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Le capacità di governo e i poteri degli esecutivi nelle democrazie parlamentari, nonostante molteplici similitudini formali, non si equivalgono e la casistica a nostra disposizione evidenzia talvolta esecutivi «forti», talaltra esecutivi «deboli», pur all'interno di una stessa classe. Il principale elemento formale comune alle democrazie parlamentari consiste, come è noto, nella modalità del rapporto tra chi detiene il potere di governo (l'esecutivo e la sua maggioranza) e chi vi è sottoposto (l'opposizione e la minoranza), che si svolge entro arene parlamentari dove potere esecutivo e potere legislativo si trovano integrati. All'interno delle arene parlamentari, il rapporto tra questi due poteri cruciali prende la forma di un confronto tra governo e opposizione in un luogo spazialmente ben definito, secondo tempi di «ingaggio» stabiliti e regole altamente formalizzate, fino al punto da essere scritte e sottoposte ad arbitrato. Esistono tuttavia delle differenze profonde nel modo in cui sono modellate la varie arene parlamentari, che producono plausibilmente degli effetti sul policy-making in ambito legislativo e che qui si intendono indagare per ricavarne delle ipotesi e delle suggestioni per ulteriori ricerche.
La ragione di questo interesse è duplice, vuoi perché non possiamo certo affermare che esista una condivisione di metodi di analisi e di teorie interpretative delle differenze tra le capacità degli esecutivi[1]; sia perché il tema è di costante attualità nel nostro paese, alla ricerca delle soluzioni istituzionali che servano ad aumentare il rendimento degli esecutivi. Nelle sue linee essenziali l'argomentazione qui presentata segue il percorso già altrove delineato più in esteso[2], ma si concentra maggiormente sul caso italiano. Il caso britannico sarà assunto nel suo carattere paradigmatico. Regole e vincoli procedurali all'interno dell'arena parlamentare britannica saranno concettualizzati come un insieme di risorse, che definiscono una certa «struttura delle opportunità» a disposizione degli attori coinvolti nel processo legislativo. Sarà argomentato che nel modello parlamentare di Westminster l'abilità degli attori legislativi (partiti o gruppi parlamentari) nello sfruttare pienamente le risorse procedurali è ulteriormente condizionata dalla struttura dell'arena parlamentare, con ciò intendendo esclusivamente il grado di centralizzazione del processo legislativo. Su queste basi, si giungerà alla formulazione di un modello dell'istituzionalizzazione della relazione governo-opposizione che si è affermato in quel contesto. Nel secondo paragrafo si applicherà questo schema interpretativo al quadro comparativo più ampio, comprendente il caso tedesco e spagnolo, oltre a quello italiano. L'intento è di mostrare che la distribuzione delle risorse - ovverosia dei vincoli e delle regole procedurali - e quindi la struttura delle opportunità che ne discende variano in modo molto marcato da caso a caso, specificando le proprietà delle varie arene parlamentari. Si espliciterà pertanto una tipologia delle arene parlamentari, legata sia alla distribuzione delle regole del gioco parlamentare (struttura delle opportunità) che alla strutturazione delle arene parlamentari (grado di centralizzazione del proceso legislativo). Nel caso italiano, che occupa il terzo paragrafo, si osserva dagli anni settanta del secolo appena concluso un timido movimento di riallineamento - non privo di contraddizioni - della nostra arena parlamentare ai modelli di democrazia a centralità esecutiva (Gran Bretagna, Spagna e Germania), che culmina nel 1998 nell'adozione di una importante riforma dei Regolamenti Parlamentari. Infine, nelle conclusioni (quarto paragrafo) si avanzano alcune valutazioni sulle trasformazioni dell'arena parlamentare italiana alla luce di questa riforma.
2. Il quadro comparativo: dal King in Parliament agli altri modelli europei
Regole del gioco e arene parlamentari nell'interpretazione delle relazioni governo-parlamento
Quando si affronta il tema delle relazioni governo-parlamento è scontato rinviare all'analisi dell'evoluzione del caso britannico e sintetizzarle ricorrendo solitamente all'espressione «King in parliament»[3]. Tuttavia, è fin troppo ovvio che il modello britannico è realmente unico, nel senso che il suo sviluppo è stato molto più tempestivo e - probabilmente - si è spinto molto più avanti di quanto non sia accaduto in altre democrazie parlamentari europee. Per questa ragione possiamo assumerlo come un caso paradigmatico o ideal-tipico, rispetto al quale valutare evoluzione delle maggiori democrazie parlamentari europee. In linea generale, possiamo dire che le trasformazioni dell'arena parlamentare britannica, iniziate nel XIX secolo e protrattesi fino al prima metà del XX secolo, miravano essenzialmente a ridurre il carattere «garantista» delle procedure parlamentari nei confronti dei rappresentanti politici. Tralasciando qui i dettagli[4], possiamo dire che le procedure parlamentari inglesi dell'inizio del XIX ben si attagliavano - per riprendere una nota categoria di Sigmund Neuman - a «partiti di rappresentanza individuale», quali quelli dell'establishment britannico. Ma l'estensione del suffragio a partire dal 1832 e l'emergere di «partiti di integrazione democratica» trasformano gradualmente l'arena parlamentare di Westminster, allargando la rappresentanza a ceti e classi sociali poco disposti ad accogliere la gestione bipartisan delle decisioni politiche, che aveva caratterizzato il periodo del dominio dei partiti notabiliari. L'opposizione ai governi in carica comincia allora proprio in questa fase a sfruttare le opportunità offerte dalla vecchie procedure parlamentari, per contrastare in modo risoluto l'azione degli esecutivi. Questa azione diverrà ancor più efficace quando comincerà ad acquisire consistenza il gruppo parlamentare dei Nazionalisti irlandesi e successivamente con l'apparire del Partito Laburista. Soprattutto l'ostruzionismo dei nazionalisti irlandesi rischia di bloccare l'attività di Westminster a partire dalla seconda metà del XIX secolo.
Ciò brevemente detto, le opposizioni potevano sfruttare le opportunità offerte dai vecchi regolamenti parlamentari di Westminster, risalenti al XVIII secolo, essenzialmente secondi due tattiche distinguibili a fini analitici: sovraccaricando il processo legislativo, oppure occupando o consumando il tempo legislativo. In primo luogo, gli esecutivi britannici del XIX secolo si trovano infatti a dover fronteggiare il tentativo delle opposizioni di ostacolare il governo introducendo legislazione propria e petizioni o emendamenti alla legislazione del governo stesso. In secondo luogo, gli oppositori del governo potevano tentare di sottrarre al governo il tempo legislativo necessario per il disbrigo dei suoi affari, o comunque ritardandoli, mediante il ricorso a interrogazioni (questions), a mozioni d'ordine e prendendo la parola quante più volte posibile e per quanto più a lungo possibile (filibustering). Le due tattiche erano ovviamente fittamente intrecciate, vale a dire che sovraccaricando il processo legislativo si otteneva l'effetto di consumare il tempo necessario al governo per affrontare le sue questioni e, a sua volta, questa seconda tattica poteva essere perseguita, oltre che con pratiche ostruzionistiche vere e proprie, anche con il sovraccarico del processo legislativo mediante interrogazioni. La tabella 1 presenta in sintesi le modalità delle due tattiche.
Tabella 1: Tattiche dell'opposizione per ostacolare l'azione del governo
SOVRACCARICO DEL PROCESSO LEGISLATIVO: |
CONSUMO DEI TEMPI LEGISLATIVI: |
a) Attraverso l'iniziativa legislativa (Proposte legislative di deputati indipendenti e petizioni) |
c) Attraverso le interrogazioni (questions) rivolte al governo |
b) Attraverso l'introduzione di emendamenti |
d) Attraverso l'ostruzionismo (filibustering) |
Queste sfide non lasciano certo indifferenti i governi britannici, che perseguono con notevole coerenza e con successo l'obiettivo di sgombrare, per quanto possibile, il cammino delle loro iniziative legislative dagli ostacoli che venivano posti dalle opposizioni, in una fase nella quale il volume degli affari governativi tendeva a crescere a dismisura. A partire dal 1837 (quindi appena cinque anni dopo il primo allargamento del suffragio) vengono compiuti svariati tentativi - molti andati a buon fine[5] - di riformare le vecchie procedure legislative della Camera dei Comuni, intervenendo sui suoi Standing Orders e sostanzialmente riducendo la portata garantista dei diritti del singolo rappresentante, da un lato, e rafforzando enormemente la posizione degli esecutivi, dall'altro lato. La tabella 2 sintetizza i risultati del rimodellamento imposto alla Camera dei Comuni britannica, evidenziando 10 risorse/opportunità procedurali, escogitate per contrastare le tattiche dell'opposizione, che consentiranno agli esecutivi di controllare saldamente (già a partire dalla fine del XIX secolo) l'arena parlamentare.
Tabella 2: Confronto tra le tattiche dell'opposizione per ostacolare l'azione del governo e le risorse del governo per contrastare l'opposizione nella Camera dei Comuni britannica
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TATTICHE DELL'OPPOSIZIONE |
RISORSE DEL GOVERNO |
Sovraccarico del processo legislativo |
a) Attraverso l'iniziativa legislativa (Proposte legislative di deputati indipendenti e petizioni) |
1) Istituzione di aree di politica riservate al governo (spesa) 2) Riduzione dei tempi concessi alle proposte di legge indipendenti (Private Members business) 3) Priorità ai provvedimenti del governo |
b) Attraverso l'introduzione di emendamenti |
4) Chiusura del dibattito 5) Selezione degli emendamenti |
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Consumo dei tempi legislativi |
c) Attraverso le interrogazioni (questions) rivolte al governo |
6) Riduzione dei tempi concessi alle interrogazioni 7) Restrizioni imposte alle mozioni di rinvio dei lavori |
d) Attraverso l'ostruzionismo (filibustering) |
8) Ghigliottina 9) Riduzione di tempi concessi agli oratori 10) Controllo dell'organizzazione e dei tempi delle sedute |
L'istituzionalizzazione della relazione governo-opposizione
Il lungo processo di riforma, iniziato nei primi decenni del XIX secolo e protrattosi per gran parte del XX secolo, ha dunque alterato in maniera drastica l'ambiente istituzionale nel quale i partiti politici parlamentari britannici erano originariamente calati[6], e uno tra gli elementi salienti in questa trasformazione è indubbiamente la «erosione dei diritti parlamentari individuali»[7]. Dobbiamo pertanto chiederci quale sia stata la reazione dei partiti parlamentari, in termini di adattamento, al mutamento dell'ambiente istituzionale nel quale essi operavano. Inoltre, come si muovono i deputati in un ambiente divenuto ormai ostile? La risposta a questi quesiti dovrebbe condurci ad una comprensione più articolata del nesso di identificazione che si sviluppa tra i partiti parlamentari (e dunque tra i deputati che li compongono) e le posizioni tanto del governo che dell'opposizione, e che costituisce l'essenza del fenomeno della parlamentarizzazione della politica britannica.
Cominciando ad osservare i deputati, notiamo che la proprietà distintiva che si riscontra nel loro comportamento legislativo nel corso del XIX secolo è la crescita della coesione del voto nella Camera dei Comuni[8], che può essere interpretata come una reazione razionale - anche se non necessariamente cosciente - dei deputati alle nuove condizioni presenti nell'arena parlamentare trasfigurata dalle riforme procedurali. La perdita della capacità di influenzare autonomamente le politiche del governo, sia direttamente (attraverso l'introduzione di legislazione antagonista rispetto a quella governativa e di emendamenti a questa stessa) che indirettamente (attraverso i vari esercizi di veto), pose i parlamentari dei Comuni di fronte a due corsi d'azione alternativi. Da un lato, questi potevano ancora aspirare alla realizzazione dei propri disegni di politica, ma ciò ora poteva avvenire esclusivamente attraverso il canale governativo, giacché - come abbiamo visto - l'esecutivo aveva di fatto guadagnato il monopolio della legislazione parlamentare; oppure, ai parlamentari restava aperta la possibilità di elevare il livello della protesta contro tale monopolio, coordinando in organizzazioni complesse le tattiche di opposizione individuali. Il punto è che entrambe le strategie razionali necessitano di organizzazioni partitiche (i partiti parlamentari), sia per coordinare le azioni dei deputati che sostengono il governo, sia per elevare a sufficienza il volume della protesta, rendendola efficace, di quella che cominciava a essere definita l'Opposizione di Sua Maestà (His Majesty's Opposition)[9]. L'organizzazione dei deputati, sia quelli allineati con il governo che quelli all'opposizione, in partiti parlamentari è pertanto una risposta razionale di adattamento a un ambiente divenuto ostile da parte di individui che hanno a disposizione poche risorse.
Tories e Whigs avevano, in definitiva, un interesse comune a riformare la procedura parlamentare, sia che fossero titolari del potere di governo oppure suoi sfidanti. Come partiti dell'establishment inglese, e in virtù del meccanismo avversariale prodotto dalla configurazione istituzionale britannica, essi avevano infatti l'aspettativa credibile di continuare ad alternarsi al potere di governo; non stupisce, pertanto, che le riforme procedurali del periodo 1832-1872 fossero caratterizzate da un elevato grado di cooperazione tra i due maggiori partiti[10]. In quanto partiti che si alternavano regolarmente al potere, o che quanto meno avevano questa aspettativa, sia ai Tories che ai Whigs stava in definitiva a cuore in uguale misura la soluzione del problema di garantire la gestione degli affari governativi[11]. Ma anche sul partito all'opposizione agisce un notevole incentivo a costringere i propri membri (opposition backbenchers) a comportamenti coesi. La razionalizzazione delle procedure parlamentari ha conseguito l'obiettivo di sottoporre gli affari legislativi al controllo rigido degli esecutivi, riducendo così sensibilmente gli spazi aperti all'iniziativa individuale dei deputati[12]. Come conseguenza dell'inefficacia dell'opposizione su base individuale e dell'inutilità di qualsiasi sforzo di influenzare le politiche governative, l'organizzazione dell'opposizione ha ora un significato e uno scopo diversi: l'innalzamento del volume della protesta contro il governo e il partito al potere, al fine di influenzare l'opinione pubblica e di spingerla a schierarsi contro di essi nelle prossime elezioni politiche. Il controllo sugli esecutivi non è più esercitato dal parlamento in quanto tale, ma dall'organizzazione partitica dell'opposizione che siede al suo interno.
Le organizzazioni partitiche parlamentari della maggioranza e della minoranza hanno quindi guadagnato gradualmente il sopravvento sulle strutture partitiche esterne e il confronto tra queste organizzazioni partitiche parlamentari altamente coese, entro un ambiente sottoposto a vincoli istituzionali rigidissimi (l'arena parlamentare riformata), ha concorso a determinare una forte identificazione delle organizzazioni partiche parlamentari, rispettivamente, con le posizioni del governo (maggioranza) e quelle dell'opposizione (minoranza). Questo meccanismo di identificazione costituisce l'essenza dell'istituzionalizzazione della relazione governo-opposizione, e trova le sue più chiare manifestazioni nell'istituzione del «governo ombra» (Shadow Cabinet), nell'istituto del whip, nell'assemblea del gruppo parlamentare (parliamentary party meetings) e nelle commissioni speciali del partito (specialised party committees)[13].
Già all'inizio del XX secolo, dunque, gli esecutivi britannici avevano conseguito un livello elevatissimo di capacità di protezione delle proprie politiche - con ciò intendendo la probabilità che i progetti del governo passino attraverso gli stadi del processo legislativo senza emendamenti, o comunque emendati solo in modo relativamente marginale o secondo il gradimento del governo stesso. Le risorse procedurali messe a disposizione del governo per limitare l'intrusione dell'opposizione nei suoi affari (si veda la tabella 2) sono così estese da contrastare efficacemente qualunque tattica dell'opposizione, cosicché la probabilità di successo dei progetti legislativi di origine governativa è stata accresciuta a dismisura. Tuttavia vi è un altro punto distintivo del caso britannico che è essenziale richiamare. Le riforme procedurali alla Camera dei Comuni nel corso del XIX secolo da sole non avrebbero prodotto le trasformazioni dell'arena parlamentare che abbiamo descritto se contestualmente la Camera dei Comuni non avesse acquisito all'interno della configurazione istituzionale britannica una posizione di centralità indiscussa[14]. A partire dall'«Atto di Riforma» del 1832, infatti, il sistema legislativo britannico stava rapidamente trasformandosi in senso sostanzialmente unicamerale, a seguito del declino dei poteri della Camera dei Lords[15]. La trasformazione del legislativo britannico in senso unicamerale - o, se si preferisce, verso il bicameralismo asimmetrico - ha favorito l'esercizio del controllo delle organizzazioni partitiche parlamentari sul processo legislativo, spostandolo in un unico «luogo» e circoscrivendolo. Ma la centralità della Camera dei Comuni significa - come vedremo - anche un'altra cosa: in essa vi opera, infatti, un sistema di commissioni relativamente debole e fortemente penetrato dalla organizzazioni partitiche parlamentari. Possiamo riferirci a questo insieme di dinamiche istituzionali come a un processo di centralizzazione del processo legislativo.
La digressione storica sul caso britannico suggerisce un modello interpretativo dell'emergere dell'identificazione dei partiti con il governo e con l'opposizione, cioè di quel fenomeno che abbiamo chiamato istituzionalizzazione della relazione governo-opposizione, che è presentato in modo schematico nella Figura 1:
Riforma procedurale Identificazione dei partiti
(Elevata CGPP) con il Governo e l'Opposizione
Sviluppo delle organizzazioni partitiche parlamentari
Centralizzazione del Istituzionalizzazione della
processo legislativo relazione Governo-Opposizione
Figura 1: Lo schema interpretativo
[Legenda: CGPP = capacità del governo di protezione delle proprie politiche]
Se passiamo alla comparazione statica del caso britannico con alcune delle maggiori democrazie parlamentari continentali (Spagna, Germania e Italia), il quadro però si complica sensibilmente (si vedano la tabella 3 e la figura 2)[16]. In che misura le 10 risorse/opportunità, sulle quali può contare l'esecutivo britannico per contrastare l'opposizione e dominare l'arena parlamentare, si rintracciano nei modelli che assume la relazione governo-opposizione nei parlamenti spagnolo, tedesco e italiano?
Innanzitutto va detto che se, da un lato, Spagna e Germania possono essere accostate alla Gran Bretagna sotto il profilo della configurazione istituzionale generale del rapporto governo-parlamento, inducendoci a raggruppare questi casi di democrazia parlamentare entro un modello di premierato, l'Italia si avvicina molto di più ad un modello parlamentare puro di democrazia[17], ovverosia - come dicono i costituzionalisti - ad un parlamentarismo non razionalizzato. Tuttavia, mentre l'esecutivo spagnolo può contare su una capacità di proteggere le proprie politiche pari a quella dell'esecutivo britannico, l'analogo modello di premierato tedesco si avvicina sotto questo profilo molto di più al caso italiano e si colloca verso la parte bassa della scala di misurazione. Il caso italiano è di più difficile decifrazione, soprattutto dopo la recente riforma dei Regolamenti Parlamentari entrata in vigore nel 1998, che ha sicuramente innalzato la capacità dei governi italiani di proteggere le proprie politiche - ma su questo torneremo più avanti. Dunque: in Italia abbiamo una combinazione tra un modello parlamentare puro, con una relativa debolezza del vertice esecutivo e con una forte dipendenza degli esecutivi dal controllo parlamentare, e un grado ora accresciuto di capacità del governo di proteggere le proprie politiche, cioè di farle passare (come mostra nella figura 1 il posizionamento del caso italiano in base ai Regolamenti del 1971 rispetto a quelli del 1998); mentre in Germania il governo a guida forte dispone però di una capacità di proteggere le proprie politiche relativamente bassa. Inoltre, molte ricerche hanno mostrato come il grado di «parlamentarizzazione» e di coesione organizzativa dei partiti italiani e tedeschi sia molto diverso, basso nel caso italiano e elevato in quello tedesco[18].
Tabella 3: Tattiche dell'opposizione per ostacolare l'azione del governo e risorse del governo contro l'opposizione in quattro democrazie parlamentari
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TATTICHE DELLA OPPOSIZIONE |
RISORSE DEL GOVERNO |
GRAN BRETA-GNA |
SPAGNA |
GERMA-NIA |
ITALIA* |
Sovraccarico del processo legislativo |
a) Attraverso l'iniziativa legislativa |
1) Istituzione di aree di politica riservate al governo (spesa) |
Si |
Si |
No |
No |
2) Riduzione dei tempi concessi alle proposte di legge indipendenti |
Si |
Si |
No |
No |
||
3) Priorità ai provvedimenti del governo |
Si |
Si |
Si |
No |
||
b) Attraverso l'introduzione di emendamenti |
4) Chiusura del dibattito |
Si |
Si |
No |
No |
|
5) Selezione degli emendamenti |
Si |
Si |
No |
Si |
||
Consumo dei tempi legislativi |
c) Attraverso le interrogazioni rivolte al governo |
6) Riduzione dei tempi concessi alle interrogazioni |
Si |
Si |
Si |
Si |
7) Restrizioni imposte alle mozioni di rinvio dei lavori |
Si |
Si |
No |
Si |
||
d) Attraverso l'ostruzionismo |
8) Ghigliottina |
Si |
Si |
No |
No |
|
9) Riduzione di tempi concessi agli oratori |
Si |
Si |
Si |
Si |
||
10) Controllo dell'organizzazione e dei tempi delle sedute |
Si |
Si |
No |
No |
In base alla recente riforma dei Regolamenti Parlamentari (1998)
0 |
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
6 |
7 |
8 |
9 |
10 |
t t t t
Italia Germania Italia Gran Bretagna
(1971) (1998) Spagna
Figura 2: Capacità del governo di protezione delle politiche (somma delle risorse per contrastare l'opposizione)
Tralasciando per ora il caso italiano, sul quale torneremo, i casi tedesco e spagnolo evidenziano gradi diversi di convergenza verso il modello ideal-tipico britannico. In Germania la riduzione dell'autonomia dei parlamentari è stata effettuata attraverso disposizioni sia della Legge Fondamentale che dei regolamenti del Bundestag, che pongono al centro delle procedure parlamentari il Gruppo (Fraktion) anziché i singoli Deputati (Abgeordneten). Alterazione dell'ordine del giorno, mozioni di rinvio, richieste di votazione nominale, mozioni procedurali, verifica del numero legale, convocazione di un membro del governo, presentazione di interpellanze al governo, emendamenti nel corso della terza lettura: tutti questi passaggi procedurali necessitano dell'appoggio di un gruppo parlamentare o del suo equivalente in termini numerici (attualmente 26 deputati). Ciò ha favorito l'emergere del gruppo parlamentare come agente di regolazione esclusiva delle condotte dei deputati, attraverso le sue varie articolazioni organizzative (Presidente, Comitato direttivo, Assemblea del gruppo, Gruppi di lavoro) e l'imposizione di una disciplina di partito molto rigida[19].
Nel caso spagnolo osserviamo lo stesso grado marcato di istituzionalizzazione dei gruppi parlamentari[20]. I deputati eletti in un determinato partito hanno obbligo di confluire nel gruppo parlamentare omologo; i gruppi parlamentari devono essere costituiti entro in quinto giorno dall'apertura della legislazione e successivamente non è possibile costituirne di nuovi; i deputati che decidessero di abbandonare il loro gruppo originario (comunque non oltre il quinto giorno dall'inaugurazione della legislatura) non possono confluire in altri gruppi e sono costretti ad aderire al gruppo misto: in definitiva, il deputato è vincolato in modo estremamente rigido al suo partito/gruppo di appartenenza. Anche i gruppi parlamentari spagnoli poggiano su un'articolazione organizzativa che vede al vertice (con varie denominazioni) un Presidente esecutivo e un Consiglio direttivo, quindi un'Assemblea dei parlamentari, una Commissione Permanente (commissione dei capogruppo e portavoce), che funge da collegamento tra l'esecutivo e il direttivo, e talvolta (come nel caso dei socialisti) un Comitato di Disciplina. Il gruppo esercita un controllo ferreo sulla disciplina di voto e sulla coerenza del comportamento dei deputati, in alcuni casi prevedendo anche l'espulsione. Ne discende che anche in questo caso i vari momenti della procedura parlamentare spagnola sono scanditi dai gruppi parlamentari, mentre l'iniziativa individuale dei deputati è di fatto sconosciuta, il che avvantaggia tanto il governo e la sua maggioranza, da un lato, che l'opposizione dall'altro. «Ghigliottina», «mozione di chiusura» e «pratica del canguro» (selezione degli emendamenti) sono strumenti saldamenti detenuti dal governo per limitare l'ostruzionismo e in generale l'azione delle opposizioni. Per quanto riguarda la presenza di aree di policy riservate al governo, si noti che gli interventi sulla legge di bilancio dello Stato (che gode di priorità), sia in aumento di crediti che in uscita, necessitano dell'accettazione preventiva del governo.
Queste osservazioni ci suggeriscono di approfondire la descrizione ideal-tipica delle arene parlamentari, se il nostro scopo vuole essere una comprensione più accurata del fenomeno della istituzionalizzazione del rapporto governo-opposizione. Le due dimensioni salienti che l'analisi del caso britannico sembrano rivelare sono: la capacità di protezione delle politiche da parte degli esecutivi e la centralizzazione del processo legislativo. Ora, è intuitivo che una struttura parlamentare unicamerale (quindi con un grado relativamente elevato di centralizzazione del processo legislativo) facilita molto il compito delle organizzazioni partitiche parlamentari che devono controllare le condotte dei deputati iscritti nelle loro fila, sia perché semplifica il processo legislativo e lo circoscrive ad un ambito istituzionale più contenuto, sia perché riduce le opportunità di intervento dei deputati. All'opposto, una struttura legislativa bicamerale e/o considerevolmente decentrata favorisce l'emergere di stili diversi nella relazione governo-opposizione, nel senso che nel processo legislativo si moltiplicano le occasioni di negoziazione e di esercizio di veto. La decentralizzazione del processo legislativo, in altre parole, concorre a trasformare la relazione tra governo e opposizione dal modello del conflitto o «confronto» a quello della «conciliazione»[21]. Inoltre, si aggiunga che nel monocameralismo britannico il processo legislativo è ulteriormente centralizzato a causa della debolezza del sistema delle commissioni, cosicché tutte le fasi salienti del processo legislativo si svolgono in aula[22].
Possiamo dunque ammettere che la capacità del governo di proteggere le proprie politiche può risultare generalmente ridotta in quelle arene parlamentari che si caratterizzano per un grado elevato di decentralizzazione del processo legislativo, come avviene laddove l'arena parlamentare è effettivamente (e non solo formalmente) divisa, e quindi si ha un assetto bicamerale, e/o laddove si ha un sistema delle commissioni forte, in grado di incidere sul processo legislativo. Il modello parlamentare di Westminster esibisce, pertanto, un grado molto elevato di centralizzazione del processo legislativo (l'unicameralismo, o il bicameralismo fortemente asimmetrico, associato al sistema delle commissioni debole)[23]. Nell'arena parlamentare di Westminster il centro dell'attività e del processo legislativo si trova nella camera stessa; il numero delle commissioni è limitato; esse non hanno potere deliberante; il loro grado di specializzazione è basso e il ricambio dei membri è molto elevato; la procedura di assegnazione di un progetto di legge alle commissioni è molto variabile; per alcuni importanti aspetti procedurali - come abbiamo visto - i vincoli posti alle condotte individuali nelle commissioni sono analoghi a quelli presenti nella camera; sono, infine, dominate come la camera dalle organizzazioni partitiche, che sottopongono a controllo l'attività dei commissari attraverso i whips.
Quelle implicitamente identificate sono, pertanto, quattro dimensioni indipendenti lungo le quali costruire una misura del grado di centralizzazione del processo legislativo, avendo come oggetto l'impatto relativo del sistema delle commissioni[24]: 1) il grado di specializzazione delle commissioni, 2) il grado di continuità delle commissioni, 3) il grado di autonomia delle commissioni, 4) il grado di decisività delle commissioni. La prima dimensione concerne il livello di specializzazione di ciascuna commissione parlamentare. Qui il sistema delle commissioni parlamentari italiane permanenti e altamente specializzate, nelle quali il reclutamento avviene tendenzialmente sulla base delle competenze professionali dei deputati, contrasta ancora una volta con il sistema delle commissioni britannico, caratterizzato da un numero elevato di commissioni ad hoc e, conseguentemente, da un livello più basso di professionalizzazione. La seconda dimensione si riferisce alla stabilità o persistenza della composizione della commissioni, o per converso all'estensione del ricambio dei suoi membri. Nel parlamento italiano le commissioni si distinguono per una relativa continuità della loro composizione nel corso delle legislature, mentre la composizione delle commissioni britanniche è comparativamente più instabile. La terza dimensione rinvia al grado di penetrazione delle organizzazioni partitiche nel sistema della commissioni e alla simmetria dei regolamenti e delle procedure in aula e in commissione. Diversamente dal caso britannico, le commissioni del parlamento italiano sono debolmente penetrate dalle organizzazioni partitiche e i commissari godono di un grado di autonomia relativamente grande. Non sorprende, quindi, che la relazione governo-opposizione nel sistema delle commissioni parlamentari italiane sia divenuta molto flessibile e tendente al compromesso, più che al conflitto, e che il processo di formazione della legislazione possa essere ricondotto a un «modello partigiano», nel quale ciascun partito coinvolto è disposto a sottoscrivere un compromesso legislativo in cambio di alcune concessioni che soddisfino in qualche misura i suoi obiettivi originari di politica. Infine, la quarta dimensione sottolinea una peculiarità del sistema delle commissioni italiano e spagnolo, vale a dire la possibilità di attribuire o delegare il potere deliberante alle commissioni, cosicché - sulla base di certe procedure - il processo legislativo di un dato progetto di legge iniziato in aula può essere concluso nella commissione alla quale era stato destinato. All'opposto, come abbiamo detto, il processo legislativo nel parlamento britannico si svolge essenzialmente nell'assemblea. La tabella 4 sintetizza i risultati di questo schema comparativo[25].
Tabella 4: Centralizzazione del processo legislativo. Una comparazione su quattro dimensioni
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GRAN BRETAGNA |
GERMANIA |
SPAGNA |
ITALIA |
Specializzazione delle commissioni |
bassa |
alta |
alta |
alta |
Continuità delle commissioni |
bassa |
alta |
alta |
alta |
Autonomia delle commissioni |
bassa |
bassa |
bassa |
alta |
Decisività delle commissioni |
bassa |
bassa |
alta |
alta |
Su queste basi è possibile identificare due modelli estremi e idealtipici del processo legislativo. Nel primo modello, il processo legislativo è fortemente centralizzato, in quanto ha luogo essenzialmente in aula, e la capacità del governo di proteggere le proprie politiche è molto elevata. Il sistema delle commissioni gioca qui semplicemente un ruolo secondario, limitandosi a svolgere funzioni referenti, e la sua influenza sulla decisione legislativa finale è marginale. Inoltre, il sistema delle commissioni è penetrato dalle organizzazioni partitiche, cosicché il fenomeno del comportamento «incoerente» dei commissari rispetto alla linea ufficiale di politica dei loro partiti di appartenenza è molto raro. La probabilità di un compromesso tra il governo e l'opposizione è bassa e le posizioni di politica assunte dai partiti nel processo legislativo si dispongono molto fedelmente lungo la linea di divisione «ufficiale» tra chi sta al potere e chi all'opposizione[26]. Il processo legislativo è rigido, facilita l'identificazione dei partiti con il governo o con l'opposizione, e contribuisce all'emergere del fenomeno dell'istituzionalizzazione della relazione governo-opposizione. Se questo primo modello rinvia chiaramente al caso britannico, il secondo possiamo ricondurlo a quello italiano. Vi riscontriamo un processo legislativo marcatamente decentralizzato e una capacità del governo di proteggere le proprie politiche molto bassa. Le commissioni svolgono sia funzioni deliberative sia referenti e pertanto alcune decisioni legislative rilevanti sono prese al loro interno. La decentralizzazione del processo legislativo ostacola la penetrazione delle organizzazioni partitiche nelle sedi decidenti e, in questo modo, le commissioni preservano la loro autonomia. A sua volta, l'autonomia delle commissioni alimenta il comportamento indipendente dei commissari rispetto alla linea politica ufficiale del partito di appartenenza e incentiva, per questa via, le loro scelte «incoerenti». Queste proprietà del processo legislativo riducono la centralità delle attività svolte in aula e in definitiva intaccano la rilevanza dell'aula stessa nel processo legislativo. Quest'ultimo si configura come un processo flessibile nel quale le posizioni politiche ufficiali del governo e dell'opposizione possono variare secondo la contingenza tattica e anche dell'ambito decisionale (per esempio, l'aula o la commissione). In altre parole, quella che è la posizione politica espressa nell'aula può essere ribaltata in commissione e viceversa. Ne consegue che i partiti non si identificano pienamente con i ruoli istituzionali dell'opposizione e del governo, ma oscillano piuttosto tra una duplicità di ruoli, talvolta accettando la veste istituzionale (sia come governo sia come opposizione) e talaltra cedendo alle tentazioni partigiane. Pertanto, in termini molto generali, governo e opposizione ricercano il compromesso più che il confronto aperto [27].
Questi due modelli idealtipici del processo legislativo sono stati costruiti combinando due variabili dicotomiche principali, vale a dire la capacità del governo di proteggere le proprie politiche e la centralizzazione del processo legislativo. Il loro incrocio determina due ulteriori situazioni. Nella prima, una limitata capacità del governo di proteggere le politiche è associata con un grado elevato di centralizzazione dell'arena parlamentare. Il caso tedesco sembra collocarsi in questa casella tipologica, in quanto il sistema delle commissioni si limita a esercitare funzioni referenti e non può dirsi autonomo rispetto all'aula. Qui governo e opposizione propendono verso atteggiamenti di cooperazione[28]. A sua volta, il caso spagnolo ricade nell'ultima casella rimasta, quella che combina un'elevata capacità del governo di proteggere le politiche con una modesto grado di centralizzazione del processo legislativo. Le commissioni delle Cortes spagnole, al pari di quelle del parlamento italiano, hanno potere di deliberazione e quindi la loro posizione nel processo legislativo è estremamente influente. Tuttavia, la capacità del governo di protezione delle politiche è talmente elevata che le deliberazioni delle commissioni sono saldamente controllate e raramente generano decisioni incoerenti[29], quindi l'opposizione ha rare opportunità di manifestarsi e tende all'acquiescenza. La tabella 5 presenta la tipologia delle arene parlamentari e delle relazioni governo-opposizione fin qua discussa.
Tabella 5: Tipologia delle arene parlamentari e delle relazioni governo-opposizione
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CAPACITÀ DEL GOVERNO DI PROTEGGERE LE POLITICHE |
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BASSA |
ALTA |
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CENTRALIZZAZIONE DEL PROCESSO LEGISLATIVO |
ALTA |
Arene centralizzate Opposizione cooperativa [GERMANIA] |
Arene avversariali Opposizione istituzionalizzata [GRAN BRETAGNA] |
BASSA |
Arene consensuali Opposizione partigiana[ITALIA] |
Arene decentralizzate Opposizione acquiescente[SPAGNA] |
3. Il caso italiano: cenni sulle riforme della procedura parlamentare dal 1971 al 1997
Le trasformazioni dell'arena parlamentare italiana riguardano in definitiva una sola delle due dimensioni tipologiche individuate, vale a dire quella della capacità del governo di proteggere le proprie politiche, e si snodano a partire dall'approvazione dei Regolamenti Parlamentari del 1971 fino alla riforma del 1997 entrata in vigore all'inizio del 1998[30]. Già la figura 1 esemplifica in maniera eloquente il recente rafforzamento dell'esecutivo italiano nell'arena parlamentare, rispetto alla distribuzione delle risorse che emergeva dai Regolamenti Parlamentari del 1971. Va detto che la riforma dei Regolamenti Parlamentari italiani ha riguardato essenzialmente l'introduzione di alcune limitazioni allo spreco del tempo legislativo (risorse 6, 7 e 9 nella tabella 3) e al sovraccarico del processo legislativo, ammettendo la sola selezione degli emendamenti (risorsa 5)[31].
La riforma recente dei regolamenti parlamentari italiani, come già detto approntata nel 1997 ed entrata in vigore all'inizio del 1998[32], conclude un percorso molto lungo di trasformazione delle regole interne alle camere risalente al 1971. Questo primo regolamento (si veda la figura 2) poneva il governo in una posizione di relativa debolezza rispetto al parlamento, soprattutto stabilendo il principio della partecipazione unanime dei partiti rappresentati all'indirizzo degli affari parlamentari, tanto da configurare «l'avvento della democrazia consociativa, cioè di un regime in cui la direzione politica dello Stato non è tenuta dalla maggioranza sotto il controllo dell'opposizione, ma dalla maggioranza e dall'opposizione insieme, mediante continui patteggiamenti e compromessi [.]»[33]. I Regolamenti del Senato e della Camera prevedevano infatti che la programmazione dei lavori dovesse essere approvata all'unanimità dei capi gruppo parlamentari, riuniti nella Conferenza dei presidenti di Gruppo, creando sovente situazioni di stallo in assenza di tale accordo unanime. I regolamenti non attribuivano, infatti, neppure un ruolo propositivo autonomo al Presidente della Camera - a differenza di quanto avveniva al Senato -, cosicché l'ordine del giorno delle varie sedute doveva essere votato in aula di volta in volta. Dunque, in assenza di un accordo unanime, la programmazione dei lavori della Camera si rivelava pressoché impossibile e i tempi del processo legislativo si allungavano indefinitamente.
La situazione politica createsi con la VII legislatura (1976-1979), che segna la crescita del peso parlamentare delle opposizioni della sinistra (il PCI ma anche alcuni gruppi politici minori, tra i quali i Radicali) evidenzia in tutto il suo parossismo i limiti dei Regolamenti parlamentari in quel momento in vigore. Il ricorso all'ostruzionismo sistematico, come pratica corrente del conflitto parlamentare, nel quale si specializza soprattutto il Gruppo radicale, non può essere impedito e l'attività del governo ne risulta condizionata in modo notevole. Risale a questa fase la ricerca di una soluzione che aggiri l'ostruzionismo ricorrendo ai decreti-legge, divenuti in seguito una procedura legislativa dominante nel nostro parlamento[34]. Così come nel caso britannico, per analogia, anche nel parlamento italiano l'ostruzionismo suscita un movimento di riforma dei regolamenti per tappe incrementali. Nel corso della VIII legislatura (1979-1983), attraverso la modifica nel novembre del 1981 di quattro articoli (23, 24, 39 e 85) e l'introduzione di uno nuovo (il 96-bis), il Regolamento della Camera si dota di alcune misure anti-ostruzionistiche e soprattutto di una disciplina più razionale della programmazione dei lavori. Pur non sconfessando l'impianto consensualistico della programmazione dei lavori della Camera, queste novità attribuivano al Presidente - in assenza di unanimità - il potere di predisporre il programma, tenendo conto anche delle indicazioni della maggioranza e del governo, nonché di quelle delle minoranze. Per la prima volta si faceva strada l'idea che l'assemblea non potesse disporre di facoltà così ampie al punto da impedire la normale attività del governo, per quanto a quest'ultimo non venisse ancora riconosciuto neppure in minima parte un ruolo di indirizzo dei lavori parlamentari. Altre novità della riforma del 1981 riguardavano la disciplina degli interventi (venivano ridotti i tempi concessi) e gli emendamenti alla legislazione in itinere (discussione unica per gli articoli e gli emendamenti relativi, accorpamento di emendamenti analoghi). Inoltre, proprio per arginare il fenomeno già richiamato della decretazione, si perviene proprio in questa fase a una prima disciplina della conversione dei decreti legge.
Nel 1983 si compie un ulteriore passo, in chiave anti-ostruzionistica, innalzando al numero di trenta deputati il quorum richiesto per iniziare determinate procedure (richiesta di discutere o deliberare su materie non all'ordine del giorno; presentazione di emendamenti o sub-emendamenti ad emendamenti già presentati dal governo; richiesta dello scrutinio segreto), mentre la richiesta di almeno venti deputati era ora necessaria per richiedere la chiusura della discussione, la votazione nominale e l'ampliamento della discussione. Veniva anche introdotto l'equivalente del question time, ammettendo per la prima volta la possibilità di interrogazioni con risposta immediata in assemblea. Nel 1986 si interviene ancora sui Regolamenti parlamentari, accentuando i tratti delle riforme del 1983: organizzazione della discussione parlamentare (anche attraverso una ulteriore riduzione dei tempi) e della presentazione degli emendamenti. La modifica dell'a. 115 rende ammissibile la mozione di sfiducia individuale rivolta a un ministro del governo.
Ma un passaggio cruciale si ha tra il 1988 e il 1990. Nel 1988 è introdotta la riforma (a. 49, comma 1) che limita le votazioni a scrutinio segreto, a meno di una richiesta di almeno trenta deputati, di fatto alle votazioni riguardanti persone; mentre nel 1990 si afferma il ruolo giuda del governo nella programmazione dei lavori della Camera, ammettendo che nella loro predisposizione il Presidente della Camera dovesse seguire le indicazioni del governo oltre che dei gruppi (a. 24, comma 2). Inoltre, con l'esclusione della sessione di bilancio, era ammesso il contingentamento dei tempi della procedura legislativa, qualora si volessero ampliare i limiti della discussione generale, oppure nelle fasi che la seguivano e se l'esame di un certo provvedimento non si concludeva nei tempi previsti e veniva iscritto nuovamente all'ordine del giorno. (Queste novità venivano estese anche alla procedura nelle commissioni parlamentari.)
Su queste premesse si fondano i successivi interventi del 1997, che fissano fino a questo momento il quadro dei Regolamenti della Camera. In primo luogo, nella programmazione dei lavori una posizione centrale la occupa il Presidente della Camera, oltre che i presidenti dei gruppi, al quale ora il governo deve comunicare le proprie indicazioni e priorità. Ciò avviene nell'ambito della Conferenza dei presidenti dei gruppi. Il fatto più importante è costituito dalla sostituzione del principio dell'unanimità con «quello del consenso dei presidenti di Gruppi la cui consistenza numerica sia complessivamente pari almeno ai tre quarti dei componenti della Camera»[35]; inoltre, vengono fissate alcune priorità nell'esame dei provvedimenti legislativi che avvantaggiano indubbiamente il governo. Esse riguardano: disegni di legge finanziaria e di bilancio, disegni di legge comunitaria, conversione dei decreti legge[36]. Non si tratta ancora di una vera e propria priorità accordata indistintamente ai provvedimenti del governo, come nei casi britannico, spagnolo e tedesco (cfr. la tabella 3), ma certamente vengono in questo modo istituite delle «corsie preferenziali» per le sue iniziative che ne rafforzano la posizione in seno all'arena parlamentare[37].
In secondo luogo, il contingentamento dei tempi legislativi, introdotto nel 1983, diventa uno strumento ordinario di gestione dei lavori parlamentari. I tempi attribuiti ai relatori (un terzo dei quali spetta al relatore di maggioranza), al governo, al gruppo misto, quelli necessari per i rinvii regolamentari e per le procedure di voto vengono sottratti a priori dal monte complessivo di tempo a disposizione. Soltanto il tempo restante viene ripartito tra i vari gruppi e deputati che desiderino intervenire a titolo personale. (Ciascun gruppo dispone comunque di almeno trenta minuti per la discussione sulle linee generali dei progetti, mentre tra questi alcuni sono sottratti al contingentamento dei tempi: progetti di legge costituzionale, leggi elettorali, leggi che riguardino organi dello stato e delle regioni e progetti di legge che riguardino principi e diritti fondamentali dell'individuo.)
In terzo luogo, importanti novità riguardano il processo legislativo nell'assemblea. Innanzitutto, viene istituito un Comitato per la legislazione, composto da otto membri nominani dal Presidente della Camera tra le fila dell'opposizione e della maggioranza, al quale spetta il compito di esaminare i provvedimenti legislativi e di esprimere pareri di merito[38]. Si stabilisce che le procedure relative alla conversione dei decreti-legge non possano occupare più della metà del tempo complessivamente previsto dal calendario dei lavori, mentre un presidente di Gruppo o almeno venti deputati possono contestare i requisiti di urgenza e di necessità degli stessi. I disegni di legge di conversione dei decreti-legge vengono assegnati al Comitato per la legislazione che, entro cinque giorni, deve esprimere e trasmettere il proprio parere alle commissioni competenti. La presentazione degli emendamenti è inoltre più rigidamente disciplinata, rispetto a quanto già previsto dall'a. 89: gli emendamenti devono riguardare argomenti già considerati nel testo in discussione e ammessi dalla commissione che lo ha vagliato. Gli emendamenti ritirati non possono essere riproposti da singoli deputati, ma devono essere sostenuti da un presidente di gruppo o da almeno venti deputati. Accanto alla possibilità del ricorso a votazioni per gruppi di emendamenti omogenei, questa disposizione limita ulteriormente le pratiche ostruzionistiche.
Lo scopo di questa riflessione voleva essere porre alcuni quesiti e tentare qualche risposta. Perché in alcuni paesi, specialmente in Gran Bretagna, ma anche in Spagna e in Germania, gli esecutivi sono così forti ed efficienti? Perché sono in grado di perseguire le loro politiche, battendo qualsiasi opposizione o guadagnandone il consenso? Perché, all'opposto, in Italia gli esecutivi sono così deboli e incapaci di difendere con successo le loro posizioni politiche? Perché, in altre parole, alcuni Primi Ministri e i loro esecutivi dominano le rispettive arene parlamentari mentre altri sono «ostaggi» del parlamento? La risposta a questi interrogativi è stata ricercata negli effetti che le mutevoli strutture delle opportunità esercitano sugli «stili» della politica, con particolare riguardo all'arena parlamentare, al suo funzionamento e ai suoi prodotti[39].
Ho ristretto la mia attenzione alle variabili genuinamente istituzionali (regole e procedure, distribuzione di ruoli e di poteri, strutture delle opportunità in termini di incentivi e disincentivi all'azione così come queste sono modellate dalle regole e dalle procedure date, dalla distribuzione di ruoli e di poteri esistente), individuando nessi causali molto ravvicinati (per esempio, tra queste variabili istituzionali e i comportamenti degli attori politici che impiegano quelle regole e quelle procedure, che lottano per quei ruoli e quei poteri e che utilizzano le strutture delle opportunità che esse offrono). Su queste basi è stato compiuto un passo preliminare, chiarendo le tipologie delle distribuzioni delle opportunità istituzionali in rapporto alle relazioni tra esecutivo e legislativo nelle democrazie parlamentari. Quattro di queste distribuzioni (si veda più sopra la tabella 5) sono state isolate.
In quella più favorevole per gli esecutivi (esemplificata dal caso britannico), un'elevata capacità del governo di proteggere le proprie politiche si combina con un processo legislativo molto centralizzato. Il governo domina l'arena parlamentare, che si riduce a uno strumento per il perseguimento delle politiche governative. Questa lettura non sposa affatto la nota tesi del declino del parlamento, ma semmai riconosce le trasformazioni profonde delle sue funzioni originarie che si sono determinate in alcuni contesti. Al contrario, nella distribuzione meno favorevole per gli esecutivi (il caso italiano soprattutto nella configurazione precedente agli anni novanta), una ridotta capacità del governo di proteggere le proprie politiche fa da complemento a un processo legislativo molto decentrato. Il governo diviene preda del parlamento, non lo guida ma ne è guidato, e la sua azione politica è pesantemente condizionata dalla costante ricerca di un compromesso parlamentare. Vi sono poi due ulteriori distribuzioni di opportunità che si collocano all'incirca in una posizione mediana tra i due estremi prima richiamati. La capacità di protezione delle politiche del governo spagnolo è elevata quanto quella del governo britannico, ma il processo legislativo dell'arena parlamentare spagnola è decentralizzato quasi quanto quello italiano. Infine, la capacità del governo tedesco di proteggere le proprie politiche è in termini comparativi bassa, ma il processo legislativo è sostanzialmente centralizzato. Si è anche argomentato che l'identificazione dei partiti con il governo e con l'opposizione, vale a dire il grado di istituzionalizzazione della relazione governo-opposizione, è massima nei contesti istituzionali nei quali riscontriamo una distribuzione delle opportunità simile o prossima a quella britannica.
Questo schema interpretativo generale e comparato può esserci utile per gettare luce sulle trasformazioni dell'arena parlamentare italiana, che ho sommariamente descritto nel precedente paragrafo. Mi pare che almeno quattro cose si possano dire, anche se risultano tutte improntate al dubbio e allo scetticismo. In primo luogo, la posizione dell'esecutivo italiano nell'arena parlamentare si è indubbiamente rafforzata rispetto alla situazione dell'inizio degli anni '70 del secolo appena conclusosi - il che è mostrato chiaramente dalla figura 1. Tuttavia, la crescita del peso dell'esecutivo italiano non sembra immediatamente dovuta a una trasformazione, sia pure «strisciante», dei rapporti tra governo e parlamento, ma principalmente alla razionalizzazione dell'organizzazione dei lavori parlamentari (tempistica). In altre parole, la capacità di policy dei governi italiani è rimasta immutata - e relativamente modesta (non sono state riconosciute aree di politica riservate al governo, né è ammessa la sistematica priorità delle sue attività); ma questa razionalizzazione ha consentito all'esecutivo italiano di cominciare a sfruttare meglio le sue risorse limitate, mentre al contempo ha ridotto le opportunità di sfruttare la debolezze degli esecutivi da parte delle opposizioni. Un rafforzamento «riflesso», quindi, più che un effettivo rimodellamento della relazione governo-parlamento.
In secondo luogo, dobbiamo concludere che il Primo ministro italiano è ancora lungi dall'esercitare quel controllo quasi «dispotico» - se mi si passa il termine - dell'arena parlamentare che dobbiamo registrare quando consideriamo soprattutto il caso del parlamentarismo britannico. Abbiamo visto che, laddove il governo dispone di un'elevata capacità di protezione delle proprie politiche e il processo legislativo è centralizzato, l'esecutivo diviene una sorta di «sovrano assoluto» dell'arena parlamentare. Questa situazione inciderà probabilmente sullo stile dei vertici esecutivi. Avremo dei Primi Ministri molto forti che dirigono in assoluta autonomia i propri esecutivi e che determinano l'azione politica perseguita. Inoltre, questi esecutivi e questi primi ministri saranno in grado di piegare il parlamento alle proprie decisioni e di impiegarlo come uno strumento a proprio favore nei conflitti che li oppongono ad altri attori istituzionali (per esempio, le burocrazie - sottoponendole a controllo - o le corti), oppure agli attori sociali (per esempio, i gruppi di pressione). Ma il Presidente del Consiglio italiano non dispone ancora di questa forza e questo dovrebbe indurci a molta cautela nel considerare compiuto il passaggio del caso italiano a una nuova forma di governo.
In terzo luogo, abbiamo visto che le trasformazioni dell'arena parlamentare italiana hanno riguardato esclusivamente la dimensione della capacità di protezione delle politiche, ma non quella della centralizzazione del processo legislativo, che anzi resta estremamente decentrato o policentrico. In un'arena parlamentare fortemente decentralizzata, come quella italiana (il ruolo delle commissioni è rimasto invariato[40]; il grado di consensualismo sulla procedura legislativa è anch'esso ancora elevato; il processo decisionale legislativo appare caratterizzato da livelli ancora elevati di policentrismo, alimentato dal bicameralismo simmetrico), anche esecutivi che abbiano una qualche capacità di proteggere le proprie politiche spesso manifestano incoerenza politica. In altre parole, il policentrismo del processo legislativo italiano riduce gli effetti benefici sulle capacità del governo, che possiamo attribuire alla riforma dei regolamenti parlamentari, perché sottrae comunque gran parte del processo decisionale al controllo diretto dell'esecutivo. Inoltre, l'esecutivo italiano - rispetto a quelli degli altri casi considerati - è ancora più vulnerabile alle pressioni esterne provenienti da altri attori istituzionali o da attori sociali e, pertanto, il processo che conduce alla formulazione delle politiche si converte in una costosa contrattazione al termine della quale il governo si trova spesso in una condizione più svantaggiosa che all'origine.
In quarto e ultimo luogo, dobbiamo chiederci se anche nel caso italiano si comincino a manifestare i fenomeni della crescita della parlamentarizzazione dei partiti politici e del controllo sulle condotte dei deputati da parte dei partiti parlamentari, vale a dire se si registri anche nell'arena parlamentare italiana uno sviluppo delle organizzazioni partitiche parlamentari. Il modello esplicitato prevede che questo sviluppo generi come effetti l'identificazione dei partiti con le posizioni del governo e dell'opposizione e l'istituzionalizzazione della relazione governo-opposizione (si veda la tavola 1 più sopra introdotta). Sappiamo che il tema della parlamentarizzazione dei partiti italiani ha occupato una parte rilevante del dibattito politologico italiano a partire dagli anni '70 del secolo appena concluso[41], e viene pertanto da chiedersi se le più recenti trasformazioni dell'arena parlamentare italiana, delle quali si è dato conto e che hanno profondamente mutato il quadro rispetto a quegli anni, non giustifichi un riesame e un aggiornamento di quelle interpretazioni. Per il momento è per me fin troppo agevole cavarmi d'impaccio dicendo banalmente che è troppo presto per giudicare. Ma è davvero così! I nuovi regolamenti sono in vigore da soli tre anni, e il parlamento appena rinnovato presenta novità importanti nella sua configurazione politica e nel suo stesso personale. Inoltre, tutte le forze politiche rilevanti, sia nella vecchia maggioranza di centro-sinistra che nella nuova coalizione di centro-destra, considerano necessario un ulteriore aggiustamento delle regole interne di Camera e Senato, per rendere il lavoro del legislativo più efficiente. Sarà dunque la XIV legislatura, inaugurata dopo le elezioni del 13 maggio 2001, a fornirci nuovo materiale d'esame, come rivelato già dai primi confronti parlamentari[42].
Due indicatori molto immediati del grado di parlamentarizzazione dei partiti politici italiani possono però essere segnalati, ricavandoli sia dal caso ideal-tipico britannico che dall'osservazione diretta dell'esperienza italiana più recente. Occorrerà vedere, prima di tutto, se nella nuova legislatura diminuirà un fenomeno così macroscopico nei parlamenti della cosiddetta II Repubblica, vale a dire il passaggio dei deputati da un gruppo parlamentare all'altro. Secondo i dati disponibili presso il CIRCaP dell'Università di Siena[43] e riferiti alla legislatura chiusa con lo scioglimento delle camere (8 marzo 2001), alla data del 14 marzo 2001 hanno cambiato una o più volte il gruppo parlamentare di appartenenza ben 142 deputati su 630 (il 22,5% del totale) e 71 senatori su 315 (per singolare coincidenza, anche qui il 22,5% del totale)[44]. Inoltre, dei 142 deputati «transfughi» 71 (il 50%) apparteneva alle fila del centro-destra, mentre 54 (il 38%) proveniva dal centro-sinistra. Al Senato, 43 «transfughi» (il 60,5%) provengono dal centro-destra, mentre 25 (il 32,5%) dal centro-sinistra. Ora, al di là di queste differenze tra i due poli, sembrerebbe evidente che questo fenomeno indica una scarsa efficacia delle organizzazioni partitiche parlamentari, cioè una loro difficoltà a «controllare» i deputati disincentivando certe condotte. Inoltre, sia il Governo Prodi che il Governo D'Alema, che hanno caratterizzato parte della XIII legislatura, hanno attraversato crisi ricorrenti di coesione politica, sono stati talvolta battuti in parlamento per la defezione dei membri della loro maggioranza e hanno spesso dovuto ritirare le loro proposte politiche proprio per il conflitto suscitato nelle loro stesse fila, prima ancora che nelle opposizioni. Tutto ciò manifesta allora la bassa identificazione/istituzionalizzazione della relazione governo-opposizione. Si aggiunga - ma qui davvero mi fermo - che il modello, se si ha pazienza di tornare ancora una volta alla tavola 1, ipotizza che la crescita della capacità del governo di proteggere le proprie politiche faciliti lo sviluppo delle organizzazioni partitiche se è accompagnata da un movimento di centralizzazione del processo legislativo, ma sappiamo che lungo questa dimensione l'arena parlamentare italiana è rimasta invece immobile.
GIUSEPPE IERACI è Professore Associato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Trieste, dove insegna Sistema Politico Italiano e Analisi delle Politiche Pubbliche. Si occupa di teoria democratica e di analisi delle istituzioni politiche, adottando una prospettiva di ricerca comparata. Tra i suoi lavori più recenti: Le teorie delle coalizioni politiche (Napoli, 1994) e Democrazie difficili (Roma, 1999).
[1] In definitiva circolano molti «stili» teorico-metodologici, come risulta dalla loro commistione nello studio di H. Döring (a cura di), Parliamentary and Majority Rule in Western Europe, New York, St. Martin's Press, 1995.
[2] Cfr. G. Ieraci, Governo e opposizione nelle arene parlamentari. Uno schema concettuale per lo studio della capacità del governo nelle democrazie parlamentari, in «Quaderni di Scienza Politica», VII, 2000, pp. 165-208.
[3] Dal punto di vista storico, tale formula indica il fatto che, nel sistema costituzionale inglese, affinché un atto parlamentare divenga una legge vincolante esso deve essere formalmente emanato «con il consiglio e il consenso del Re, dei Lords e dei Comuni riuniti del Parlamento attuale e in virtù della loro autorità» (C. H. Mcilwain, Constitutionalism and the Changing World, Cambridge, Cambridge University Press, 1939, p. 227). L'elezione del parlamento a fulcro del sistema costituzionale inglese, ovverosia il processo di «parlamentarizzazione» del governo e l'affermazione di uno «Stato Parlamentare», secondo l'espressione impiegata da D. Judge, The Parliamentary State, London, Sage Publications, 1993, non ha comportato un trasferimento parallelo della capacità di governo dall'esecutivo al legislativo. Il parlamento, infatti, «influenza il potere votando la tassazione e facendo passare le leggi, ma non governa» (G. Sartori, Parlamento, in ID., Elementi di teoria politica, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 220 - il corsivo è mio). Pertanto la capacità del Gabinetto britannico di esercitare potere non è stata neppure in minima parte erosa dall'obbligo costituzionale che esso ha di sottoporre i propri atti allo scrutinio del parlamento.
[4] La ricostruzione di questo sviluppo storico, che ha portato l'esecutivo britannico a conquistare una posizione chiaramente dominante entro l'arena parlamentare, si ritrova in G. Ieraci, Governo e opposizione, cit., pp. 172-191.
[5] Dagli anni immediatamente successivi alla prima legge di riforma elettorale fino al secondo dopoguerra vengono istituite tredici commissioni per la riforma della procedura parlamentare, nei seguenti anni: 1837, 1848, 1854, 1861, 1869, 1871, 1878, 1886, 1890, 1906, 1913, 1932, 1945-46. Cfr. G. Campion, An Introduction to the Procedure of the House of Commons, London, McMillan, 1947, p. 39.
[6] Se la centralità dell'arena parlamentare era stata affermata nel modello costituzionale britannico dagli eventi del 1689, gli anni trenta del XIX secolo si rivelarono «un decennio decisivo dal punto di vista della definizione delle identità partitiche nel parlamento di Westminster [e] nel chiarire la posizione costituzionale dei partiti in rapporto al governo» (D. Judge, op. cit., p. 23). Secondo Clark, «l'emergere di una versione moderna del governo di partito negli anni trenta del XIX secolo fu contraddistinta dalla identificazione dei partiti sia con il governo che con l'opposizione, in modo intercambiabile» (J.C.D. Clark, A General Theory of Party, Opposition and Government 1688-1832, in «The Historical Journal», 20, 2, 1980, p. 324).
[7] G. Cox, The Efficient Secret. The Cabinet and the Development of Political Parties in Victorian England, Cambridge, Cambridge University Press, 1987, p. 46. Cfr. anche P. G. Richards, Private Members' Legislation, in S.A. Walkland (a cura di), The House of Commons in the Twentieth Century, Oxford, Claredon Press, 1979, p. 300.
[8] Cfr. i dati forniti da J.D. Fair, Party Voting Behaviour in the British House of Commons 1886-1918, in «Parliamentary History», 5, 1986. Per coesione del voto, qui e in seguito, si intende il grado in cui i rappresentanti di un partito o gruppo parlamentare votano in parlamento allo stesso modo.
[9] Questa espressione fu impiegata per la prima volta nel 1826. Cfr. N. Johnson, Opposition als Staatseinrichtung und Alternativregierung: Das Britishe Modell, in H. OBERREUTER (a cura di), Parlamentarische Opposition: ein international Vergleich, Hamburg, Hoffman und Campe, 1975, p. 27. Per un trattamento degli aspetti giuridici di questo concetto, rinvio a G. De Vergottini, Lo «Shadow Cabinet». Saggio comparativo sul rilievo costituzionale dell'opposizione nel regime parlamentare britannico, Milano, Giuffrè, 1973, e più recentemente ad A. Rinella, Lo «Statuto costituzionale» dell'opposizione parlamentare, Trieste, E.U.T., 1999.
[10] Come indicato da Redlich: «la riforma della procedura, quasi dall'inizio del processo fino alla sua conclusione, fu affrontata senza spirito di parte, cioè non come una disputa tra i due grandi partiti ma come un problema della Camera dei Comuni». J. Redlich, The Procedure of the House of Commons. A Study of its History and Present Form, London, Archibald Constable & Co., Ltd., 1908, pp. 125-126.
[11] Scrive, a sua volta, Friedrich: «Quando si manifestò l'ostruzionismo irlandese [.] il compito predominante della procedura divenne quello di assicurare al governo, in quanto composto dai dirigenti del partito di maggioranza, un efficiente controllo degli affari del Parlamento». Cfr. C.J. Friedrich, Governo costituzionale e democrazia, Vicenza, Neri Pozza, s.d. (1950), pp. 435-436.
[12] Che questo sia in qualche misura avvenuto, in relazione alla tradizionale funzione parlamentare di controllo dell'esecutivo, lo testimoniano due recenti studi: P. Cowley, Can Sheep Bark? British Labour MPs and the Modification of Government Policy, e D. Judge e B. W. Hogwood, Parliamentary Control of Executive Agencies in Britain, papers presentati al convegno annuale dello «European Consortium for Political Research» (Copenaghen, 14-19 Aprile 2000), sessione di lavoro intitolata Parliamentary Control of the Executive.
[13] Questo argomento è sviluppato in G. Ieraci, Governo e opposizione, cit., pp. 192-195, dove si possono trovare anche i rinvii bibliografici essenziali. Tutte queste articolazioni organizzative, vale la pena ribadirlo, rendono pressoché assoluto il controllo dei vertici parlamentari di partito sui singoli deputati, favorendo il coordinamento della loro azione e la sanzione della loro non-conformità.
[14] «Il grande proscenio del dibattito - scrive Walter Bagehot -, il grande meccanismo di trasmissione della volontà popolare e del dibattito politico è l'assemblea legislativa». W. Bagehot, The English Constitution, Oxford, Oxford University Press, p. 17.
[15] Il punto di arrivo di questo processo è il Parliamentary Act del 1911, che revoca la competenza in materia finanziaria alla Camera del Lords e annulla il suo potere di veto sulla legislazione.
[16] Un prezioso quadro comparativo sulle democrazie parlamentari si trova in M. Wiberg, Parliamentary Questioning: Control by Communication?, e in H. Döring, Time as a Scarce Resource: Government Control of the Agenda, entrambi in H. Döring (a cura di), op. cit., rispettivamente, pp. 179-222 e 223-247.
[17] Questa distinzione tipologica, per la quale rinvio a G. Ieraci, Perché cadono i governi? La stabilità di governo nelle democrazie parlamentari dell'Europa Occidentale (1945-1995), in «Quaderni di Scienza Politica», III, 1996, pp. 62-67, riposa sulla disposizione variabile di tre proprietà istituzionali: il tipo di investitura del governo (se di tipo collegiale o ad personam sul solo Primo Ministro); la presenza/assenza di limitazioni all'esercizio della sfiducia al governo da parte del parlamento; infine, la titolarità del potere di scioglimento del parlamento (se in capo al Primo Ministro oppure in capo ad altri attori istituzionali). Pertanto, nel modello di premierato il Primo Ministro detiene un ruolo dominante nell'arena parlamentare in virtù della disposizione ad egli favorevole delle risorse testé citate: l'investitura ad personam, l'assenza del voto di sfiducia o sue drastiche limitazioni e la titolarità del potere di scioglimento del parlamento. Nei modelli parlamentari puri, all'opposto, il parlamento vota l'investitura collegiale del governo, non incontra limitazioni nell'esercizio della sfiducia e - soprattutto - non può essere sciolto dal Primo Ministro.
[18] In una letteratura molto vasta, mi limito a segnalare due soli contributi: M. Cotta, Classe politica e parlamento in Italia. 1946-1979, Bologna, Il Mulino, 1979, e C. Gatti, I gruppi parlamentari nella Germania Occidentale e in Italia. Uno studio sull'istituzionalizzazione politica, Milano, F. Angeli, 1986.
[19] Per il trattamento approfondito di tutti questi aspetti, rinvio a C. Gatti, op. cit.
[20] Desidero ringraziare Sara Zennaro, che mi ha messo ha disposizione i dati raccolti nella sua tesi di laurea sulla relazione governo-parlamento nel caso spagnolo e dei quali mi sono servito per la sua interpretazione in questo e nel successivo paragrafo.
[21] Sono i termini che suggerisce di impiegare S. Giulj, Confrontation or Conciliation: the Status of Opposition in Europe, in «Government and Opposition», 16, 1981, pp. 476-494.
[22] Sotto questo profilo, va ricordata l'importanza della cosiddetta Commissione dell'Intera Camera (Committee of the Whole House), che non ha corrispondenti in altre arene parlamentari e che non è altro che la stessa Camera dei Comuni funzionante secondo le procedure e le norme delle commissioni (per esempio, è ammesso prendere la parola più volte sulla stessa questione). La Commissione dell'Intera Camera prende soprattutto in considerazione le questioni finanziarie e di spesa.
[23] Per l'aspetto relativo alle commissioni, cfr.: M. Shaw e J. Lees, Committees in Legislatures: A Comparative Analysis, Sage Publications, London, 1975; I. Mattson e K. Strøm, Parliamentary Committees, in H. Döring (a cura di), op. cit., pp. 249-307; E. Damgaard, How Parties Control Committee Members, ibidem, pp. 308-325.
[24] Per un trattamento simile, si veda G. Di Palma, Surviving without Governing, Berkeley, University of California Press, 1977 (tr. it. Sopravvivere senza governare, Bologna, Il Mulino, 1978).
[25] Una quinta dimensione di analisi dovrebbe essere costituita dal carattere unicamerale o bicamerale del legislativo. Tuttavia, si è qui scelto di ometterla in considerazione del fatto che un bicameralismo puramente simmetrico si ritrova solo nel sistema legislativo italiano. In genere, le strutture bicamerali sono caratterizzate da una diversificazione delle funzioni della camera alta e della camera bassa e da una distribuzione asimmetrica del potere legislativo tra le due. (Per esempio, il potere di veto sulla legislazione esercitato dalla camera alta, laddove previsto, è normalmente neutralizzabile dalla camera bassa, sia pure con procedure aggravate). Ciò detto, è plausibile attendersi che una struttura effettivamente bicamerale del legislativo possa favorire l'emergere di poteri di veto (cfr. G. Tsebelis e J. Money, Bicameralism, Cambridge, Cambridge University Press, 1997, e G. Tsebelis e B. E. Rasch, Patterns of Bicameralism, in H. Döring (a cura di), op. cit., pp. 365-390) e generare un processo legislativo incoerente.
[26] In altre parole, non abbiamo la divisione tra «politica visibile» e «politica invisibile» che Sartori individuava nel caso italiano. G. Sartori, Teoria dei partiti e caso italiano, Milano, SugarCo, 1983, passim.
[27] Per quanto attiene al caso italiano, questa impressionistica ricostruzione può essere arricchita nei dettagli grazie a G. Capano, M. Giuliani (a cura di), Parlamento e processo legislativo in Italia, Continuità e mutamento, Bologna, Il Mulino, 2001.
[28] Per una esemplificazione di questo rapporto, cfr. M. Maor, The Relationship between Government and Opposition in the Bundestag and House of Commons in the Run-Up to the Maastricht Treaty, in «West European Politics», 21, 1998, pp. 187-207.
[29] Come già rimarcato, i gruppi parlamentari spagnoli garantiscono la disciplina di partito e la coesione del voto. Cfr. M. Sánchez De Dios, Parliamentary Party Discipline in Spain, in S. Bowler, D. M. Farrell e R. S. Katz (a cura di), op. cit., pp. 141-166.
[30] Per la stesura di questo paragrafo ho fatto riferimento, in chiave generale, a A. Manzella, Il parlamento, Bologna, Il Mulino, 1991, e a S. Tosi, A. Mannino, Diritto parlamentare, Milano, Giuffré, 1999. Per la ricostruzione schematica degli sviluppi procedurali italiani è stato prezioso il resoconto di C. Di Andrea, Sulle modificazioni del Regolamento della Camera dei Deputati, in «Rassegna Parlamentare», XLI, 1999, pp. 99-154, dal quale ho ampiamente attinto. La riforma della procedura e dei regolamenti parlamentari ha suscitato un ampio dibattito soprattutto tra i giuristi (meno tra i politologi). Cfr.: S. Ceccanti, Regolamenti parlamentari: un altro tassello di una "riforma strisciante", in «Quaderni Costituzionali», XVIII, 1998, pp. 157-172; L. Lanzalaco, Il nuovo regolamento della Camera: una risorsa dopo la Bicamerale, «Il Mulino», 1998, pp. 882-890; A. Morrone, Quale modello di Governo nella riforma del Regolamento della camera dei Deputati, «Quaderni Costituzionali», XVIII, 1998, pp. 449-494; L. Stroppiana, Parlamento. Le più recenti modifiche dei regolamenti parlamentari: una prima rassegna, «Quaderni Costituzionali», XIX, 1999, 423-429; ID., La riforma dei regolamenti parlamentari: un processo non ancora concluso?, ibidem, XX, 2000, pp. 101-116.
[31] Questo dispositivo si è rivelato particolarmente utile per i governi italiani alle prese con la Legge di Bilancio annuale, sulla quale notoriamente le opposizioni intervengono con il ricorso massiccio all'emendamento spesso in chiave ostruzionistica.
[32] Cfr. G.U., n. 263 (11/11/1997), e n. 264 (12/11/1997).
[33] M. Mazziotti Di Celso, Le funzioni parlamentari, relazione generale presentata al Convegno annuale dell'Associazione Italiana Costituzionalisti, Firenze 14 ottobre 2000.
[34] Si veda, a questo proposito, C. De Micheli, Il contenuto del processo legislativo tra «Prima» e «Seconda» Repubblica, in G. Capano, M. Giuliani (a cura di), op. cit., pp. 127-150.
[35] C. Di Andrea, op. cit., p. 116.
[36] Si ricordi che la sentenza n. 360/1996 della Corte Costituzionale limita la reiterabilità dei decreti-legge.
[37] Un'interpretazione in questa direzione è avanzata da S. Ceccanti, op. cit., pp. 164 e ss., e da C. Mezzanotte, I rapporti tra parlamento e altre istituzioni, relazione generale presentata al Convegno annuale dell'Associazione Italiana Costituzionalisti, Firenze 14 ottobre 2000.
[38] Per un approfondimento, cfr. R. Maffio, Le politiche per la legislazione: il caso italiano, POLEIS - Università Bocconi Milano, Quaderno di ricerca n. 25, 1999.
[39] C'è un aspetto di questi stili che è stato qui completamente sottaciuto, che riguarda la comunicazione politica degli attori politici nelle arene parlamentari, ma che è stato affrontato da G. Fedel, Le dichiarazioni programmatiche dei primi ministri. Un'analisi comparata dei casi italiano, britannico e tedesco, in «Quaderni di Scienza Politica», V, 1998, pp. 1-53, ora in ID., Saggi sul linguaggio e l'oratoria politica, Milano, Giuffrè, 1999, cap. II, pp. 51-110.
[40] Cfr. G. Capano, M. Giuliani (a cura di), op. cit., pp. 153-384.
[41] Cfr.: M. Cotta, Classe politica e parlamento in Italia (1946-1976), cit.; G. Di Palma, Sopravvivere senza governare, tr. it. cit.; R. Leonardi, R. Nannetti, G. Pasquino, Institutionalization of Parliament and Parlamentarization of Parties in Italy, in «Legislative Studies Quarterly», III, 1978, pp. 161-186; C. Gatti, op. cit.
[42] Cfr. Atti Parlamentari, Camera, Documenti di seduta, 27 Luglio 2001.
[43] Ringrazio Luca Verzichelli che me li ha segnalati e gentilmente messi a disposizione.
[44] Sono quindi esclusi dal conteggio i senatori a vita, inoltre i miei calcoli percentuali sommano indistintamenti tutti i deputati/senatori che hanno cambiato gruppo di appartenenza, senza sottilizzare sulle motivazioni (che possono essere svariate: conflitto politico, strategia di coalizione, o mera necessità «procedurale», come nel caso di quei gruppi parlamentari che non possono costituirsi autonomamente perché non sufficientemente estesi).
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