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Forme del pensiero della crisi




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FORME DEL PENSIERO DELLA CRISI


Il socialismo democratico in Germania era in crisi, oscillava tra marxismo e collaborazione con i partiti borghesi, tra un antifascismo decisamente antimarxista. Questa posizione ambigua divenne così evidente che nessuno volle più difenderla. Lo "spirito di Weimar" finì in un atteggiamento di relativismo.
Invece fu il confronto comunismo-fascismo a guadagnare l'attenzione intellettuale; molti conservatori prestarono simpatia all'antibolscevismo.

In Germania e Austria la critica radicale della democrazia paralizzava la vita politica e chiedeva di "pensare partendo dalla crisi".

La maggior parte degli scrittori dell'epoca si ritrovò in un'opposizione alla civiltà occidentale. Alla letteratura stilizzata ed eroicistica della Destra antidemocratica si contrapponeva una critica della Repubblica altrettanto aspra a sinistra. Già prima dei dittatori vi furono emigrantii della letteratura come Lawrence, Joyce, Poun che fuggirono spontaneamente dalla propria civiltà per raggiungere paesi lontani. Persino il liberale Wells credette di intravedere il declino.
Ovunque vi fu estremizzazione del pensiero: teologia dialettica (Barth), personalismo (Buber), socialismo religioso (Tillich), neomarxismo (Lukacz, Korsch), decisionismo (Junger, Schmitt). Importante sviluppo della filosofia dell'esistenza (Kierkegaard, Heidegger, Jaspers, Sartre) con la riconduzione radicale della problematica umana all'individuo singolo e alla sua esistenza solitaria.

La critica alle razionalizzazioni liberali del pensiero religioso portarono al movimento di rinnovamento cattolico del neotomismo (Maritain).

Il problema diventava il confronto pessimistico con la tragicità di un mondo che si era allontanato da Dio.
La teologia barthiana nel 1919 era contro l'identificazione tra progresso civile e progresso cristiano; essa aveva per l'idea moderna di progresso una versione secolarizzata, morale, della storia della salvezza.
Questa teologia della crisi però approfondiva ulteriormente la crisi alla quale cercava i dare risposta: la rigorosa distanza della teologia dalla politica poteva ingigantire ancora di più il vuoto. Queste dottrine divisero la teologia e la Chiesa.

La tesi del libro di Spengler ebbe un effetto suggestivo: l'immagine di una ciclia ascesa e decadenza di tutte le civiltà (Il tramonto dell'occidente). Identificava la civilizzazione e la natura, e fu preso per un libro politico.

L'enciclopedico "Study of History" di Toynbee (1934) che scaturì dall'esperienza della Guerra. Toynbee faceva un'analisi comparata di tutte le civiltà note; l'opera ebbe una diffusione per la sua tesi secondo la quale la nascita, la decadenza e morte delle civiltà sono determinate dal rapporto tra sfida e risposta (challenge e response). Toynbee non vedeva però, al contrario di Sprengler, la fine definitiva dell'occidente.

Questa filosofia fu un attacco massiccio all'idea del progresso storico.
Toynbee concludeva nell'ambivalenza di progresso e crisi con la possibilità di spezzare il ciclo, con un nuovo ordine moniale. Come contralto al pessimismo culturale conservatore-rivoluzionario di Sprengler, l'universalismo liberal-cristiano dell'inglese Toynbee.
Lo scenario di Toynbee era costituito dal confronto tra comunismo, nazionalsocialismo e ddemocrazia. Spengler rimase prigioniero delle problematiche dell'epoca immediatamente precedente e successiva alla guerra mondiale, mentre Toynbee poté rivolgere lo sguardo alle conseguenze ulteriori dei grandi conflitti tra potenze e ideologie.

Le discrepanze tra sviluppo accellerato della scienza e della tecnica durante e dopo la guerra con tutti i loro impieghi sociali e politici e le conseguenze culturali, economiche e politico-morali della crisi dall'altra si approfondirono ulteriormente. La grande crisi del 1929; gli ermeneuti della decadenza, sulla scia di Ortega y Gasset, si apsettavano l' "insurrezione delle masse" contro la civiltà europea e lamentavano il livellamento dei valori causato dalla democrazia.

Ancora una volta i fronti si divisero: spuntò in confronto disordinato il progressismo; allo stesso modo le scienze umane (sociologia e psicologia).

Il rapido progresso economico aveva portato a crisi economiche di massa quali non si erano mai viste, la moderna scienza economica cominciò a parlare con tono fatalistico di cicli.

Keynes andò contro i canoni del liberalismo classico; anche Freud parla di "disagio della civiltà"; la critica al mondo contemporaneo del filosofo Jaspers ("Situazione spirituale dell'epoca"), denunciando il "dominio delle masse".

La "decisione" di cui tutti parlavano, fosse socialista (Tillich) o "totale" (Junger) non rientrava nel campo della critica scettica o esistenzialistica della civiltà.

Nessuno più di Huxley seppe dare forma alle insicurezze che il progresso aveva insinuato nella fede nelle leggi (utopia negativa "Brave New World", 1932).

Molti esponenti della Zivilisationskritik sposarono l'idea di un ritorno alla natura e all'istinto.


La cesura politica degli anni Trenta non era un caso. Il pensiero politico non riuscì a adeguarsi al rinascimento letterario e artistico, anzine ricavò solo gli oneri pesantissimi; esso chiedeva troppo alle capacità politiche. L'intellettuale e il suo rapporto con la politica era e rimase il vero problema. Agli anni "d'oro" della filosofia della crisi seguì la nuova età "del ferro", causato dal grande vuoto lasciato dalla rinuncia degli intellettuali ad un'etica dei valori politici

L'indifferenza delle masse verso il nuovo le predispone ad essere mobilitate da ideologi e dittatori ben più risoluti, passando sopra la testa degli intellettuali.

Era quindi una rivolta delle masse abilmente fomentata: una rivolta come alternativa allo stesso pessimismo culturale dal quale in realtà derivavano.

Rimasero senza risposta due questioni principali di teoria politica.

Come era possibile conciliare le auspicate libertà liberali e la struttura aperta ma labile della democrazia, sulla quale poggiava la libertà degli intellettuali, con la stabilità e l'efficienza el sistema politico richieste dal "popolo"? E anche: fino a che punto è possibile un movimento spirituale senza limiti e la contestazione di questo sitema quando proprio tale movimento genera l'esigenza di nuovi valori, di una sicurezza interiore dell'uomo senza poterla peraltro soddisfare se non ricorreno a religioni politiche e a sistemi dittatoriali che sopprimono quella libertà. Al fallimento di molti intellettuali si sommò quello delle Chiese.

Poteva allora bastare l'assicurazione, relativistica, che la democrazia era la forma di Stato meno cattiva? Il bisogno di sicurezza e di "riduzione della complessità" è la risposta. L'attrazione esercitata dalle Weltanschauungen totalitarie derivava anche dalla loro coincidenza con la filosofia politica della crisi e dal vuoto di norme nel quale essa operava. Prendeva le mosse dalla relativizzazione del razionalismo liberale e cercava nuove certezze edll'Essere, dell'Esistenza, le quali difficilmente potevano adattarsi alla realtà pluralistica della società.

Furono soprattutto gli argomenti degli intellettuali stessi a rendere possibile l'affermarsi delle religioni politiche.


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