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Ristretti orizzonti




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RISTRETTI ORIZZONTI



In questo capitolo entrerò nel vivo della mia esperienza nella redazione di "Ristretti Orizzonti" e riprenderò quanto già accennato nel capitolo precedente approfondendolo meglio.

Come ho già anticipato, l'attività del gruppo di "Ristretti Orizzonti" si divide in due momenti:

il primo, al mattino dalle ore 8.30 alle ore 11, durante il quale i detenuti "giornalisti" si ritrovano, senza la presenza delle volontarie e sono occupati nella scrittura degli articoli e nelle varie attività già esposte;

il secondo momento, dalle ore 13.30 c.a. alle ore 15, è dedicato alle riunioni di gruppo sui vari aspetti e le molteplici problematiche che riguardano il mondo carcerario.

Io e la mia accompagnatrice abbiamo preso parte soltanto alla seconda delle attività sopra descritte.

Penso però che, prima di approfondire la modalità ed i contenuti delle riunioni, sia utile spiegare qual'era il punto di partenza da cui volevo far iniziare il mio approfondimento e quale direzione ha preso successivamente il mio lavoro.

L'idea da cui ero partita prima di conoscere direttamente il gruppo della redazione di "Ristretti Orizzonti" era quella di studiare le dinamiche interne di un gruppo di detenuti.

Nel corso della mia esperienza nel gruppo della redazione mi sono accorta che il mio proposito iniziale non mi convinceva più come prima.

Infatti mi sono accorta che l'incontro con i componenti del gruppo mi ha coinvolta molto profondamente; quindi, dopo una attenta riflessione, il mio interesse si è spostato fino a cercare di cogliere l'utilità che i membri della redazione potevano effettivamente trarre dalla loro partecipazione a quest'attività.

Inoltre uno studio sulle esperienze gruppali dei membri, veniva rallentato, in un certa misura, dai contenuti della maggioranza delle riunioni a cui ho preso parte. Esse infatti avevano altre finalità rispetto ad una riflessione sulle dinamiche di gruppo e non hanno riguardato quasi mai in modo esplicito le relazioni sociali ed interpersonali tra i membri. Ho riflettuto inoltre sul fatto che, a mio parere, in un contesto particolarmente impregnato di forte tensioni sul piano relazionale, com'è l'ambiente carcerario, le reazioni emotive al comportamento altrui non vengono mostrate con facilità, come ho accennato nel capitolo 2. Di conseguenza ho preferito concentrarmi sugli scopi che si è posto il gruppo attraverso la sua attività.

Per queste ragioni ho scelto di focalizzare questa prima parte di lavoro sulla descrizione della modalità con cui si svolgono le riunioni e sui contenuti trattati per poi illustrare le mie riflessioni sui benefici che ogni componente del gruppo può trarre dalla partecipazione all'attività.

Successivamente illustrerò altre modalità concrete attraverso cui la redazione può essere utile per ciascun individuo che vi partecipa e, più in generale, per cercare di migliorare le condizioni di vita all'interno del carcere, e tentare di ridurre le conseguenze negative che comporta la detenzione.

Infine completerò le mie riflessioni avvalendomi anche di alcune prospettive teoriche, ed in particolare rifacendomi all'esposizione di E. Spaltro (" Pluralità. Psicologia dei piccoli gruppi". Ed Pàtron, 1993) e della sua analisi sull'utilità dell'appartenenza ad un gruppo.


1 L'organizzazione delle riunioni e finalità

All'inizio di ogni riunione, il gruppo si raccoglie intorno ad un lungo tavolo rettangolare.

La volontaria che ha il ruolo di coordinatrice si siede sempre a capotavola e le altre volontarie, in genere, occupano posti abbastanza vicini al suo.

I detenuti in genere si siedono intorno al tavolo in modo casuale, fatta l'eccezione per alcune persone che solitamente hanno dei posti a sedere fissi. Questo succede perché questi posti particolari sono collocati proprio nelle vicinanze della postazione computer in cui lavorano queste persone durante la loro attività individuale.

La loro scelta di occupare quelle determinate posizioni durante le riunioni permette loro di accedere più facilmente ai dati contenuti nel loro computer e che possono essere utili durante la discussione.

I componenti del gruppo non sono obbligati a partecipare alla discussione: c'è molta libertà di movimento all'interno del locale, ovviamente nel rispetto di coloro che stanno partecipando alla riunione. Chi sceglie di non discutere in gruppo può dedicarsi allo svolgimento dell'attività individuale continuando così il lavoro intrapreso durante la mattina.

Ciascun membro del gruppo è libero di interrompere la partecipazione alla riunione o la propria attività per concedersi una pausa durante la quale può appartarsi in un angolo del locale, fumare una sigaretta o parlare con qualche compagno che non sta prendendo parte alla discussione del gruppo, sempre badando a non disturbare gli altri. Per quanto riguarda i detenuti, la presenza dei singoli componenti alle riunioni è influenzata da circostanze ed eventi che a volte, coincidendo con il momento dedicato alla riunione, rendono impossibile per le persone, parteciparvi.

Questi impedimenti, nel caso dei detenuti, possono essere, ad esempio, dei processi ai quali la persona deve presenziare, gli appuntamenti con gli avvocati, la partecipazione ad altre attività ( sportive, ad esempio), la possibilità di usufruire dei permessi premio di cui godono alcuni membri del gruppo e grazie ai quali possono uscire dal carcere, etc.

Se manca la coordinatrice, solitamente le riunioni non avvengono. Durante la mia esperienza in questo gruppo solamente in un'occasione la riunione è avvenuta ugualmente in assenza della coordinatrice ed in presenza di un'altra delle volontarie che attualmente partecipa al gruppo con frequenza non costante.

All'inizio di ogni incontro, la coordinatrice espone il primo argomento di discussione e successivamente lascia spazio agli interventi degli altri componenti del gruppo.

Ciascuno dei partecipanti è libero di esporre le proprie opinioni circa gli argomenti trattati e la coordinatrice del gruppo funge un po' anche da mediatrice, intervenendo quando si crea confusione o sovrapposizione di voci e riportando la discussione sul tema principale qualora ci siano troppe divagazioni.

Lo scopo delle riunioni, come già accennato nel precedente capitolo, è quello di approfondire i problemi e le tematiche inerenti al mondo carcerario, favorendo il confronto reciproco e cercando delle soluzioni possibili ai problemi più scottanti.

Naturalmente i frutti dello scambio di opinioni che emergono dalle discussioni, si trasformano in articoli per il giornale.

Durante le riunioni il gruppo di "Ristretti Orizzonti" vengono anche organizzati dei convegni su problematiche specifiche, ma di questo parlerò con maggior precisione in seguito.

Nel paragrafo seguente tratterò sommariamente dei contenuti delle riunioni allo scopo di illustrare meglio l'attività e gli interessi specifici del gruppo.


2 Gli argomenti di discussione

In questi due ultimi anni una grossa percentuale delle riunioni è stata dedicata all'organizzazione di due "giornate di studio" che si sono svolte all'interno del "Due Palazzi" e che sono state dedicate rispettivamente all'"affettività" in carcere l'anno scorso, e al tema del "lavoro interno ed esterno al carcere", quest'anno.

Ora, con una breve carrellata, esporrò i temi principali che hanno caratterizzato, ed a volte "infuocato", le riunioni di "Ristretti Orizzonti".

Gli argomenti discussi durante le riunioni di quest'anno sono stati principalmente inerenti alle problematiche e alle prospettive di lavoro per i detenuti sia all'interno che all'esterno del carcere.

Accanto a queste riunioni più tecniche, ce ne sono state altre che hanno lasciato un margine più ampio all'espressione di vissuti personali, ad esempio, quella in cui si è discusso di omicidio oppure quelle riunioni che avevano per tema la difficile condizione degli stranieri detenuti nelle carceri italiane.

Un altro problema affrontato è stato quello legato alla condizione degli stranieri in carcere ed alle loro prospettive dopo la scarcerazione, alla luce della legge Bossi-Fini che esclude la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno per tutti gli immigrati che abbiano commesso dei reati e ne prevede l'espulsione a fine pena.

Ricordo in particolare due riunioni che riguardavano la condizione degli stranieri. La prima ha visto la partecipazione soltanto di alcuni detenuti della redazione e di una volontaria. Durante questo incontro si è discusso della difficile situazione degli immigrati in vista della riunione con alcuni operatori di un programma riguardante la realtà degli stranieri in carcere e trasmesso su un canale televisivo svizzero.

Un argomento molto importante e "sentito" dai membri della redazione è quello del volontariato, considerato un importante ponte di collegamento tra il carcere ed il mondo esterno. Di questa realtà si discute, nella maggior parte dei casi, all'interno di riunioni particolari alle quali viene invitato generalmente anche Frà Giuseppe Prioli, un frate appartenente alla Fraternità di Verona e attivo da anni nel mondo del volontariato penitenziario.

Ma l'inverno di quest'anno è stato piuttosto "caldo" per i detenuti italiani che hanno atteso con trepidazione le decisioni del governo in merito alla legge sull'indulto e alla proposta di legge "Pisapia-Buemi" detta anche "indultino".

Inutile precisare come anche questi due argomenti siano stati oggetto di numerose discussioni.

Strettamente collegato a questi temi è stato anche il dibattito sulle misure alternative, cioè quei provvedimenti che permettono al detenuto di lavorare all'esterno dell'istituto di pena, rientrandovi alla sera. Il dibattito sulle misure alternative è sempre molto acceso a causa delle ristrettezze che vengono imposte ai detenuti che ne usufruiscono e che non permettono loro una buona reintegrazione all'interno della società.

A questo proposito il gruppo della redazione ha anche organizzato un incontro con i due magistrati di sorveglianza di Padova per discutere insieme di questi provvedimenti e per chiedere delle delucidazioni sulle modalità che la magistratura utilizza nelle decisioni relative alla concessione o meno di una misura alternativa.

Come ho già ribadito il tema principale affrontato dal gruppo quest'anno è stato quello relativo alle prospettive di lavoro all'interno e all'esterno del carcere; in quest'ottica sono stati contattati i responsabili di alcune cooperative sociali impegnate nell'offrire lavoro ai detenuti ed in particolare ho partecipato ad un'incontro tra i componenti della redazione di "Ristretti Orizzonti" e il responsabile della cooperativa "Giotto" che opera a Padova e offre possibilità di lavoro sia a detenuti che godono delle misure alternative sia a quelli che rimangono in carcere. Infatti all'esterno le attività di questa cooperativa riguardano soprattutto la pulizia di aree verdi , le pulizie civili ed industriali, il settore ecologico, la gestione delle categorie dei rifiuti e l'ambito della raccolta differenziata. Il personale della cooperativa svolge i lavori più diversi, dalla semplice apertura, chiusura e custodia dei musei e delle biblioteche, alla pulizia dell'asilo nido. Da quest'anno inoltre la cooperativa gestisce l'apertura serale della Cappella degli Scrovegni.

All' interno del "Due Palazzi", invece, questa cooperativa, gestisce un capannone preposto alla produzione di manichini, in cui lavorano tredici detenuti.

I detenuti che lavorano all' esterno, presso la cooperativa sono invece diciassette.

L'incontro e l'intervista a Boscoletto, presidente della cooperativa "Giotto", sono avvenuti all'interno della redazione.

Questa, come le altre realtà che favoriscono il reinserimento sociale e lavorativo di detenuti ed ex-detenuti, devono essere conosciute e la redazione si adopera per diffondere anche questo genere di informazioni, pubblicando sulla rivista le interviste ai responsabili delle varie iniziative, che i redattori fanno durante gli incontri.

Altre discussioni legate al lavoro sono state , ad esempio, quelle volte all' analisi di vantaggi e svantaggi che il detenuto trae da certi tipi di assunzioni, come nel caso del lavoro interinale confrontato con l' assunzione presso una cooperativa sociale.

Una forte esigenza del gruppo, sempre a riguardo del tema del lavoro, è stata quella di discutere sulla possibile organizzazione di "sportelli lavoro" cioè una specie di agenzie che offrano le informazioni adeguate sulle possibilità di lavoro all' interno dell'istituto, ma anche all' esterno a tutti i detenuti che vogliano intraprendere qualche tipo di attività occupazionale.

Sebbene durante la mia partecipazione alle riunione di "Ristretti Orizzonti" questo aspetto non sia stato affrontato con frequenza come in passato, a causa dell'urgenza di affrontare le altre problematiche esposte prima, il gruppo della redazione si interessa anche della delicata questione della salute all'interno delle carceri.

Ricordo alcuni incontri centrati sulla drammatica realtà dei suicidi negli istituti di pena oppure sulla complicata questione dei farmaci antivirali destinati ai tossicodipendenti. L'amministrazione carceraria, che un tempo forniva questi farmaci gratuitamente, ora non sopperisce più ai costi per le cure di questi pazienti, che sono così costretti ad acquistarli personalmente.

Alcune delle tematiche sopraccitate, ad esempio quella del volontariato, ma anche sotto certi aspetti il dibattito sulle misure alternative, lasciano presagire forse più di altre, un forte interesse del gruppo nei confronti del mondo esterno.

Questo aspetto, che approfondirò nel corso della descrizione della mia esperienza all'interno della redazione, mi sembra rilevante da sottolineare in quanto evidenzia, a mio parere, un primo passo per cercare di ridurre l'isolamento sociale in cui spesso incorrono detenuti ed ex detenuti.

I redattori di "Ristretti Orizzonti" , consapevoli dell'importanza della prevenzione alla devianza, organizzano periodicamente degli incontri con gli alunni delle medie inferiori di una scuola in provincia di Padova e, a volte, durante le riunioni di redazione a cui ho partecipato, la discussione era centrata ad individuare le modalità più efficaci per affrontare questo tema con dei ragazzi che stanno attraversando il delicato periodo della preadolescenza.

Un altro esempio che mi ha fatto riflettere sull'esigenza di comunicare con l'esterno, avvertita da tutti i membri del gruppo è stata la proposta, nata da uno di loro ed elaborata meglio in gruppo, di organizzare un incontro di discussione e di scambio con gli studenti dell'università.

Collegato con il tentativo di recupero dei legami con la società è stata anche la discussione, affrontata più volte, sulla necessità di promuovere un'idea di pena che sia sempre meno legata alla passività e all'isolamento del regime carcerario tradizionale e che sia invece diretta verso un impegno sociale.


3 Il gruppo e l'esigenza di rapporti con l'esterno


Secondo Spaltro (1993) il piccolo gruppo è un anello di congiunzione tra il singolo e la società. L'attività dei piccoli gruppi rappresenta un potente mezzo per produrre dei cambiamenti.

Nelle riunioni della redazione di "Ristretti Orizzonti", ho potuto riscontrare varie volte, attraverso le parole dei membri, uno spiccato interesse verso la costruzione di legami col mondo esterno ed anche la volontà di cambiare concretamente la condizione di passività in cui molto spesso si precipita quando si è detenuti.

Spaltro (1993) ritiene che il passaggio ad una cultura collettiva sia il punto di massima difficoltà nello studio del sociale.

Nel suo libro " Pluralità: Psicologia dei piccoli gruppi" (1993) l'autore afferma che "ciò deriva dalla cultura di coppia che pretende di descrivere il sociale come l'opposizione tra individuo e società, dimenticando il fondamentale salto di qualità che i rapporti interumani subiscono quando si passa da un livello micro a un livello macro, cioè da una situazione di piccolo a una situazione di grande gruppo."[1]

L'autore individua tre livelli di interazione che caratterizzano lo spazio interumano. Esse sono l'interazione duale, gruppale e collettiva. Di solito si è abituati a pensare che vi sia una contraddizione tra individuo e società e che i livelli di funzionamento umani siano solamente due: quello individuale e quello collettivo. Questo comporta la confusione tra collettivo e sociale, ovvero grande e piccolo gruppo.

Il passaggio da una cultura di coppia ad una cultura di gruppo viene chiamato da Spaltro " interfaccia A" mentre la transizione tra la cultura del piccolo gruppo e quella della collettività è denominata "interfaccia B" .

Un'altra modalità con cui Spaltro definisce questo processo transculturale è mediante l'utilizzo di due parole convenzionali: la "socializzazione", che prima abbiamo definito "interfaccia A", e la "collettivizzazione" ovvero il passaggio dalla cultura di gruppo alla cultura di collettivo, chiamata anche "interfaccia B".

"Ristretti Orizzonti " secondo me costituisce un valido esempio di gruppo che sta attraversando l''interfaccia B'. Infatti attraverso la sua attività favorisce il contatto tra i suoi membri e la collettività o per lo meno una parte di essa.


3.1 La responsabilità consapevole

Sicuramente all'interno del carcere saranno presenti altri aggregati di persone che potrebbero essere definiti "interfaccia B", tuttavia ritengo che questo gruppo in particolare un abbia un ruolo importante e positivo nel cercare di riallacciare un legame "sano" con la società esterna in quanto si tratta di una attività monitorata ed con degli obiettivi espliciti e approvati istituzionalmente.

La volontà di riallacciare un legame con l'esterno è stata più volte espressa da tutti i componenti del gruppo. Tale legame favorisce anche un confronto e una possibilità di arricchimento e conoscenza che spesso non si verifica in realtà come quella carceraria dove i contatti con il mondo sono estremamente limitati.

Durante la riunione della redazione del 13 Dicembre 2002 si è discusso di un incontro avvenuto tra alcuni detenuti e degli operatori televisivi che hanno girato una puntata di una trasmissione sul tema della sicurezza. I detenuti dovevano intervenire su questo argomento rivolgendosi ad un pubblico di spettatori televisivi. Riporto di seguito una parte della discussione avvenuta durante la riunione in cui si evidenzia come a volte l'impossibilità di un confronto con l'esterno possa portare ad atteggiamenti individualistici che rendono difficile la comunicazione con gli altri.


Ornella: a proposito, cosa dite della trasmissione dell'altro giorno? Come vi è sembrata?

Mario: A molte cose si potevano dare molte risposte solo che abbiamo lasciato spazio anche agli altri.

Ornella: La trasmissione non è stata male. Il problema che io ho visto è che soprattutto gli interventi degli altri detenuti sono stati incomprensibili per la gente comune perché hanno perso completamente di vista il fatto che era una trasmissione per la gente comune non solo per noi. Invece hanno fatto un discorso come se fossero loro a discutere con le persone e lamentarsi. Devono imparare a parlare alla gente.

Antonio: Devi pensare agli ascoltatori.

Mario: Quando ho risposto a una domanda fatta dal Sindaco perché gli ho chiesto "Quali sono le risposte sociali che date voi?"

Ornella: Tu dovevi parlare con gli ospiti dovevi pensare che chi ti ascoltava era un pubblico di gente comune.Voi l'avete fatto ma gli altri no. Noi siamo abituati a parlare di queste cose. Gli altri interventi erano auto-referenziali. Il problema è imparare a comunicare con le persone fuori.

Mario: Se è un discorso che fai con noi va bene, noi siamo preparati. Quando poi ti trovi di fronte a 50 persone che hanno un altro modo di affrontare i problemi e ognuno va per i fatti suoi vengono fuori quelle cose lì.

Giacomo: Quando non ti confronti con persone esterne o che hanno un parere diverso dal tuo rimani sempre uguale. Non ti arricchisci.

Mario: Ce la raccontiamo sempre tra di noi.

Ornella: Bisognerebbe discuterne di cosa vuol dire comunicare. Noi tante cose le abbiamo imparate andando nelle scuole.

Giacomo: Perché gli articoli che scrivevamo noi all'inizio.

Ornella: Senza dubbio non c'era preparazione.

Mario: L'umiltà che manca tante volte è quella di dire io posso sapere di più di persona posso informarmi.


In questo dialogo si nota come i componenti della redazione si rendano conto dell'importanza di mantenere un costante contatto con l'esterno, attraverso le riunioni a cui partecipano, come ho già detto, sia volontari che altri esponenti della società. E' grazie al confronto con queste persone che è possibile allargare i propri orizzonti e non limitarsi a considerazioni legate alla propria condizione individuale.

Per sottolineare meglio la considerazione riportata sopra, trascriverò una parte di un colloquio individuale.


Davide: Tengo molto alla redazione perché dà la possibilità di un confronto. Un confronto anche diverso dal solito confronto che trovi ai "passeggi" o in sezione o quando giochi a carte, cioè sempre il carcere: " non mi hanno dato il permesso e adesso cosa faccio". I soliti problemi legati al carcere, i soliti discorsi che fossilizzano troppo. Non è che io rifiuto il carcere e non voglio quindi affrontare certi discorsi ma c'è bisogno di tenere sempre in movimento il cervello anche con altre problematiche e altre discussioni altrimenti ci si impoverisce anziché crescere un po'. Invece il carcere dovrebbe essere sfruttato anche un pochino per crescere, per riguardarsi, per rivedere tante cose. Per crescere e per migliorare, perché se entri in carcere e ti devi fare vent'anni di carcere e ti devi solamente imbruttire.

Già il carcere serve a poco, se t'imbruttisci solamente è la fine più totale e invece bisogna cercare di migliorare, altrimenti."


3.2 Un diverso volontariato

Ho potuto riscontrare meglio la funzione del gruppo come interfaccia B quando è stato affrontato il tema del volontariato.

Come già sottolineato nel Capitolo 3, all'interno del carcere i volontari le seguenti attività:

sostegno psicologico e materiale

fanno da tramite tra detenuti e famiglie

organizzazione di attivitŕ culturali e sportive

accompagnamento durante i permessi premio e accoglienza esterna.

Per i componenti della redazione di Ristretti Orizzonti è molto importante la funzione del volontariato perché rappresenta l'anello di congiunzione tra il carcere e la società esterna.

Ma anche il gruppo di "Ristretti Orizzonti", cercando di capire come il volontariato potrebbe essere organizzato in modo più costruttivo e rispondente alle reali esigenze del mondo carcerario, diventa un esempio di "interfaccia B" perché si pone come intermediario tra il carcere ed il volontariato, che in questo caso rappresenta una parte di società esterna.

Le discussioni su questo tema infatti sono state oggetto anche di un convegno sul volontariato organizzato proprio dalla redazione di "Ristretti Orizzonti". Ciò che emergeva dalle riunioni è che il volontariato dei singoli non è sufficiente perché serve a tamponare il deficit dell'organizzazione carceraria.

Essendo uno dei pochi collegamenti con la società esterna è necessario che il volontariato sia organizzato perché possa essere realmente efficiente, offrendo un contributo sia al miglioramento delle condizioni di vita in carcere sia contribuendo a facilitare il reinserimento dei detenuti all'interno della società.

Il 26 ottobre 2001 la redazione di "Ristretti Orizzonti" ha organizzato, all'interno "Due Palazzi", una giornata di studi centrata sul tema del volontariato in carcere per approfondire e diffondere questa idea.

Di seguito riporto uno scorcio di riunione avvenuta l'8 ottobre 2003 in cui si affronta questo argomento.


Ornella: Il volontariato dei singoli non è più sufficiente. Molto spesso si tende a considerare il volontariato solamente come mezzo per tamponare la carenze del carcere.

Giacomo: Molte volte al singolo detenuto vengono negati anche i diritti di base per cui anche il singolo volontario può essere utile.

Mario: Una volta c'era un tale che aveva bisogno di abiti e scarpe e l'amministrazione penitenziaria gli ha fornito scarpe più piccole perché sprovvisti del numero esatto.

Giacomo: Quello stesso detenuto è stato rivestito da capo a piedi da un'unica volontaria, la ...

Antonio: Si, la conosco da anni, è molto in gamba.

Ornella: Però non è giusto che queste cose vengono fatte dai singoli: in questi casi bisognerebbe rivolgersi all'amministrazione penitenziaria. Bisognerebbe fare il passo successivo.

Marco: Ma se ci rivolgiamo all'amministrazione penitenziaria chiedendo dei vestiti, per esempio, ci mandano dei camion pieni delle divise ufficiali per i detenuti. Sapete, quelle marroni che nessuno mette più perché bruttissime e contrarie alla dignità di un detenuto.

Mario: Comunque, prima di interessarsi a problemi più complessi ad un detenuto dovrebbe essere garantito il minimo indispensabile. Se io non ho vestiti non posso nemmeno scendere qui in redazione.

Marco: Beh, potresti sempre scendere in mutande!

Risata generale.

Frà Beppe: Tornando a noi, c'è bisogno che il singolo volontario sia spalleggiato da un'organizzazione che ha un programma ben preciso: solo così avremo una maggior garanzia di riuscita della nostra attività e anche maggior sicurezza per il volontario. Guardate, però, che fare i volontari non significa soddisfare ogni richiesta dei detenuti. Io stesso ospito detenuti e li aiuto come posso ma sto attento a non lasciarmi fregare.

Antonio: il volontario dovrebbe essere la catena di congiunzione tra il carcere e la società per far conoscere a tutti la realtà carceraria. Non è nemmeno da sottovalutare la questione dell'intervento nelle scuole.

Frà Beppe: A Verona i ragazzi delle scuole sono entrati in carcere .

Giacomo: Si, ma finché vedono il "Due Palazzi" non si renderanno mai conto delle condizioni reali della vita qui dentro. Dovrebbero far loro vedere altre carceri, per esempio certe carceri del sud Italia.

Marco: Ma durante le visite guidate nelle carceri vengono mostrate solo le cose meno dure!

Ornella: Si, e poi spesso i giovani hanno un'idea sbagliata del carcere! E' quella che si fanno guardando i film americani alla TV oppure perché durante le visite vengono mostrate loro cose come la televisione in cella, i ninnoli vari, i computer per cui ai ragazzi non sembra poi tanto male e non si rendono conto di cosa significa essere privati della libertà. Dovrebbero far loro vedere la pavimentazione di alcune celle o lo spazio destinato alle ore d'aria.

Frà Beppe: La gente non si rende conto di quanto difficile sia la vita in carcere. Io sono contro chi dice: "In carcere si sta bene! Hanno anche la TV". Il volontariato dovrebbe proprio essere la catena di congiunzione tra il carcere e il mondo esterno per far in modo che la gente abbia una visione più oggettiva del carcere.


3.3 Incontrare l'esterno

Un altro esempio di come "Ristretti Orizzonti" possa essere ritenuto un gruppo che sta attraversando l'interfaccia B è rappresentato dall'interesse, comune a tutti i membri, di instaurare un rapporto con l'esterno allo scopo di far conoscere la realtà carceraria per cercare di ridurre eventuali stereotipi o paure che favoriscono l'esclusione del detenuto una volta uscito dal carcere.

A questo proposito considero particolarmente interessanti gli incontri in cui si è discusso di come organizzare gli incontri gli studenti universitari della facoltà di psicologia. In questa occasione ho notato soprattutto l'urgenza di comunicare con l'esterno, comune a tutti i membri del gruppo.

Riporto di seguito una parte di questa discussione avvenuta il 18 marzo 2003.


Antonio: bisogna capire i temi da affrontare.

Mario: io direi che si può fare la discussione sul volontariato, ampliare anche a loro il dibattito sulle misure alternative: meno carcere più impegno sociale.

Antonio: forse gli studenti sono già propensi a pensarla così: forse lì bisognerebbe essere anche più provocatori, in genere se avviciniamo una classe di studenti sono già avvezzi.


Mario: beh, io non lo darei per scontato.

Antonio:(riferendosi a me e mia accompagnatrice anche lei studentessa universitaria) beh non sono tutti come voi.

Io: di carcere si sa molto poco: l'argomento in Università viene affrontato poco.

Mario: quindi sono poco avvezzi.

Io: io partirei da quello che voi ritenete più urgente da esprimere.

Mario: io mi sono accorto che c'è molta curiosità : vogliono sapere tante cose piccole che magari non centravano niente col tema; potremmo dividerlo in due momenti : soddisfazione delle curiosità dei ragazzi e tema di discussione. Prima soddisfi la curiosità, una volta che hai soddisfatto la curiosità puoi entrare anche nella discussione del tema e sei già visto sotto un altro punto di vista. Non sei più quello che non conoscono, che vieni dentro e c'è il freddo, vieni lì a parlare di meno carcere e più misure alternative.

Antonio: sarebbe utile indagare sulle loro opinioni in materia prima, tipo questionario. Io vorrei sapere il loro pensiero.

Mario: ma te lo dicono lì.

Antonio: si ho capito ma non è semplicissimo chiedere il loro pensiero, ad esempio se ci sono situazioni in cui parlano della devianza, criminalità, carcere. situazioni scolastiche o anche extrascolastiche in cui un tuo compagno discute di questi temi.

Mario: per me è la formula più bella: sei lì e ti metti a confronto e dici: "chiedete quello che volete".

Io: secondo me chiunque organizzi un incontro deve sapere che cosa vuole far emergere e poi ci può essere spazio per le domande.

Carmelo (rivolto a Mario): a cosa sono interessati , tu che l'hai fatto?

Mario: ma guarda sono dei ragazzi stupendi . ( ha raccontato la sua esperienza con degli studenti universitari) . ti chiedevano di tutto: da come mangi a come dormi a come sei organizzato. comunque devi partire con la volontà di ascoltarli e una disposizione ad accettare anche un dibattito che ti può sembrare stupidino all'inizio, però ha il suo fine: arrivi a rompere il ghiaccio e da qui che siamo poi andati alle cose pesanti. Dobbiamo partire da che cos'è il quotidiano, da come si può finire in galera. un po' come facciamo con i ragazzini ma tenendo presente che abbiamo a che fare con dei giovani uomini e delle giovani donne.

(la discussione prosegue)

Antonio: però, Mario, con i ragazzi io preferirei fare un discorso sulla prevenzione come quello che dovremmo iniziare a fare col comune per le scuole medie superiori, sto già cercando di scrivere delle cose in quattro punti. Io pensavo di partire con una rilevazione: chiedere a loro qual è il loro atteggiamento, le loro conoscenze partendo da domande abbastanza banali ad esempio: se leggi un giornale se ascolti le trasmissioni televisive e dopo entrando nello specifico come "qual'è, secondo te, il motivo principale che porta una persona ad entrare in carcere" servono più a saggiare, quella più pensata per gli studenti delle superiori: gli universitari sono già più preparati; è un sistema per saggiare le loro conoscenze, il loro atteggiamento.

Mario: bisogna vedere che cosa ci prefiggiamo noi.


Sempre a riguardo della funzione del gruppo come "interfaccia B", riporterò un altro esempio di discussione avvenuta avente come tema la prevenzione alla criminalità e alla devianza.

Mi sto riferendo in particolare ad una delle attività della redazione che consiste nell'organizzare degli incontri con gli alunni delle scuole medie inferiori su questo tema.

Premetto che alcuni componenti di "Ristretti Orizzonti" hanno seguito e partecipato attivamente ad un progetto di prevenzione della criminalità in una scuola media di Limena. Successivamente ad un incontro in cui due detenuti della redazione hanno raccontato la propria esperienza agli studenti di questa scuola, è stato somministrato agli alunni delle classi che avevano preso parte all'incontro un questionario sulla giustizia e la criminalità. Tra le domande poste loro, una era volta ad indagare l'opinione dei ragazzi in merito alla possibilità di "farsi giustizia da soli".

Durante la riunione di "Ristretti Orizzonti" avvenuta il 7 Marzo 2003, si è discusso in merito alle risposte fornite dai partecipanti al questionario e di come migliorare la presentazione di questo tema nelle scuole.


Antonio: l'altro tema su cui ho cercato di pensare ieri era il discorso dei minori. La prevenzione, il progetto di prevenzione legato ai minori. e. intanto mi sono guardato il questionario che hanno compilato a Limena...

Ornella : ah! Non l'ho ancora visto.

Mario: sono troppo bravi (i ragazzi).

Antonio: no, non è che sono troppo bravi, ad esempio è emerso in un punto una domanda che mi ha incuriosito anche perché sono sensibile a questo tema e diceva se era lecito farsi giustizia da soli e la maggior parte ha risposto di si.

Mario: ma chi sono?

Antonio: non lo so, perché hanno risposto anche le ragazze.machismo femminile! Farsi giustizia da soli per un torto subito è a volte ammissibile per un 50%, ammissibile sempre per un 15%, inammissibile per il 30%. Io sto cercando di rivedere le idee a proposito perché ovviamente dalla mia esperienza personale avevo ricavato che è meglio non farsi giustizia da soli..

Marco: soprattutto se dopo ti beccano!

Antonio: soprattutto se dopo ti beccano però riflettendo sul fatto che poi la giustizia in realtà non sempre fa reale giustizia..

Ornella: questo però è un ragionamento pericolosissimo.

Antonio: lo so, però.

Mario: non è un ragionamento da fare lì.

Antonio: io posso capire perché la maggior parte di questi ragazzi.

Marco: quanti anni hanno scusa?

Antonio: 13-14 anni.

Marco: ma falli ragionare ancora un po' a cow-boy e indiani.

Antonio: al di là che loro pensano di fare giustizia su cose diverse, però la sfiducia generalizzata nella giustizia è qualcosa che gli è stato comunque trasmesso.

Marco: ma anch'io a 15 anni ero favorevole alla pena di morte e a 25 non lo ero più.

Antonio: altre domande riguardano le istituzioni nel quale hanno fiducia, e la giustizia è un'istituzione nella quale la fiducia è scarsa, e o glielo hanno trasmesso le famiglie o glielo hanno trasmesso i mass media o glielo hanno trasmesso gli insegnanti. Qualcuno glielo ha trasmesso visto che hanno 14 anni.

Marco: scusate, ma continuo a ribadire: ma nessuno di voi si ricorda quando aveva 14 anni? Il mondo è ancora in bianco e nero, le sfumature di grigio arrivano più tardi.

( continua la discussione )

Ornella: si ma, scusami Marco, su queste cose qui devi ragionare quando i ragazzi sono ancora abbastanza piccoli e non dare tutto per scontato! Primo perché poi come capita nei sondaggi oggi dai 18 ai 25 anni sono tutti contro l'indulto. allora parliamone insomma!

Marco: però io quando vedo ragazzini di 13 assennati che fan discorsi. io mi spavento.

Ornella: però scusami Marco, intanto non puoi neanche dire: " beh, lasciamoli..." perché anche la scuola ha una funzione non tanto . non è che tutti i momenti a scuola li passi a parlare di diritti, giustizia, però qualche spazio.

Antonio: cioè rispetto a come abbiamo affrontato l'anno scorso questo impegno, lo abbiamo fatto in modo più leggero e quest'anno mi sembra che anche noi siamo maturati di più ed abbiamo fatto meglio. Noi non possiamo fare il discorso di Sant'Agostino e dire: " noi ci siamo convertiti, voi non fate come abbiamo fatto noi".

Ornella: scusa Antonio, ma questo l'abbiamo sempre detto in ogni caso, io detesto chi va a fare una lezione di vita e a fare il convertito. Tu vai e gli devi presentare la tua storia la tua esperienza e poi devi dire: " che tu abbia 14 o 50 anni sei tu che devi trarne le conseguenze".

Antonio: i rischi sono due: o quello di presentare la propria storia peggio di come è stata per fare in modo che a loro non piaccia e il rischio invece, è di colorarlo un po' troppo e di affascinarli con tua esperienza di vita e di diventare comunque un modello.

Ornella: per esempio quando Mario faceva un bilancio su quello che ha ottenuto e quello che ha perso secondo me era efficacissimo senza bisogno di fare tante storie e dire: " io sono un pentito!".


Questo è un esempio in cui, nella discussione di gruppo, sono emersi ancora una volta degli atteggiamenti di apertura nei confronti del mondo esterno e soprattutto quello che Spaltro definisce "changing", cioè la capacità di un'attiva partecipazione per produrre dei cambiamenti, che in questo caso possono essere rappresentati dalla possibilità di educare dei ragazzi ad un certo tipo di mentalità.

Il "changing" si ricollega direttamente al concetto del "potere psicologico" di gruppo e alla differenza con quello che Spaltro definisce "change". Il potere psicologico di gruppo inteso come la capacità di produrre cambiamenti e l'attitudine al "changing" sono secondo me caratteristiche proprie anche di "Ristretti Orizzonti". Prima di spiegarne il motivo e di proporre qualche esempio che illustri meglio ciò che voglio esprimere mi soffermerò ad approfondire meglio il significato che attribuisce Spaltro a questi termini.


4 Il gruppo come luogo del potere

Ho già sottolineato come il piccolo gruppo sia fondamentale in quanto costituisce ciò che Spaltro denomina "interfaccia B" cioè l'anello di congiunzione tra il singolo e la società.

Con il concetto di potere psicologico questo autore intende la capacità di provocare o impedire cambiamenti. Tali cambiamenti possono essere provocati o impediti sia nei confronti di singoli individui, sia nei confronti di piccoli gruppi, sia nei confronti di collettività.

Tradizionalmente si considerava soltanto il piccolo gruppo come cinghia di trasmissione nel senso discendente, vale a dire come il modo in cui la società esprime il suo potere sul singolo individuo; ora invece si ritiene che ci possa essere anche un altro tipo di potere ossia quello che il singolo, attraverso il piccolo gruppo, può avere per influenzare la collettività o per lo meno una parte di essa.

Per questo motivo il piccolo gruppo, agendo come 'interfaccia B' è l'entità che possiede la massima efficienza nel provocare o impedire i cambiamenti a livello collettivo.

Rollo May (1972) individua cinque qualità del potere : il potere sfruttatore, il potere manipolatorio, il potere competitivo, il potere nutritivo e il potere integrativo.

Questo autore afferma che il potere sfruttatore è il più semplice e il meno efficiente. Esso si esercita tramite la forza e la violenza.

Il potere manipolatorio invece è definito da May come potere sopra una persona: un esempio di potere manipolatorio è la conoscenza psicologica e unilaterale dell'altro. Il potere competitivo è il potere contro una persona: ciò non significa che sia necessariamente distruttivo ma implica il porsi sullo stesso piano dell'altro individuo in quanto, a differenza dei due tipi precedenti, esiste la percezione di un'oggettiva opposizione di interessi.

Il potere nutritivo è il potere "per" un'altra persona ed è tipico di un rapporto "adulto-bambino".

L'ultima forma di potere è l'integrativo ovvero il potere con un'altra persona.

Si tratta qui del classico rapporto di influenzamento simmetrico che si esercita tramite lo scambio di idee, la cooperazione, la non violenza.

Dalle mie osservazioni, ritengo che "Ristretti Orizzonti" sia un gruppo dove è presente un forte potere di tipo integrativo, cioè derivato da un confronto reciproco tra i suoi membri oppure tra il gruppo nella sua unità ed esponenti della società esterna.

Spaltro afferma inoltre che il cambiamento può avvenire mediante due tipi di processi: il change ed il changing . Il primo è il mutamento di cui si è spettatori dall'esterno, mentre il secondo è il cambiamento in cui si partecipa da protagonisti, vale a dire assumendo un atteggiamento responsabile nei confronti del cambiamento stesso.

Shepard (1971) ha definito con i termini di cooperazione-consenso il processo di mutazione in cui si occupa un ruolo attivo e responsabile.

Spaltro definisce il changing come:

produzione di conoscenze valide, sia come informazioni sia come presa di consapevolezza delle conoscenze stesse

presenza di uomini nuovi o comunque diversi nelle strutture sociali

instaurazione di particolari tipi di rapporti interumani tendenti a promuovere la consapevolezza del rapporto, ossia la consapevolezza della realtà

creazione di gruppi di pressione particolare che si abituino poco alla volta alla presa di decisione e all'azione collettiva

processo di apprendimento di un qualsiasi elemento cognitivo o affettivo

processo di continuità cioè concezione del mutamento non come un fatto localizzabile nel tempo ma come processo continuo e sempre in movimento

aumento dell'efficienza di un sistema che indica semplicemente la presenza del cambiamento

Secondo me "Ristretti Orizzonti" oltre a costituire un esempio di gruppo che sta attraversando la fase dell''interfaccia B' è anche una realtà dotata oltre che di ampio potere integrativo, anche di un atteggiamento rivolto al changing, cioè al cambiamento responsabile e provocato intenzionalmente.

Cercherò ora di spiegare con esempi concreti le affermazioni scritte sopra.


La responsabilizzazione nei confronti della propria condizione


Nel secondo capitolo si è già discusso di come il carcere possa condurre alla deresponsabilizzazione dell'individuo, oltre che al suo isolamento nei confronti del mondo esterno.

Uno dei poteri di "Ristretti Orizzonti" è quello, a mio parere, di favorire e promuovere la responsabilizzazione dell'individuo in contrapposizione al "potere infantilizzante" che spesso le istituzione totali rischiano di esercitare sulla persona, come esplicitato da Gallo (1989) e Curcio (1997).

Nel corso di questi mesi ho percepito come, in generale, tutto ciò che concerne questa attività, porti beneficio a chi vi prende parte in termini di presa di coscienza della realtà carceraria e di ricerca attiva delle possibili soluzioni ai problemi.

E' difficile esemplificare concretamente un termine astratto come la responsabilizzazione, tuttavia proverò a riportare qualche esempio di come il gruppo si sia rivelato un promotore di questo atteggiamento.

A questo proposito proporrò alcune discussioni in merito alle restrizioni che vengono imposte ai detenuti che usufruiscono delle misure alternative.

In queste riunioni sono emersi due aspetti in particolare. Il primo è stato l'esigenza di un confronto e di una chiarificazione con i magistrati di sorveglianza in merito alle difficoltà che i detenuti incontrano quando ottengono la possibilità di accedere alle misure alternative (la rigidità degli orari da rispettare, dure sanzioni a chi trasgredisce ecc). E' inoltre emerso un atteggiamento critico ed attivo che, a mio parere, denota un forte desiderio di cambiamento della situazione in cui si trovano i detenuti attualmente.

Riporto di seguito uno stralcio di discussione come testimonianza di una forte esigenza di coltivare rapporti sociali e della necessità di trovare un riscontro positivo di questo bisogno nella legislazione.


26 novembre 2002

Gabriella: E' il Direttore che concede l'articolo 21?

Ornella: Potremmo fare un articolo nel prossimo numero sull'articolo 21 per capire chi lo dà e quanto lo dà cercando di fare un'analisi in giro per l'Italia.

Carmelo: Qui c'è scritto dopo il quarto di pena.

Davide: Ma un terzo di trenta quanto è? Dieci. Mentre per l'ergastolo c'è scritto che devi aver scontato almeno dieci anni, per le pene non oltre i trenta anni c'è scritto che devi aver scontato non oltre i dieci anni. Cosa vuol dire? Che entro i dieci anni te lo devono dare.

Carmelo: Devi aver scontato dieci anni.

Ornella: Per me il problema dell'articolo 21 è che mandi fuori gente con pene molto lunghe. Se uno può andare in semilibertà..

Mario: Comunque, Ornella, in articolo 21 è dura. In carcere è sicuramente più dura ma quando sei fuori vedi la vita e sei legato al tuo binario e non devi scartare da quel binario e non siamo autonomi ed è facilissimo "sgarrare". Io capisco che uno non può fare venti anni in articolo 21. Io ho chiesto l'articolo 21 insieme alla semilibertà: l'articolo 21 da solo fa piangere.

Giacomo: (l'articolo 21) è un trampolino di lancio per poter accedere ad un beneficio più elastico. Nell'articolo 21 sei isolato da tutto. Qui in carcere bene o male socializzi,vedi compagni, fai attività sportive. In articolo 21 lavori solo e non puoi coltivare rapporti sociali.

Ornella: Sono d'accordo con voi ma potete dire che stare in galera è meglio che l'articolo 21?

Mario: No ma dopo venti anni di galera iniziare con l'articolo 21 è pesante. Anche io dico che se usciamo tutti in articolo 21 è molto meglio che stare qui ma sono pronto a scommettere che su venti che usciamo solo due riescono a stare in articolo 21 per più di due anni.

L'articolo 21 dovrebbe essere in preparazione alla semilibertà: non sono ancora nei termini per la semilibertà e allora vado.


In questa conversazione ho potuto osservare come il gruppo avverta i limiti insiti nelle leggi sulle misure alternative le quali rendono difficoltoso instaurare o mantenere rapporti sociali. A questo dibattito interno alla redazione è seguito l'incontro con i magistrati di sorveglianza a cui i detenuti hanno esposto tutti i dubbi e le riflessioni emerse precedentemente.

L'aspetto che tutti i membri della redazione hanno rilevato è stata la difficoltà di reinserimento nella società dovuta al rispetto delle regole, da loro sentite come troppo restrittive, imposte nel regime di semilibertà e più in generale nelle misure alternative.

Ritengo che, in questo frangente, il gruppo abbia potuto esercitare quello che Spaltro chiamerebbe "potere integrativo", cioè il potere che si esercita mediante lo scambio di idee e l'influenzamento reciproco.

Infatti il gruppo di "Ristretti Orizzonti", riflettendo su un tema veramente delicato come quello trattato, ha saputo trasformare il dibattito interno in una occasione di confronto con le autorità. Così facendo si è proposto attivamente nel tentativo di aprire un dialogo con l'esterno, qui con i magistrati, cercando di trovare una soluzione ad una situazione di disagio.

Un'altra delle occasioni in cui è stato evidente un atteggiamento orientato al "changing" è stata la riunione del primo ottobre 2002, in cui si è discusso della necessità di creare degli sportelli lavoro per informare i detenuti sulle varie possibilità di lavoro all'interno e all'esterno del carcere . In quell'occasione era  riscontrabile l'uso del potere integrativo, cioè dello scambio di idee e di informazioni al fine di riuscire a provocare dei cambiamenti, che in questo caso sono stati la progettazione di uno sportello informativo e della conferenza sul lavoro.

Ecco, di seguito, un estratto esemplificativo di quella riunione.


Ornella: ho sentito qui in regione delle notizie contrastanti su iniziative della regione e della provincia.

Marco: la Slepoj vuole fare uno sportello-lavoro.

Ornella: la Slepoj ha parlato che vuole fare uno sportello per gli ex detenuti.. Il giorno 8 noi siamo stati invitati insieme ad altre associazioni ad un incontro con tutti i direttori del Triveneto, è stato mandato anche a me l'invito come "Ristretti Orizzonti" dal Provveditorato alle carceri. Eccolo qua, dice "oggetto: tavolo di confronto volontariato e carcere." Su queste cose noi dobbiamo essere presenti. Anche proponendo alla conferenza.

Antonio: proponigli il nostro di progetto sullo sportello.

Ornella: secondo me, la cosa che dobbiamo fare è arrivare a questa riunione, al Provveditorato. e mettendoci d'accordo con la Conferenza nazionale, con una proposta chiara al Provveditore. io vorrei arrivare al giorno otto con qualche proposta, per esempio riflettevo sul discorso dello sportello.

Antonio: cosa vorresti fare col volontariato?

Ornella: vorrei proporre alla conferenza "Volontariato e Giustizia" di arrivare con una bozza nostra sia rispetto allo sportello che .

Mario: comune? Ci hanno scorporato?

Ornella: sì comune, perché noi da soli non è che possiamo. per esempio allargando il discorso dello sportello lavoro, fatto meglio, a questa cosa dell'ufficio che hanno fatto a Roma sul lavoro.

I componenti del gruppo chiedono informazioni sull'attività degli sportelli a Roma.

Mario: praticamente danno informazioni sul lavoro, inserimento lavorativo.

Ornella: comunque io vorrei che buttaste giù un po' di appunti sul fare una proposta di convegno sul lavoro e sugli sportelli lavoro in modo da arrivare al Provveditorato con questa proposta.

Mario: ti hanno detto già di sì?

Antonio: più che altro è da definire con il direttore questa cosa.


Sempre relativamente alle misure alternative all'inserimento lavorativo dei detenuti, è stato interessante quanto è emerso nella riunione del 10 dicembre 2002.

L'argomento di discussione era centrato sui vantaggi e gli svantaggi che derivano al detenuto dalla scelta di lavorare presso un'agenzia di lavoro interinale o presso una cooperativa. Sono emerse posizioni contrastanti ma la riunione è stata un'interessante approfondimento delle possibilità più vantaggiose perché ci possa essere un inserimento lavorativo più efficiente del detenuto e a mio parere rappresenta un valido esempio di discussione volta ad aumentare il livello di "changing" cioè di cambiamento responsabile, in questo caso per quanto riguarda le conoscenze relative alle modalità occupazionali più vantaggiose.


Roberto: si parlava di indicare un obiettivo. Di questi lavori a termine.

Ornella: si pensava di proporre nelle questioni giuridiche da studiare, una specie di congelamento della semilibertà. Cioè se uno fa un lavoro a termine, uno di questi lavori interinali e poi ne trova un altro e passa un certo periodo perché. sarebbe da lavorare con una agenzia all'interno del carcere.

Antonio: In realtà io ho visto la cooperativa di Venezia: la cooperativa assume i detenuti e dopo gli fa fare tutto. in c'è mica bisogno di tante cose.

Ornella: No il concetto è diverso per trovare lavoro per chi è in carcere ed è nei termini per le misure alternative ci sono delle professionalità tipo i cuochi. che adesso sono facili da trovare come lavori a termine ad esempio nel periodo estivo. Allora si parlava di discutere nel gruppo giuridico di tutta una possibilità di congelamento. In modo che uno se si interrompe il contratto di lavoro non debba poi rifare tutta. cioè che sia congelata la semi libertà in attesa di un altro rapporto di lavoro.

Antonio: In realtà anche questo l' ho visto abbastanza funzionare, le persone rimangono rinchiuse si e no un mese. Devono controllare se il nuovo datore di lavoro ha tutti i requisiti.

Roberto: Loro ti danno più o meno un mese in cui devi trovarti un nuovo lavoro.

Antonio: Io non ho visto come dici tu persone che comunque continuano ad uscire. io ho visto persone chiuse per un mese o due e poi partire con un altro lavoro.

Davide: però intanto ti chiudono.

Roberto: Il problema non è di chiudere ma di saltare quella prassi che comunque quando trovi un altro lavoro devi presentare in camera di consiglio.

Antonio: E ma devono capire se è adeguato o il magistrato o qualcun altro.

Ornella: Il discorso dovrebbe funzionare come una agenzia di modo che l'agenzia da anche le garanzie sull'affidabilità del posto di lavoro perché la linea di tendenza sarà così: è sempre più difficile trovare un posto di lavoro fisso, restano solo le cooperative ma per le cooperative è sempre più difficile far fronte a tutte le esigenze per cui c'è un sacco di gente che non esce.

[continua la discussione]

Ornella: secondo me dovremmo invitare qualcuno al convegno che ha una agenzia di lavoro interinale perché gli si potrebbe proporre di lavorare anche. è una ipotesi Antonio.

Antonio: prima l'intermediazione sul lavoro era proibita adesso è legalizzata. ma l'interinale non piace a tutti.

Ornella: il problema dell'agenzia interinale è diverso spesso molti di quelli che lavorano un po' di la un po' di qua vengono assunti. Io l' ho visto . Il ristorante che ti chiama un po' per l'inverno e un po' per l'estate alla fine ti chiama. Uno non rimane sempre interinale.

Paola: Ma con questa nuova forma di lavoro sarà sempre più difficile trovare posto fisso, può esserci il caso ma non è cosi diffuso che sei bravo che il datore di lavoro ti assuma, ma con le agenzie interinali rischi molto di più il posto di lavoro perchè non si è legati lì.

Succede che qualcuno venga assunto annualmente. Ma la prassi è che tu non hai un posto di lavoro fisso.

Paolo: Se l'agenzia desse le garanzie al magistrato di modo che il magistrato non debba ogni volta stare ad indagare il posto dove ti manderanno a lavorare.

[continua la discussione]

Paolo: non è più o meno la stessa cosa?

Roberto: No, non è la stessa cosa perché l'agenzia interinale fa un contratto con un'altra fabbrica che dice :"io ho bisogno di tre persone per sei mesi" e l'agenzia cosa fa? L'agenzia prende tre persone e lo stipendio glielo dà l'agenzia, perché è la fabbrica che paga l'agenzia.

[continua la discussione]

Antonio: mi sembrerebbe più fattibile l'altra ipotesi quella della cooperativa.

Paola: l'agenzia non ha la possibilità mentre la cooperativa che ti fa socio e che ti assume ti dà più stabilità nel lavoro. Ti dice ti utilizzo qua o ti utilizzo là tu hai questa premessa, la cooperativa è allargata e ha molte attività e secondo me, a parte che io sono contraria per principio al lavoro interinale. già con questo tipo di struttura cosi rigida come è il carcere, proporre questo tipo di flessibilità mi pare estremamente pericoloso. E anche, se loro considerano il lavoro come trattamento, questa gente che può uscire, essere rinchiusa, riuscire, mi pare una cosa abbastanza pericolosa anche per il percorso di reinserimento.

Ornella: Il problema è che non c'è lavoro altrimenti! Il problema esiste ed è molto forte però perché l'altra faccia della medaglia è che c'è poco lavoro e abbiamo visto che le cooperative assumono le persone fino a fine pena. i problemi nascono con chi è ex detenuto, non con chi è in misura alternativa perché chi è in misura alternativa è sottoposto ad un sistema di controllo.

Antonio: Ho anche l'impressione che non manchi in assoluto il lavoro, forse in determinati settori, ma la snellezza delle procedure per mandar fuori le persone


Da questa discussione è emersa innanzitutto l'esigenza di fare in modo che l'inserimento lavorativo di detenuti ed ex-detenuti sia reso più stabile e sicuro. Inoltre il dibattito è stato utile perché ha contribuito ad aumentare le conoscenze e la presa di consapevolezza delle varie opportunità di reinserimento da parte di tutti i membri.

Un altro esempio che dimostra come è la redazione di "Ristretti Orizzonti" costituisca un esempio di gruppo attivo e propositivo allo scopo di migliorare le condizioni di vita in carcere è stata la discussione in merito alle problematiche riguardanti i detenuti stranieri in Italia.

Per gli stranieri che hanno commesso un reato e sono privi di permesso di soggiorno è prevista l'espulsione a fine pena. Riporterò di seguito una riunione in cui si avanza l'idea di presentare un progetto sperimentale per gli stranieri ai fini di facilitare il loro reinserimento lavorativo una volta usciti dal carcere. Questa riunione era una riunione preparatoria all'incontro con gli operatori della trasmissione televisiva "Un mondo a colori" interessata ai problemi degli stranieri nelle carceri.


Filippo: non c'è la possibilità di parlare anche di questa legge (la Bossi-Fini)

Ornella: si ecco giusto.Chi è che se la sente di parlare di cosa vuol dire aspettare.

[continua la discussione]

Ornella: il problema vero è questa cosa dell'espulsione.

[continua la discussione]

Antonio: l'espulsione non prevede altre misure tranne il divieto di rientrare

Ornella: il problema è che adesso l'espulsione non è su richiesta te la danno ti espellano e basta.

Luigi: in sentenza?

Ornella: no, non solo in sentenza adesso con la nuova legge l'espulsione è obbligatoria. mi pare di aver capito che nella nuova legge l'espulsione gli ultimi due anni viene data dal magistrato di sorveglianza per cui il magistrato di sorveglianza di Torino ha detto che sostiene che va contro l'articolo 27 della costituzione perché se uno ha iniziato il programma di reinserimento e tu gli e lo interrompi gli impedisci quello che invece l'art.27 della costituzione ti dice che devi portare a termine il programma di reinserimento, di educazione.Tu Filippo vorresti tornare al tuo paese a fine pena?

Filippo: Il discorso è questo: in 5 anni di carcere io ho imparato qualcosa e ora sto recuperando qualcosa e dovrebbero darmi una possibilità: un mese, due mesi di tempo affinché io mi trovi un lavoro . perché ha sbagliato uno mica devono sbagliare tutti .

Antonio: adesso c'è la legge Bossi-Fini che è abbastanza preclusiva nei confronti di chi ha precedenti penali purtroppo.. non è che ti lascia tanto regolarizzare . ovviamente dal punto di vista umano e civile hai perfettamente ragione ma ti scontri con una situazione non semplice non puoi dire esco dal carcere e mi dai due mesi, cerco un lavoro: servirebbe un permesso provvisorio.

[continua la discussione]

Antonio: quando finisce la pena e non hai il permesso di soggiorno ti arriva l'espulsione amministrativa che è l'espulsione che colpisce tutti gli immigrati anche se non hanno commesso reati che non hanno il permesso di soggiorno e quello lì il tuo problema

Paolo: ieri Ornella avevi fatto il discorso di un numero sperimentale di persone straniere da inserire nella quota già prevista . cioè avere una quota destinata ai detenuti che hanno già cominciato un percorso.

Ornella: si, secondo me è l'unica strada percorribile che noi lo dicevamo da tempo se fosse stata percorsa a livello nazionale da tutti, ad esempio dalla Caritas etc.. perché su questa strada trovi d'accordo anche le direzioni delle carceri perché se no tutte le attività fatte per gli stranieri sono assolutamente buttate, soldi. io sento tantissimi direttori dire che sarebbero favorevoli a una sperimentazione: cioè facciamo un certo numero di detenuti stranieri che prima della fine della pena già abbiano un lavoro e ce ne sono. e poi se si sapesse di avere una possibilità di regolarizzazione diventerebbe una prospettiva molto più realistica e secondo me sarebbe l'unica possibilità e l'avevano avanzata da Milano l'agenzia "Solidarietà per il lavoro" mi sembra che sarebbe una cosa da portare avanti per dare un minimo di prospettiva.

[continua la discussione]

Ornella: secondo me il discorso da fare è portare avanti una quota di regolarizzazione anche tra persone che hanno avuto dei precedenti penali e che hanno portato avanti un percorso riabilitativo.


Tra responsabilizzazione e apertura nei confronti dell'esterno: meno carcere e più impegno sociale


Come già spiegato in precedenza, alcune caratteristiche che definiscono meglio il gruppo di "Ristretti Orizzonti " sono il suo grande potere di operare cambiamenti, la sua funzione di "interfaccia B" e l'atteggiamento di responsabilizzazione nei confronti della realtà in cui i componenti della redazione vivono.

Un esempio di riunione in cui a mio parere questi tre aspetti sono emersi particolarmente e che mi sembra significativo riportare è stato quella in cui si è discusso della proposta di legge sulla "riparazione del danno".

Nella proposta è previsto che il detenuto, a fine pena, compia un'attività socialmente utile allo scopo di riparare ulteriormente il danno causato alla società. Il dibattito interno alla redazione su questo tema è stato molto acceso perché le posizioni dei componenti del gruppo a riguardo erano contrastanti.

Nella riunione dell' 11 Marzo 2003 si è discusso dei temi da affrontare nell'incontro che organizzeranno a luglio in occasione del trentesimo anniversario di un'associazione di volontariato.

All'incontro era presente anche Fra Beppe da anni attivo nell'ambito del volontariato penitenziale.

Di grande attualità è il tema della riparazione del danno e della commutazione della pena in attività socialmente utili.

Riporto di seguito la riunione nella sua versione quasi completa poiché mi sembra un'esemplificazione significativa.


Fra Beppe: Io come coordinatore del Veneto, del Friuli e del Trentino, dato che quest'anno facciamo il venticinquesimo seminario cioè 25 anni che la nostra associazione opera nel carcere è giusto che questa data venga ricordata facendo un seminario il 3 Luglio qui dentro. quest'anno si vorrebbe fare il primo giorno qui dentro e poi continuare e dopo continuare in una casa albergo qui a Padova pero vorrei che partisse da voi il tema di discussione di cosa parliamo?.

Antonio: Stiamo discutendo in questi giorni di cose che penso ti interessino tra varie contraddizioni perché anche tra noi mica tutti siamo d'accordo. Il risarcimento? Gli atti risarcitori come alternativa alla pena è un discorso che va ragionato e ci ragioneremo anche lunedì mattina con i magistrati.

Adesso ci è arrivato un intervento del Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Genova, si chiama Monteverde che dice queste cose: le misure alternative ma anche le pene alternative al momento della condanna andrebbero quanto più sostituite con atti risarcitori ma chiede serietà non chiede rigore.

Davide: Anche perché dice: più fallimenti ci sono, più la cittadinanza e la parte politica si sfiduciano e quindi sempre meno verranno concessi.

Fra Beppe: Serve una risposta diversa da parte del carcere con una pena alternativa al posto del carcere è questo il discorso che alcuni anni fa si voleva affrontare: perché dare ad uno 10 anni o 5 anni di carcere e non dare l'affidamento fuori?  Con degli obblighi e dei doveri ma fuori. Intendi dire questo tu?

Antonio: Si, intendo dire, nel momento in cui non c'è più il problema della sicurezza, nel momento in cui la persona non rappresenta più un pericolo, può rappresentare una risorsa. Sta poi a vedere se una società preferisce privilegiare il suo diritto di punire chi ha sbagliato o preferisce.

Fra Beppe: In questo momento preferisce punire.

Antonio: Senz'altro preferisce punire ma le battaglie culturali vanno fatte. Io riflettevo su una cosa.

[continua la discussione]

Antonio: un'altra riflessione che mi facevo stanotte è stata: è venuto fuori l'indulto e Castelli ha detto: " sarebbe la resa dello Stato". Io ho pensato: " è una sconfitta più grande per la società rinunciare alla punizione o è una sconfitta più grande quando una persona torna ad essere recidivo e torna a commettere un reato? Io penso che la sconfitta più grande per tutti sia la rediva."

[continua la discussione]

Antonio: Per me l'argomento dovrebbe essere: cosa si può fare per avere meno carcere possibile?

Mario: portiamo avanti questo discorso qui.

Ornella: lui fa un discorso interessante sulle misure alternative e sulla necessità di cambiare sistema sanzionatorio: misure alternative più una parte di lavoro sociale per riparare il danno invece che tanto carcere.

Antonio: non per essere troppo buoni ma se da parte nostra dimostriamo la disponibilità a degli atti risarcitori allo stesso momento servirebbe da parte dei magistrati un riconoscimento di questo impegno cioè una contropartita. E' vero, lui sottolinea, che è sempre una forma di punizione quindi non c'è da pretendere troppo. Diciamo che se oltre alle misure alternative classiche tu facessi anche qualcosa come riparazione del danno .

Ornella: con pene meno lunghe perché se discutevamo giustamente.

Antonio: .ci deve essere la nostra disponibilità a farlo e una motivazione. Perché obbligare uno a fare l'atto risarcitorio è sbagliato, come obbligarlo a fare altre cose mentre bisogna lavorare su un livello diverso cioè rendere consapevoli della bellezza di questo gesto perché io personalmente lo sento abbastanza ma non tutti possiamo sentire così. Io sento abbastanza che a fare volontariato sono contento.

Mario: Devi pensare alla gente con cui hai che fare! Non è che siamo dei santarellini: andiamo a fare le rapine, a rubare, .io dico che la pena risarcitoria avrà senso di esistere quando si inizierà a parlare di riduzione delle pene, se no è un volere offrire la schiena ad altre frustate e ne abbiamo gia prese tante! Io sono d'accordo con quello che dice lui ( il legislatore ) ma la cosa su cui sono più d'accordo è che questa proposta è futuribile, è futuribile nella misura in cui si decideranno a metter mano al codice attuale se no .

Antonio: Ovviamente è giusto che il dibattito ci sia anche tra di noi.

Mario: Prima bisogna mettere mano all'eccessività delle pene. la società mi ha ucciso da un punto di vista civile. Quando lo stato si renderà conto di avere esagerato a dare sanzioni a certe persone, allora si potrà ragionare su queste cose.

Fra Beppe: E' giusto questo discorso ma non si potrebbe chiedere ad un Magistrato che gestisce la giustizia perché andiamo avanti per ogni reato con la risposta "carcere" ?.

Mario: io penso a me e ad alcuni miei compagni. ne abbiamo combinate ma abbiamo preso anche delle grosse palate sui denti: 40 o 50 anni di galera!! Non mi può venire a parlare Antonio del bel gesto.

Antonio: intanto non bisogna basarsi solo su di noi: sappiamo che l' 80% che sono in carcere hanno pene bassissime di 2 o 3 anni e potrebbero stare fuori.

[la discussione continua ]

Antonio: che ci sia la sostituzione delle pene minori che è fondamentale.

Ornella: a me non piace tanto la parola risarcimento del danno intanto una parola d'ordine potrebbe essere: meno carcere e più impegno sociale, in che senso? In realtà l'impegno sociale uno deve pagare, giusto. Una pena ci deve essere e allora o uno si fa il carcere oppure l'ipotesi dovrebbe essere meno carcere e queste persone si rendono utili alla società non vuol dire pagare il danno in termini economici perché in quel caso ci rimetterebbero i più poveri e ne se è morto uno che glielo resusciti. L'impegno tuo per la società che può essere l'aiuto ai disabili o agli anziani è un risarcimento anche per la famiglia a cui hai fatto il danno.

La concezione dovrebbe essere questa: meno carcere più impegno sociale quindi in questo caso può essere obbligatorio nel senso o paghi con il carcere o ti impegni socialmente.

Marco: o una cosa o l'altra.

Ornella: e certo, chiaramente dove è possibile per certi reati meno carcere e un risarcimento di tipo sociale secondo me questo potrebbe essere l'argomento ed il titolo del convegno.


In questo esempio è chiaro lo scopo del gruppo in quanto agente che provoca il "changing" ed anche la sua propensione nei confronti della società esterna .

Dopo un lungo dibattito in cui è stata evidente la presenza del potere integrativo, cioè dell'influenzamento reciproco e della cooperazione che tra i componenti della redazione, sebbene ci fossero visioni discordanti sull'efficacia della proposta presa in esame, il gruppo è giunto ad una conclusione finale che ha ottenuto il consenso di tutti.

Riconoscendo la necessità di una pena che sia anche rieducativi e non solo punitiva, i membri della redazione hanno proposto un tipo di sistema che privilegi il recupero dei cosiddetti "devianti" attraverso una ripresa dei legami con la società.


Le proposte concrete di " Ristretti Orizzonti "


Ora descriverò brevemente due degli interventi concreti che sono stati promossi dal gruppo della redazione di "Ristretti Orizzonti" allo scopo di facilitare il reinserimento sociale dei detenuti e il loro contatto con il mondo esterno. Molta parte del lavoro del Gruppo e sui singoli membri è infatti mosso dall'ipotesi che relazioni sociali più ricche e sostenibili favoriscano il reinserimento sociale. Prima illustrerò i risultati di alcune ricerche che avvalorano l'ipotesi della necessità di mantenere rapporti sociali allo scopo di garantire un migliore reinserimento sociale del detenuto.


Alcune ricerche sui rapporti sociali

Abbiamo già sottolineato come l'isolamento dagli affetti e dalla rete sociale in cui una persona è inserita contribuisca a determinare il suo disadattamento.

Miles D. Harer (1994) nel suo rapporto sulla recidiva tra i detenuti federali rilasciati nel 1987 ha riscontrato che tra quelli che usufruivano di "permessi sociali ", cioè di permessi grazie ai quali poter far visita alle proprie famiglie, la probabilità di recidiva era del 13,4% inferiore rispetto a chi non aveva possibilità di usufruire di questi permessi.

Inoltre, ha riscontrato che l'inserimento lavorativo a fine pena, i programmi d'inserimento all'interno del carcere (ad esempio i programmi educativi, il lavoro interno al carcere, le case di accoglienza provvisorie per gli ex detenuti) e la tutela della stabilità familiare (ad esempio tramite i colloqui, i permessi premio, le case di accoglienza o forse anche, lì dove è possibile una pena detentiva più corta) contribuiscono ad una riduzione della recidiva.

Hairston (1989) ha dimostrato che incontri frequenti tra i genitori detenuti ed i loro figli rappresentano un contributo importante per il benessere delle famiglie che hanno uno dei loro componenti ristretto in carcere. Nonostante questo autore abbia dimostrato che solo in qualche stato americano ci sia una politica realmente efficace nel promuovere il recupero dei legami familiari, laddove sono state promosse iniziative volte all'incremento degli incontri tra i genitori e i loro figli e più in generale volte al mantenimento dei rapporti parentali, ha riscontrato sia un incremento del benessere dei genitori e dei propri figli, sia un aumento del ricongiungimento familiare, sia un decremento della recidiva.

Garbarino (1982) sostiene che è possibile ottenere un buon reinserimento del detenuto se supportato dalle famiglie, dalle associazioni o dalle comunità terapeutiche.

Adalist-Estrin (1994) e Gendreau (1996) hanno rilevato come solo recentemente si stia promovendo un lavoro sistematico sia con le famiglie e i bambini sia con i detenuti, mirando al rafforzamento delle reti sociali. Questo sforzo mirato a rafforzare i legami interpersonali è considerato una possibile forma alternativa di riabilitazione.

Adams e Fischer (1976), Holt e Miller (1972), Hostetter e Jinnah (1993), Howser e McDonald (1972) e Leclair (1978) hanno dimostrato che il frequente contatto di un detenuto con la sua famiglia e i suoi amici, contatto che può avvenire in forma di colloqui con i familiari, tramite corrispondenza, etc, può essere un fattore importante nel determinare il decremento della recidiva e nell'incrementare comportamenti prosociali.

Hannon, Martin D. e Martin M. (1984) hanno rilevato che le strutture di supporto sociale che lavorano a livello familiare e comunitario, potrebbero alleviare gli effetti della detenzione e supportare effettivamente il detenuto e la sua famiglia nel processo di reinserimento.


La giornata di studi "Carcere: salviamo gli affetti"

Il gruppo della redazione di " Ristretti Orizzonti " come già più volte specificato, lavora attivamente per cercare di promuovere il mantenimento del legame tra detenuti e società esterna.

Tra i numerosi convegni organizzati da " Ristretti Orizzonti " vorrei soffermarmi in particolar modo sulla giornata di studi "Carcere: salviamo gli affetti" tenutasi nella casa di reclusione "Due Palazzi" di Padova il 10 maggio 2002.

Al dibattito sul diritto all'affettività per i detenuti e le loro famiglie sono intervenute, tra le altre, molte autorità del settore penitenziario, operatori dell'area psico-socio-educativa, esponenti delle varie associazioni di volontariato penitenziario.

Dopo un dibattito in cui si è discusso degli effetti negativi che la detenzione può causare al mantenimento delle relazioni familiari, e di varie soluzioni adottate in alcune regione italiane ed europee per cercare di risolvere almeno parzialmente questo problema, un gruppo di lavoro più ristretto a cui hanno preso parte operatori penitenziari, avvocati, detenuti, operatori sociali, esperti in materia come Sergio Segio e Sergio Cubani e parlamentari di diverse forze politiche, ha elaborato una proposta di legge sul tema dell'affettività in carcere.

Questa propone delle modifiche alla legge n.354 del 26 luglio 1975 in materia di "affettività in carcere".





La proposta di legge sull'affettività

Riporterò di seguito gli articoli della legge n.354 del 26 luglio 1975 e le modifiche proposte dal gruppo di lavoro, tratte dal sito www.ristretti.it, così come sono state formulate dal gruppo di lavoro del convegno.

All'articolo 1 della proposta di legge si modifica l'art.28 della 354 che, attualmente riguarda i rapporti con al famiglia ("particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o stabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie").

Il gruppo di lavoro costituitosi all'interno del convegno del 10 maggio 2002, ritenendo che debba essere considerata anche l'affettività in senso più ampio, alla rubrica dell'articolo, "Rapporti con al famiglia", ha proposto di aggiungere "e diritto all'affettività".

E' stato suggerito inoltre di introdurre un nuovo comma che recita: "particolare cura e altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tal fine i detenuti e gli internati hanno diritto ad una visita al mese della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore con le persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in locali adibiti o realizzati a tale scopo, senza controlli visivi e auditivi".

Agli articoli 2 e 3 della proposta di legge altre due norme, anch'esse volte a garantire il diritto all'affettività, incidono sulla parte riguardante la concessione dei permessi. Nell'art.2 si propone di modificare l'art.30 della legge n.354, che prevede i cosiddetti "permessi di necessità" attualmente concessi solo in caso di morte o di malattie gravissime dei familiari.

La proposta di legge elaborata durante la giornata di studi prevede la sostituzione del secondo comma "Analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi di particolare gravità", con il seguente "Analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare rilevanza".

Con questa modifica si elimina sia il presupposto della "eccezionalità" sia quello della "gravità" sempre interpretato come attinenti ad eventi luttuosi o inerenti allo stato di salute dei familiari del detenuto.

La modifica introdotta intende anche far riconoscere che anche gli eventi non traumatici hanno una particolare rilevanza nella vita di una famiglia e quindi rappresentano un fondato motivo perché la persona vi sia partecipe.

All'articolo 3 si modifica l'art.30-ter della legge n.354, che riguarda i permessi premio: si propone che sia previsto un ulteriore periodo di permesso, oltre ai quarantacinque giorni (al massimo) oggi concessi per "coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro".

Alla fine dell'articolo è stato proposto di introdurre un nuovo comma recante: "Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi dell'art.8, il magistrato di sorveglianza può concedere, oltre ai permessi di cui al comma 1, un ulteriore permesso della durata di dieci giorni per ogni semestre di carcerazione per coltivare specificatamente interessi affettivi".

Anche in questo caso gli "interessi affettivi" sono da considerare in senso ampio, quindi il permesso non deve essere trascorso necessariamente con i familiari, con un coniuge o un convivente, ma può essere trascorso con qualsiasi persona con la quale vi sia un legame affettivo.

All'art. 4 della presente proposta di legge, per quanto riguarda i detenuti che non possono avere colloqui regolari - ad esempio perché i loro familiari o amici abitano lontano dal luogo di detenzione si prevede la possibilità di sostituire i colloqui non effettuati con telefonate di 15 minuti. Di conseguenza, si propone che il quinto comma dell'art.18 della legge n.354 del 1975 ("può essere autorizzata nei rapporti con i familiari, e in fasi particolari, con terzi, corrispondenza telefonica con le modalità e le cautele previste dal regolamento"), sia sostituita dal seguente: "Per ciascun colloquio ordinario non effettuato è concesso ai detenuti e agli internati un colloquio telefonico aggiuntivo, con le persone autorizzate, della durata di quindici minuti. La telefonata può essere effettuata con costo a carico del destinatario". Le telefonate non dovrebbero quindi essere limitate ai soli familiari ma riguardare tutte le persone con le quali vi sia un rapporto affettivo anche fuori dalla previsione dei "casi particolari"


La giornata di studio "Carcere: non lavorare stanca"    

Le finalità di risocializzazione e riabilitazione di situazione di devianza non possono prescindere dal considerare la fase di reinserimento sociale del condannato ed in modo specifico del suo inserimento lavorativo.

Il riconoscimento e l'attuazione di tali principi è ormai proprio dell'esecuzione della pena, in particolare della pena detentiva.

Tuttavia non è stata ancora compiuta un'adeguata analisi di tutte le disposizioni penali e amministrative che impediscono un regolare raggiungimento di un adeguato inserimento lavorativo.

Nella giornata di studi "Carcere: non lavorare stanca" sono intervenuti numerosi esponenti di associazioni e autorità locali di diverse regioni italiane che hanno esposto le politiche adottate dai loro comuni in materia di reinserimento lavorativo.

Le problematiche incontrate da detenuti e da ex-detenuti nel mondo del lavoro sono numerose e complesse così come sono svariate le risposte offerte dalle regioni e dalle associazioni che si occupano di questo aspetto della vita detentiva.

Il presente lavoro non si presta ad un'analisi approfondita delle tematiche trattate all'interno della giornata di studi, tuttavia mi sembra opportuno accennare alle risposte emerse al convegno per cercare di risolvere almeno parzialmente questo problema.

Il gruppo di lavoro che si è riunito per cercare di individuare le risposte adeguate ad una serie di problematiche che riguardano la possibilità di inserimento lavorativo, ha elaborato un documento, disponibile nel sito www.ristretti.it, con il quale si cerca di risolvere alcune dei problemi che rendono difficile per il detenuto trovare un'occupazione.




Enzo Spaltro, Pluralitŕ: psicologia dei piccoli gruppi, Patron Editore 1993.

Colloquio individuale del 6 marzo 2003

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