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La guerra segnò il
culmine e il punto di svolta; solo con essa il secolo si può dire veramente
concluso.
L'esito della Prima guerra mondiale segna una rottura col passato. Rivoluzioni
di nuovo tipo sfociano in dittature di nuovo tipo; il ritorno al mondo di prima
della guerra era di fatto impossibile.
Le decisioni che si sono avute in tutto il secolo hanno le premesse nelle
tensioni e i problemi irrisolti riscontrabili già nel periodo prebellico.
Nel XIX c'era identificazione tra politica europea e politica mondiale. Ma questa mostra già nel XIX secolo delle lacune che la Prima guerra metta a nudo, segnando il punto di svolta dalla autoidolatria all'autodistruzione dell'Europa.
I più importanti momenti di rottura sono: l'emergere della potenza USA come arbitra del conflitto europeo; l'eccessivo impegno elle potenze europee nella politica imperiale; una profonda crisi di identità della cultura e della società europea, messa in questione da due movimenti agli antipodi: marxismo e fascismo.
Il problema del
periodo tra le due guerre fu il mancato riconoscimento dei rapporti di forza
effettivi. Le ideologie e i grandi movimenti politici operano in uno spazio
eurocentrico.
Le risposte furono 3: il marxismo-comunismo; la democrazia liberale; il
fascismo-nazionalsocialismo. Esse incarnano il nuovo che tuttavia era stato a
lungo preparato.
La guerra operò la trasformazione delle idee del XIX secolo nelle forme di dominio politico del periodo postbellico.
Queste risposte
rappresentarono anche i tre modi sbagliati di interpretare la guerra in modo
unilaterale. Quello collettivista intravide nella guerra l'antesignana di un
futuro socialismo mondiale; quello autonomista vi scorse la vittoria
dell'autodeterminazione dei diritti umani; quello nazionalista la interpretò
come risorgimento dello Stato forte, autarca e integrale.
I quattro fattori principali dello sviluppo della guerra: il nuovo peso
politico dell'America; la contradditorietà degli obiettivi della guerra e della
pace; il problema delle nazionalità col crollo dell'Austria-Ungheria;
l'affermazione e la crisi della democrazia.
L'ideologizzazione
ora non avveniva sul piano filosofico distante dalla politica concreta, ma in
stretto intreccio con essa. I confronti ideologici passarono attraverso la
società e le collettività.
La guerra era stata condotta come guerra tra grandi visioni del mondo e non tra
Stati e nazioni. L'impegno degli intelletuali era orientato in senso
ideologico. Gli appelli parlavano di lotta della democrazia (Occidente) contro
la autocrazia (potenze centralio) e contro il dispotismo (Russia zarista).
Queste furono abnormi
semplificazioni di entusiasmo per la guerra alle quali solo pochi seppero
resistere. La pressione democratica sulle masse forma un clima di "ideological
assumptions" (Joll). Quindi questa guerra fu totalmente popolare come
nessun'altra lo era stata.
La guerra fu la grande illusione nella quale confluirono le speranze e gli
appagamenti di tutti: la critica alla civiltà moderna.
Una sua conseguenza
fu l'ideologizzazione del "cameratismo di guerra" come motivazione di un nuovo
socialismo.
La guerra ebbe un'importanza centrale per i rivoluzionari: per Mussolini che fu
propagandista del nazionalismo italiano; per Hitler che la esaltà come
esperienza cruciale nel "Mein Kampf". La guerra insegnò loro quanto fosse
indispensabile una costante e insistente motivazione e legittimazione
ideologica della politica mediante teorie pseudoscientifiche.
Per frantumazione (cleavages) in varie "culture politiche" si intende il contrasto che attraversa la realtà degli Stati nazionali tradizionali. L'accresciuta partecipazione del cittadino, al sua persuasione e indottrinamento divennero il presupposto di qualsiasi politica.
Seduzione ideologica e coercizione politica dovevano integrarsi reciprocamente: non poteva esserci più posto in questi sistemi per un movimento spirituale o per un dibattito ideale.
Nelle democrazie
invece vige il confronto, la falsificazione e correzione pubblica delle iee
politiche come criterio della loro verità. Popper la definisce nel 1945
"società aperta" in antitesi dalle ideologie "chiuse".
La critica della democrazia trasse la conclusione che i principi stessi di essa
fossero falsi. Falsa era l'uguaglianza e quindi c'era bisogno di un'elite.
Lo sviluppo della teoria comunista in Russia dopo la rivoluzione era legato al consolidamento del potere: il suo contenuto ideale si fece sempre più evanescente col tempo.
La miscela di politica statale russa e ideologia comunista determinò le fasi delle repressioni e dell'eliminazione dei dichiarati "nemici di classe".
Gli anni Venti erano così stati dominati dal pessimismo generale, mentre i Trenta fu l'era dei simpatizzanti delle nuove illusioni e delusioni.
Importante la Zivilisationskritik. Anche i futuristi e molti importanti italiani diedero sostegno morale al fascismo italiano nei primi anni. Dopo aver dimostrato razionalmente la debolezza della democrazia, le conseguenze irrazionali venivano da sé.
Mussolini e Hitler non hanno mai lasciato dubbio su questo primato della "comunità". Concezione elitaria e culto del capo non erano in contraddizione, ma ne erano la conferma: poiché si postulava l'ientità del partito e del capo con la collettività nazionale. A questo si affiancava una certezza di una rigida gerarchia di valori. Con il corporativismo si ebbe un superamento e una ristrutturazione della società in senso dirigista, dall'alto verso il basso.
Gli intellettuali
proiettavano i loro progetti nelle ideologie, a volte volendo sapere soltanto
che erano alternative alla democrazia (Fromm).Queste Weltanshauungen non erano
tenute dalla logica o coerenza, ma da un'irrazione certezza della salvazione:
non contava la sostanza, ma la parola. I maestri di questa eclettica erano i
grandi retori e demagoghi. Dipendeva dall'ammirazione dell'uomo forte il
bisogno di un contatto più stretto col popolo: combinazione di populismo ed
elitismo.
La pretesa delle ideologie elitarie era di essere certezza rivoluzionaria per
l'elite e religione politica per le masse contemporaneamente.
Questa fascinazione fece dimenticare a molti intellettuali il loro ruolo di custodi
della verità etica.
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