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Per nostra fortuna, viviamo in un Paese libero, democratico, repubblicano, la cui validità è fondata, come dice la Costituzione "sul lavoro" e sull'impegno di ognuno di noi. Il fondamento essenziale per una vera democrazia consiste nella partecipazione di tutti alla vita politica della propria nazione. Se democrazia significa "governo del popolo", questo vuol dire che tutti dobbiamo sentirci coinvolti in ciò che il governo fa o decide, negli errori che compie, negli inganni in cui si lascia trascinare, nelle truffe che alcuni suoi rappresentanti tramano ai danni dei cittadini. Invece, spesso prevale il disinteresse, l'abitudine, il "quieto vivere". Allora invece della partecipazione, mettiamo in atto il totale disimpegno.
Tutti affermiamo di volere una società più onesta e giusta e molti, a tal fine, propongono l'uso della violenza, della rivoluzione, dei cambiamenti totali e definitivi. Da una reazione simile, in realtà, non può nascere altro che un potere autoritario e quindi oppositore della libertà e della democrazia.
Che la violenza produca giustizia è una pericolosa quanto mai diffusa illusione: è un mito, una falsa storia. In realtà, la violenza non produce giustizia perché uccide la libertà e produce solo insicurezza e paura. E l'insicurezza e la paura generano, come la storia ci insegna, il terrore; e dietro allo stato del terrore c'è sempre in agguato un Napoleone. La paura, dunque, è la madre del potere assoluto, dello stato totalitario. E nello stato totalitario a decidere su ciò che è giusto e su ciò che è ingiusto è chi ha il potere assoluto, senza che si possa criticare. Anzi, nello stato totalitario, chi critica viene eliminato; nello stato totalitario chi ha il potere, ha anche il potere di decidere cos'è la giustizia. Queste sono, dunque, le conseguenze della violenza: è proprio vero che la violenza genera altra violenza. E, in genere, una violenza genera sempre una violenza più grave. Ed ecco, dunque, perché le istituzioni democratiche debbono venire considerate come il bene più grande di una comunità, come la sua più alta conquista civile, da amare e difendere.
In democrazia non ci sono nemici da abbattere, ci sono avversari con i quali discutere e competere civilmente. Ma le istituzioni democratiche sono come una fortezza: resistono se è buona la guarnigione. E la guarnigione è fatta dai governanti e dai governati. Ai governanti deve stare a cuore soprattutto la giustizia, la giustizia distributiva. È l'attenzione ai problemi urgenti, quali la casa, la sanità, l'occupazione, lo sradicamento della miseria e dell'ignoranza, la prevenzione dal crimine, la difesa dell'incolumità di ogni singolo cittadino, a caratterizzare una politica razionale e responsabile.
Più che politizzare la morale, occorre moralizzare la politica. E, d'altro canto, la responsabilità dei governati sta nella loro vigile attenzione indirizzata alla salvaguardia delle istituzioni, nel controllo dei governanti, nella denuncia degli eventuali errori di questi, nella loro rimozione senza spargimento di sangue, nello stimolare i governanti a produrre leggi sempre più giuste.
Il cattivo funzionamento delle istituzioni, cioè la difesa da parte dei governanti di leggi ingiuste, è una continua sfida alle istituzioni stesse. E lo è, perché se, all'interno delle istituzioni, si rovesciano sui governati leggi ingiuste, se i governanti deludono le attese dei governati, questi ultimi, pressati da necessità reali e urgenti e spinti da profeti irresponsabili, possono essere tentati di rovesciare le istituzioni.
Ma le istituzioni democratiche sono il bene più prezioso di una comunità. Finché esse esistono, è possibile la critica da parte dei singoli e dei gruppi al fine di migliorare le istituzioni stesse. Finché esistono le istituzioni, tutto può essere criticato e migliorato, qualsiasi legge può essere abrogata o migliorata, qualsiasi proposta può essere discussa, corretta, perfezionata, accettata, respinta. Insomma: finché esiste la libertà, incarnata e protetta dalle istituzioni, possiamo raggiungere anche la giustizia, cioè leggi sempre più giuste. Ma se crollano le istituzioni, crolla la libertà. E in un paese non libero, la giustizia non sarà più possibile, perché la critica, il dissenso, proposte alternative e pubblici controlli saranno proibiti.
La difesa delle istituzioni è un dovere di tutti e di ognuno. La giustizia è la difesa più consistente della libertà: giacché, se non ci sarà giustizia, gli uomini vivranno nella continua tentazione di vendere la loro e l'altrui libertà a chi questa giustizia promette. E d'altra parte, se non ci sarà libertà, non ci sarà nemmeno la giustizia: il potere totalitario ha avuto, ha e avrà sempre i suoi servi privilegiati. Giustizia e libertà sono, quindi, strettamente collegate tra loro, dato che attraverso le istituzioni democratiche, che dovrebbero garantire le libertà dei cittadini, si può ottenere una giustizia non illusoria.
Occorre, quindi, che ci sia l'effettiva volontà di tutti per cambiare rotta, per permettere a questa nostra democrazia, un po' logora, di funzionare meglio. L'unica arma da usare è quella della partecipazione, cioè della comune responsabilità, intesa come strumento di democrazia autentica. Partecipare significa anche poter esigere correttezza da chi è stato eletto e spesso non è in grado di rappresentarci.
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