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Tesina: "La questione meridionale"
BIBLIOGRAFIA
Premessa
"In questa tesi tratterò le problematiche sociali che hanno investito
in diverso modo i vari stati europei della seconda metà del XIX secolo.
In particolare, mi soffermerò sull' analisi sociale dell' Italia post-unitaria prendendo spunto anche dagli autori della nostra letteratura, i quali certamente sentivano vivo il problema. Questi problemi sono antichissimi e attuali allo stesso tempo. La legge della giungla si mostra con sembianze diverse anche nella nostra evoluta società.
Le Problematiche sociali
La morte di Cavour e la proclamazione del Regno d'Italia chiudevano il periodo storico del Risorgimento e ne aprivano un altro meno esaltante ma certamente difficile e decisivo; finito il tempo degli eroismi, bisognava costruire un nuovo stato, affrontare e risolvere una lunga serie di gravi problemi organizzativi, tra i quali quelli relativi alla scuola, ai tribunali, alle vie di comunicazione, ai pubblici uffici, alle tasse e così via.
Le difficoltà maggiori derivavano dal fatto che l'Italia era stata unificata da gruppi di persone piuttosto ristretti (studenti, professionisti, etc.) i quali per lo più non costituivano neppure l'intera classe borghese in quanto una parte di essa era rimasta pressoché indifferente ai contrasti e ai conflitti per l'unità. Pochissimi poi erano gli operai e i contadini che avevano personalmente partecipato alle lotte unitarie e possedevano una sia pur pallida idea del concetto di ' nazione' e di ' patria'.
L'Italia era ormai fatta, aveva raggiunto l'indipendenza e una parziale unità. Si trattava però piuttosto di una unità territoriale e non spirituale: espressione non già di tutto il popolo ma di una piccola parte di esso. L'Italia era stata unificata da gruppi di persone piuttosto ristretti (studenti e professionisti avanti a tutti), i quali non costituivano neppure l'intera classe borghese in quanto una parte di essa era rimasta pressoché indifferente ai contrasti e ai conflitti per l'unità. Pochissimi poi erano gli operai e i contadini che avevano personalmente partecipato alle lotte unitarie e possedevano una sia pur pallida idea del concetto di ' nazione' e di ' patria'. Ecco spiegato perché D'Azeglio affermasse che l'imperativo in quel momento fosse quello di fare gli Italiani, di dare loro uno spirito civico e una coscienza nazionale.
Problemi del Regno d'Italia |
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Politica estera |
Politica interna |
- occupazione di Roma |
- necessità di opere pubbliche |
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Dal 1848 la classe borghese assume sempre maggior peso ,il Regno di Piemonte e Sardegna grazie ad una avanzata politica interna, a proficui inserimenti nello scenario internazionale ed "avventurose iniziative garibaldine", diviene l'Italia unita.[1]
Con l'espressione di Massimo D'Azeglio si riconosceva anche il profondo distacco fra le diverse parti del paese: specie tra Nord e Sud la distanza era enorme. Sarebbe stato necessario, come aveva teorizzato Carlo Cattaneo, dar vita a una forma statale su base regionale, le cui funzioni di fondo fossero cioè lasciate alle regioni stesse: esse sole avrebbero potuto essere a conoscenza delle riforme necessarie nelle singole zone e nei limiti entro i quali andavano realizzate. In tale direzione premevano sia Cavour e i liberali moderati, sia, in maniera consistente, i mazziniani, mentre si mostravano decisamente contrari i conservatori più accaniti.
La scelta centralista. In tale disputa si fronteggiarono a lungo le due anime del Risorgimento Italiano: da una parte quella borghese, sempre pronta a scelte fatte da un ristretto numero di persone culturalmente ed economicamente predominanti, dall'altra quella democratica e popolare, vivacemente espressa da Mazzini e dai suoi seguaci. Rimase, alla fine, vincitrice la tendenza borghese e venne fuori, sul modello della Francia napoleonica, uno stato accentrato (piemontesizzazione) nel quale una schiera di funzionari, per lo più piemontesi, sarebbero stati distribuiti in una rete destinata a due scopi essenziali:
controllare la popolazione, nel senso di garantire l'ordine pubblico e garantire ogni manifestazione di assenso e ogni volontà di distacco dal nuovo e ancor fragile organismo statale;
trasmettere la volontà dello stato dall'alto dei suoi vertici fino all'ultimo degli abitanti.
Il Regno d'Italia venne così suddiviso in province, il cui prefetto veniva nominato dal governo. Le province a loro volta furono suddivise in comuni con a capo un sindaco, anch'egli nominato dal governo (solo a partire dalla fine dell'800 esso sarebbe stato eletto liberamente dai consiglieri comunali e quindi, in base all'ultima riforma della legge elettorale, direttamente dagli elettori del comune). I prefetti diventarono in pratica gli arbitri della vita locale e influenzarono le elezioni appoggiando - specialmente nel sud - i candidati favorevoli al governo. Inoltre al prefetto spettava la tutela dell'ordine pubblico, la disponibilità delle forze di sicurezza, la direzione degli organismi sanitari provinciali e, più in generale, il potere decisionale in tutti i settori cruciali della vita civile, dalla scuola ai lavori pubblici. La centralizzazione significò insomma che il governo, tramite il ministro dell'Interno o dei Lavori pubblici, aveva l'ultima parola in ogni minima questione locale. Una strada o una scuola non potevano essere costruite senza il suo consenso.
L'arretratezza economica. Con il 1861 l'unificazione del mercato nazionale, una delle condizioni essenziali per lo sviluppo capitalistico, era compiuta. Ma, come si legge in un rapporto sull'economia italiana redatto per il Foreign Office inglese:
'Al momento dell'unificazione, le industrie manifatturiere erano piccine e di importanza locale. Gli stabilimenti industriali si annidavano nelle vallate, dove si trovavano la forza motrice pronta e non costosa nei torrenti e nei fiumi che la traversavano. La manodopera era composta principalmente da contadini che spesso possedevano qualcosa di loro, i salari troppo bassi, gli scioperi sconosciuti'.
Il processo di industrializzazione procedeva a rilento per la limitata disponibilità di capitali offerti dalle banche ma soprattutto per la quasi totale assenza di ferro e carbone nel sottosuolo. A peggiorare la situazione contribuivano la mancanza di manodopera specializzata e le difficoltà per importare dall'estero macchine che costavano molto, mentre il poco denaro disponibile serviva per l'acquisto dei cereali.
L'Italia era un paese prevalentemente agricolo ma la grande proprietà terriera, specialmente nel sud, era largamente dominante e, nonostante le promesse, una seria riforma agraria non era nemmeno stata abbozzata. Di fronte ad una Europa occidentale decisamente avviata all'industrializzazione, l'Italia aveva un prodotto nazionale che per il 57% derivava dall'agricoltura, mentre un'industria in gran parte artigianale forniva solo il 20% del prodotto; il restante 12% della forza lavoro era impegnato nelle attività terziarie.
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Prodotto Nazionale Lordo |
Forza Lavoro |
agricoltura |
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industria |
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terziario |
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L'analfabetismo. Un altro fondamentale problema era quello relativo alla pubblica istruzione. Bisognava organizzare scuole e portare l'insegnamento elementare fra una popolazione che per il 78% era ancora costituita da analfabeti. Tale percentuale si elevava addirittura al 90% in certe regioni del Meridione e della Sicilia, ove i sovrani borbonici avevano deliberatamente lasciato le masse cittadine e rurali nell'ignoranza e nella superstizione, convinti come erano che 'solo se abbandonata in quelle condizioni la plebe obbedisce e non si mette grilli nel capo'.
Fin dal 1860 venne estesa a tutti i territori unificati la legge Casati: l'istruzione elementare, impartita gratuitamente per quattro anni, era distinta in due gradi, superiore ed inferiore, entrambi biennali, di cui soltanto il primo era obbligatorio. Erano gli asili che dovevano impartire l'istruzione elementare, ma allo stesso tempo erano considerati mezzi per la diffusione dei valori civili e patriottici.
Lingua e scuola. La scuola costituì un rimedio importante visto che l'italiano era sì la lingua ufficiale dell'Italia unita ma pochi la conoscevano, pochissimi la parlavano; ovunque prevalevano i dialetti. In dialetto poi non parlavano solo le classi popolari ma anche i ceti colti. Prima del 1860, in Piemonte si predicava in dialetto; il dialetto era d'uso nei salotti della borghesia e dell'aristocrazia milanese, a Venezia, il dialetto si affacciava e dominava perfino nelle orazioni politiche e giuridiche; anche a Napoli era d'uso normale nella corte. Il primo re d'Italia, Vittorio Emanuele, usava abitualmente il dialetto anche nelle riunioni con i suoi ministri; anche lo stesso Cavour aveva una conoscenza molto imperfetta dell'italiano e preferiva scrivere in francese. A diffondere la lingua comune contribuirono anche la burocrazia e la leva militare. Gli impiegati dello stato furono costretti, almeno in pubblico, negli uffici, ad abbandonare il dialetto di origine.
Esercito e leva obbligatoria. Suscitava anche grande malcontento il servizio militare obbligatorio, nel quale le popolazioni centro-meridionali vedevano non già un dovere verso la patria, bensì un atto di prepotenza dei nuovi venuti, un sacrificio che senza l'animo dei 'piemontesi' esse non avrebbero dovuto sopportare: in verità, la partenza di una giovane recluta recava spesso un danno economico alla famiglia povera, in quanto essa era privata per un lungo periodo del valido aiuto di due salde braccia.
Debito e finanza. Con la legge del 2 aprile 1865 venne successivamente realizzata l'unificazione legislativa, estendendo a tutto il regno il corpus giuridico piemontese, il 25 giugno dello stesso anno fu promulgato un codice civile unitario, ispirato a quello napoleonico. Va inoltre ricordato che il nuovo stato aveva ereditato la situazione finanziaria degli stati annessi, in sé e per sé quasi sempre disastrosa e per di più peggiorata dalle guerre e dai rivolgimenti degli ultimi anni. Ecco perché l'Italia, appena unita, si trovò a dover far fronte a rilevantissimi impegni finanziari senza possedere entrate sufficienti. Eppure tale situazione era destinata a peggiorare e a raggiungere nel giro di pochi anni livelli sempre più alti e preoccupanti. In più lo stato piemontese, specialmente sotto la guida di Cavour, aveva contratto debiti e aveva imposto ai sudditi forti tasse per pagarli, ma in compenso aveva creato le premesse per uno sviluppo economico di tipo di quello inglese e francese. L'unificazione significò forti tasse in tutto il paese (anche per pagare i debiti contratti durante la politica di guerra per l'unificazione d'Italia). Si trattò di imposte indirette, che cioè colpiscono i consumi e non i redditi, perché il Parlamento che le approvò e i governi che le decisero erano composti di rappresentati delle classi possidenti. Inoltre la situazione critica in cui l'economia italiana si trovava nel momento del suo inserimento nel mercato internazionale poneva l'esigenza di scelte drastiche: liberismo o protezionismo, sostegno all'industria o privilegiamento dell'agricoltura, sviluppo equilibrato Nord-Sud o primato delle aree più dinamiche, fiscalismo rigido o astensionismo statale in campo economico, sostegno alla domanda di mercato o prevalenza del risparmio e dell'investimento.
A complicare la situazione contribuiva il fatto che le varie regioni avevano pesi, misure e monete diversi, oltre che usi e costumi spesso contrastanti fra loro. Bisognava quindi ridurre a unità otto sistemi metrici e monetari diversi e fondere stati regionali da secoli strutturati in modo diverso ed amalgamare e avvicinare tradizioni, costumi morali, mentalità del tutto eterogenei tra loro.
Miseria e malattie. Anche dal punto di vista sanitario le cose lasciavano molto a desiderare. La miseria era causa di malattie particolari come la pellagra (dovuta a scarsezza di vitamine per un'alimentazione insufficiente a base di granoturco) e la malaria ( dovuta invece alla zanzara, diffusissima nelle regioni paludose della Maremma, delle Paludi Pontine, del Polesine, della Sardegna), o di malattie infettive quali il colera, che di tanto in tanto compariva e faceva strage fra la popolazione, e il tifo, diffuso per la scarsa igiene e per la mancanza di acquedotti specie nelle terre meridionali.
Il brigantaggio. I primi anni di vita dello stato unitario furono per il Mezzogiorno continentale anni di violente, disperate insurrezioni contadine e di una lunga e sanguinosa guerra per bande nelle campagne. Le classi dirigenti definirono subito tutto ciò, sprezzantemente, 'brigantaggio' e insistettero sullo stimolo e sul sostegno che ai 'briganti' veniva dalla corte pontificia e da quella borbonica in esilio. Era evidente che si voleva così confermare presso l'opinione pubblica internazionale ed europea la tesi che si trattasse solo di un fenomeno di criminalità comune, al quale non si poteva rispondere che con provvedimenti repressivi e che avrebbe potuto essere stroncato solo con la soluzione definitiva della questione romana.
Guerriglie e rivolte assunsero però proporzioni tali da mettere a dura prova il nuovo stato: l'influenza borbonica sul brigantaggio e sui fatti, che esso ebbe a determinare, fu comunque di scarso rilievo e limitata nel tempo. I contadini passarono all'azione provati soprattutto dalla loro estrema miseria, dalla delusione provata dopo l'arrivo di Garibaldi, da concrete, anche se spesso confuse, rivendicazioni sulla terra. La mancanza, in Italia, di un partito che sapesse interpretare aspirazioni ed esigenze li lasciò privi di direzione e di obbiettivi politici. In quella situazione di grande arretratezza economica e sociale i contadini non potevano che dare alla loro lotta e alla loro protesta la forma della rivolta anarchica e violenta, della guerriglia o, quanto meno, dell'appoggio all'attività delle bande.
Contro i 'briganti' il governo scatenò una repressione feroce. Ai delitti brutali commessi nel corso delle rivolte rispose con rappresaglie atroci, alla guerriglia con esecuzioni sommarie. Le garanzie statutarie furono di fatto sospese proprio su quella parte della nazione alla quale erano state da poco estese e per le popolazioni meridionali lo Stato significò solo tribunali militari, leggi speciali, prigione, stato di assedio permanente.
Fu una 'guerra' spietata - la prima dell'esercito italiano, e fu una guerra civile - fatta, più che di battaglie, di agguati e selvaggi combattimenti corpo a corpo, di stragi, di reati comuni e di vandalismi commessi da ambedue le parti..[2] Devastò l'economia di intere province, provocando la distruzione di decine di paesi e la morte di migliaia di uomini.
L'aspetto più interessante degli anni post-unitari è quello sociale. Declina l'aristocrazia e protagonista della vita italiana diviene la borghesia media, alla quale, specie nel centro nord, è dovuto l'inizio di un forte moto di progresso economico che porta al suo arricchimento e al rafforzamento della sua posizione nella società. Ciò in netto contrasto con le condizioni degli operai e dei contadini i quali soffrono spesso la fame e le bastonate: in Sicilia per esempio, dove anche nei mesi estivi per <<fare i tre tarì della giornata essi devono stare con la schiena curva 14 ore a lavorare la terra, col soprastante a cavallo dietro ,che li piglia a nerbate se fanno di rizzarsi un momento>> (G. Verga).
La necessità di affrontare seriamente i problemi sociali dei contadini e del proletariato in genere, si fa sempre più urgente, ma la questione sociale, cioè il costituirsi di un proletariato operaio e contadino, in rapporto con il costituirsi di un capitalismo industriale e agrario poneva una serie di problemi che era difficile risolvere; la mancata soluzione provocava tumulti, sommosse, la nascita di partiti e nuove ideologie quali il marxismo e l'anarchismo, che condizionavano la mentalità ed il comportamento di tutte le classi sociali e influenzavano tutti i settori culturali e letterari. In Italia la questione sociale era più marcata che altrove. L'Italia non era ancora un paese industriale, solo allora nascevano le prime forme di capitalismo industriale o agrario ma l'Italia usciva ora dalle battaglie risorgimentali cioè da una frantumazione politica che durava da più di un millennio, e che aveva impresso nelle regioni caratteri economici, sociali, culturali profondamente diversi. In Italia dunque la questione strettamente sociale si complicava con le differenze sociali ed economiche fra Nord e Sud, (La Questione meridionale)
Il problema sociale era fortemente sentito dal governo, ne è una prova il discorso pronunciato da Agostino Depretis nel 1882:
<<.. Un altro delicato argomento è quello che si vuole chiamare la questione sociale. E' un problema elevato, formidabile, urgente; riguarda le condizioni delle moltitudini che posseggono solo l'attitudine al lavoro. E' quella che chiamano in Germania e in Inghilterra questione operaia, e noi la dobbiamo chiamare la questione del proletariato o, a parlar più chiaro, la questione dei contadini e degli operai dei nostri opifici; di quei moltissimi che hanno il diritto cittadino, domestico, familiare e le libertà del lavoro, e i cui rapporti con gli abbienti, coi possessori delle terre, coi padroni dei capitali e degli strumenti del lavoro, non sono determinati che dalla libera concorrenza, cioè dal vantaggio che gli abbienti traggono dal concorso dei nullatenenti i quali, di riscontro, non hanno alcun mezzo per obbligare gli abbienti a valersi dl loro lavoro, quando possono farne senza [..] Siffatta questione , o signori non giova illudersi si impone e bisogna affrontarla [..]
Noi, signori abbiamo fatto quanto era in nostro potere e non mancheremo di continuare l'opera nostra per adempiere a questo obbligo di ogni governo civile, di accrescere sempre più, a favore del maggior numero, i vantaggi intellettuali, morali, materiali della convivenza civile.
.La pianta uomo, come la chiamava Alfieri non
è abbastanza ben allevata in molte parti d'Italia, non lo è come lo vorrebbero
la convenienza e l' utilità sociale: eppure è la più produttiva nel mondo!
Nelle città e nelle campagne intere famiglie vivono agglomerate in squallide tane;
ogni principio d'igiene è loro ignoto o impossibile; non buone acque potabili,
non aria sana, nessuna applicazione di quelle discipline che sono destinate a
diminuire la mortalità, e a far si che l'uomo cresca sano e robusto, secondo le
leggi della natura.>>
RIPERCUSSIONI DEI PROBLEMI SOCIALI NELLA LETTERATURA
Ritornando al quadro europeo, l' aristocrazia non detta più legge per quello che riguarda l'eleganza e il costume, nel complesso si sente una necessità di aderire alla realtà. I riflessi nella letteratura di questo stato sociale sono notevoli, in particolare l'aspirazione ad una letteratura "vera" e sociale[3], dove sociale significa però solo analisi della società contemporanea. Contribuiscono a divulgare questa tendenza il rafforzarsi della scienza e l'idealizzazione dello scienziato, per cui si pensava ad uno scrittore-scienziato in grado di analizzare fatti concreti con la giusta scientificità che non si limitasse ad inventare avvenimenti e uomini immaginari. Il letterato doveva escludere dalla sua opera l'influsso di ogni motivazione ideale o affettiva, soffermandosi su quella realtà che si può percepire con i 5 sensi . Il massimo esponente di questa tendenza letteraria, fu Giovanni Verga, il quale analizzò con obiettività scientifica la società (non tralasciando le sue problematiche).
"Chi meglio di Giovanni Verga dipinge fedelmente la società postrisorgimentale..?"
Proprio G. Verga affronta i temi tanto discussi della questione sociale. prendendo spunto anche dal progetto sociologico, ideologico e politico di Franchetti e Sonnino, esponenti della Destra Storica e professori universitari di sociologia.
Verga compare, sin dal primo numero, nell'elenco degli autori che collaborano all'iniziativa.dell' Inchiesta in Sicilia in "Rassegna settimanale".
Con questi strumenti etnologici e sociologici Verga cerca di ricostruire "in laboratorio" la realtà di un paese siciliano tipico, con le sue gerarchie e con le sue stratificazioni sociali, con i suoi riti e i suoi costumi. Compiuta tale operazione di "ricostruzione intellettuale" egli cala poi il paese così ricostruito in un paese reale. In poche parole Verga non muove dalla descrizione del paese reale, ma dalla costruzione di un paese modello che poi identifica in un paese vero ed esistente: il paesaggio siciliano da lui costruito non corrisponde in realtà a nessun paese siciliano ma è concreto in quanto il mondo ricostruito ha in se gli effettivi caratteri sociali ed etnologici di un paese siciliano intorno al 1870.
Il ciclo dei vinti è fondamentale nell'analisi sociale di quel periodo, in quanto si prefigge di analizzare con rigore scientifico la società del tempo, elevandosi dal livello più basso fin quello più alto. Egli vuole dimostrare che ascendendo gli scalini sociali, l'uomo si dimostra un "vinto" in ognuno di essi , cioè una vittima del progresso. Il progresso è paragonato ad una fiumana che avanza inesorabilmente. Esso procede attraverso la lotta per la vita e attraverso una selezione naturale :l'egoismo individuale è alle radici del progresso. Quest'egoismo provoca tutti i soprusi che stanno alla base della società moderna. Verga si prefigge dunque il compito di studiare questi soprusi e scorrettezze sociali, prefiggendosi il solo compito di documentare l'accaduto.
La prosa verghiana mette a chiare note in luce l'inconsistenza di quel mondo e fa emergere per contrasto tutta la serietà della misera condizione della plebe del sud, che in modo naturale rappresenta la realtà drammatica della vita, ove è legge fondamentale la lotta per la sopravvivenza, ove il pesce grosso divora il piccolo: un mondo questo in cui le reazioni umane derivano direttamente dall'istinto, sono per lo più dettate dai bisogni più immediati ed elementari, da motivi, che in termini sociologici si direbbero "economici", che sembrano espressione di egoismo e sono invece segni di una necessità non eludibile in alcun modo. E sono questi stessi motivi che tengono caparbiamente aggrappati alle scogliere del proprio mare i miseri pescatori siciliani e che li rendono così legati al loro nucleo familiare, in cui il "patto sociale" è semplificato nella norma del mutuo soccorso ed è amministrato dall'autorità del patriarca, del nonno, del "padron", che è il depositario dell'antica primordiale "scienza" umana trasmessasi, di generazione in generazione, attraverso i proverbi popolari. Questa solidarietà, che nasce pur sempre da un bisogno di protezione reciproca, assume la dimensione di moralità perché è regolata da rigide norme di comportamento ed è ispirata dalla subconscia paura di essere divorati da quel pesce vorace che è il mondo esterno dove incombe il progresso. L'ideale dell'ostrica che accomuna gli "umili" del Verga non nasce in loro da una conquista del pensiero, da una speculazione filosofica di alto livello, non è frutto di una libera scelta: è una necessità dettata da una caparbia volontà di sopravvivere e fronteggiata da un istintivo buon senso.
Le opere di Verga danno appunto la rappresentazione della drammatica esistenza degli "umili" e saranno espressione di un pessimismo cupo, non riscattato da alcuna visione di vita ultraterrena, non confortato da alcuna fede religiosa, da alcuna speranza di redenzione: un pessimismo sofferto nel segno della pietà verso un mondo di diseredati che rappresentano l'aspetto più autentico dell'esistenza umana, che sono soggetti ad una "fatalità" che li costringe al ruolo di "vinti", la cui dignità è salvata solo dall'eroica caparbietà di tirare "la vita coi denti più a lungo che potranno" e da quella sorta di "religione del focolare domestico" che li tiene uniti.
Oltre al tema economico e dell'esclusione, vi è la consapevolezza del cieco destino umano e dell'impotenza dell'uomo di fronte alla realtà dura dell'esistenza.
GIOVANNI VERGA
Cenni biografici
Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840,da famiglia nobile e agiata.
Lasciati gli studi di legge per entrare,nel 1861, nella Guardia Nazionale, manifesta fin da giovane un grande interesseper la letteratura, pubblicando a soli 22 anni il romanzo storico I carbonaridella montagna. Già in quest'opera è visibile l'ardore patriottico dell'autore,e il suo impegno politico per l'annessione della Sicilia al Regno d'Italia;questi si fanno più evidenti con il secondo romanzo, Sulle lagune (1863) e conla fondazione del giornale Roma degli Italiani.
Nel 1865 si trasferisce a Firenze,pubblicando i romanzi Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871),quest'ultimo di grande successo.
Si sposta poi a Milano, dove entra in contattocon scrittori digrosso calibro; pubblica i romanzi Eva e Tigre reale (1874),Eros (1875) e la raccolta Primavera e altri racconti (1876).
In una lettera del 1878 espone il suoprogetto di un ciclo di romanzi, il cui comune denominatore sarebbe dovutoessere la teoria evoluzionistica darwiniana e il cui modello i romanzi di Zola,dal titolo'I vinti'.
Nel 1880 esce la raccolta di novelle Vitadei campi; l'anno successivo il primo romanzo del ciclo dei vinti e il suocapolavoro, I Malavoglia; nel 1882 il romanzo Il marito di Elena; nel 1883 leraccolte di novelle Per le vie e Novelle rusticane.
Nel 1884 ha la soddisfazione di vederrappresentata in teatro una sua novella contenuta in Vita dei campi, laCavalleria rusticana.
Nel 1888 esce il secondo romanzo delciclo dei vinti, il Mastro don Gesualdo.
Raggiunta l'agiatezza economica e latranquillità sentimentale, dopo alcune relazioni amorose, nel 1894 si ritira aCatania e pubblica ancora una raccolta di novelle, Don Candeloro; nel 1903 esceil dramma Dal tuo al mio, nel 1911 inizia il terzo romanzo del ciclo, Laduchessa di Leyra, che però rimane fermo al primo capitolo.
Nel 1920 è solennemente festeggiato aRoma e a Catania in occasione del suo ottantesimo compleanno: le onoranze hannoil loro coronamento nella nomina a senatore il 3 ottobre.
Muore a Catania il 27gennaio 1922, colto da una paralisicerebrale.
Lo stile le tecniche e i temi verghiani
Per riprodurre la società nel modo più 'vero', Verga la osserva scrupolosamente, studiando l'ambiente fisico ed il dialetto, documentandosi sui mestieri e sulle tradizioni; inoltre usa uno stile impersonale in modo che il lettore si trovi - come dice lui stesso - «faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo fra le linee del libro attraverso la lente dello scrittore». Così sembra che i personaggi e le vicende si presentino da sé, e chi legge ha l'impressione di essere messo a diretto confronto con la realtà di cui si parla.
Per ottenere l'impersonalità Verga adotta il punto di vista della gente, di chi fa parte dell'ambiente che sta descrivendo, evita cioè di esprimere il suo personale giudizio e i suoi sentimenti. E per rendere ancora più vera e impersonale la rappresentazione, lo scrittore costruisce una lingua nuova: è la lingua nazionale (non usa il dialetto siciliano perché vuole che le sue opere siano lette in tutta l'Italia) arricchita di termini di origine dialettale, di modi di dire e proverbi, di una sintassi modellata sul ritmo della lingua parlata dal popolo.
I temi: sociali e politici.
I temi ripresi da G. Verga sono perlopiù temi "sociali", dove si parla di ingiustizie, soprusi, ineluttabilità del destino. Verga però si limita solo a raccontare i fatti senza intromettersi mai nel discorso per pronunciare la propria opinione, egli narra sempre con l'oggettività di uno scienziato.
Ma il suo linguaggio verista, le espressioni, le descrizioni violente, anche senza un giudizio esplicito dell'autore sono una chiara manifestazione della visione "populista" del Verga. La massa presa per fame è violenta come è violento il padrone[5] .
Verga legge a fondo le contraddizioni fra la forma dello stato e le reali condizioni del Sud Italia.
Fra le problematiche sociali più sentite da Verga, vi è quello dell'esclusione dalla società. Ad esempio in Rosso Malpelo, la storia di un ragazzo che vive in una cava di pietra, un emarginato della società, costretto dalla miseria a lavorar duramente, che si è inasprito e incattivito dalla durezza delle condizioni di vita e di lavoro della miniera divenuto selvatico e scontroso per il contatto con persone anch'esse ignoranti e incivili. Il tema dell'esclusione si sovrappone a quello economico: il più povero è anche il più emarginato. Il padre di Malpelo per un fatale destino era morto nella cava per la misera somma di 35 tarì. Oltre al tema economico e dell'esclusione, vi è la consapevolezza del cieco destino umano e dell'impotenza dell'uomo di fronte alla realtà dura dell'esistenza. Con questa novella il Verga ci fa capire la tragica e desolata situazione sociale dell'Italia meridionale alla fine del XIX secolo. Il tema del diverso, dell'escluso, dell'emarginato ha un netto rilievo nell'arte di Verga, dalla protagonista di Storia di una capinera e da Nedda a Rosso Malpelo sino a 'Ntoni Malavoglia. In Rosso Malpelo il diverso è anche il capro espriatorio della società, colui contro cui è lecita la violenza altrimenti interdetta nel corpo sociale. Si spiega anche così la malsana curiosità di Rosso per l'evaso e per la prigione, luogo deputato dell'esclusione sociale. L'esclusione dalla società è rappresentata anche nel ciclo dei vinti e anche "L'uomo di lusso" sarebbe stato un escluso dalla società e vittima del progresso.
I temi politici
Altro tema ripreso da Verga è il tema prettamente politico-sociale, idealizzato però quasi solo nella prima parte della sua vita. Nella novella "Libertà" Verga documenta i fatti accaduti durante la Spedizione dei Mille, a Bronte dove accadde il famoso eccidio. Anche se qui l'impersonalità di Verga è comunque presente, egli non tralascia quel sentimento per l'ottica risorgimentale e la sua ideologia politica. La novella insiste sull'assurdità delle rivoluzioni e sull'impossibilità di cambiar stato, sostanzialmente inutili, perché ciascuno mira al proprio tornaconto personale. L'ideologia politica di Verga insieme alla teoria del "Darwinismo sociale" spiegano al meglio la condizione di lotta sociale. Nel materialismo naturalistico di Verga non esiste un'idea di storia come "progresso" e neppure come sviluppo determinato dal conflitto di classe: esiste solo la lotta di individui che mirano alla sopraffazione reciproca. In essa non c'è spazio per la solidarietà di classe perché ciascuno è irrimediabilmente prigioniero del proprio egoismo.
Il gradino piu' basso della societa' : i Malavoglia
Trama:
Levicende si svolgono nei primi anni
dell'unità d'Italia, tra il 1863 ed il1876ad Acitrezza. Il centro di tutto è
una barca da pesca: la tartana dei Malavogliachiamata 'Provvidenza'.
La 'Provvidenza' è la barca più vecchia del villaggio,ma aveva il
nome di buon augurio. Era anche essa una persona nella famigliaesemplare dei
Malavoglia, la più onesta e compatta del paese.
Intorno al grantronco, il nonno Padron 'Ntoni, testa della casa, si stringono
altre settepersone appartenenti a tre generazioni. Padron 'Ntoni e la
Provvidenza sono idue poli di quel mondo domestico. Quando il maggiore dei nipoti,
'Ntoni, è toltoal lavoro per la leva di mare, il nonno tenta un affare, compra
a credito unagrossa partita di lupini, li carica sulla barca e li affida al
figlioBastianazzo perché li vada a vendere a Riposto. La barca di notte
naufraga,Bastianazzo annega, i lupini sono perduti. La 'Provvidenza'
è gettata inutilesulla spiaggia. A Padron 'Ntoni rimane il debito dei lupini.
Dopo
quella sciagura, tutto sembra accanirsi contro iToscano-Malavoglia: Luca, il
secondo dei nipoti, muore nella battaglia di Lissa;Maruzza, la nuora, muore nel
colera del '67. Il debito dei lupini si mangia lacasa, la cara «casa del
nespolo» che era l'orgoglio, la ragione di vita delvecchio; e già il debito
aveva impedito le nozze della nipote, la Mena, creaturadi silenzio e sacrificio.
Non è finita: un nuovo naufragio della 'Provvidenza'rattoppata lascia
Padron 'Ntoni inabile al lavoro. Il primogenito 'Ntoni, che daquando ha fatto
servizio militare in continente non si rassegna alla miseria deipescatori, si
dà al contrabbando e finisce in galera dopo aver ferito undoganiere. Lia, la
sorella minore, abbandona il paese e non torna più. Menadovrà rinunciare a
sposarsi con compare Alfio e rimarrà in casa ad accudire ifigli di Alessi, il
minore dei fratelli, che continuando a fare il pescatore,ricostruirà la
famiglia e potrà ricomprare la «casa del nespolo» che era statavenduta.
Quando 'Ntoni, uscito di prigione, torna al paese, si rende conto dinon poter
restare perché si sente indegno del focolare domestico di cui haprofanato le
leggi e la sacralità.
E' il primo romanzo del 'Ciclo dei vinti' rimasto incompiuto, in cui lo scrittore manifesta la sua visione amara della vita. Il romanzo narra le disavventure di una famiglia umile di pescatori di Acitrezza (Catania) che cerca di migliorare le sue condizioni economiche. «I Malavoglia» raccontano la storia amara di una sconfitta nella quale si esprime il pessimismo radicale di Verga. Non c'è speranza di cambiamento per gli oppressi, soggetti ad una legge di natura, quella della vittoria del più forte e della selezione naturale, che essi non possono controllare. E questa condizione degli umili diventa emblematica di quella dell'intera umanità. L'unico valore positivo che si afferma nel mondo verghiano è quello della dignità umile ed eroica con cui l'uomo sopporta il proprio destino, rinunciando a inutili ribellioni.
Nei Malavoglia si scontrano due concezioni della vita: la concezione di chi, come padron 'Ntoni si sente legato alla tradizione e riconosce la saggezza dei valori antichi come il culto della famiglia, il senso dell'onore, la dedizione al lavoro, la rassegnazione al proprio stato; e la concezione di chi, come il nipote 'Ntoni, si ribella all'immobilismo dell'ambiente in cui vive, ne rifiuta i valori ed aspira ad uscirne con il miraggio di una vita diversa.
La simpatia latente del Verga è per padron 'Ntoni e per il
nipote Alessi, che ne riproduce il carattere e ricostruisce il focolare
domestico andato distrutto.
Attorno alle vicende dei Malavoglia brulica la gente del paese che partecipa
coralmente ad esse con commenti ora comprensivi e pietosi, ora ironici e
maligni. Lo stesso Verga narratore sembra essere uno del posto che racconta e
commenta col distacco impassibile del cronista, vale a dire di un anonimo
narratore orale; da ciò nasce l'impressione di un Verga narratore camaleontico,
che assume di volta in volta la maschera e l'opinione di tutti coloro che
entrano in scena.
Anche il paesaggio partecipa alla coralità della narrazione, ora quasi compiangendo, ora restando indifferente alla sorte degli uomini.
Per quanto riguarda la lingua, il Verga
accettò, per sua stessa confessione, l'ideale manzoniano di una lingua
semplice, chiara, antiletteraria. Egli riuscì a creare una prosa parlata,
fresca, viva, popolare, che riproduce, nella sintassi e nel lessico, il
dialetto siciliano.
Nei Malavoglia è rigorosamente applicato il canone dell'imparzialità e
dell'obiettività. Nella prefazione al romanzo, Verga sottolinea come lo
scrittore di fronte alla propria storia non abbia il diritto di giudicare, ma
solo di tirarsi fuori dal campo della lotta per 'studiarla senza
passione'.
Nella pratica poetica quest'idea si traduce in una tecnica di grandissima
originalità.
Abbondano i discorsi indiretti liberi, cioè gli interventi dei personaggi non
mediati attraverso la elaborazione del narratore. Anche le parti connettive del
romanzo non lasciano mai trasparire la sovrapposizione dell'autore e sembrano
uscire dalla bocca di un anonimo paesano, che sia come un portavoce dell'intera
comunità di Acitrezza.
Per rafforzare questo effetto Verga si avvale di un discorso indiretto e di
altre tecniche[6]
tutte le volte che ha bisogno, nel descrivere fatti e luoghi, di far risuonare
i modi tipici del linguaggio popolare e di identificarsi con il pensiero della
gente del posto. Inoltre utilizza più di 150 proverbi che esprimono in modo
pittoresco la mentalità dell'ambiente sociale rappresentato.
Gli Elementi e i Temi:
La presenza di un folla di personaggi tra i quali non emerge un protagonista singolo, a sottolineare un tipo di organizzazione sociale semplice ancora basato sulla famiglia patriarcale;
Il desiderio di star meglio che spinge padron 'Ntoni a tentare l'affare dei lupini e il giovane 'Ntoni a cercare fortuna lontano: tentativi entrambi falliti di uscire dalla condizione assegnata dal destino;
La brutalità della lotta per la sopravvivenza, dominata da un'ineluttabile legge economica;
La religione della famiglia, l'attaccamento al focolare e agli affetti, unica difesa possibile contro l'avidità del mondo, a patto che si accontenti di quello che si ha;
5) L'impossibilità di staccarsi dal proprio ambiente e dalla propria condizione, pena: la rovina.
Un gradino piu' in alto nella societa': Mastro don Gesualdo
Mastro-don Gesualdo: è il secondo romanzo del 'Ciclo dei Vinti', che doveva comporsi di cinque romanzi; in realtà l'autore si limitò ai primi due pensando di aver già dimostrato in essi la tesi che si era proposto: l'uomo, qualunque sia la sua posizione nella vita, è un vinto della vita stessa e deve sottomettersi al destino.
Sul piano sociale il romanzo rappresenta la borghesia in ascesa di nuova formazione, avida e ambiziosa simboleggiata da Mastro-don Gesualdo, e le vecchie aristocrazie in declino, simboleggiate dai Trao.
Mastro-don Gesualdo doveva rappresentare il momento in cui, soddisfatti i bisogni materiali, la ricerca del meglio "di cui l'uomo è travagliato" diviene avidità di ricchezza. In realtà nella vicenda del romanzo, nella dura vita e nel triste destino del personaggio che ne domina l'azione e l'atmosfera, questa avidità va intesa in un senso più vasto e anche più nobile di quel che l'espressione lasci intendere nel suo significato letterale: e cioè come ricerca di un benessere economico che conseguito attraverso fatiche e sacrifici, diviene desiderio di elevazione sociale.
L'elevazione è però combattuta dalle dure leggi del darwinismo sociale, infatti questa ascesa della scala sociale è impossibile in quanto "don" Gesualdo rimarrà comunque anche "Mastro"
Mastro-don Gesualdo è un uomo senza riposo, sempre attento a custodire i suoi beni e i suoi affari, morso dal cruccio interno della coscienza che ha del proprio fallimento familiare e sociale.
Il mito del progresso e dell'innalzamento delle nuove classi, tanto spesso sbandierato dalla cultura del positivismo, è sottoposto ad una critica assai più radicale che nei Malavoglia, e tutto ciò mentre anche i privilegi e le tradizioni dell'ordine antico sono osservati con occhio lucido, senza alcuna indulgenza.
Nel Mastro lo scrittore, pur mantenendo la sua fedeltà al metodo impersonale e obiettivo, è indotto dalla maggiore complessità dei temi e dal maggiore approfondimento psicologici dei personaggi a usare soluzioni di linguaggio meno audacemente innovative rispetto ai Malavoglia.
La lingua è quella d'uso comune, ma non propriamente popolare.
Come la filosofia si preoccupa dei problemi sociali
Premessa: In Europa, il problema dell'industrializzazione sulla classe operaia.
Durante gli ultimi decenni del XVIII secolo e la prima metà del XIX ebbe luogo la cosiddetta "rivoluzione industriale", provocata dall'impiego di nuove fonti di energia, dall'invenzione delle prime macchine industriali e, conseguentemente, dalla radicale trasformazione dei metodi di produzione. Questo cambiamento iniziato in Inghilterra, era destinato a sconvolgere, nel campo economico e sociale, tutte le vecchie abitudini, a modificare i rapporti tra imprenditori e lavoratori. Prime ad affermarsi furono le industrie tessili, ma in seguito, a causa della crescente richiesta di macchinari, importantissima divenne l'industria meccanica e siderurgica; l'industria estrattiva ebbe di conseguenza un enorme incremento.
Le nuove macchine rivoluzionarono anche il campo dei mezzi di trasporto:
nel 1807 lo statunitense Fulton costruì la prima imbarcazione a vapore; nel 1814 l'inglese Stephenson applicò la macchina a vapore a una locomotiva.
Intanto in Italia....
Contrariamente a quanto succedeva in Inghilterra, in Italia l'agricoltura rimase l'attività' prevalente, mentre assai meno favorita fu l'industria, fatta eccezione per quella tessile del nord.
In Italia, negli anni 1870-80 numerose inchieste misero in luce l'arretratezza del tessuto economico sociale del paese e lo stato di miseria della maggioranza della popolazione: l'inchiesta industriale del 1870-1874 le analisi della questione meridionale condotte da Franchetti e Sonnino, l'inchiesta agraria diretta da Stefano Iacini, una controinchiesta promossa dal medico radicale Agostino Bertani. Questo materiale può apparire lontano o sembra coinvolgere solo estreme zone d'Italia ma basterebbe trascorrere un'ora scorrendo le schede dell'archivio di Stato a Sant'Ivo alla Sapienza in Roma per scoprire la diffusione di questi fenomeni trovando documenti che riguardano i nostri comuni, personaggi locali perfino dei nostri monti Cimini. Contestualmente nello stesso archivio troviamo numeroso materiale che riguarda studi sul miglioramento delle tecniche di conduzione agraria e anche progetti per il miglioramento della produzione artigianato industriale (qui la forza motrice non è il vapore ma la turbina ad acqua) come le "Ferriere di Ronciglione".
Le prime organizzazioni affermatesi nel mondo del lavoro erano state società di mutuo soccorso a carattere paternalistico. Dopo l'unificazione si erano diffusi orientamenti mazziniani che spingevano le tensioni sociali in senso repubblicano. Un' immagine destinata ad avere grande fortuna come quella dell'internazionale "Sole dell'avvenire" si dovette a Garibaldi.
<<Ciò permette di comprendere quella che è stata considerata una particolarità della storia del movimento operaio italiano, e cioè il fatto che le idee socialiste vi si diffondessero prima dell'industrializzazione e della formazione di un moderno proletariato di fabbrica. Gli "operai" erano perlopiù artigiani e lavoratori manuali non inseriti in strutture produttive capitalistiche, che spesso alternavano queste occupazioni con il lavoro agricolo>>.
Questo sforzo di miglioramento della produzione che già si avvertiva all'inizio dell' 800, in Italia investe prevalentemente il settore agricolo, ed è per questo che ho citato Ronciglione che solo 50 anni prima del periodo che esaminiamo era il più grosso centro di produzione industriale metallurgica paragonabile alle attuali acciaierie Terni, ma che aveva come fonte di energia non la macchina a vapore ma energia potenziale ottenuta con la caduta dell'acqua.
Allo stesso modo forse in Italia con difficoltà possiamo ritrovare all'epoca dei centri ad alta densità demografica e con situazioni di vita abnormi (i letti all'interno di una famiglia composta da tutte persone anche bambini che lavorano in fabbrica, non hanno il tempo di raffreddarsi).
Negli anni 80 la diffusione del socialismo e il proliferare dei partiti operai, l'inizio della penetrazione del socialismo tra i contadini in Italia rappresentavano un ulteriore attacco all'influenza che la Chiesa poteva esercitare nella società contemporanea. Con l'enciclica Rerum Novarum del 1891Leone XIII prese posizione nei confronti della questione sociale. La dottrina esposta da Leone XIII accoglie le esigenze del movimento operaio ma respinge la soluzione socialista rifiutando la concezione di lotta di classe.
Questa realtà sociale è studiata dagli economisti che hanno preceduto le analisi poi politiche e filosofiche di autori come Karl Marx.
In Inghilterra e poi in tutta Europa la rivoluzione industriale ebbe gravi ripercussioni sociali; i progressi dell'agricoltura e l'aumento demografico provocarono una forte emigrazione verso i nuovi centri industriali. Questi lavoratori, che per l'eccesso di manodopera vivevano nella paura della disoccupazione ed erano costretti ad accettare inumane condizioni di lavoro,
costituirono una nuova classe sociale cui fu dato il nome di proletariato. Fin dai primi decenni dell'800, fremiti di ribellione cominciarono a scuotere le masse operaie e la "questione sociale" si impose in tutta la sua gravità. Agli sforzi del proletariato di organizzarsi per difendere i loro diritti
vennero incontro i primi assertori del socialismo. In Inghilterra, Robert Owen introdusse per primo nelle sue fabbriche innovazioni igieniche e sanitarie e mise in atto importanti esperimenti di collaborazione tra padroni e operai; alla sua azione sociale fece riscontro sul piano politico il "movimento cartista".
Marx, fa amare considerazioni di quanto è successo nel 1848:<< Il proletariato parigino era stato costretto all'insurrezione di Giugno dalla Borghesia. In ciò era già contenuta la sua condanna [.] il miglioramento della sua situazione [.] era l'utopia dentro la repubblica borghese.>>
Questa realtà sociale è studiata dagli economisti che hanno preceduto le analisi poi politiche, filosofiche di autori come Karl Marx.
Anche Thomas Malthus, un economista inglese aveva considerato in modo catastrofico lo squilibrio tra il rapido aumento demografico e l'andamento della produzione di beni alimentari. Egli indicò le cause dalle quali deriva il disagio sociale: ogni specie di esseri viventi tende ad accrescersi secondo una progressione aritmetica (2,4,6,8..) mentre l'aumento della popolazione seguirebbe una progressione geometrica (2,4,8,16..). Finché i mezzi di sussistenza sono esuberanti, la popolazione aumenterebbe rapidamente seguendo la seconda progressione: a un certo punto la relativa lentezza nella progressione delle sussistenze farebbe sorgere "una lotta per l'esistenza". Malthus pensa in un primo momento a mezzi repressivi, come le carestie, le guerre, le epidemie. Invece, in un secondo momento, propone mezzi preventivi, e in particolare l'educazione degli uomini al dominio sugli istinti sessuali, con una limitazione dei matrimoni e delle nascite, soprattutto da parte dei poveri.
Le leggi inglesi sull'assistenza ai poveri, diminuendo la malnutrizione e la mortalità infantile, impediscono l'azione naturale degli ostacoli repressivi all'incremento demografico. Malthus chiede perciò l'abolizione di alcune di queste leggi.
Come lui anche le analisi di Smith e di Ricardo vogliono prospettare una soluzione positiva per la crescita di questa "nuova" società ognuno evidenzia un problema e da una diversa soluzione per la ricchezza delle nazioni studiando il salario, la rendita, il profitto tra fattori della produzione : natura (fisiocratici) lavoro (classici) ed accumulazione di capitale.
Il movimento del "socialismo utopistico" ebbe come punto di partenza l'accettazione della rivoluzione industriale e l'analisi dei complessi problemi che ne derivavano. Per la loro soluzione, i primi socialisti furono portati a proporre, più che una linea di lotta politica e sociale, una nuova morale,umanitaria, diversa da quella puramente utilitaria e individualistica della borghesia; mentre il socialismo scientifico giungeva ad ipotizzare il superamento del sistema capitalistico ipotizzando una nuova società. .
Questa analisi viene sviluppata in modo originale da K. Marx il quale introdusse il materialismo storico[7] ipotizzando una società che fosse il risultato dell'opera e dell'attività della classe lavoratrice organizzata e giunta alla dittatura del proletariato, società regolata economicamente con nuove regole (pianificazione).
Karl Marx fu l'uomo che, con il suo pensiero e la sua azione, fece coscienti le masse lavoratrici della loro forza e degli obiettivi che dovevano raggiungere egli cercò di spiegare scientificamente le leggi che regolano lo sviluppo della società. Analizziamo ora in maniera un po' più approfondita il pensiero di K. Marx.
KARL MARX
Dice Marx: << Gli uomini per vivere devono anzitutto mangiare, bere vestirsi, abitare, quindi, il
rapporto originario sul quale si costituisce la coscienza è il rapporto che nasce dall'azione materiale per produrre i beni necessari alla vita, cioè il rapporto economico.>> La base reale della coscienza è l'economia; l'uomo è ciò che produce.
In ogni periodo della storia, i beni si producono e si distribuiscono in un dato modo, che è quindi il modo di produzione. Il "modo di produzione" e distribuzione dei beni prodotti crea determinati rapporti economici fra gli uomini e l'insieme di questi rapporti è ciò che si chiama struttura economica della società. Siccome la struttura economica è la base di tutto il resto, tutto il resto è il modo in cui essa si esprime: Diritto e politica sono le soprastrutture o epifenomeni. Morale, religione, filosofia, arte sono le ideologie, cioè il modo di sentire e di pensare (la coscienza) in cui si esprime una determinata struttura sociale. In questa dottrina, quindi, arte, morale, religione e filosofia non hanno una loro propria storia ma assieme al diritto e alla politica hanno la storia della struttura economica, che è a base di esse. La priorità della struttura economica non significa che il movente economico sia l'unica causa determinante delle soprastrutture e delle ideologie, ma significa che ne è la prima e fondamentale causa.
Non soltanto il fattore economico non è l'unico fattore determinante delle soprastrutture e delle ideologie, ma queste, una volta consolidatesi, hanno la capacità di reagire sulla situazione che le ha generate, facendosi de determinate a determinanti. Siccome questa dottrina spiega la storia umana, mediante l'azione materiale di produzione dei beni economici, è detta materialismo storico in contrapposizione all'idealismo che la spiega come estrinsecazione dell'Idea. E siccome "materia" non è la corporeità del materialismo tradizionale ma è l'azione umana, e questa si realizza secondo la dialettica hegeliana rovesciata, questo materialismo è detto materialismo dialettico per distinguerlo dal materialismo tradizionale.
Il materialismo storico, contro il "materialismo tradizionale" che riduce l'uomo e la sua storia ad un meccanico e necessario prodotto dell'ambiente, afferma il valore dell'iniziativa dell'uomo che pur essendo figlio del suo ambiente e del suo tempo, è capace di agire su di esso per trasformarlo.
Se, dice Marx rivolgendosi ai liberali della Sinistra, la storia fosse l'estrinsecarsi dell'Idea e quindi fosse intrinsecamente razionalità per trasformarla basterebbe criticarla, perché un errore scoperto è un errore superato.
Siccome, invece, essa è il prodotto della concreta azione umana la sola critica efficace è l'azione rivoluzionaria. Quindi la filosofia dell'uomo non può essere che una filosofia dell'azione, una "filosofia della prassi", una interpretazione che sia anche impegno di trasformazione, un'attività critico-pratica; e il materialismo storico vuole essere proprio questo, perché intende non soltanto interpretare il mondo ma interpretandolo vuole trasformarlo.
Le fasi storicamente accertate del processo dialettico sono: la comunità primitiva, il regime schiavista, il regime feudale e il regime borghese. Esse sono precedute dal periodo dell' "orda primitiva" (gruppo di poche persone, che vive spostandosi di luogo in luogo e cibandosi di ciò che trova), periodo in cui non vi sono ancora veri e propri rapporti di produzione, perché l'unico strumento di produzione è la mano, e questa non è un mezzo di produzione ma di appropriazione dei beni. Quando per produrre i beni è necessario riunire le forze di ciascuno e affidare a ciascuno un determinato lavoro il modo di produzione si fa collettivo e nasce la comunità primitiva. In essa, come è collettivo il modo di produzione, collettivo è il modo di distribuzione della ricchezza: assieme si batte la preda e assieme la si consuma.
A questa struttura economica corrisponde una struttura sociale e politica fondata sull'eguaglianza: ognuno dà a seconda delle sue capacità e riceve secondo i suoi bisogni, e la comunità si governa mediante l'assemblea dei membri, presieduta dai più anziani e dagli esperti. In questo stadio della storia dell'umanità non vi sono quindi classi sociali.
Il passaggio dalla comunità primitiva al regime schiavista avviene a causa delle guerre fra le diverse comunità: i vinti vengono asserviti e i loro beni passano ai vincitori; nasce la proprietà privata e la società senza classi cede il posto alla società divisa in padroni da una parte e schiava dall'altra.
Ora chi ha è soggetto di diritto chi non ha non può esserlo.
Il diritto fondato sulla proprietà privata deve essere mantenuto e difeso con la forza. Questa forza è lo STATO, che sorge, quindi, come strumento di una classe su un'altra classe. A questa non rimangono che le catene e la speranza di un aiuto soprannaturale. Questa speranza si esprime in "culti proibiti" dallo stato che parlano di un "liberatore" che dovrà salvare l'uomo, "pagando il prezzo del riscatto". Sorge il Cristianesimo.
Nel regime feudale il modo della produzione continua ad essere individuale ed individuale continua ad essere la distribuzione della ricchezza. Ma il padrone ha capito che la terra rende di più se si da al contadino l'uso personale di un pezzo di terreno e la proprietà di una parte del prodotto che rimane dopo che il padrone è stato soddisfatto. Così lo schiavo viene "liberato" e viene trasformato in servo. Esso ora non appartiene più al padrone ma appartiene alla terra nella quale lavora, e solo con questa può essere venduto o comprato (Servitù della gleba).
In questo periodo esiste una libertà privilegiata, nel senso che alcuni servi ricevono dal loro signore dei privilegi, delle immunità, dei diritti.
Segue al regime feudale quello borghese. Questo è il periodo in cui il modo di produzione della ricchezza, da individuale che era si va facendo collettivo, ma rimane individuale il modo di produzione. Prima infatti, il prodotto, frutto dell'opera di un artigiano, era naturale che restasse proprietà di uno; ora che esso, è diventato opera della collettività, è naturale che appartenga alla collettività. Tale contraddizione e la sua necessaria soluzione sono esaminate da Marx nel "CAPITALE" Egli analizza quindi il materialismo storico.
Lavoro e valore: Si intende per merce ciò che soddisfa ad un bisogno ma non si può scambiare, ha soltanto un valore di uso. Perché lo scambio avvenga correttamente è necessaria che fra le due merci ci sia equivalenza. Il criterio con cui si stabilisce ciò deve essere fondato sul valore delle merci, e siccome tutte le merci hanno la quantità di lavoro necessario per produrle , il valore della merce dipende dal lavoro necessario per produrle (lavoro contenuto). Dunque VALORE = LAVORO. Nella società borghese però questa legge d'uguaglianza non è rispettata ma vale la legge LAVORO > VALORE , si parla dunque di produzione capitalista. Questa è la teoria del plus-valore, cioè la differenza fra il valore del lavoro e il valore pagato. Questo plus-lavoro cioè lavoro non pagato è un furto, denaro rubato, ciò su cui si basa l'economia capitalista. Il sorgere dell'economia capitalista è l'esistenza del proletariato, il quale poiché nullatenente non può far altro che vendere se stesso e divenire "merce".
Queste due classi sociali, (Borghesia e proletariato) essendo nate assieme, non possono far altro che morire assieme. Quando il salario non sarà più sufficiente a mantenere il proletario allora questo non produrrà più abbastanza e non producendo non produrrà più capitale.
Alienazione: Marx considera l'alienazione come una scissione dell'uomo dal vero sé stesso e di un suo sottomettersi a quest'ultimo (cosa non coscienziale, come per Feuerbach, ma reale): il lavoratore è alienato rispetto al prodotto, che produce ma che non gli appartiene; è alienato rispetto alla sua attività, considerata come un obbligo per conto terzi (il profitto del capitalista); è alienato rispetto alla sua essenza, che lo porterebbe ad un lavoro libero, creativo e universale e non ad uno forzato, ripetitivo ed unilaterale; è alienato rispetto al prossimo, identificato con il capitalista che lo sfrutta, portando così l'umanità ad un rapporto conflittuale. Tale alienazione è causata dalla proprietà privata e potrà quindi essere superata solo con l'attuazione del comunismo (la storia è quindi vista, come in Hegel, come perdita e successiva riconquista della propria essenza). E' dunque un pensiero fortemente dipendente da Hegel, che però Marx critica perché ha considerato il processo di alienazione e disalienazione in senso astratto e non pratico, e pratica deve essere la risoluzione del problema: la rivoluzione.
Nella prima parte del Manifesto del Partito comunista, Marx analizza la vicenda storica della borghesia, classe che (al contrario delle statiche classi precedenti) è dinamica e non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione (suo grande merito è, per trovare nuove vie di importo ed esporto, aver unificato il genere umano). Gli sono però sfuggite di mano le forze da essa stessa create, generando terribili crisi tanto che il proletariato (classe oppressa per eccellenza) non può fare a meno di avviare la lotta di classe. Per Marx, dunque, il soggetto della storia è la lotta di classe, che porta sempre ad una rivoluzione che elimina sia la classe degli oppressori sia quella degli oppressi. Egli fa però una distinzione fra classe in sé (insieme di persone accomunate da stessa situazione economico - sociale) e classe per sé (unità autocosciente che lotta in modo solidale): è solo quest'ultima quella che porta alla rivoluzione.
La rivoluzione mondiale, che verrà innescata dalla concentrazione del capitale nelle mani di una minoranza, dovrà essere eseguita da un periodo di dittatura del proletariato durante il quale la società dovrà trasformarsi da società capitalistica a società comunista attraverso la fase preparatoria della società socialista. La differenza fra questi due tipi di società è la seguente <<nella società socialista, vengono socializzati i mezzi di produzione, secondo la formula "da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni"; nella società comunista non vi sono classi sociali, vi è uguaglianza sociale, e non vi è lo Stato, in quanto strumento di oppressione di una classe su un'altra. Essendoci bilancio economico, e poiché l'economia è la struttura che guida le altre sovrastrutture, la società godrà di pace, serenità e con una certezza del futuro.
Ecco come Marx pensa di risolvere i problemi sociali, ma attenzione il suo socialismo non è utopistico ma bensì scientifico. La società comunista dice Marx:<< non ha niente a che fare con l'Utopia di Tommaso Moro e con la Città del Sole di Campanella. Quelli sono sogni ad occhi aperti, la società comunista sarà invece una realtà>>
Questi problemi sociali non erano sentiti solo dai puri filosofi, ma in Inghilterra, la tana del leone dell'industrializzazione molti scrittori hanno voluto esprimere prima con il sentimento e poi come "cronaca morale", i disagi che erano presenti. Si hanno così in questo periodo opere in prosa che ritraggono la quotidianità di una società pragmatica e borghese e con l'avvento della civiltà industriale viene sollecitata l'attenzione per i problemi delle classi più umili. Tutto ciò è racchiuso nelle opere di Charles Dickens amante della semplicità e dell'umorismo.
Addentriamoci ora, nelle opere di Dickens. Il tutto è in lingua inglese, per assaporare il meglio del suo fascino puramente britannico.
CHARLES DICKENS
LIFE
Hewas born in Portsmouth in 1812. He was only 12 when his father was imprisonedfor debts and Dickens was forced to work in a factory to help the family out.This experience left a scar and the sufferings of his family became subject matter for his novels. He began hiswriting career contributing a series of sketches to periodicals. These sketcheswere collected in a volume with the title of "Pickwick club" in 1837.
By now Dickens was launched asa popular writer and he began to write humorous, sentimental, historical andalso novels of social criticism, most of them concentrated on children such as"Oliver Twist", "David Copperfield" and "Hard Times"
Heeven found time to get involved in philanthropic activities, public readings ofhis works and amateur dramatics.
CHILDREN
Some of Dickens' novels are defined as social or humanitarian. He wrote fiction as he was a novelist by vocation, but he used fiction to denounce the vices and evils of his age. Some have called him a social reformer, though he did not advocate any fundamental change in the overall systems of Victorian society, or a revolutionary struggle between social classes; nor did he suggest any specific means of reform. Yet he exerted a considerable influence on the reform movement of the age by shedding light on the brutality of some schools, on the vices of the criminal world, on the dirt and squalor of London slums and on the conditions of their inhabitants in a period of industrial expansion.
He said that the phenomena of industrialisation brought the plight of young children and their exploitation.
Right from the earliest times, children had been used by their parents and the community in the cottage industries, but it had never been considered a problem. With the creation of factories where there were great concentrations of children working in sub human conditions, the problem was no longer avoidable
Dickens is, without doubt, one of the best known English novelists. He created a whole world of
people and did not restrict himself to one particular social class. He did not write about the richest members of the society, he preferred to write about the upper middle class through the lower middle class and working class to the most unfortunate members of society.
His enormous popularity was certainly due to the fact that he was seriously interested in the welfare of the masses and determined to bring to notice the social problems of the period. He attacked the evils and abuses of his day.
In Oliver Twist, for example, he turned his attention to the Poor Law, to child labour, to the exploitation of young children.
In David Copperfield the experiences of the Micawbers are an effective denunciation of the laws and child labour comes under attack.
HARD TIMES , not only illustrated the influence of the Utilitarian doctrine and how it suppresses the spiritual and creative side of human nature but also offered a cutting attack on the inhumanity of an industrial and materialistic society.
Though Dickens' popularity refused to accept the evils of Victorian society, he was not a revolutionary. He believed that social improvement could be achieved by benevolence, by fellow-feeling and human solidarity.
From Hard Times: "Facts".
In Hard Times Dickens showed once more his interest in the social situation around him, and touched on the problems of the miserable and poverty-stricken lives led by the workmen in an industrial town.
In the main passage there is a man, the governor of a factory, who is talking to a teacher and his master in front of a class about education from his point of view. What he intends to insist is that only 'facts' had to be taught to the children, because only they count in life. They will be very useful to those students. That is the principle on which he grows his own children up and that is the principle on which the students have to be grown up too. The funniest thing is that the author gives a careful description of the way of acting and of the clothes and of the movements of the man enlightening about his idea of the authoritarianism and materialism and the stupid type of education he wants to realize.
He felt the problems of the people he was describing very deeply, because he was a man who had experienced the intolerable conditions of the poor.
His writings contributed to the realization of social reforms, and so he may be considered the father of the social novel.
His attitude to scientific progress, is not favourable. His treatment of the Railway is indicative: to Dickens the railway is the metaphor for death, the Railway destroys everything it touches. Doing a parallelism with William Blake we must underline his same attitude towards the progress and the evils that followed the changes made by the progress.
In SONGS OF EXPERIENCE , Blake does not simply the representation of the corruption of innocence made by the immoral forces of the society but shows also the distortions imposed on life by the established philosophy through which we have to achieve the wisdom. Songs of experience are but the product of this illusion in seeing what man has made of man. His last works Jerusalem and Milton deserved the title of "prophetic". In Jerusalem he says : Man must be free himself from conventional authority. A good society called by Blake the "New Jerusalem" cannot be achieved simply nearly by political or social reforms, but there must be a sense of dignity, there must be respect between man and man, person and person. Only then life can be lived in a way which is true to human nature. In Milton there is a new theme, the one of the industrial revolution as it entered the life of the poor.
Conclusioni
Anche se ci sembra un tema apparentemente scontato, credo che l'argomento scelto sia attuale: nonostante sia trascorso di più di un secolo ci è contemporaneo; ciò è dovuto al fatto che alcune grandi problematiche sociali del periodo industriale sono ancora oggi oggetto di un' aperta discussione.
Non ho certo la pretesa di aver proposto una mia soluzione; ho solo tentato di avvicinarmi a temi più grandi di me e la comparazione può aiutarmi a scorgere differenze e a far intuire una nuova strada, certo non un percorso, che tenti invano di scivolare sfuggendo tra più discipline (interdisciplinarità).Ritengo di aver compiuto lo sforzo audace di chi, terminando un corso di studi, non si aspetta di esser "pesato" con tante piccole misurazioni, ma spera di trovarsi a parlare con l'interlocutore maturo, che vede molto più in là della sommatorie delle singole nozioni (pluridisciplinarità).
Nel nuovo millennio dovremmo superare tutti la prova che veniva posta all'architetto francese dell'epoca dei "lumi":<< non progettare la mia casa, ma l'intera città>>.
Appendice
IN EUROPA
Dopo il fallimento dei moti del 1848 vi fu un generale ritorno reazionario. L'Austria era la vera potenza egemone che segnava la via da percorrere per restaurare il vecchio ordine. Furono in generale soppresse le libertà di stampa e di parola e almeno inizialmente furono condannati e allontanati gli esponenti delle forze liberali.
La Borghesia moderata tuttavia, nel periodo 1850-1860, riuscì a conquistare importanti posizioni grazie a un avvicinamento alle forze conservatrici.
Il regno di Vittorio Emanuele II, succeduto al padre Carlo Alberto, fu l'unico Stato dove sopravvisse lo Statuto del 1848. Nella sua prima fase conobbe un momento di scontro in occasione della discussione parlamentare riguardante la pace raggiunta con l' Austria che manteneva integri i confini del Regno pur prevedendo il pagamento di un forte indennizzo. Il rifiuto della Camera di approvare la pace indusse il re, a risolvere lo scontro istituzionale con lo scioglimento dell'Assemblea parlamentare e con la convocazione di nuove elezioni. Venne così approvata da una maggioranza moderata la pace di Milano.
Si poté così proseguire sulla strada delle riforme e nel 1850 vennero approvate le leggi Siccardi le quali limitavano i privilegi di cui godeva da secoli il clero.
Nel frattempo nel parlamento si metteva in luce Camillo Benso di Cavour, esponente della nobiltà e schierato con la borghesia moderata. Egli fin da principio si dimostrò interessato a realizzare forme di progresso economico e sociale e di liberismo, aspirazioni che aveva assimilato dall'economia classica inglese.
Questa sua propensione si tradusse subito in una serie di trattati con alcuni Paesi europei quali il Belgio, l'Inghilterra, la Francia e l'Austria che avevano lo scopo di inserire il regno sabaudo nell' intesa dei grandi Stati. Il suo programma venne ben accolto in Parlamento anche dall'ala più moderata della Sinistra democratica guidata da Urbano Rattazzi. Questo accordo definito "connubio" diede origine ad una nuova formazione di centro che portò Cavour alla presidenza del Consiglio.
Politica Interna: Cavour era profondamente convinto che il liberismo economico avrebbe giovato all'economia piemontese. Concentrò i propri sforzi sul settore agricolo il quale subì importanti trasformazioni.
Inoltre subirono ulteriori miglioramenti le reti di comunicazioni, stradali e ferroviarie favorendo lo sviluppo del mercato interno e internazionale.
Migliorò perfino il sistema fiscale favorendo l'economia sabauda.
Nel 1855 venne eseguito un progetto per la soppressione di alcuni ordini religiosi il quale scatenò una decisa opposizione e quindi le dimissioni di Cavour.
Il Re lo richiamò al governo e la legge venne approvata. Essa era inserita nell'ambito di una visione più ampia che prevedeva "una libera Chiesa in un libero Stato" cioè:
-*- La Chiesa doveva occuparsi della Religione e delle coscienze, non del Governo e delle cose terrene;
-*- Lo stato doveva governare senza occuparsi di questioni religiose e anzi garantire a chiunque la libertà di professare la propria fede.
Politica Estera: Nella prima fase Cavour non sentì l'esigenza di lottare per l'unità d' Italia ma solamente di far sviluppare il regno sabaudo.
Il suo orientamento fu sempre anti-austriaco e pensava che per una liberazione italiana dall'Austria il Piemonte fosse l'unico Stato a poter compiere l'unificazione. Questo perché sia l'Italia centrale che meridionale erano sotto l'egemonia Austriaca.
Per avere un peso di rilievo nel quadro europeo, Il Piemonte partecipa alla guerra di Crimea venendo incontro con 15000 soldati a Francia ed Inghilterra.
Il risultato positivo in Crimea provocò:
Il Piemonte assumeva un ruolo sempre più importante nel quadro europeo
L' Austria perdeva importanza e restava politicamente isolata.
Gli intenti di Cavour di creare un'alleanza con la Francia vennero favoriti dagli eventi che seguirono. Nel 1858 Felice Orsini, un repubblicano, attentò alla vita di Napoleone III. L'imperatore non venne colpito ma le bombe lanciate causarono numerosi morti.
L'attentato a Napoleone III ebbe il merito di accelerare la formazione di un' alleanza franco-piemontese. Cavour convinse l'imperatore a stringere un alleanza, e l'accordo fu raggiunto a Plombieres. L' Italia venne così suddivisa in 3 Stati:
NORD : Guidato dai savoia
CENTRO: Toscana e Stato Pontificio
SUD: Il regno tolto ai Borboni e al quale Napoleone III mirava
Si trattava ora di provocare una guerra con l' Austria per rafforzare il Piemonte.
LA SECONDA GUERRA D'Indipendenza
Cavour cercò di provocare l'Austria inviando truppe sul confine (Garibaldi e i Cacciatori delle Alpi) e la reazione non si fece attendere. L'Austria riteneva di potere sconfiggere in breve tempo il Piemonte prima che la Francia intervenisse, ma in realtà venne sconfitta in alcune successive battaglie (Montebello, Magenta, Solferino e San Martino). Napoleone III si decise così a firmare un armistizio con l'Austria al quale Cavour non fu chiamato a partecipare (Armistizio di Villafranca)
I due imperatori concordarono che la Lombardia venisse ceduta al regno di Sardegna, ma che l'intero Veneto rimanesse sotto il governo Austriaco. Per protesta Cavour si dimise.
Ma il piano di Cavour continuò a realizzarsi. Richiamato a capo del governo(1860), egli riprese a trattare con Napoleone III. Venne così fatto un passo avanti all'Unità d' Italia, L'Italia centrale si unì al regno di Sardegna.
LA SPEDIZIONE DEI MILLE.
I democratici, poco soddisfatti, pensano che la Sicilia sia un terreno più che fertile per iniziative rivoluzionarie, sfruttando anche le rivolte nate per il malgoverno napoletano. Francesco Crispi, democratico, convinse, nel 1860, Garibaldi a organizzare una spedizione militare in Sicilia garantendogli l'appoggio popolare. Vittorio Emanuele II era segretamente favorevole all'impresa, mentre Cavour diffidava dei democratici garibaldini perché temeva l'intervento della Francia e dell'Inghilterra. Alla fine Cavour accettò il progetto purché l'impresa si realizzasse senza il consenso del governo, in modo da evitare contrasti con le grandi potenze. Sbarcarono così 1070 garibaldini a Marsala dove poche centinaia di insorti si unirono a loro. Dopo il successo a Catalafimi arrivarono 15000 volontari dal settentrione in aiuto e anche contadini locali ai quali gli erano state promesse terre da coltivare.
A Milazzo infine fu sancita la vittoria e la liberazione dell'isola.
Le terre promesse non furono però date ai contadini e questo contribuì ad esasperare gli animi e a spingerli alla rivolta. A Bronte su ordine di Nino Bixio (braccio destro di Garibaldi) si verificò un vero e proprio massacro, fra l'altro riportato anche in una novella di G. Verga "Libertà".
L'entusiasmo fece continuare l'impresa che sbarcò in Calabria dove registrò altri successi. Francesco II di Borbone si rifugia nel frattempo a Gaeta e Garibaldi entra a Napoli espugnando la città. Cavour cerca di prendere in mano la situazione per paura che il sud dell'Italia rimanesse in mano rivoluzionaria e con il consenso di Napoleone III inviò truppe piemontesi in Umbria e nelle Marche per prevenire un eventuale attacco garibaldino allo stato pontificio. Questo accordo con Napoleone III gli concedeva l'annessione dello Stato Pontificio escluso Roma ed il Lazio. L'esercito piemontese si scontra con l'esercito Papale e continua ad avanzare verso il sud.
Garibaldi nello storico incontro di Teano affidò al controllo dell'esercito sabaudo le regioni liberate ritirandosi in esilio volontario a Caprera.
Vittorio Emanuele II venne proclamato Re D' Italia.
Sia i moderati che i democratici sostenevano l'opportunità di compiere l'unificazione annettendo Roma e il Veneto, ma il programma con cui ottenere ciò era ben diverso: la Destra optava per iniziative diplomatiche (per non guastare i rapporti con le altre potenze); la Sinistra invece desiderava risolvere il problema in tempi brevi e si affidava all'iniziativa popolare.
La "Questione Romana" non era di facile soluzione. La Francia manteneva a Roma un contingente militare, inoltre i rapporti con Pio IX erano per lo Stato abbastanza difficili.
Garibaldi allora decise di prendere l'iniziativa. Si recò in Sicilia con l'intenzione di guidare un "corpo di volontari" alla conquista di Roma. Napoleone III manifestò l'intenzione di reagire con la forza e Vittorio Emanuele III per non guastare i rapporti, dapprima sconfessò pubblicamente Garibaldi, successivamente lo affrontò in Aspromonte; dopo un breve scontro Garibaldi fu arrestato e le sue truppe disperse.
A causa della crisi politica che ne derivò il ministro Rattazzi fu dimesso, al suo posto fu nominato Minghetti che subito riallacciò rapporti con la Francia e stipulò la "Convenzione di Settembre". In questo modo, in cambio del ritiro delle truppe francesi da Roma si garantivano i confini dello Stato Pontificio. Veniva inoltre spostata da Torino a Firenze.
L'annessione di Roma subì un rallentamento compensato però dall'opportunità che si presentò per ottenere l'annessione del Veneto. Infatti Bismark propose un'alleanza militare per sconfiggere l'Austria. Purtroppo però per le truppe italiane fu un vero disastro e furono sconfitte sia per terra (Custoza 1866) che per mare (Lissa 1866), solo Garibaldi alla testa dei cacciatori delle Alpi ottenne qualche successo (Bezzecca 1866). A Vienna il 3 ottobre si stabilì la pace fra l'Austria e l'Italia ma rimaneva sotto il dominio Asburgico la Venezia Giulia e il Trentino. Si riaccese così la "Questione romana". Garibaldi progettò una nuova spedizione che avrebbe dovuto essere sostenuta da una rivolta di patrioti romani, ma l'attacco fallì per l'intervento francese (Mentana 1867). Si decise così di non seguire più questa via. Dopo la caduta dell'impero di Napoleone III il governo Italiano decise di intervenire per la conquista armata di Roma. Si tentò in un primo momento di trattare con Pio IX, ma fallito il tentativo, si ordinò al generale Cadorna di entrare a Roma attraverso la Breccia di Porta Pia. Venne così trasferita la Capitale a Roma e si cercò di regolare il complesso rapporto tra Chiesa e Stato con la legge delle Guarentigie.
Essa stabiliva:
1) Il libero esercizio dei poteri spirituali
2) Una rendita annua
3) La sovranità del Vaticano sul Laterano e su Castel Gandolfo
Il Papa però non accettò quella legge ed invitò i fedeli a non partecipare alla vita politica dello Stato.
BIBLIOGRAFIA
-F. GAETA- P. VILLANI, Documenti e testimonianze,Principato,Milano, 1990
-R.LUPERINI-P. CATALDI, La scrittura e l'interpretazione, Palumbo, Firenze,1997
-B DE LUCA-U GRILLO ,Views of literature ,Loescher, Milano, 1998
-N. SAPEGNO, Disegno Storico della letteratura Italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1948
-S. GUGLIELMINO,Guida al novecento,Principato,Milano,1982
-P DI SACCO F CAMISASCA M SERIO,Scritture: verismo e decadentismo,Mondadori, Varese,2000.
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