strettamente all'evoluzione dell'ordinamento giuridico di cui spesso è uno dei più potenti fattori di trasformazione. La possibilità di chiedere e richiedere in ogni momento l'intervento della Corte consente di provocare continui aggiustamenti della legge alla Costituzione, sottoposta anch'essa a letture che progrediscono nel tempo.

Nella nostra Costituzione, ad eccezione dell'art.127 Cost. che, esplicitamente, prevede l'impugnazione diretta delle leggi regionali da parte dello Stato, non è possibile rintracciare altra disposizione che disciplina, direttamente, il processo costituzionale; unica norma di rinvio è l'art. 137 Cost. che demanda ad una legge costituzionale, la competenza a regolare "le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale e le garanzie d'indipendenza dei giudici della Corte".

Fu la stessa Assemblea Costituente, in regime di prorogatio, a adottare, in applicazione dell'art. 137 Cost., la legge cost. n° 1 del 9 febbraio 1948 che introdusse due nuove forme di impugnazione diretta della legge, che si aggiungevano a quella disposta dall'art. 127 Cost., sicchè, fu prevista la possibilità per le Regioni di promuovere il giudizio della Corte sulle leggi statali o su leggi di altre Regioni ritenute invasive delle proprie competenze: in questo caso il ricorso fu previsto in via successiva (entro 30 giorni dalla pubblicazione della legge) e non in via preventiva come nell'art. 127 Cost.

Questa stessa legge ha disposto, per tutte le altre ipotesi, ed in pratica, come sistema di generale applicazione, l'accesso alla Corte "in via incidentale", vale a dire nel corso di un normale giudizio (civile, penale o amministrativo), quando la questione di costituzionalità, rilevata d'ufficio o sollevata dalle parti, fosse ritenuta dalla stessa autorità giudiziaria rimettente, rilevante e non manifestatamene infondata.

Un siffatto sistema, può ben dirsi, come è stato rilevato dalla dottrina, "eclettico": poiché si manifesta come un sindacato accentrato, con la conseguente previsione di una competenza unica della Corte costituzionale, ma nello stesso tempo ad iniziativa diffusa, vale a dire riconosciuta ad ogni giudice il quale, nell'ambito del suo giudizio, nutra anche un semplice dubbio in ordine alla conformità ai principi costituzionali della legge che è chiamato ad applicare nel suo processo.

Tutto ciò significa che, nel nostro ordinamento, il soggetto privato, che ritenga di aver avuto lesa da un altro privato o da un pubblico potere una sua situazione giuridica soggettiva costituzionalmente rilevante, dovrà pur sempre, per ottenere giustizia, rivolgersi ad un giudice, ordinario o speciale, secondo i casi, e sarà tale giudice che deciderà di rimettere o meno la questione alla Corte, se ritiene che tale lesione sia riconducibile ad una disciplina posta con legge o con atto ad essa equiparato. Questo perché, nel prevedere le forme di investitura della Corte di una questione di legittimità costituzionale furono scartate, in sede costituente, le ipotesi di un ricorso diretto da parte del cittadino, come tale o come portatore di un interesse qualificato, delle minoranze parlamentari o di un procuratore della Costituzione.

Con ciò, si venne, quindi, a valorizzare il ruolo del giudice comune e la sua iniziativa, giungendo a fare una scommessa sulla sensibilità del giudice ai nuovi valori costituzionali, in quanto, una sua insensibilità avrebbe causato il mancato esercizio dell'iniziativa e quindi lo svuotamento del giudizio di costituzionalità sulla legge, da parte della Corte per mancanza di materia prima.

L'esperienza degli anni successivi ed il formarsi di un'efficace sinergia tra Corte e giudici rimettenti, ha mostrato come la differenza tra sindacato accentrato e sindacato diffuso si siano, nella nostra esperienza, assai attenuate fino ad andare per molti aspetti a confondersi e quasi a scomparire; da qui l'esigenza, sentita dai costituzionalisti in anni recenti, di rivalutare e revisionare il tema dell'accesso alla Corte, dapprima in una prospettiva solo teorico-dottrinale e di comparazione con le altre esperienze europee ma oggi, da un punto di vista pratico e sempre più inquadrato in un vero e proprio progetto di riforma.

La riflessione politica e scientifica, sulle prospettive di riforma della Corte costituzionale ha dato luogo alle prime ipotesi di modifica dell'attuale disciplina già a partire degli anni'80. In questo periodo si sviluppò in Italia, un articolato dibattito concernente una "grande riforma" delle istituzioni disegnate nel 1946-48. Il primo Governo, che pose al centro del proprio programma la "questione istituzionale", fu il secondo Governo Spadolini, insediatosi nell'agosto 1982. Durante il suo governo, infatti, furono istituiti, alla fine del mese di settembre, due "Comitati per l'esame dei problemi istituzionali" con il compito, forse un po' troppo generico, di analizzare ed eventualmente prospettare delle revisioni in materia istituzionale. Nonostante la ristrettezza dei tempi, i comitati riuscirono a presentare due relazioni ai presidenti di assemblea, ma le dimissioni del governo Spadolini, nel novembre del 1982, non consentirono che l'iniziativa avesse un seguito immediato a livello politico. Caduto il governo Spadolini, l'impegno per le riforme istituzionali, non venne meno: il successivo governo Fanfani, insediatosi nel dicembre del 1982; confermò, nella sostanza, l'impegno programmatico concernente "la questione istituzionale". Si istituì, così, una Commissione Bicamerale, creata ad hoc, composta da venti deputati e venti senatori, con il compito esclusivo di formulare, entro dieci mesi dalla sua prima seduta, "proposte di riforme costituzionali e legislative nel rispetto delle competenze istituzionali delle due Camere e tenendo conto delle iniziative legislative in corso". Ma, il lavoro della Commissione fu bloccato sul nascere dalle sopraggiunte dimissioni del governo Fanfani, (29 aprile), e dal conseguente scioglimento delle Camere. Aperta la nuova legislatura, le riforme si riconfermarono come uno degli argomenti centrali del dibattito politico, specie una volta che alla Presidenza del Consiglio fu nominato (4 agosto 1983) l'on. Craxi, segretario del partito socialista, da anni il partito più attivo sulla questione istituzionale. E così, si potè, finalmente, dar luogo alla "Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali", che venne nominata "Commissione Bozzi" dal nome del suo presidente l'on. Aldo Bozzi, noto anche per le sue elevate competenze giuridiche. Nelle materie riguardanti la giustizia costituzionale, la Commissione Bozzi, non ritenne opportuno proporre modifiche alle disposizioni della Costituzione direttamente concernenti le garanzie costituzionali, ma si limitò a prospettare un'innovazione di rilievo per quanto concerne le modalità d'accesso alla Corte: ovverosia, l'attribuzione alla Corte dei conti, in sede di esame del rendiconto dello Stato, della facoltà di investire la Corte costituzionale in caso vi fosse incostituzionalità per contrasto con l'art.81 u.c. cost. La proposta introduceva una forma di accesso diretto ai giudizi della Corte che era già stata prospettata dalla Consulta in una sua famosa sentenza (n° 226 del 1976). Con quest'innovazione si intendeva porre rimedio alla insufficienza del sistema incentrato sul sindacato costituzionale in via incidentale, in relazione alla non completa tutela di determinati valori costituzionali. Le esigenze di rafforzare la funzione della Corte di tutela obiettiva dell'ordinamento su impulso di un organo neutrale, quale la Corte dei conti ritornarono nella X legislatura, con l'approvazione, da parte del Senato e quindi della Commissione affari costituzionali della Camera, della proposta di introdurre l'articolo 95-bis della Costituzione, nel quale si ipotizzava di attribuire alla Corte dei conti la facoltà di sottoporre al giudizio della Corte costituzionale gli schemi di regolamento inviati dal Governo per il visto, in caso di riscontro di una violazione da parte di questi della riserva di legge. Le ipotesi di riforma della giustizia costituzionale furono espressamente affrontate nell'ambito del Comitato "garanzie", costituito in seno alla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali istituita nella XI legislatura. Infatti, facendo seguito ad un espresso invito proveniente dal neo Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, alla Camera e al Senato furono approvati, sul finire del mese di luglio 1992, due atti monocamerali d'indirizzo con cui si deliberava l'istituzione di una "Commissione bicamerale con il compito di una globale ed organica revisione della Costituzione nell'articolazione delle diverse istituzioni". Questa Commissione, che in seguito fu denominata De Mita-Iotti (dal nome dei due parlamentari che si succedettero nella Presidenza), avrebbe esaminato, come si affermava nel testo approvato dalla Camera, "le proposte di revisione costituzionale concernente la parte seconda della Costituzione ed i disegni di legge elettorale presentati alle Camere"; restringendosi, così, il campo d'esame rispetto a quello che era stato l'oggetto della Commissione Bozzi. Nonostante l'iter formativo, alquanto frammentario e difficoltoso, la Commissione, presieduta dall'on. Iotti, approvò, in data 21 dicembre 1993, il documento conclusivo, che venne inviato, ormai in un clima di smobilitazione generale, ai presidenti delle assemblee, ma lo scioglimento delle Camere fu decretato quattro giorni dopo, bloccando, così, l'iter delle riforme istituzionali. Le elezioni del marzo 1994 diedero la vittoria allo schieramento di centro-destra, di cui Silvio Berlusconi era il leader. Il nuovo governo intraprese un'azione riformatrice improntata a logiche diverse rispetto a quelle seguite nelle legislature precedenti. Con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 luglio 1994, emesso ai sensi dell'art 29 della legge n° 400 del 1988, venne istituito un "Comitato di studio sulle riforme istituzionali, elettorali, costituzionali", detto "Comitato Speroni" dal nome del ministro che lo presiedeva. Nel testo di revisione si ipotizzava di rafforzare le funzioni di garanzia della Corte principalmente attraverso l'introduzione di forme di accesso diretto alla Corte da parte dei singoli per la tutela dei diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione, avverso gli atti lesivi posti in essere dai pubblici poteri. I ricorsi in questione venivano ammessi solo dopo i vari gradi di giudizio previsti per la tutela giurisdizionale ordinaria ed amministrativa, salva la possibilità per la Corte di intervenire anche immediatamente nel caso di ricorsi ritenuti di rilevante interesse generale o nell'ipotesi di presenza di rischio di danni gravi ed irreparabili per il ricorrente. Ma anche questo tentativo di riforma, non ebbe miglior sorte di quelli che lo avevano preceduto. Il progetto del comitato fu, sì, elaborato e trasmesso, il 21 dicembre 1994, al Presidente del Consiglio, ma l'intervenuta crisi del governo Berlusconi ne impedì finanche la discussione in Consiglio dei Ministri. Per tutto l'anno successivo, il dibattito sulle riforme istituzionali fu quasi completamente confinato agli ambienti accademici. Soltanto nell'ottobre 1995 il nuovo Presidente del Consiglio, Lamberto Dini, espresse la disponibilità a portare a termine alcune proposte di riforma ritenute di maggiore urgenza. L'opposizione dello schieramento di centro-destra, ed i dubbi manifestati dagli esponenti degli altri partiti, però, spensero sul nascere questa iniziativa. Assai maggior rilievo, invece, assume la prospettiva di una revisione costituzionale apertasi nel corso di quello che fu giornalisticamente definito come il "tentativo Maccanico". In seguito alle dimissioni del governo Dini, i partiti maggiori, ritenendo ancora prematuro lo scioglimento delle Camere, cercarono di costituire una sorta di "governo di unità nazionale", che avesse il compito di affrontare le questioni particolarmente delicate, da anni irrisolte. Nel carnet del governo, della cui formazione fu incaricato Antonio Maccanico, figuravano anche le riforme istituzionali, per le quali era stato formato uno schema nella c.d. "bozza Fisichella" (25 gennaio 1996).Questo progetto, però, non ebbe modo di essere concretizzato, dal momento che Antonio Maccanico, constatata l'impossibilità di trovare tra i partiti politici un consenso sufficiente a formare un nuovo governo, rinunciò all'incarico. Si andò, in tal modo, alle elezioni politiche anticipate (21 aprile 1996). Le elezioni della primavera del 1996, diedero la vittoria allo schieramento di centro-sinistra; ed anche in questo caso la coalizione governativa non si dimostrava particolarmente omogenea. Il clima di generale insoddisfazione che caratterizzò questi anni fece tornare in auge la necessità di una sostanziale riforma costituzionale. Restava, però, da chiarire quale sarebbe stato lo strumento giuridico attraverso cui attuarla. La recente storia costituzionale offriva alcune possibilità, le quali, per non aver mai avuto un esito soddisfacente, erano da molti ritenute, ex se, inefficienti. Per questo, alcune forze politiche, come Alleanza Nazionale ed il movimento referendario di Mario Segni, riproposero la convocazione di un'Assemblea costituente. I partiti politici del centro-sinistra si opponevano risolutamente a quest'ipotesi sostenendo l'opportunità di operare, in senso riformatore, nell'alveo dell'art. 138 Cost. Il confronto tra i due opposti schieramenti finì per dirigersi verso la soluzione mediana: quella, appunto, della costituzione di una terza Commissione bicamerale. Un problema che si poneva irrisolto, ormai da parecchi anni, era quello della posizione da attribuire all'art.138 Cost.: disposizione da derogare per alcuni, da modificare per altri, da rispettare, in quanto immodificabile, per altri ancora. Si decise, comunque, di procedere, sull'esempio della legge costituzionale n° 1/1993, ad una nuova deroga, una tantum, al procedimento di revisione, lasciando, però, impregiudicata, questa volta, la questione della sua modificabilità. Nasceva, in questo modo, la legge costituzionale n° 1 del 1997 con la quale si istituiva una "Commissione parlamentare per le riforme costituzionali composta da 35 deputati e 35 senatori (e quindi bicamerale), nominati rispettivamente dal Presidente della Camera e dal Presidente del Senato su designazione dei Gruppi parlamentari, rispettando la proporzione esistente tra i Gruppi medesimi." (art 1, 1° c.). Emergeva, dunque, una novità rispetto alle Commissioni Bicamerali precedenti: non si parlava più di "riforme istituzionali", ma di "riforme costituzionali". Infatti, alla luce del disposto dell'art. 1 quarto comma la Commissione doveva elaborare "i progetti di revisione della parte II della Costituzione, in particolare in materia di forma di Stato, forma di governo e bicameralismo, sistema delle garanzie"; non formavano, quindi, oggetto d'esame della Commissione, le leggi elettorali; ma, per converso, non veniva esclusa la sezione II del titolo VI della parte II della Costituzione (a differenza di quanto disposto dalla l. cost. n° 1/93), dove si disciplina il procedimento di revisione (art. 138) e si sancisce l'immutabilità della forma repubblicane (art 139). Altra novità era l'alto numero dei componenti la Commissione (settanta), notevolmente maggiore rispetto a quello delle esperienze precedenti. Per quanto riguarda il procedimento seguito dalla Commissione possiamo sinteticamente dire che il primo passo fu quello dell'istituzione della stessa Commissione Bicamerale con la l. cost. n° 1/97 entrata in vigore il 29 gennaio 1997; cinque giorni dopo, il 4 febbraio, i presidenti delle due Camere nominavano, su designazione dei gruppi parlamentari, i settanta membri della Commissione ed il giorno successivo, procedevano all'assegnazione dei progetti di legge costituzionale e, nello stesso giorno, si teneva la prima seduta plenaria della Commissione nella quale si dava luogo all'elezione, con voto segreto, del Presidente e, successivamente, dell'Ufficio di presidenza. Le maggiori forze politiche designavano alla presidenza il segretario del PDS Massimo D'Alema. A partire dall'11 febbraio 1997 la Commissione iniziava concretamente i propri lavori ed il 26 febbraio si approvava la proposta del presidente di istituire quattro comitati relativi, rispettivamente, alla forma di Stato, alla forma di governo, al sistema di garanzie e, infine, al Parlamento e alle fonti normative nonché alla partecipazione dell'Italia all'Unione Europea. Le proposte di riforma della giustizia costituzionale furono studiate dal "Comitato Sistema delle garanzie" che, nella persona dell'on Marco Boato, e dopo un dibattito che aveva occupato due sedute, il 7 maggio 1997 illustrava il progetto definitivo che avrebbe sottoposto al plenum della Commissione. Questo fu, insieme ai progetti degli altri comitati, incluso nel progetto di revisione della II parte della Costituzione, discusso e votato dalla Commissione in seduta plenaria e trasmesso, il 30 giugno 1997, alle Camere. Le più importanti novità introdotte da questo progetto, oltre a quelle attinenti all'organizzazione della Corte (art.135) e agli effetti delle decisioni della Corte (art.136), riguardano l'accesso alla Corte costituzionale, e coinvolgono sia l'art.134 Cost., sia l'art.137 Cost. A seguito del progetto del 30 giugno, infatti, l'art 134 Cost, disponeva che: "la Corte costituzionale giudica: a) sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; b) sulle controversie relative alla legittimità costituzionale dei regolamenti, nei casi stabiliti dalla Costituzione; c) sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli in cui siano parti Stato, Regioni, Province, e Comuni; d) sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica a norma della Costituzione; e) sui ricorsi in materia di elezione del Presidente della Repubblica; f) sull'ammissibilità dei referendum abrogativi di leggi e di atti aventi valore di legge e dei referendum sulle proposte di legge di iniziativa popolare; g) sui ricorsi per la tutela, nei confronti dei pubblici poteri, dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, secondo condizioni, forme e termini di proponibilità stabiliti con legge costituzionale. Per quanto concerne l'art. 137 Cost, la novità, introdotta dal progetto bicamerale del 30 giugno, riguarda il II comma, lì dove si affermava che: la legge costituzionale stabilisce altresì condizioni, limiti e modalità di proposizione della questione di legittimità costituzionale delle leggi, per violazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, da parte di un quinto dei componenti di una Camera. Con la trasmissione alle Camere del progetto di legge, si apriva così un nuovo segmento dell'iter previsto dalla l. cost. n° 1 del 1997, quello disciplinato dall'art. 2, 5° c., in virtù del quale, "entro trenta giorni dalla trasmissione", ogni parlamentare, "anche se componente del Governo", avrebbe avuto la facoltà di presentare emendamenti al presidente della Camera di appartenenza. Su tali emendamenti, la Commissione si sarebbe pronunciata "nei successivi trenta giorni". Dopo varie sedute di discussione degli emendamenti presentati, il 4 novembre 1997, si giunse al testo definitivo che sarebbe stato presentato alle assemblee parlamentari; in chiusura della stessa seduta, il Presidente D'Alema dava, anche, lettura di una lettera inviata dal Presidente della Repubblica nella quale si esprimeva "viva [.] gratitudine e [.] plauso" per il lavoro svolto. Con ciò, potevano ritenersi terminati i lavori della Commissione bicamerale. Analizzando il progetto del 4 novembre, e comparandolo con quello del 30 giugno, possiamo notare che, mentre numerosi emendamenti erano stati apportati all'art.134 Cost, mentre nulla venne modificato dell'art.137 Cost. Per quanto attiene all'art. 134 Cost., è rimasta invariata la previsione di un giudizio di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti con forza di legge, dello Stato e delle Regioni; mentre la possibilità, per la Corte, di giudicare sulla legittimità dei regolamenti è stata prevista solo per quelli che disciplinano l'organizzazione dell'amministrazione statale. Per quanto riguarda i conflitti di attribuzione, è prevista la competenza della Corte anche quando siano parti in giudizio Province e Comuni (ma occorrerà stabilire con apposita legge costituzionale i casi e le modalità dei conflitti). Al giudizio sui ricorsi in materia di elezione del Presidente della Repubblica, invece, viene aggiunto quello sulle cause di ineleggibilità ed incompatibilità; ed inoltre, è previsto il giudizio della Corte, anche sui ricorsi in materia di elezione dei componenti delle due Camere, nei casi stabiliti dalla Costituzione. Il testo, invece, è rimasto invariato sia, lì dove prevede il giudizio sulle accuse mosse al Presidente della Repubblica, sia per la previsione della competenza della Corte a giudicare sui ricorsi individuali per la tutela dei diritti fondamentali e sia sull'ammissibilità dei referendum abrogativi.

La riflessione di giuristi, operatori e politici sulle prospettive dell'accesso in via incidentale, che si sono recentemente concretizzate nel progetto presentato dalla Bicamerale, e le corrispondenti prospettive di riforma, si sono incentrate soprattutto su alcuni aspetti di dettaglio: come quello della legittimazione dell'autorità che rimette la questione di legittimità costituzionale alla Corte, dell'oggetto del sindacato della Corte, l'altro ancora dei soggetti, diversi dal giudice a quo che in qualche misura possono influire sull'esame della Corte, quello, infine, delle condizioni specifiche, rilevanza e non manifesta infondatezza, per la presentazione della questione d'incostituzionalità.

Lo studio di questi aspetti di dettaglio del processo costituzionale, alla luce di una prospettiva di riforma, finisce per riflettere l'ambiguità che caratterizza il giudizio incidentale in perpetua oscillazione tra "polo della concretezza" (ovvero giustizia del caso singolo e tutela dei diritti-interessi legittimi dei consociati), e "polo dell'astrattezza" (ovvero tutela dei valori obiettivi e generali dell'ordinamento).

Infatti, parlare di accesso significa evocare prospettive per molti aspetti contrapposte tra loro. Si può affermare che l'idea di Cappelletti del giudizio costituzionale, come azione del giudice a tutela dei diritti fondamentali, si contrappone a quella, risultata prevalente, di Calamandrei, secondo il quale: "il giudice è chiamato a fare, si potrebbe dire da portiere della Corte costituzionale: anzi, si potrebbe dire ancora meglio che la Corte è sprovvista di una sua porta grande e non ha altra entrata che l'usciolino modesto del giudice. La Corte costituzionale e l'amministrazione ordinaria vivono, per così dire, in simbiosi, senza poter fare a meno l'una dell'altra: se il giudice ordinario non apre la porta, la Corte non può entrare in funzione,ma quando è entrata in funzione, il giudice ordinario non può richiuderla, e per poter continuare il suo lavoro, bisogna che quella abbia finito il suo".

Dietro la distinzione tra azione del giudice e mera denuncia sta la dicotomia, ben più pregnante, tra una concezione della giustizia costituzionale come forma di tutela dell'integrità dell'ordinamento, opposta ad una che vede, nel processo costituzionale, la tecnica privilegiata di garanzia dei diritti fondamentali. Quest'ambiguità che caratterizza il giudizio incidentale, porta ed escludere la trasposizione di concetti da un settore all'altro dell'ordinamento. Così, se la dogmatica processualcivilistica postula che l'accesso al giudizio si eserciti attraverso una domanda proposta da un attore ad un giudice che è tenuto a decidere, quanto meno sulla legittimità dell'attore, lo studio del giudizio incidentale ha condotto la dottrina ad escludere che si possa parlare di vera e propria "azione", ma piuttosto di denuncia, sollevata dal giudice anche d'ufficio, che dà luogo ad un giudizio non contenzioso nel quale le parti hanno un ruolo meramente eventuale.

Nella prospettiva che si è consolidata, è dunque arduo intravedere un collegamento, tra le forme processuali ordinarie e quelle del giudizio costituzionale, tale da consentire similitudini tra le situazioni dedotte, i soggetti in causa, o le domande proposte nei rispettivi ambiti. Il giudizio incidentale viene instaurato da un soggetto che non è parte ma giudice del giudizio principale, che non propone una domanda ma solleva un dubbio, non rivendica un diritto ma esercita una funzione pubblica.

Corte Costituzionale

Organo statale, composto da quindici giudici, a cui è attribuito il compito di controllare la conformità alla Costituzione delle leggi promulgate dal Parlamento e dei decreti legge e decreti legislativi emanati dal governo. Dieci membri della Corte sono eletti dal Parlamento e dalle più alte magistrature dello stato, dai professori universitari e dagli avvocati con almeno vent'anni di esercizio della professione; cinque membri sono nominati dal presidente della Repubblica. I membri della Corte rimangono in carica per nove anni.

La Corte è inoltre l'autorità giudicante nel caso in cui sorga un conflitto tra i poteri dello stato (potere legislativo, potere esecutivo, potere giurisdizionale) o un conflitto fra lo stato e le regioni o tra le regioni.

È inoltre l'autorità che decide sulla ammissibilità dei referendum popolari e sui reati commessi dal presidente della Repubblica e dai ministri.

Titolo VI. Garanzie costituzionali

Sezione I. La Corte Costituzionale


. La Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione.


. La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative. I giudici della Corte costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio. I giudici della Corte costituzionale sono nominati per nove anni, decorrenti per ciascuno di essi dal giorno del giuramento, e non possono essere nuovamente nominati. Alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e dall'esercizio delle funzioni. La Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il Presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall'ufficio di giudice. L'ufficio di giudice della Corte è incompatibile con quello di membro del Parlamento, di un Consiglio regionale, con l'esercizio della professione di avvocato e con ogni carica ed ufficio indicati dalla legge Nei giudizi d'accusa contro il Presidente della Repubblica intervengono, oltre i giudici ordinari della Corte, sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari.


. Quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. La decisione della Corte è pubblicata e comunciata alle Camere ed ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali.


. Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, e le garanzie di indipendenza dei giudici della Corte. Con legge ordinaria sono stabilite le altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte. Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione.




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