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Il dialogo platonico ha alcune specificità che possono di volta in volta facilitarne o renderne difficile la comprensione.
I motivi di difficoltà della lettura dei testi platonici stanno:
nella struttura dei dialoghi, che rappresenta, inventa e "deforma" personaggi, situazioni e idee;
nel ruolo svolto da Socrate, posto da Platone come "figura dello schermo" tra le tesi comunicate attraverso gli scritti e quelle, diverse, oggetto di insegnamento nell'Accademia.
I racconti mitici di Platone toccano le questioni fondamentali dell'esistenza umana (la morte, l'immortalità dell'anima, l'eros, la conoscenza, l'origine delle cose, ecc.) e le collegano strettamente ai temi e ai discorsi logico-critici, a cui il filosofo affida il compito di produrre una conoscenza e una rappresentazione vere della realtà.
Talvolta i miti appaiono come un approccio alla ricerca effettuato per vie diverse da quelle praticabili con la sola ragione e, in qualche misura, rivestono una funzione allegorica, in quanto si sostituiscono ai discorsi razionali, quando questi sembrano spingersi fino alle soglie della pensabilità dei problemi affrontati. In altri casi, invece, i miti si propongono un compito divulgativo ed educativo, cercando di rendere comprensibili quei problemi e di creare, nel lettore, un atteggiamento positivo verso lo sviluppo della riflessione.
L'allegoria della caverna (descritta nel dialogo Repubblica) contiene in sé le immagini forti e viventi della rappresentazione platonica della condizione degli uomini, della struttura della realtà, del compito del filosofo e dei rischi che deve correre.
In una dimora sotterranea a forma di caverna gli uomini sono incatenati, fin da fanciulli, come schiavi, in modo da poter guardare solo davanti a sé. Così non possono vedere l'uscita alle loro spalle e un fuoco che brilla alto e - tra loro e il fuoco - una strada lungo la quale corre un muricciolo.
Alcuni uomini portano oggetti di ogni sorta che sporgono dal bordo del muretto: statue e figure di pietra e di legno. Di sé, dei propri compagni e di quegli oggetti gli schiavi non vedono altro che ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna e considerano reali le ombre, oggetto della loro visione. Uno di loro riesce a liberarsi e a guardare verso la luce provando dolore e non riuscendo più a scorgere le ombre che prima vedeva così bene: egli ora vede gli oggetti sulla strada, ma dubita della loro realtà e ritiene invece "vere" le ombre. Guardando la luce ha male agli occhi e soffre ancora di più quando sale lungo l'erta che lo conduce fuori dalla caverna fino alla fonte di questa luce: il Sole. Abbagliato, poco per volta si abitua alla visione del mondo reale fino ad arrivare alla contemplazione del Sole, causa di tutto ciò che è, in quanto governa le stagioni, illumina e scalda il mondo. Ripensando alla sua condizione di schiavo è allora felice del cambiamento e prova pietà per gli uomini, non vuole più vivere in quel mondo sotterraneo. La pietà lo spinge a ridiscendere nella caverna, e i suoi occhi, abituati ora alla luce del Sole, non riescono più a vedere nella tenebra. La sua condizione suscita il riso degli schiavi, che non vorrebbero mai tentare l'ascesa fuori dalla caverna per ridursi come lui.
Gli uomini come schiavi, la filosofia come via di liberazione. Ombre scambiate per realtà e realtà rifiutate come se fossero ombre. Il mondo dell'apparenza e il mondo dell'essere come luoghi di partenza e di arrivo di un viaggio possibile. Una liberazione che è salita, ascesi faticosa e difficile, in cui l'uomo si libera - si volge - e non gira solo la sua testa, ma cambia l'orientamento di tutto se stesso. Il Sole è il simbolo dell'Idea del Bene, cioè della realtà posta al sommo del mondo dell'essere, a cui l'uomo può, anzi, deve cercare di avvicinarsi il più possibile.
Le Idee sono le essenze degli enti, e l'essere è l'insieme delle Idee, le quali sono legate tra loro da un vincolo razionale.
Con la teoria delle Idee Platone spiega il rapporto tra l'ente e l'essere.
La verità di ogni ente può essere colta facendo riferimento al piano delle Idee.
L'Idea, nel suo significato ontologico, è un ente metafisico, immateriale, ingenerato, incorruttibile, eternamente identico a se stesso; per quanto riguarda la conoscibilità, è intelligibile, oggetto del puro pensiero e della scienza; per quanto riguarda la sua funzione, è causa, essenza e modello degli oggetti materiali e sensibili.
Il confronto tra le opinioni suscita la reminiscenza, sulla quale si basa la teoria dell'apprendimento di Platone, secondo la quale conoscere è ricordare.
Infatti l'anima, prima di unirsi al corpo in questa vita, ha contemplato le Idee eterne e ha conservato in sé l'impressione di quella visione; essa può essere ridestata dall'oblio grazie alla ricerca e al proficuo interrogare.
In tal modo Platone recupera in pieno il metodo maieutico di Socrate dimostrando che la verità è nella nostra anima e che chiunque può farla affiorare alla luce della coscienza attraverso un adeguato impegno di auto-riflessione.
Il processo conoscitivo viene descritto - nella Repubblica - attraverso la teoria della linea. Il filosofo lo immagina come una linea divisa in due segmenti: il primo rappresenta l'ambito dell'opinione (dòxa), il secondo quello della scienza (epistéme). Entrambi i segmenti si dividono a loro volta in due. I gradi della conoscenza sono quindi quattro:
l'immaginazione (eikasìa);
la credenza (pìstis);
la ragione discorsiva (diànoia);
l'intellezione (nòesis).
Il primo livello è quello delle sensazioni e delle immagini.
Il secondo livello è raggiunto quando cominciamo a credere nell'esistenza di oggetti al di fuori di noi, aldilà delle immagini che i nostri organi sensoriali ci forniscono.
Il terzo livello rappresenta l'ingresso nel mondo della scienza, con la quale cerchiamo di ricostruire le leggi che regolano la realtà; le scienze ci permettono di ragionare con discorsi basati su ipotesi, cioè partendo da premesse indimostrabili ma da cui è possibile dedurre una catena di dimostrazioni, fino a giungere a conclusioni certe.
Il quarto livello è quello della filosofia, la quale cerca di dimostrare le "premesse indimostrabili" di cui la scienza si serve per costruire le sue catene di dimostrazioni: il procedimento noetico mira a cogliere le Idee.
Il procedimento noetico (filosofico) coglie l'unità del tutto e a partire da questa spiega le articolazioni del reale; spiega ciò che nel procedimento dianoetico viene dato per scontato: ricostruisce l'essere, il mondo delle Idee.
La filosofia va oltre
ogni scienza perché le scienze partono da definizioni, mentre la filosofia dà
le definizioni, e permette di ricostruire i legami tra le Idee e quindi
l'essere.
Essa spiega i fondamenti delle Idee spiegando le relazioni con tutte le altre
Idee: la definizione di un'Idea viene ricostruita mettendo tale Idea in
relazione con tutte le altre.
Nel Fedro e nel Convito l'aspirazione dell'anima ad un ordine superiore della realtà (cioè al mondo delle Idee) dotato di armonia e bellezza si manifesta come eros.
L'eros viene descritto come una peculiare forma di delirio (o "divina mania", dice il filosofo), attribuito dagli dei agli uomini per favorirne l'apprezzamento delle cose belle e, attraverso queste, per portarli al riconoscimento della bellezza in sé e del mondo ideale di cui questa fa parte.
Nel Convito Platone afferma che l'eros è filosofo. Amore (Eros) è descritto in un mito attribuito alla sacerdotessa Diotima. L'eros è un demone, intermedio tra gli uomini e gli dei, il cui carattere costitutivo è la mancanza (Eros cerca ma non possiede l'oggetto del suo desiderio). L'amore è desiderio della bellezza e della sapienza, di cui sente la mancanza e che vuole acquisire e far proprie: come il filosofo, cerca incessantemente la bellezza, il Bene, l'eterno.
L'eros filosofico si presenta come un vero e proprio rito di iniziazione ai misteri d'amore e a quelli della sapienza. L'iniziatore conduce gradualmente il giovane iniziato ad amare la bellezza, la quale è una ma "vive" in molte cose. Questa ha, infatti, gradi diversi: è bellezza prima di un solo corpo, poi di tutti i corpi, poi dell'anima, delle istituzioni, delle scienze e, infine, è il bello in sé, fonte di ogni altra bellezza.
La crisi drammatica di Atene sollecita un ripensamento e una revisione profonda dei valori che stanno a fondamento della civiltà della polis.
Platone si oppone al sistema di valori vigente, proponendo una volta radicale: i valori competitivi devono essere sostituiti da valori collaborativi che abbiano a loro fondamento la giustizia.
L'elaborazione del progetto platonico di riforma etico-politica attraversa due fasi distinte, segnate principalmente dalla Repubblica e dalle Leggi.
Nella Repubblica Platone parte dall'assunto che non sia possibile comprendere che cosa è la giustizia nell'individuo se non trovandola prima nello Stato, cioè nella comunità più vasta di cui l'individuo stesso è parte integrante. Egli cerca di affrontare il problema elaborando un modello ideale di Stato.
a) Lo Stato nasce perché ogni uomo non basta a se stesso e ha bisogni che può soddisfare solo con l'aiuto altrui: il nucleo originario dello Stato platonico è costituito, dunque, dai produttori.
b) Lo sviluppo dei consumi superflui rende insufficiente il territorio dello Stato e costringe a sconfinare e ad occupare i territori vicini, portando a guerre rovinose fra le popolazioni elleniche: a salvaguardia dello Stato vi deve dunque essere anche una classe di guardiani.
c) Platone afferma che "a meno che i filosofi non regnino negli Stati o coloro che oggi sono detti re e signori non facciano genuina e valida filosofia, non ci può essere una tregua dai mali per gli Stati e, credo, neppure per il genere umano". Dunque la terza e più importante classe dello Stato è quella formata dai filosofi chiamati a governare.
Per i guardiani e i filosofi viene progettato un regime sociale particolare: il comunismo dei beni, che deve eliminare le ragioni materiali dell'egoismo ed evitare che ricchi e poveri possano dilaniarsi tra loro contendendosi la proprietà di cose o persone.
Nella città ideale, inoltre, anche alle donne viene riconosciuto il pieno diritto a governare lo Stato.
Solo a coloro che sono esclusi dal governo, cioè agli artigiani e ai commercianti, deve essere lasciata la proprietà privata dei beni, sia pure entro certi limiti.
In questo modello ideale di Stato è prevista una relativa mobilità sociale da una classe all'altra, legata all'accertamento delle qualità degli individui. La natura degli uomini può essere d'oro, d'argento o di bronzo: i primi sono destinati alla funzione del governare, i secondi del difendere e i restanti del produrre. Se quindi dai governanti o dai difensori nascono figli di bronzo, bisogna respingere questi figli tra gli artigiani o tra gli agricoltori; reciprocamente, se dagli agricoltori nascono figli d'oro o d'argento, bisogna innalzarli ai compiti di governo e di guardia.
Platone descrive una fenomenologia della degenerazione dello Stato, raffigurandola come passaggio attraverso quattro fondamentali tipi di ordinamento costituzionale che corrispondono ad altrettanti modelli vigenti nelle pòleis.
a) il primo è quello della timocrazia, che si fonda sui valori tradizionali dell'onore e della virtù militare. In esso si afferma l'uomo "timocratico", cioè un individuo portato più alla guerra che alla pace;
b) il secondo tipo di ordinamento è l'oligarchia, in cui si afferma il dominio della ricchezza e l'esclusione della popolazione povera dal potere;
c) la democrazia nasce con la rivoluzione dei poveri, i quali però costruiscono lo Stato sui princìpi dell'incompetenza e della licenza di fare ciò che si vuole;
d) la tirannide, infine, nasce dalla trasformazione dell' "eccessiva libertà" della democrazia in "eccessiva schiavitù", ovvero dalla prepotenza dei capi che colpiscono i loro rivali per rafforzare il proprio potere.
Platone delinea un modello ideale di giustizia che si realizza attraverso la divisione del lavoro sociale.
Lo Stato è armonia delle tre classi fondamentali (i governanti-filosofi, i guardiani e i produttori-commercianti) e di ognuna delle tre virtù che caratterizza ciascuna classe: sapienza, coraggio e temperanza.
Il modello ideale di Stato permette di comprendere che cosa sia la giustizia nell'uomo, in quanto ad ognuna delle parti dell'anima corrispondono le virtù che Platone ha attribuito alle diverse classi: la sapienza (sophìa) per la parte "razionale", il coraggio (andréia) per la parte "irascibile", la temperanza (sophrosyne) per la parte "concupiscibile".
Anche nell'individuo giusto ognuna delle tre parti dell'anima dovrà svolgere solo la propria funzione. Il comando deve essere esercitato dall'elemento razionale; quello animoso deve obbedirgli ed essergli, nello stesso tempo, alleato per controllare la parte concupiscibile dell'anima, tenendo a freno i desideri e imponendovi la "temperanza".
L'anima è unità e armonia dei tre elementi: la funzione essenziale della ragione è quella di coordinare e governare le due forze motrici delle passioni e dei desideri, in modo che ciascuna faccia ciò che le compete e non prevarichi l'altra, portando l'individuo alla rovina.
Nella Repubblica Platone ritiene possibile una radicale riformabilità dello Stato. Nelle Leggi, invece, sembra esprimere una visione più pessimista, determinata dalla delusione per il fallimento del suo tentativo siracusano di realizzazione di uno Stato nuovo e dalla convinzione che all'utopia di uno stato retto dalla ragione si debba sostituire la forza delle leggi e la costrizione a rispettarle attraverso l'opera di un governo.
Egli compie una revisione profonda del suo progetto politico.
Rispetto alla posizione della Repubblica, Platone ora nega che possa esistere un governante-filosofo capace di assumere il controllo dello Stato senza dover rendere conto a nessuno del proprio operato. Per il bene dello Stato, invece, ogni situazione deve essere regolata dalle leggi. La libertà dei singoli non sarebbe né maggiore né minore che nella Repubblica, ma diversi sarebbero i mezzi per raggiungere lo stesso scopo. Platone si rende probabilmente conto che la debolezza della natura umana potrebbe gradualmente spingere il governante-filosofo a tutelare solo il proprio interesse, piuttosto che quello della polis, provocando la rovina dello Stato.
Platone condanna l'arte in quanto essa produce false e illusorie rappresentazioni della realtà, non solo non aiutando a conoscere la realtà, ma allontanando addirittura dalla sua conoscenza. Dice Platone che le opere d'arte sono lontane dall'essere, in quanto si limitano a una imitazione della realtà sensibile, che è a sua volta un'imitazione della vera realtà, quella delle Idee. L'arte è, quindi, un non sapere.
Questa critica di fondo non comporta però una negazione della funzione educativa dell'arte. L'arte può avere utilità sociale (ad esempio la poesia e la musica favoriscono con le loro armonie lo sviluppo di tendenze positive nel carattere, come il coraggio e la fermezza in battaglia o la saggezza e la moderazione). Dunque Platone non nega la funzione dell'arte, ma auspica l'avvento di un'arte più austera e meno piacevole, che miri a imitare il vero e non a manipolare le coscienze.
In un famoso mito narrato nel Timeo Platone affronta la questione dell'origine dell'universo. Questo è il frutto del lavoro di un divino artigiano, il Demiurgo, che ha cercato di farne un'imitazione del mondo delle Idee. L'universo plasmato dal Demiurgo esprime un ordine che è garantito da leggi matematiche; anche i quattro elementi corporei costitutivi dell'universo (terra, acqua, aria e fuoco) sono organizzati sulla base di strutture matematico-geometriche.
Il Demiurgo non crea le cose dal nulla, ma organizza la realtà materiale guardando alle Idee come modelli.
Anche l'universo corporeo, poiché è considerato un essere vivente, possiede un'anima, la quale governa il "corpo" del mondo ed è un'intelligenza ordinatrice che opera in base a fini (considerati cause prime). Ma oltre a questi fini gli eventi dell'universo operano in base a cause seconde, cioè a forze naturali che agiscono meccanicamente e che sono subordinate alle prime. Conoscere i fini significa quindi cogliere il tutto nel quale rientrano le singole parti dell'universo.
Utilizzando una causa intelligente per descrivere l'origine del mondo, Platone afferma un principio di spiegazione di tipo finalistico, che si contrappone al principio meccanico (che si limita a cercare le sole cause fisiche degli eventi).
La spiegazione dell'origine dell'universo resta comunque un racconto verosimile e ciò conferma la convinzione platonica che la scienza, pur appartenendo al regno dell'intellegibile, sia un gradino al di sotto del vero sapere, cioè della filosofia.
Le tecniche costituiscono per Platone un sapere positivo, in quanto sono fondate su concrete, specifiche competenze e su un'evidente utilità sociale dei loro prodotti.
Il sapere tecnico presenta tuttavia due limiti:
si muove esclusivamente nell'ambito del mondo materiale;
le competenze tecniche, in quanto specialistiche, secondo Platone non permettono agli artigiani di aspirare al governo dello Stato; questo, infatti, richiede una visione d'insieme, cioè competenze filosofiche e non tecniche.
Platone è consapevole delle difficoltà che la dottrina delle Idee incontra ed egli stesso si interroga su alcuni nodi irrisolti.
Le difficoltà della dottrina platonica sono riconducibili a due ordini di questioni:
i rapporti delle Idee con le cose particolari, cioè le difficoltà che derivano dalla trascendenza delle Idee rispetto al mondo sensibile;
i rapporti di ciascuna Idea con tutte le altre, cioè la difficoltà di concepire, nello stesso tempo, l'assolutezza e l'unicità dell'Idea e la pluralità delle Idee.
Lo stesso Platone si domanda com'è possibile che le Idee siano conoscibili dall'uomo se sussistono indipendentemente e separatamente dal mondo dell'esperienza.
Nel Sofista Platone affronta il nodo cruciale del non-essere. Conclude il dialogo in termini positivi, osservando che il non-essere non va concepito come negazione assoluta dell'essere, ma solo come negazione relativa. Se fosse una negazione assoluta, infatti, non vi sarebbe alcuna relazione fra essere e non-essere, quindi alcuna relazione fra Idea e realtà sensibile. E neppure sarebbe possibile alcuna relazione delle Idee tra loro: ciascuna varrebbe come realtà assoluta e autonoma.
La realtà delle Idee è caratterizzata da cinque modi d'essere fondamentali: l'essere, l'identico, il diverso, il moto e la quiete. Ogni Idea infatti è. Poiché è, è identica a se stessa. Ma è anche diversa da tutte le altre. Inoltre è movimento, cioè possibilità di essere pensata in rapporto con altre Idee. Ma è anche quiete, stabilità nella propria eterna essenza.
Appunti su: https:wwwappuntimaniacomuniversitaricercheplatone-il-dialogo-platonico-l24php, la funzione dei miti di platone, la funzione del dialogo per platone, |
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