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Herbert Marcuse e la critica alla società di massa




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Herbert Marcuse e la critica alla società di massa


La teoria critica della società

Quando Marcuse fu costretto nel 1933 a causa delle leggi razziali naziste ad abbandonare la Germania per approdare negli Stati Uniti non immaginava di trovare, dopo esser fuggito dal totalitarismo fascista, un altro tipo di totalitarismo, che lui definì del mondo amministrato e della società ad una dimensione.

Marcuse faceva parte dell'Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte, noto anche come Scuola di Francoforte, diretto da Max Horkheimer.

In quegli anni l'Istituto si occupò di elaborare una teoria critica della società, alla quale appunto anche Marcuse diede il suo contributo.

Nel 1964 Marcuse pubblicò One-Dimensional Man: Studies in the Ideology of Advanced Industrial Society, uno dei testi classici della teoria critica alla società.

Marcuse in quest'opera dunque cercò di analizzare non tanto l'aspetto più gnoseologico ed epistemologico della teoria bensì i suoi contenuti, le finalità e lo fece ispirandosi al principio hegeliano della razionalità.

Per Marcuse la teoria critica della società è "una teoria della storia e la storia è il regno della possibilità nel regno della necessità. Di conseguenza dobbiamo chiederci quali sono tra i vari modi potenziali e reali di organizzare e utilizzare le risorse disponibili, quelli che offrono le maggiori possibilità per uno sviluppo ottimale dei bisogni e delle facoltà individuali"[1].

Il pensiero di Marcuse si basa dunque su un postulato per lui indiscutibile: l'uomo ha la possibilità di condurre una vita decente, libera e per quanto possibile senza fatica, dipendenza e brutture[2]. Nel corso dell'opera verrà spiegato come.


L'uomo a una dimensione










Così Herbert Marcuse inizia la sua opera, nella cui prima parte avviene un'analisi della struttura fondamentalmente irrazionale della società industriale.

Per il filosofo la produttività di tale società tende infatti "a distruggere il libero sviluppo di facoltà e bisogni umani, la sua pace è mantenuta da una costante minaccia di guerra"[3].

L'apparente razionalità travolgente della civiltà industriale si rivela dunque irrazionale: la produttività crescente è unita alla capacità crescente di distruzione, accanto ad una ricchezza senza precedenti permane l'esistenza di una povertà vergognosa.

Il pensiero si arrende alle decisioni della politica, la maggioranza accetta tale società ma questa accettazione non rende meno irrazionale il tutto.


Il controllo della società di massa

Nella società di massa l'integrazione degli opposti ed il contenimento del mutamento sociale sono due caratteristiche fondamentali.

I diritti e la libertà dell'individuo su cui si basò la prima società industriale perdono il loro contenuto e la loro logica tradizionale.

Il pluralismo e le coscienze critiche condivisero, una volta istituzionalizzati, il destino della società integrata.

A sua volta l'uomo integrato in questa società è l'uomo a una dimensione[4], frutto del livellamento portato da una società caratterizzata da una "tolleranza repressiva" ovvero la coincidenza tra libertà e permissivismo.

La diffusione del benessere e dei comfort ha portato la classe operaia, un tempo rivoluzionaria, all'integrazione nel sistema capitalistico. Sono venuti così a mancare, per Marcuse, il pensiero critico, la creatività, la realizzazione di bisogni autentici mentre hanno prevalso il conformismo, l'accettazione di bisogno imposti e l'indifferenza.

"In questa società l'apparato produttivo tende a diventare totalitario nella misura in cui determina non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali"[6].

Di fronte a tale fenomeno non è più sostenibile nemmeno la neutralità della tecnologia entro la quale "cultura, politica ed economia si fondono in un sistema che assorbe o respinge tutte le alternative"[7] al regime politico vigente.

L'apparato produttivo stesso "indottrina e manipola, promuove una falsa coscienza immune dalla propria falsità. Impone un buon modo di vivere, assai migliore di un tempo, e come tale milita contro un mutamento qualitativo. Per tale via emergono forme di pensiero e di comportamento a una dimensione"[8].

In questo appiattimento generale, dunque, l'uomo non è più in grado di cogliere il contrasto tra possibilità di cambiamento e situazione reale, tra come egli è e come potrebbe essere e soprattutto tra i bisogni soddisfatti e quelli che potrebbe invece soddisfare in un tipo diverso di società.

Tale omogeneizzazione del pensiero non si ha solo in politica ma anche in campo culturale. Non esiste più infatti l'antagonismo che era presente nella società pretecnologica tra cultura e realtà sociale, non si trova più una cultura a due dimensioni ma anch'essa è unidimensionale, assorbita pienamente nell'ordine stabilito dalla società di massa capitalistica e democratica.

L'integrazione della cultura ha portato anche l'integrazione del linguaggio: l'unificazione degli opposti tipica del ragionamento di chi controlla la massa rappresenta uno dei molti modi in cui il discorso si rende immune alla protesta e al rifiuto. Tale linguaggio è anticritico e antidialettico e dunque unidimensionale.


L'alternativa alla società industriale avanzata

Dopo aver analizzato a fondo la società di massa e le sue dinamiche, Marcuse si sofferma sul ruolo che la filosofia può avere in tale situazione.

Marcuse sostiene che la filosofia debba sovvertire i fatti e che il discorso filosofico debba essere diverso da quello ordinario.

La filosofia raggiunge il suo scopo, dunque, solo quando affranca il pensiero dal suo asservimento all'ordine stabilito progettandone alternative migliori.

Nella parte conclusiva dell'opera, dunque, il filosofo prova a fare proprio questo cercando di spezzare quel circolo vizioso che vedeva gli individui amministrati trarre la loro sensazione di libertà dalla loro alienazione.

Se all'origine la teoria critica mirava alla liberazione delle possibilità inerenti allo sviluppo, alla produttività ed ai bisogni materiali ed intellettuali, per Marcuse la liberazione di tali possibilità non è più concretizzabile. Nelle aree sovrasviluppate del consumo, infatti, è lo stesso popolo ad essere divenuto conservatore perdendo le sue potenzialità rivoluzionarie.

La speranza dunque è affidata da Marcuse ad un altro soggetto, che si trova al di sotto del popolo, ovvero "il sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli inabili. Essi sono rimasti al di fuori del processo democratico"[9].

L'unica soluzione è dunque il "Grande Rifiuto" alle dinamiche della società di massa.

La teoria critica della società è dunque esclusivamente negativa, ma non priva di speranze per il futuro.





H. Marcuse, L'uomo a una dimensione, cit., p.9

Ibidem, p.142

Ibidem, p.8

E. Arrigoni, L'uomo a una dimensione di Marcuse e l'alienazione dell'individuo nella società contemporanea secondo gli autori della scuola di Francoforte, cit., p.18

H. Marcuse, Repressive Tolerance in a Critique of Pure Tolerance, Beacon Press, Boston 1965

H. Marcuse, L'uomo a una dimensione, cit., p.13

Ibidem, p.14

Ibidem, p.31-32

Ibidem, p.265

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