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Verso un nuovo modello di sviluppo
TESINA DI MATURITÀ
"Una società sempre più malata, ma sempre più potente, ha ricreato il mondo come ambiente e scenario della sua malattia, come pianeta malato"
Guy Debord - Il Pianeta Malato
Il modello economico globale è il sottosistema di un sistema ancora più grande: la biosfera. Il 'sottosistema economia' è proiettato verso una crescita espansiva, mentre il 'sistema biosfera' non cresce, rimane delle stesse dimensioni; quindi, crescendo, l'economia invade la biosfera, non tenendo conto del limite delle risorse naturali, nonché della loro salvaguardia. Ed è proprio questo il costo fondamentale della crescita economica, la quale influenza anche la società, i costumi e gli stili di vita.
La ricerca di un "nuovo sviluppo" che sia il giusto equilibrio tra benessere sociale e sostenibilità ambientale è la sfida che l'uomo ha davanti a sé.
INTRODUZONE - LE ORIGINI DEL CAPITALISMO
Il capitalismo è un regime economico e di produzione riconducibile a pratiche di monopolio, di speculazione e di potenza che viene a svilupparsi nelle società avanzate dove predominano condizioni moderne di produzione. Esso è caratterizzato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione (in senso lato, capitale), dalla libertà d'iniziativa economica e dalla prevalenza del lavoro dipendente organizzato dai proprietari dei mezzi di produzione. Il capitalismo è il più diffuso dei sistemi economici moderni. Il termine viene usato con significati varianti nelle diverse scienze sociali, in quanto comprende molteplici fenomeni della sfera economica, sociale e politica.
Le origini del capitalismo sono controverse. Certamente le sue caratteristiche essenziali cominciarono ad affermarsi con forza in Europa occidentale con la rivoluzione industriale che prese avvio verso la metà del XVIII secolo. Il termine stesso capitalismo entrò in uso nella prima metà del XIX secolo per indicare il sorgere di una società sempre più dominata dal "capitale" e caratterizzata da:
crescente industrializzazione, ossia espansione delle attività industriali e progressiva riduzione delle attività agricole;
rapida estensione della proprietà privata dei mezzi di produzione industriali e agricoli, a scapito dell'antica proprietà terriera aristocratica;
diffusione del lavoro subordinato salariato nella fabbrica, a scapito del lavoro artigianale e agricolo;
forte approfondimento delle differenze tra le classi sociali dei nuovi capitalisti industriali (proprietari dei mezzi di produzione industriali), dei nuovi capitalisti agrari (proprietari terrieri dei mezzi di produzione agricoli) e dei lavoratori salariati;
rapida etensione nella società delle relazioni economiche attuate nella forma del mercato ed, in particolare, il mercato del lavoro;
peso crescente, sociale e politico, della classe dei capitalisti industriali e agrari, detta anche borghesia, in opposizione sia all'antica aristocrazia, sia al proletariato, cioè la massa dei lavoratori salariati.
Il capitalismo ha costituito un evento fondamentale della storia mondiale moderna. Esso ha modificato profondamente in tutti i loro aspetti le società da cui esso è nato, quelle dell'Europa occidentale e dell'America del Nord, e progressivamente quelle che ne hanno subito direttamente o indirettamente gli influssi nel resto del mondo. Infatti, come tutti i sistemi economici, il capitalismo ha una relazione molto stretta di causa ed effetto reciproco con la cultura, gli stili di vita, l'organizzazione della società e la politica. Oggi si può dire che solo alcune remote società prive di relazioni col resto del mondo sono esenti da un qualche influsso dello "spirito del capitalismo", la cui enorme capacità di diffusione e penetrazione sociale era già stata prevista dai primi studiosi del nuovo sistema, come Karl Marx (Germania, 1818-1883) e Max Weber (Germania, 1864-1920). Il giudizio sugli effetti economici e sociali del capitalismo è estremamente controverso in tutti i campi delle scienze sociali. Lo scontro si accese già prima della metà del XIX secolo in Gran Bretagna, in Francia e in Germania. I sostenitori del capitalismo sottolineavano sul piano economico, la capacità di rapida crescita economica, di progresso tecnico, di diffusione del benessere attraverso l'aumento dei beni di consumo; sul piano sociale e politico, l'affermazione di nuove classi sociali e di maggiori spazi di libertà individuali. Il padre della critica al capitalismo è stato Karl Marx. Nelle caratteristiche essenziali del nuovo sistema egli vide: gli elevati costi umani prodotti dal sistema industriale, le condizioni di vita disumane nelle fabbriche, nelle miniere e nelle nuove città industriali, il profitto dei capitalisti come risultato dello sfruttamento dei lavoratori, i rischi del dominio politico delle classi capitaliste ai danni dei lavoratori, la tendenza degli Stati capitalisti ad espandersi nel resto del mondo con nuove forme di colonialismo o imperialismo, comprendenti l'uso della forza militare, nonché la tendenza ad entrare in conflitto tra loro. Marx elaborò un sistema di pensiero che diede vita al movimento socialista, il cui scopo era sia la conquista di migliori condizioni di vita e di pieni diritti per i lavoratori, sia l'abbattimento del sistema capitalista e la realizzazione di un nuovo sistema di completa uguaglianza tra i membri della società, di proprietà collettiva dei mezzi di produzione e di condivisione dei frutti del lavoro.
I FENOMENI SOCIALI
DEBORD E LA CRITICA ALLA SOCIETÀ CONSUMISTICA
Oggi, l'accumulazione del capitale e la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa hanno permesso di spingere il cosiddetto "feticismo delle merci" (o consumismo) ad un grado precedentemente impensabile.
Il risultato di questo processo è quella che Guy Debord definirebbe società dello spettacolo, che è anche il titolo di un libro da lui pubblicato nel 1967. Ne La società dello spettacolo il filosofo Debord critica, in 221 tesi, la società capitalistica in cui oggi viviamo, soffermandosi in particolare sul legame tra il sistema economico basato sul consumismo ed i rapporti tra le persone, tra il singolo individuo e la realtà stessa.
Con oltre trent'anni di anticipo Debord si è dimostrato più che profetico nei suoi studi su fenomeni sociali di massa; egli descrive una società, costituita da individui alienati e reificati, che hanno perso il contatto con la vera realtà e natura delle cose, dei fatti, della storia. La quotidiana esistenza, dal lavoro al tempo libero, passando per le relazioni inter-personali, è permeata dal concetto di possesso, accumulazione e consumo, dettati da un bisogno indotto dall'esterno e strutturato in modo da non essere mai soddisfatto completamente, così da alimentare in continuazione la macchina economica di quelle che oggi chiamiamo multinazionali. Nelle pagine del suo libro (ma anche nei film-documentari autoprodotti all'epoca) il filosofo si basa molto sui testi del giovane Hegel e di Marx, operando quello che lui stesso definisce détournement, ovvero una riscrittura creativa delle loro tesi.
GUY DEBORD - CENNI BIOGRAFICI
Guy Debord nasce a Parigi nel 1931. All'età di quattro anni rimane orfano di padre. Compie tutti i suoi studi a Cannes.
A diciotto anni ritorna a Parigi. Qui scopre il surrealismo e avviene l'incontro con il poeta Isidore Isou ed i suoi amici lettristi. Dopo un'iniziale adesione, si allontana sia dal surrealismo, sia da Isou, e nel 1952 insieme all'ala radicale del lettrismo dà vita all'Internazionale Lettrista, in aperto contrasto con il fondatore del movimento.
Nel luglio del 1957 a Cosio d'Arroscia, paesino ligure, fonda l'Internazionale Situazionista. Costituzione alla quale, oltre a Debord, prendono parte Gianfranco Sanguinetti, il pittore Pinot-Gallizio, Milanotte, artisti del movimento COBRA (Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam), il comitato psico-geografico di Londra, ed il Movimento per una Bauhaus Imaginista. L'Internazionale Situazionista si attesta su una critica totale dell'ordine esistente, sotto l'aspetto politico, economico (consumismo) e urbanistico. Il testo costitutivo fu scritto dallo stesso Debord con il titolo: Rapporto sulla costruzione di situazioni e sulle condizioni dell'organizzazione e dell'azione della tendenza situazionista internazionale.
Dal 1958 l'Internazionale Situazionista inizia a pubblicare una rivista semestrale omonima della quale Debord sarà direttore fino al 1969, anno dello scioglimento del gruppo, e nella quale pubblicherà numerosi articoli.
Visita molto spesso l'Italia, in particolare durante gli "anni di piombo", fino al 1977 quando il governo Andreotti, con Cossiga Ministro dell'Interno, decreta la sua espulsione con l'accusa di fomentare il clima insurrezionale del paese.
Nel 1959 esce Memoire, libro scritto da Debord in collaborazione con il pittore Asger Jorn.
Nel 1967 scrive il suo capolavoro, La Società dello Spettacolo, destinato ad avere una vasta eco mondiale soprattutto dopo il Maggio '68. In quest'opera Debord afferma che i paesi capitalisti si stanno evolvendo verso una società in cui gli individui sono meri spettatori passivi di un flusso di immagini scelte dal potere, giustificatrici dell'assetto istituito, che si sostituiscono completamente alla realtà. Circa vent'anni dopo, nel 1988, pubblica i Commentari sulla Società dello Spettacolo, in cui afferma che il processo descritto nell'opera precedente aveva subito negli ultimi anni un'ulteriore accelerazione verso quello che definisce lo "spettacolarismo integrato".
In occasione dell'assassinio del suo amico ed editore Gerard Lebovici, avvenuto nel 1984, pubblica Considerazioni sull'Omicidio di Gerard Lebovici (1985).
Nonostante sia stato una persona molto schiva, non concedeva interviste, non aveva il telefono, non si lasciava fotografare (se non in rare occasioni), tanto da essere considerato l'intellettuale più misterioso degli ultimi ann, Debord ha realizzato due autobiografie: Panegirico (1989) e Questa Cattiva Reputazione (1993).
Tra il 1952 ed il 1978 dirige tre lungometraggi e tre cortometraggi. I film sono: Hurlements en Faveur de Sade (1952); La Société du Spectacle (1977); e In Girum Imus Nocte et Consumimur Igni (1978). I cortometraggi sono: Sur le Passage de Quelques Personnes à travers une Assez Courte Unité de Temps (1959); Critique de la Séparation (1961); e Réfutation de tous les jugements, tant élogieux qu'hostiles, qui ont été jusqu'ici portés sur le film «La Société du spectacle» (1975).
Lo scarso successo ottenuto da questi film induce Debord a pubblicarne i dialoghi nel volume Opere Cinematografiche Complete 1952-1978. Altra opera dedicata al cinema è Contro il Cinema, pubblicata nel 1968.
Il 30 Novembre del 1994 nella sua casa di Champot, paesino dell'Alta Loira, muore suicida con un colpo di pistola.
PERCHÉ SPETTACOLO?
"Dai tempi del teatro greco lo spettacolo è
divenuto istituzione sociale in cui, gruppi di persone dette spettatori, passano il proprio tempo assistendo ad una
recita in balìa delle proprie emozioni. Nulla di scandaloso in tutto ciò. Lo
spettatore, dopo avere assistito alla tragedia che si rappresentava, tornava
alla sua vita di sempre avendo magari imparato qualcosa in più sui problemi
dell'umano vivere. I mezzi di comunicazione di massa hanno stravolto
completamente questo assetto. La dimensione spettacolare è stata portata al
massimo grado di esposizione: tutto è
spettacolo: dai telegiornali alle guerre, dal farsi una doccia al friggersi
un uovo."
Lo spettacolo è l'oggetto centrale della critica di Debord a questa società e, a differenza di quanto si possa pensare, non si rifà semplicemente all'influenza esercitata dai mass-media, la quale è certamente la sua manifestazione sociale più evidente. La televisione (celeberrimo esempio), infatti, ne rappresenta soltanto la più evidente espressione.
"Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini."
Lo spettacolo si presenta come la società stessa, come lo strumento di unificazione e concentrazione di ogni sguardo e ogni coscienza, ma per lo stesso fatto che svolge questa funzione è il luogo dell'inganno dello sguardo e il centro della falsa coscienza (tesi 3).
La sesta tesi, tuttavia, è molto più espressiva, inquadrando meglio il concetto di spettacolo: esso, compreso nella sua totalità, è il risultato del modo di produzione esistente: la società in cui viviamo, i nostri stili di vita, sono stati totalmente cambiati in funzione di un sistema economico basato sull'accrescimento dei capitali e sull'influenza della sottocultura del consumo. Le categorie specifiche che l'autore utilizza per distinguere, nel corso della storia, l'evoluzione dello "spettacolo" sono le seguenti:
lo spettacolo concentrato, proprio delle società totalitarie e dittatoriali, dove, a causa del minore sviluppo economico, le merci sono sostituite dall'ideologia e dall'identificazione con un capo supremo (come ad esempio il Nazismo, il Fascismo e l'URSS);
lo spettacolo diffuso, tipico delle società capitalistiche e basato sul consumismo.
Successivamente, nei Commentari, scritti tra l'altro verso il tramonto del più eccezionale spettacolo concentrato (l'Urss), Debord traccia il percorso che avrebbe portato alla nascita del cosiddetto spettacolo integrato. Il crollo del modello sovietico e l'apparente scioglimento dell'equilibrio del terrore avrebbero necessariamente trasformato le democrazie occidentali, togliendo loro ogni incentivo alla virtù. Il sistema si sarebbe così trasformato in una combinazione fra i due modelli precedenti: il modello degli USA dopo la caduta del muro di Berlino è esattamente questo. In un capitalismo finanziario basato su una ricchezza "inventata", "la forma di merce e il rapporto di valore dei prodotti di lavoro nel quale si presenta non ha assolutamente nulla a che fare con la loro natura fisica"; parole di Marx, tratte da quella parte del Capitale che maggiormente influenzò Debord.
IL CONCETTO DI MERCE, "IN PRESTITO" DA MARX
In Marx: "la merce, forma elementare della ricchezza nella società capitalistica, è innanzi tutto un valore d'uso, un oggetto utile che soddisfa bisogni umani di qualunque specie. Ma ogni merce è depositaria anche di un altro valore che permette il suo scambio con certe quantità di altre merci; ha anche un valore di scambio. Dunque allo stesso tempo un valore d'uso, in relazione alla sua qualità, e un valore di scambio, in relazione alla sua quantità; il primo valutato in funzione del consumo, il secondo in funzione dello scambio. La domanda spontanea di Marx è: 'un'opera di Properzio e otto once di tabacco da fiuto possono avere lo stesso valore di scambio nonostante la diversità fra il valore d'uso di un tabacco o di un'elegia?'; cosa hanno in comune le due merci? La risposta è la quantità di denaro, che tuttavia non è sufficiente a giustificarne la scambiabilità; è qui che entra in gioco il fattore comune della quantità di lavoro impiegato per la loro produzione. La grandezza di valore di una merce è allora determinata dalla quantità di lavoro concreto racchiuso in essa.
Tuttavia la merce contiene anche una parte di lavoro astratto, quello cioè che la società riconosce socialmente utile ai suoi fini. Proprio quest'ultimo elemento spiega perché due prodotti che a parità d'abilità hanno la stessa quantità di lavoro concreto, poi non abbiano lo stesso prezzo, non vengano cioè scambiati alla pari. La società riconosce minore utilità sociale al prodotto a prezzo minore, cioè in quella merce il lavoro astratto è inferiore alla quantità di lavoro concreto necessario a produrla. In una società raffinata anche se il lavoro concreto per produrre un profumo è di molto inferiore a quello necessario per allevare una pecora, il profumo avrà un prezzo più elevato perché per esso il lavoro astratto è molto superiore a quello connesso alla pecora. La produzione capitalistica ha proprio questo di caratteristico: essa orienta la produzione in vista dei prodotti che la società ritiene più utili ai propri fini.
È chiaro quindi che il parlare della merce in sé senza far ricorso all'attività lavorativa dell'uomo è una forma di feticismo. Avviene in campo economico quello che già accadeva per la sfera religiosa. Quello che è un puro prodotto del cervello umano viene fatto valere come un essere indipendente: Dio. In questo modo, quelli che sono semplici prodotti della mano umana vengono rappresentati come 'cose sociali' dotate di vita propria.
KARL MARX - CENNI BIOGRAFICI
Karl Marx nacque a Treviri nel 1818. Figlio di un brillante avvocato ebreo che, insieme con la famiglia, si era convertito al protestantesimo per motivi politici, nonostante fosse rimasto su posizioni sostanzialmente agnostiche, Marx ebbe un'educazione improntata al liberalismo ed in un primo momento pensò di seguire la carriera paterna iscrivendosi a Giurisprudenza.
A Berlino, però, il contatto con il club dei Giovani Hegeliani (dei quali in seguito rinnegherà le posizioni) e con il pensiero di Hegel, lo portarono a maturare la decisione di abbandonare Legge e di iniziare a frequentare la facoltà di filosofia a Jena, dove si laureò con una tesi su Democrito ed Epicuro. Data la politica reazionaria vigente in Prussia, decise che le sue posizioni politiche non gli avrebbero permesso di intraprendere serenamente la carriera universitaria e così divenne caporedattore della Gazzetta Renana, che fu in seguito interdetta dal governo. Proprio a causa dello scioglimento forzato del giornale, Marx fu costretto a trasferirsi a Parigi (1843), dove terminò la stesura della Critica della filosofia del diritto di Hegel. Il 1844 fu l'anno in cui Marx abbracciò definitivamente l'ideologia comunista: ne sono testimoni i 2 saggi che pubblicò sul primo (e ultimo) numero degli Annali franco-tedeschi, redatto insieme con Ruge. Sempre nel '44 Marx strinse una profonda amicizia con Friedrich Engels e con lui cominciò ad interessarsi alle materie economiche, un interesse che sfociò nei Manoscritti economico-filosofici. Il soggiorno francese non durò comunque oltre: sotto la pressione del governo prussiano, Marx fu costretto ad abbandonare Parigi e si stabilì a Bruxelles. Qui, in collaborazione con Engels, scrisse La Sacra Famiglia (diretta contro Bauer ed i suoi discepoli) e maturò il definitivo distacco dalla filosofia tedesca con le Tesi su Feuerbach e, soprattutto, con l'Ideologia tedesca, pubblicata per la prima volta solo nel 1932, in URSS.
Nel 1848 la Lega dei comunisti, al cui primo congresso del 1847 Marx non aveva potuto partecipare, gli propose di stendere un documento teorico-programmatico: il frutto di questo lavoro fu il Manifesto del partito comunista, edito a Londra sempre in collaborazione con Engels. Ristabilitosi nel frattempo in Germania, Marx ne fu nuovamente espulso nel '49 e questa volta si trasferì a Londra, dove si ritirò dalla politica attiva dopo aver tentato di ricostituire la Lega dei comunisti.
Per Marx, la moglie Jenny e la loro numerosa famiglia, il soggiorno inglese si presentò carico di problemi economici: il suo lavoro al British Museum e la sua collaborazione col New York Tribune non sarebbero stati sufficienti al sostentamento se non fossero arrivati aiuti da Engels. Ciò nonostante Marx non interruppe la sua attività di studio e, nel 1866, iniziò a comporre il I libro del Capitale, che, dopo la sua morte, fu redatto da Engels, il quale si basò sui suoi appunti. Nel frattempo (1864) era diventato la figura dominante dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori, per la quale, nel 1870, scrisse due Indirizzi sulla guerra franco-prussiana. Nel 1881 gli morì la moglie Jenny e Marx la seguì 2 anni dopo, lasciando nello sconforto Engels e tutto il movimento operaio internazionale.
MARCUSE E LA FINE DELL'UTOPIA
Nello stesso anno in cui usciva La Società dello Spettacolo, nel 1967, davanti agli studenti di Berlino, Marcuse annunciava la fine dell'utopia. Non già nel senso del suo fallimento ma in quello della sua vicina realizzazione. Finito era infatti proprio il suo carattere utopico. Le condizioni della società contemporanea permettevano di pensare ad essa non più come ad un sogno ma come a qualcosa di possibile e di realizzabile. L'eterna aspirazione dell'uomo alla libertà, alla giustizia, alla felicità era lì a portata di mano. Noi oggi sappiamo quanto quell'annuncio fosse illusorio. Non solo abbiamo constatato l'irrealizzabilità di quelle istanze ma abbiamo cominciato a mettere in discussione l'idea stessa di una diversa forma di organizzazione sociale, l'idea stessa di rapporti sociali ed economici alternativi a quelli esistenti. L'ideale e il reale si sono nuovamente ricomposti. Davanti a noi c'è un solo mondo possibile, quello realmente esistente. L'utopia è veramente finita, e in un senso radicalmente contrapposto a quello inteso da Marcuse. Essa è diventata impensabile, irrappresentabile, inimmaginabile. Il crollo del muro di Berlino è diventato ormai il simbolo di questo profondo mutamento nell'immaginario ideologico-politico. Esso sancisce il fallimento dell'unico vero esperimento di organizzazione economica e sociale alternativa a quella capitalistica. Alla base di quel tentativo c'era un'idea in apparenza ragionevole e sensata, quella di porre sotto controllo i meccanismi dell'economia di mercato, al fine di evitarne le inevitabili disuguaglianze economiche, i pesanti costi sociali e l'irrazionalità connessa ad una libera competizione in cui il più forte è necessariamente destinato a dominare sul più debole (praticamente la crisi economica in cui siamo attualmente).
[tratto da venus.unive.it]
"Iniziando con una verità ovvia, dirò che oggi qualunque forma nuova di vita sulla terra, qualunque trasformazione dell'ambiente tecnico e naturale è una possibilità reale, che ha il suo proprio luogo nel mondo storico. Noi possiamo fare del mondo un inferno, anzi come sapete siamo sulla strada. Ma possiamo anche farne l'opposto."
Herbert Marcuse - La fine dell'utopia
HERBERT MARCUSE - CENNI BIOGRAFICI
Herbert Marcuse nasce nel 1898 a Berlino, primo figlio di una famiglia ebrea di fabbricanti tessili. Dopo aver partecipato alla Prima Guerra Mondiale, si reca a Friburgo per proseguire i suoi studi di filosofia ed economia. Si laurea nel 1922 con la tesi 'Der deutsche Künstlerroman'. Dal 1923 al 1929, Marcuse torna nella sua città natale, dove trova lavoro come commerciante di libri. Ritorna in seguito a Friburgo, dove comincia a seguire le lezioni di Martin Heidegger. Nel 1932, Marcuse presenta la sua tesi di abilitazione "Hegel's Ontologie und die Teorie der Geschichtlichkeit'; pur continuando, durante tutta la vita, a considerare importante il contributo che Heidegger ha dato al suo pensiero, Marcuse si allontana dal filosofo in seguito alla sua adesione al nazismo. Nel 1933, assieme ad Horkeimer e Adorno, fonda l'Istituto per le Ricerche Sociali a Francoforte; nel frattempo pubblica i suoi articoli nello "Zeitschrift fur Sozialforung". Come membro dell'istituto, comincia ad allontanarsi dalla Germania, prima spostandosi a Ginevra e poi a Parigi; nel 1934 si trasferisce in America, dove rimarrà fino alla fine dei suoi giorni. Marcuse accetta una cattedra presso la Columbia University; nel frattempo, l'istituto per le ricerche sociali pubblica i suoi studi più famosi, tra i quali ricordiamo "Studien über Autorität und Familie". "Reason and Revolution", opera consacrata ad Hegel, viene pubblicata a Oxford nel 1941, segnando il definitivo distacco dal pensiero heideggeriano. Partecipa alle riviste della social democrazia "Die Gesellschaft" e anche a "Philosophische Hefte". Dalla sua collaborazione con il Centro per la Ricerca sulla Russia dell'università di Harvard, scaturisce l'opera "Soviet marxism: a critical analysis". "Eros e civiltà" e "L'uomo a una dimensione", vengono pubblicati rispettivamente nel 1955 e nel 1964: in questi due libri è manifesto il crescente interesse di Marcuse per la psicoanalisi. Nel 1965, si sposta a San Diego, e tiene le sue lezioni alla University of California. L'anno successivo partecipa al Congresso sul Vietnam a Francoforte, organizzato da Rudi Dutschke. nel 1967 viene pubblicato "An Essay on liberation", nel quale manifesta un profondo interesse per i movimenti neo radicali, i quali lo avevano eletto profeta della rivolta del 1968. Marcuse continuerà ad affermare l'imminente fine della repressione, anche nell'opera "Conterrevolution and Revolt" del 1967, dove cercherà di esplicitare le fasi di quello sviluppo che porterà all'integrale liberazione dell'uomo. Nel 1978, con l'opera "The Aestethic Dimension", propone, di contro al mondo alienato, un' idea estetica differente da quella marxista, capace anch'essa di spezzare le catene dell'oppressione su tutti i livelli della vita umana. Il ventinove giugno del 1979, Marcuse si spegne all'età di 81 anni, durante un viaggio in Germania.
PASOLINI E L'EDONISMO DI MASSA NELLA CIVILTÀ DEI CONSUMI
Pierpaolo Pasolini, contemporaneo di Debord, assume le sue stesse posizioni critiche, seppure le affronti in maniera più discorsiva e divulgativa (e quindi più diretta) di quanto avrebbe potuto fare con un saggio filosofico di 221 tesi. Anche Pasolini, infatti, in alcuni degli articoli raccolti nel libro Scritti Corsari, riconosce il superamento dei cosiddetti spettacoli concentrati e integrati, ammettendo l'ormai affermato dominio di quello che egli definisce "nuovo potere", che trova spazio nella civiltà dei consumi, dove regna incontrastata quella che lui stesso definisce ideologia edonistica.
Soffermandosi sull'Italia, Pasolini identifica questo successo nell'incondizionata e totale adesione ai modelli imposti dal centro del potere, compiendo quella che egli definisce "la peggiore delle repressioni della storia umana". Tutto ciò è stato possibile grazie a due rivoluzioni: la prima di tipo spaziale e logistico, che ha visto restringersi sempre di più la distanza tra il centro e la periferia, grazie all'evoluzione delle infrastrutture; la seconda rivoluzione riguarda invece l'informazione, con la televisione come protagonista assoluta. Pasolini denuncia fortemente il ruolo dominante della televisione come artefice del processo di distruzione e omologazione dell'Italia, che storicamente era un paese "differenziato e ricco di tradizioni originali", testimonianza di una cultura autentica e alternativa, oggi quasi del tutto perduta, se non confinata e limitata. Questo potente strumento divulgativo è riuscito ad omologare tutti a un unico modo di sentire e di pensare, ai medesimi valori, a modelli non rifiutabili. I cittadini italiani hanno accettato con grande entusiasmo questo nuovo modello culturale proposto dai media, che non ha altri riferimenti se non le "norme della Produzione creatrice di benessere"; il fallimento da parte dell'italiano medio riscontrato nella mancata concretizzazione di tali modelli si manifesta in uno stato d'animo diffuso di frustrazione o persino ansia nevrotica.
Non bisogna certo generalizzare, ma è evidente (oggi più che negli anni '70) che il ruolo ricoperto oggi dai mass media va al di là della proposta di un modello di tipo estetico, imponendosi anche sui contenuti, tendendo a fuorviare l'opinione pubblica. Il revisionismo storico, la disinformazione di parte sono all'ordine del giorno.
Oggi Debord affermerebbe senza dubbio che siamo immersi nello spettacolo integrato, sempre più esteso: spariscono sempre più i particolarismi, dilaga l'omologazione; ancora una volta Pasolini è più profetico che mai.
Questo centralismo, ormai ben radicato e forte dei suoi potentissimi strumenti, è riuscito dove, ad esempio, il centralismo fascista è fallito: non è più sufficiente che un uomo consumi, bensì "non sono concepibili altre ideologie che quella del consumo".
Si intuisce anche una delle motivazioni che spingevano Pasolini a parlare, per anni successivi al miracolo economico, di "nuovo fascismo", un fascismo più radicato, accettato e metabolizzato dalle masse, che attecchisce nei bisogni primari dell'uomo e nella sua superficiale ignoranza.
PIER PAOLO PASOLINI - CENNI BIOGRAFICI
Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo del 1922 a Bologna, da Carlo Alberto Pasolini, tenente di fanteria, e Susanna Colussi, maestra elementare. Al 1928 risale il suo esordio poetico. Una serie di poesie, accompagnate da disegni, annotate su un quadernetto che però, come quelli chedi lí a poco seguiranno, andrà perduto nel periodo bellico. Scoppia la seconda guerra mondiale e Pier Paolo viene arruolato a Livorno nel 1943. L'8 settembre disobbedisce all'ordine di consegnare le armi ai tedeschi e fugge. Rientra a Casarsa per poi recarsi, insieme alla famiglia a Versuta. Nel 1945 un tragico evento segnerà per sempre la sua esistenza: la morte del fratello minore Guido. Il suo rapporto di simbiosi con la madre già forte diviene ancora piú stretto. Lo stesso anno Pasolini si laurea discutendo una tesi intitolata "Antologia della lirica pascoliniana" e si stabilisce definitivamente in Friuli. Nel 1947 si avvicina al PCI e comincia a collaborare con il settimanale del partito "Lotta e lavoro". Diventa segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa, ma non viene visto di buon occhio nel partito e, soprattutto, dagli intellettuali comunisti friulani. In piú molti comunisti vedono in lui un sospetto disinteresse per il realismo socialista, un certo cosmopolitismo e un'eccessiva attenzione per la cultura borghese.
Al 15 ottobre del 1949 risale l'inizio di una delicata ed umiliante trafila giudiziaria che cambierà per sempre la vita dello scrittore. Pasolini viene segnalato ai Carabinieri di Cordovado per corruzione di minorenne. Espulso dal PCI, perde il posto di insegnante. Decide allora di lasciare il suo amato Friuli alla volta della capitale. Con lui partirà anche la madre. Qui lo scrittore tenta la strada del cinema. Ottiene la parte di generico a Cinecittà e comincia a fare il correttore di bozze. Poi, grazie al poeta Clemente Vittori, trova lavoro come insegnante in una scuola di Ciampino. In questi anni nelle sue opere letterarie trasferisce la mitizzazione delle campagne friulane nella cornice disordinata della borgate romane. Nasce cosí il mito del sottoproletariato romano. Nel 1954 Pasolini abbandona l'insegnamento e pubblica il suo primo importante volume di poesie dialettali: "La meglio gioventú". Nel 1955 pubblica il romanzo "Ragazzi di vita", di notevole successo. Nel 1957 collabora al film di Fellini "Le notti di Cabiria", stendendone i dialoghi nella parlata romana. Esordisce come attore nel film "Il gobbo" del 1960. In quegli anni collabora anche alla rivista "Officina". Nel 1961 realizza il suo primo film da regista e soggettista, "Accattone". Il film, vietato ai minori, suscita non poche polemiche. Nel 1962 dirige "Mamma Roma". Nel 1963 l'episodio "La ricotta" (inserito nel film a piú mani 'Ro.Go.Pa.G.'), viene sequestrato e Pasolini è imputato per reato di vilipendio alla religione dello stato. Nel 1964 dirige "Il vangelo secondo Matteo", nel 1965 "Uccellacci e uccellini", nel 1967 "Edipo re", nel 1968 "Teorema", nel 1969 "Porcile" e nel 1970 "Medea". Tra il 1970 e il 1974 dirige la triologia della vita, o del sesso, ovvero "Il Decameron", "I racconti di Canterbury" e "Il fiore delle mille e una notte". Chiude la sua produzione cinematografica "Salò o le 120 giornate di Sodoma' del 1975, che uscirà postumo. La mattina del 2 novembre 1975, sul litorale romano ad Ostia, viene trovato il suo cadavere: si tratta di omicidio.
NAOMI KLEIN: DALLA MERCE AL MARCHIO; I RETROSCENA DEL "LOGO"
La giornalista Naomi Klein, nel suo celebre saggio "No Logo", delinea, raccogliendo informazioni dalle sue inchieste, una fase successiva, più avanzata e complessa del consumismo: negli anni '80 alcune aziende iniziano ad affermare che la produzione di beni è solo una parte secondaria della loro attività, appaltando la fabbricazione a terzi, specie oltreoceano, grazie anche alle più recenti liberalizzazioni del commercio e alla riforma delle leggi sul lavoro. Inizia a diffondersi il concetto di marketing: le aziende si autoproclamano produttori di marchi e immagini, non di prodotti. Il branding fa la sua comparsa, laddove la produzione di merci uniformi inizia a spingere per una diversificazione basata sull'immagine: la pubblicità assume un ruolo di valorizzazione di marchi, al di là della semplice informazione dell'esistenza dei prodotti, i quali per la prima volta (dal 1880) iniziano ad avere nomi propri; nasce la personalità del marchio, forte del binomio confezione-pubblicità. Negli ultimi 20 anni è subentrata una vera e propria ossessione delle firme, dove aziende come Nike, Calvin Klein, Adidas puntano tutto su una strategia feticistica del marchio, che non si limita all'incremento delle proprie vendite (con grande successo), ma va oltre, investendo in proposte di nuovi stili di vita all'insegna del proprio nome e del concetto esprimente. Il branding è un'operazione di superamento dei confini aziendali; i prodotti come concetti, il marchio come esperienza, stile di vita. Il passo successivo lo abbiamo a metà degli anni novanta, quando il "logo" si espande ulteriormente grazie alle sponsorizzazioni di eventi culturali: la pubblicità è ovunque, acquista una forma dinamica, invadendo gli spazi reali della vita quotidiana. Questa politica economica concettuale attuata dalle aziende, che provoca un calo di centralità del prodotto in sé (in quanto oggetto), ha però un prezzo. Il volto dell'occupazione globale cambia e questo cambiamento sta in una svalutazione del processo produttivo, includendo precarietà per i lavoratori: i generosi finanziamenti delle aziende degli anni '90 per il marketing coincidono, infatti, con una resistenza ad investire negli impianti e nella manodopera. Con il marchio che si svincola dal prodotto, e quindi con la deresponsabilizzazione del produttore nei confronti della forza lavoro, si generano forti contraddizioni e situazioni critiche: negli ultimi 10-20 anni si è assistiti ad una chiusura in massa delle fabbriche per spostare gli impianti in località che offrono la possibilità di produrre a costi più bassi, commissionando gli ordini di produzione a un fornitore, che a sua volta può girarli anche a tanti sub-fornitori e così via; è quello che è accaduto e accade con grandi nomi che decidono di chiudere i propri stabilimenti per aprire in paesi come la Cina, Messico, Indonesia, Vietnam, Filippine, destando preoccupazioni (purtroppo confermate attraverso tante inchieste) per quanto riguarda la violazione dei diritti umani. Il risultato di tutto ciò, della politica del branding, sono milioni di lavoratori sparsi per il mondo i cui diritti sono calpestati: salari bassissimi che a stento bastano per un dormitorio ed un pasto quotidiano, figurarsi per il rilancio dell'economia locale di questi paesi in via di sviluppo: la Klein definisce tutto ciò il "sottoscala del branding"; le cosiddette zone industriali di esportazione, situate in paesi come Rosario, nelle Filippine; enormi poli industriali, ai cui cancelli si accalcano ogni giorno 50.000 operai, dove gli stabilimenti non riportano all'esterno nessun nome o logo, forse per cercare di passare inosservati in tanta miseria. I governi locali dalla loro, per attirare i "supermarchi", offrono agevolazioni fiscali e forze militari sufficienti a reprimere qualunque agitazione operaia. Le aziende approfittano dei primi 5 anni di esenzione fiscale per poter chiudere entro i termini di scadenza e poi riaprire sotto un altro nome per usufruire nuovamente della "vacanza fiscale". Ma Rosario, e le Filippine, sono solo un esempio fra i tanti di "industrializzazione tra parentesi": 200 fabbriche, in una zona dove "le strade sono una fogna, c'è carenza d'acqua corrente, l'immondizia è sparsa dovunque" e molti degli operai vivono in baracche e villaggi limitrofi in condizioni di semi-povertà.
ANCHE L'ARTE DOCUMENTA I NUOVI IDOLI
È proprio dall'incontro tra arte e cultura dei mass-media che nacque la Pop Art. La sua nascita avviene negli Stati Uniti intorno alla metà degli anni '50 con le prime ricerche di Robert Raushenberg e Jasper Johns, ma la sua esplosione avviene soprattutto nel decennio degli anni '60, conoscendo una prima diffusione e consacrazione con la Biennale di Venezia del 1964. I maggiori rappresentanti di questa tendenza sono tutti artisti americani: Andy Warhol, Claes Oldenburg, Tom Wesselmann, James Rosenquist e Roy Lichtenstein. In ciò si definisce anche una componente fondamentale di questo stile: essa appare decisamente il frutto della società e della cultura americana. Cultura largamente dominata dall'immagine, proveniente dal cinema, dalla televisione, dalla pubblicità, dai rotocalchi, dal paesaggio urbano largamente dominato dai grandi cartelloni pubblicitari. La Pop Art ricicla tutto ciò in una pittura che rifà in maniera fredda e impersonale le immagini proposte dai mass-media. Si va dalle bandiere americane di Jasper Johns alle bottiglie di Coca Cola di Warhol, dai fumetti di Lichtenstein alle locandine cinematografiche di Rosenquist. La Pop Art documenta in modo preciso la cultura popolare americana (da qui quindi il suo nome, dove pop sta per diminutivo di popolare), trasformando in icone le immagini più note o simboliche tra quelle proposte dai mass-media. L'apparente indifferenza per le qualità formali dei soggetti proposti, così come il procedimento di pescare tra oggetti che apparivano triviali e non estetici, ha indotto molti critici a considerare la Pop Art come una specie di nuovo Dadaismo. Ciò può apparire in parte plausibile, ma diverso è il fine a cui giunge la Pop Art. In essa infatti è assente qualsiasi intento dissacratorio, ironico o di denuncia. Il più grosso pregio della Pop Art rimane invece quello di documentare, senza paura di sporcarsi le mani con la cultura popolare, i cambiamenti di valori indotti nella società dal consumismo. Quei cambiamenti che consistono in una preferenza per valori legati al consumo di beni materiali e alla proiezione degli ideali comuni sui valori dell'immagine, intesa in questo caso soprattutto come apparenza. Ciò testimoniano nuovi idoli o miti, in cui le masse popolari tendono a identificarsi. Miti creati dalla pubblicità e dai mass-media, che proiettano sulle masse sempre più bisogni indotti, non primari, per trasformarli in consumatori sempre più avidi di beni materiali.
Un quadro di Warhol, che ripete l'ossessiva immagine di una bottiglia di Coca Cola (Green Coca-Cola Bottles, 1962), testimonia come quell'oggetto sia oramai diventato un referente più importante, rispetto a altri valori interiori o spirituali, per giungere a quella condizione esistenziale che i mass media propagandano come vincente nella società contemporanea.
Ai primi d'agosto del 1962 cominciai con le serigrafie. Volevo qualcosa di più forte, che comunicasse meglio l'effetto di un prodotto seriale. Con la serigrafia si prende una foto, la si sviluppa, la si trasferisce sulla seta mediante colla e poi la si inchiostra, cosicché i colori penetrano attraverso la trama salvo che nei punti dove c'è la colla. Ciò permette di ottenere più volte la stessa immagine, ma sempre con lievi differenze. Tutto così semplice, rapido, casuale: ero eccitatissimo."
Andy Warhol - Marilyn
ANDY WARHOL - CENNI BIOGRAFICI
Andy Warhol, considerato a pieno titolo uno dei più grandi geni artistici del suo secolo, nasce a Pittsburgh (Pennsylvania) il 6 agosto 1928: figlio di immigrati slovacchi di etnia Rutena il suo nome vero è Andrew Warhola. Tra il 1945 e il 1949 studia al Carnegie Institute of Technology della sua città. Si trasferisce poi a New York dove lavora come grafico pubblicitario presso alcune riviste: 'Vogue', 'Harper's Bazar', 'Glamour'. Fa anche il vetrinista e realizza le sue prime pubblicità per il calzaturificio I. Miller. Nel 1952 tiene la prima personale alla Hugo Gallery di New York. Disegna anche scenografie. Nel 1956 espone alcuni disegni alla Bodley Gallery e presenta le sue Golden Shoes in Madison Avenue. Compie poi alcuni viaggi in Europa e Asia. Intorno al 1960 Warhol comincia a realizzare i primi dipinti che si rifanno a fumetti e immagini pubblicitarie. Nei suoi lavori compaiono Dick Tracy, Popeye, Superman e le prime bottiglie di Coca Cola. Inizia a utilizzare la tecnica di stampa impiegata nella serigrafia nel 1962, rivolgendo l'attenzione alla riproduzione di immagini comuni, degne del titolo di 'icone simbolo' del suo tempo. Tratta anche temi carichi di tensione, come i Car Crash (Incidenti automobilistici) e Electric Chair (sedia elettrica). Dal suo stile 'neutro' e banale prende il via la cosiddetta Pop-art. Negli anni successivi decide di abbracciare un progetto più vasto, proponendosi come imprenditore dell'avanguardia creativa di massa. Per questo fonda la 'Factory', che può essere considerata una sorta di officina di lavoro collettivo. Iniziano i rapporti di lavoro con Leo Castelli. Nel 1963 inizia a dedicarsi al cinema e produce due lungometraggi: 'Sleep' ed 'Empire' (1964). Nel 1964 espone alla Galerie Sonnabend di Parigi e da Leo Castelli a New York. Per il Padiglione Americano alla Fiera mondiale di New York realizza i Thirteen Most Wanted Men. L'anno successivo espone all'Institute of Contemporary Art di Philadelphia. Fallito il tentativo di fondare un gruppo musicale con La Monte Young e Walter de Maria (due dei più celebri compositori d'avanguardia del periodo), nel 1967 si lega al gruppo rock dei Velvet Underground (di Lou Reed), di cui finanzia il primo disco. Anche la nota copertina del disco, una semplice banana gialla su sfondo bianco, è sua. Nel 1968 rischia la morte, all'interno della Factory, per l'attentato di una squilibrata, tale Valerie Solanas, unico membro della S.C.U.M. (società che si propone di eliminare gli uomini). Espone al Moderna Museet di Stoccolma. Pubblica il romanzo 'A: a novel' e produce il primo film in collaborazione con Paul Morissey. Si tratta di 'Flash', cui seguiranno 'Trash', nel 1970, e 'Heat', nel 1972. Nel 1969 fonda la rivista 'Interview', che da strumento di riflessione sul cinema amplia le sue tematiche a moda, arte, cultura e vita mondana. A partire da questa data, fino al 1972, esegue ritratti, su commissione e no. Scrive anche un libro: 'La filosofia di Andy Warhol (Dalla A alla B e ritorno)', pubblicato nel 1975. L'anno seguente espone a Stoccarda, Düsseldorf, Monaco, Berlino e Vienna. Nel 1978 a Zurigo. Nel 1979 il Whitney Museum di New York organizza una mostra di ritratti di Warhol, intitolata 'Andy Warhol: Portraits of the 70s'. Nel 1980 diventa produttore della Andy Warhol's TV. Nel 1982 è presente alla Documenta 5 di Kassel. Nel 1983 espone al Cleveland Museum of Natural History e gli viene commissionato un poster commemorativo per il centenario del Ponte di Brooklyn. Nel 1986 si dedica ai ritratti di Lenin e ad alcuni autoritratti. Negli ultimi anni si occupa anche della rivisitazione di opere dei grandi maestri del Rinascimento: Paolo Uccello, Piero della Francesca, e soprattutto Leonardo da Vinci, da cui ricava il ciclo 'The Last Supper' (L'ultima cena). Realizza anche alcune opere a più mani con Francesco Clemente e Jean-Michel Basquiat, il 'maledetto' della scena artistica newyorchese. Andy Warhol muore a New York il 21 febbraio 1987 durante un'operazione chirurgica.
SENECA, PRECURSORE DEI NOSTRI TEMPI
"Magna pars est profectus velle proficere"
("Gran parte del progresso sta nella volontà di progredire")
Seneca - Epistulae morales ad Lucilium
Sebbene questa citazione sia tratta dalle Epistole a Lucilio, l'opera di Seneca che maggiormente esprime il suo pensiero in merito al progresso scientifico è il Naturales quaestiones ("Questioni naturali"). Il pensiero di fondo dell'opera è la subordinazione all'etica di ogni altro interesse per quanto riguarda la ricerca e lo studio per il progresso scientifico. In particolare Seneca critica il rapporto che gli uomini hanno con la natura ed il modo sbagliato di gestire le sue risorse. Il trattato, infatti, sebbene di natura scientifica, ha in realtà un intento prevalentemente morale: liberare gli uomini dai timori che nascono dall'ignoranza dei fenomeni naturali. Tuttavia la denuncia più grave dell'autore si rivolge alla stragrande maggioranza degli uomini, che trascura lo studio della natura per darsi a occupazioni moralmente inutili e nocive, biasimando la tendenza ad utilizzare le conoscenze scientifiche e i ritrovati della tecnica in funzione di un accrescimento dei vizi e della corruzione.
In nome di un moralismo etico e scientifico, Seneca esalta la ricerca ed il progresso, poiché è l'unico vero mezzo che innalza l'uomo al di sopra di ciò che è puramente umano. La lungimiranza di Seneca su questi temi è notevole e per tutta la sua vita egli non ha mai smesso di credere che, anche in un futuro molto lontano, "il progresso scientifico porterà alla luce le verità ancora ignote", confidando grande speranza nella ricerca scientifica. È dalle sue parole che dobbiamo partire se, oggi, vogliamo confidare in un vero progresso dell'uomo, un superamento degli evidenti limiti di questa società, attraverso un nuovo modello di sviluppo che tenga conto dell'incalcolabile, quanto raro, tesoro della natura.
"Illa arcana non promiscue nec omnibus patent: reducta et interiore sacrario clausa sunt, ex quibus aliud haec aetas, aliud quae post nos subibit aspiciet."
("la conoscenza dei suoi segreti non si apre a tutti indistintamente, è al sicuro nella parte più interna del santuario; ne vedrà qualcosa la nostra generazione, qualcos'altro quella che verrà dopo di noi".)
Seneca - Naturales Quaestiones
C. Savolini - La morte di Seneca
"L'ALTRO MODELLO"
"Credo che il sistema industriale debba essere reinventato. Dall'estrazione delle materie prime, fino al prodotto finale che va a finire in un inceneritore o in una discarica. Per ogni carico di prodotto con valore aggiunto vengono prodotti 32 carichi di rifiuti. Il nostro è un sistema che produce rifiuti ed è certo che non possiamo continuare a riempire il pianeta di rifiuti"
Ray Anderson - The 11th Hour
"[.] Quando la crescita delle dimensioni fisiche dell'economia umana si spinge oltre la scala ottimale della biosfera essa in realtà ci rende più poveri: la crescita, che usualmente chiamiamo crescita economica finché siamo al di sotto della dimensione ottimale, diviene crescita antieconomica una volta che l'optimum sia stato oltrepassato, o in altri termini quando si sia superata la capacità di carico."
Gianni Moriani
"Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo (PIL). Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle [.]. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari .Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. [.] Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani."
Robert Kennedy
PIL, MERCI E BENESSERE
La nostra economia si basa su un modello di sviluppo che si misura con il Pil, cioè produrre, buttare e produrre all'infinito. Il pianeta tuttavia non può sopportare questo modello. La cultura dell'aumento del Pil significa aumento smisurato di produzione di merci, merci inutili al benessere dell'uomo e che ovviamente devono essere prodotte in grandissima quantità e devono consumare una grandissima quantità di risorse.
L'idea alla quale siamo stati educati ed abituati, infatti, è che maggiore è la crescita delle merci che si scambiano col denaro, maggiore è il benessere. In realtà il concetto di merce non corrisponde al concetto di bene, per cui noi possiamo avere delle merci che fanno crescere il prodotto interno lordo, che quindi richiedono denaro e così via, ma che non sono effettivamente dei beni, né generano benessere. Ad esempio, tutta l'energia in più che si consuma in una casa mal costruita, tutta la benzina in più che si consuma in una coda, sono delle merci che fanno crescere il Pil e quindi il giro di denaro, ma che fanno diminuire il benessere. Noi dobbiamo disaccoppiare il concetto di merce dal concetto di bene.
SVILUPPO SOSTENIBILE
Il nostro modo di vivere, di consumare, di comportarsi, decide dunque la velocità del degrado entropico (misura dello stato del disordine di un sistema), la velocità con cui viene dissipata l'energia utile e il periodo di sopravvivenza della specie umana. Si arriva così al concetto di sostenibilità, intesa come l'insieme di relazioni tra le attività umane, la loro dinamica e la biosfera, con le sue dinamiche, generalmente più lente. Queste relazioni devono essere tali da permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare i loro bisogni e alle diverse culture umane di svilupparsi, ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane stiano entro certi limiti così da non distruggere il contesto biofisico globale. Il nostro obiettivo per i prossimi anni dovrebbe essere quello di arrivare a un'economia da equilibrio sostenibile: è un rapporto tra economia ed ecologia, in gran parte ancora da costruire, che passa dalla strada dell'equilibrio sostenibile.
1972 - La Conferenza di Stoccolma.
La prima tappa fondamentale di questa riflessione globale su futuro umano, crescita economica e tutela ambientale è rappresentata dalla 'Conferenza di Stoccolma', o Conferenza dell'ONU sull'Ambiente Umano del 1972, durante la quale ci si incomincia a confrontare sui problemi che, in modo ormai evidente, minacciano l'intero pianeta. In risposta alla crescente preoccupazione dell'opinione pubblica sul deteriorarsi delle condizioni ambientali e di vita, i delegati di 113 nazioni si incontrano e stilano un piano d'azione inerente i diritti e le responsabilità dell'uomo in relazione all'ambiente globale.'L'appropriata pianificazione e gestione delle risorse naturali e il mantenimento e ripristino delle capacità della Terra di produrre risorse rinnovabili' appaiono ormai indispensabili condizioni per il beneficio delle generazioni presenti e future.
Dalla Conferenza di Stoccolma nasce l'UNEP, il Programma per l'Ambiente delle Nazioni Unite, con il compito di elaborare strategie atte a risolvere le emergenze ambientali,come l'incremento demografico, le emissioni di anidride carbonica, la produzione di energia, la deforestazione e la perdita della biodiversità, e a negoziare trattati fra i diversi paesi per dar loro attuazione. Da allora si sono svolti numerosi incontri e conferenze, che hanno portato alla stesura di svariati accordi internazionali su singoli problemi. Nel 1983 l'Organizzazione delle Nazioni Unite istituisce la Commissione Mondiale per lo Sviluppo e l'Ambiente. Il rapporto della Commissione, noto con il nome della Presidente Harlem Brundtland, dà una prima definizione di sviluppo sostenibile inteso come:
"lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri"
L'improrogabile necessità di individuare un percorso universale per costruire uno sviluppo sostenibile conduce la comunità mondiale a riunirsi nel 1992 a Rio de Janeiro.
1992 - La Conferenza di Rio
Nel giugno 1992, quando Rio de Janeiro ha ospitato la seconda Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, il mondo incominciava a rendersi conto della necessità di coniugare salvaguardia dell'ambiente e sviluppo economico e sociale.
Questa Conferenza su Ambiente e Sviluppo (anche denominata 'Summit della Terra') ha rilanciato l'idea di Sostenibilità come concetto integrato che coniuga le dimensioni di Ambiente, Economia e Società .
Il vertice è partito infatti con grandi ambizioni, promuovendo trattati, accordi e convenzioni che riguardavano tutte le principali emergenze ambientali e sociali del pianeta. Fra l'altro, ha adottato un programma globale per favorire lo sviluppo sostenibile, denominato Agenda 21, che elencava le iniziative necessarie a rendere il XXI secolo vivibile per tutti. Esso riportava l'impegno dei paesi ricchi a elevare fino allo 0,7% del loro Pil la quota destinata agli aiuti ai paesi arretrati; una convenzione sulle foreste che poneva un freno allo sfruttamento indiscriminato delle foreste tropicali; una convenzione sulla biodiversità, che introduceva il principio della conservazione della diversità biologica, l'uso sostenibile di tutte le sue componenti e una distribuzione equa dei benefici derivanti dall'utilizzo delle risorse genetiche; una convenzione sul cambiamento climatico che conteneva un programma di abbattimento graduale dei gas serra e una serie di indicazioni pratiche per realizzarlo.
Questa convenzione, firmata da numerosi Stati, non venne firmata dagli Stati Uniti, i maggiori produttori di anidride carbonica, perché l'allora presidente George Bush non volle danneggiare
gli interessi dell'industria petrolifera.
1997 - Il protocollo di Kyoto
Il tema del contenimento dei gas serra fu ripreso nel 1997 in Giappone, quando numerosi paesi industrializzati si accordarono sul Protocollo di Kyoto.
Questo
documento, firmato a tutt'oggi da oltre cento paesi ma non da Stati Uniti e
Australia, prevede che entro il
2002 - La Conferenza di Johannesburg
Dopo dieci anni dalla conferenza di Rio, nel 2002 si è tenuta a Johannesburg, in Sudafrica, il Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile, con l'obiettivo di verificare i progressi realizzati in campo ambientale e di elaborare norme che potessero migliorare la qualità della vita nel rispetto dell'ambiente. Fin dalle prime fasi si è dovuto constatare che i risultati realizzati nel decennio precedente sono molto lontani dalle aspettative. Per esempio, gli aiuti allo sviluppo invece di crescere si sono ridotti, passando dallo 0,32% allo 0,22% del Pil dei paesi ricchi.
La diminuzione dei gas serra risulta molto inferiore a quanto ci si era prefissati e alcuni paesi che pur avevano firmato la convenzione del 1992 hanno aumentato le proprie emissioni.
A differenza del vertice di Rio, quello di Johannesburg non si è concluso con grandi dichiarazioni e importanti trattati. I partecipanti hanno infatti preferito puntare su una serie di azioni concrete. Fra queste, l'obiettivo di dimezzare entro il 2015 il numero di persone che non hanno accesso all'assistenza sanitaria; di riportare la pesca ai massimi rendimenti sostenibili, eliminando nel contempo le pratiche più distruttive; di ridurre in maniera significativa la perdita di biodiversità. Non si è invece trovato accordo fra Nord e Sud del mondo su molti temi di carattere finanziario e commerciale, e soprattutto è venuto a mancare, da parte del governo statunitense, qualsiasi impegno volto a ridurre i propri insostenibili livelli di produzione e di consumi. Il Vertice di Johannesburg, conclusosi con la presentazione del Piano di attuazione attribuisce al compimento del processo di Agenda 21 il ruolo fondamentale per la realizzazione dello sviluppo sostenibile, riconosce, perciò, che operare verso lo sviluppo sostenibile è principale responsabilità dei Governi e richiede strategie, politiche, piani a livello nazionale. Agenda 21 è il programma di azioni indicato dalla Conferenza di Rio per invertire l'impatto negativo delle attività antropiche sull'ambiente. L'Agenda definisce attività da intraprendere, soggetti da coinvolgere e mezzi da utilizzare in relazione alle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile (Ambiente, Economia, Società); pertanto saranno sempre più rilevanti temi come la pianificazione strategica integrata, la concertazione, la partecipazione della comunità ai processi decisionali, la ricerca e la sperimentazione di strumenti operativi adeguati, alla cui soluzione si stanno impegnando da alcuni decenni e con prevedibili difficoltà, le Comunità internazionali e nazionali, ai diversi livelli.
CONSUMARE E GESTIRE LE RISORSE NATURALI: IL FUTURO DELL'ENERGIA
La consapevolezza che il petrolio e le fonti fossili, ed in generale l'energia, fossero beni illimitati, da utilizzare con parsimonia, è un'acquisizione recente dell'umanità. Ma sebbene negli ultimi anni, soprattutto per il timore dei Paesi industrializzati di dipendere eccessivamente dagli approvvigionamenti petroliferi provenienti dal mondo arabo, si sia compiuto qualche timido passo sulla via del risparmio energetico, molto rimane ancora da fare, soprattutto per il fatto che ancora enorme è lo squilibrio tra i consumi di energia del Nord e del Sud del mondo: un quarto della popolazione mondiale (i Paesi industrializzati) consuma circa i tre quarti dell'energia prodotta sul pianeta: l'Italia, da sola, consuma più di tutta l'Africa.
GLI STUDI SULLA FUSIONE NUCLEARE: VERSO UN FUTURO PIÙ PULITO
La fusione nucleare, se controllata, potrebbe risolvere la maggior parte dei problemi energetici sulla terra, perché potrebbe produrre quantità pressoché illimitate di energia senza praticamente emissioni di gas nocivi o gas serra e senza la produzione di scorie radioattive, ad esclusione del trizio e di polveri radioattive. La piccola quantità di radioattività residua interesserebbe solo alcuni componenti del reattore a fusione, peraltro facilmente rimpiazzabili.
La quantità di deuterio e trizio ricavabile da tre bicchieri di acqua di mare e due sassi di medie dimensioni potrebbe supplire al consumo medio di energia di una famiglia di 4 persone.
La Fusione Nucleare consiste nel fondere due nuclei leggeri per formarne uno pesante. Il processo è analogo a quello che avviene nel Sole e nelle stelle e potrebbe essere prodotto artificialmente anche sulla Terra. Oltre alla formazione di nuovi elementi, la fusione nucleare comporta la formazione di una grandissima quantità di energia.
Per poter fondere due nuclei bisogna avvicinarli vincendo la forza di repulsione che esiste tra i protoni. Per far sì che la fusione avvenga, sono necessarie temperature elevatissime, che ancora oggi è quasi impossibile raggiungere.
Dalla fusione nucleare si ottiene un'enorme quantità di energia, dovuta al difetto di massa: una volta che i due atomi si fondono, la loro massa non è pari alla somma delle masse dei due nuclei, ma minore. La differenza tra la somma delle masse di partenza e la massa finale si è convertita in energia seguendo la legge di Einstein (equivalenza massa-energia), la quale afferma che l'energia prodotta è uguale alla massa per il quadrato della costante c.
Gli elementi più idonei per la fusione sono gli isotopi dell'idrogeno (Deuterio e Trizio), dalla cui fusione si formerebbe un atomo di elio ed un neutrone libero.
La prima teoria sulla fusione nucleare fu fatta dal fisico Hans Bethe nel 1938 in base allo studio del sole. Infatti, per spiegare gli elementi chimici prodotti all'interno del sole c'era un unico modo ed era quello della fusione tra protoni e nuclei. Per questa sua teoria vinse il Nobel nel 1967, e nel 1983 ci fu un'altro Nobel in questo campo per l'atrofisico americano William Fowler che approfondì lo studio delle reazioni nucleari nelle stelle.
La prima produzione di energia da fusione
nucleare, invece, risale al 9 novembre 1991 in Gran Bretagna dove il reattore a
fusione sperimentale europeo (Jet) produsse, per la prima volta, energia da
fusione nucleare. Questa fu la prima fusione controllata della storia (la
seconda avvenne dopo due anni dal reattore Americano del tipo Tokamak); in
passato infatti la fusione era raggiungibile solo in maniera
non controllata nelle Bombe H (chiamate bombe a
idrogeno o termonucleari).
Questo è lo schema di un reattore nucleare a fusione di tipo tokamak. Il plasma di deuterio e trizio è mantenuto lontano dalle pareti del contenitore da intensi campi elettromagnetici. Una frazione dei neutroni prodotti dalla fusione di deuterio e di trizio serve a produrre altro trizio mediante una reazione che avviene nello strato di litio intorno al plasma. L'elio, un altro prodotto della fusione, è raccolto fuori dal reattore. Il calore che si sprigiona a causa delle reazioni di fusione viene portato via dall'acqua come in un reattore a fissione.
LAVORI IN CORSO: ITER, DEMO E NIF
Attualmente si stanno facendo grandi sforzi (soprattutto economici) nella ricerca e nella sperimentazione di questa nuova fonte di energia ed i risultati più importanti stanno arrivando da due grandi progetti di livello internazionale.
Il primo è l'ITER, le cui menti sono concentrate sulla realizzazione di un reattore a fusione nucleare in grado di produrre più energia di quanta ne consumi. Il modello su cui si basano gli studi è il DEMO, ed attualmente i paesi coinvolti sono: Unione Europea, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti d'America, India e Corea del Sud.
Tuttavia i risultati più sensazionali e relativamente recenti giungono dagli Stati Uniti, i quali, autonomamente, stanno finanziando il NIF (National Ignition Facility) di San Francisco, in California: da questo centro infatti è giunta la notizia secondo la quale entro 10 anni si potrà avere a disposizione un'energia pulita ottenuta da fusione nucleare, ma soprattutto commerciabile: ovvero la quantità di energia prodotta supererà quella utilizzata per poterla produrre. Nello specifico, questi esperimenti riguardano la cosiddetta "fusione nucleare a confinamento inerziale", che sembra essere la strada giusta da percorrere e con più probabilità di successo.
Dal sito ufficiale del progetto è possibile riportare una semplice descrizione del reattore costruito al NIF:
"Una centrale grande quanto tre campi di calcio circa, composta da un'enorme laboratorio con 192 laser giganteschi, capaci di produrre un'energia di 50 volte superiore a quella finora prodotta da altri sistemi simili. Questi enormi laser hanno la funzione di essere puntati, tutti in un unico punto. In quel punto al centro del laboratorio sarà posta una pillola. Più precisamente si chiama pellet, ha le dimensioni di una pillola ed è formato esternamente da normalissima plastica, mentre all'interno è riempito da idrogeno congelato. Nel momento in cui i 192 laser vengono puntati contemporaneamente sul pellet, questo viene compresso e riscaldato, e finisce con lo sprigionare una temperatura superiore ai 420 milioni di gradi Celsius, praticamente molto di più anche del calore all'interno del Sole. Questa energia poi viene incanalata verso del sale liquido che produce vapore, il quale a sua volta alimenta una turbina che crea elettricità con il vecchio sistema dell'alimentazione a vapore. In pratica si crea elettricità senza bruciare combustibili fossili altamente inquinanti."
UTILIZZO COMMERCIALE DEI REATTORI A FUSIONE
La fusione nucleare è vista da molti come
la soluzione a lungo termine dei problemi energetici della Terra.
Alcuni dei possibili vantaggi che
vengono elencati come derivanti dall'uso di questa tecnologia sono:
Uno dei dubbi non ancora risolti è se la produzione di energia attraverso la fusione nucleare sia economicamente competitiva rispetto ad altri sistemi. Questo perché a fronte di un combustibile (l'idrogeno) estremamente diffuso e disponibile, gli investimenti per costruire un ipotetico reattore a fusione e gli impianti di produzione del combustibile (sia D-T che D-D) sono stimati essere molto elevati. È anche vero che nel caso dei combustibili fossili ai puri costi economici vanno sommati "costi" di altro genere come le tensioni internazionali, e le guerre, derivanti dal controllo delle fonti di combustibile.
BIBLIOGRAFIA E FONTI
La società dello spettacolo - Guy Debord - Baldini Castoldi Dalai
Il pianeta malato - Guy Debord - Nottetempo
No Logo - Naomi Klein - Baldini Castoldi Dalai
Scritti Corsari - Pier Paolo Pasolini - Garzanti
Manoscritti economico-filosofici del 1844 - Karl Marx - Einaudi
Il libro di fisica - Isaac Asimov - Mondadori
Geologia dei pianeti, Il clima che cambia - Palmieri, Parotto - Zanichelli
Itinerari di filosofia - Abbagnano, Fornero - Paravia
Opera - Garbarino - Paravia
L'undicesima ora - Peterson, Conners
L'altro modello - reportage di Michele Buono, Piero Riccardi
it.wikipedia.org
it.encarta.msn.com
www.swif.uniba.it
www.utopie.it
www.miw.it
www.filosofico.net
www.report.rai.it
lasers.llnl.gov
venus.unive.it
NAOMI KLEIN
The journalist Naomi Klein, in her economic essay "No Logo", describes, with the recollection of many informations by her researches, a later stage of the capitalism, more advanced and complex then the consumerism: during the 80's some corporations start to state that the production of goods is just a secondary stage of their activity. So they start practicing a third-party manufacturing located in foreign countries, also thanks to the latest trade liberalization and to the reform of the employement laws. On the other hand the spread of the concept of marketing takes place: the corporations have now become "brandmakers". The branding spreads by the time that the production of uniform goods causes the need of a diversification based on the brand image: the advertising has the purpose to improve brands, beyond the simple information about the existence of the products, which start to be nominal for the first time: this is the birth of the so-called brand personality, based on the binomial name packaging-advertising.
Some corporations like Nike, Calvin Klein, Adidas aim at a fetishist strategy, overreaching the increasing in sale and investing in the proposal of new lifestyles: the branding overcomes company borderlines. Goods are like concepts, brands are like experience of life. But this new economic policy has a price, and this price is paid by the global employment system. The huge funding in the 90's for the marketing is equivalent to a resistance to invest in factories and labour. The mark released from the product is equivalent to a depriving of responsibility of the producer towards the man power. In the last 10-20 years we have witnessed to a mass closing of factories in order to move them in countries whose rules allow the corporations to produce at lower costs, ordering the production to a third supplier. That's what happened with big companies that opened their plants in China, Mexico, Indonesia, Vietnam, Philippines.
The main consequence of this complex process is the violation of human rights that takes place in these plants: millions of workers around the world whose rights are stomped: low pay, dreadful work conditions, too much hours of work in overcrowded places and, sometimes, exploitation of children. Klein defines this situation with the expression "parenthetical industrialization "
Appunti su: annalioccidentali@univeit mail, pinot gallizio il teorema di pitagora 1960-61, Fabbricazione di metallo msncom, |
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