EMERGENZA PETROLIO IN MARE
Il 12 dicembre 1999 la petroliera
Erika si spezza in due al largo di Brest nella
Francia occidentale. La furia del mare a forza 10 sancisce la fine
dell'imbarcazione battente bandiera maltese e insieme la fuoriuscita di 12.000
tonnellate di petrolio dalle sue stive, mentre quasi il doppio rimane nei
serbatoi, versandosi un poco alla volta. Il mare in tempesta ha poi impedito di
arginare il problema, rendendo praticamente impossibili le operazioni dei
soccorritori. Vani soprattutto i tentativi di sfruttare le barriere
galleggianti, le skimmer, il primo strumento
utilizzato per limitare l'estensione della zona interessata dal disastro.
L'ondata nera ha contaminato 400 chilometri di costa bretone e 100.000 sono
stati gli uccelli marini morti, tra i quali sule,
urie e cormorani, intossicati dagli idrocarburi. Incalcolabili poi i danni a
molte attività economiche come la pesca, l'acquacoltura
e il turismo. Eppure la nave, che doveva arrivare al porto di Livorno, era stata appena controllata nel porto siciliano
di Augusta dal Rina, il registro navale italiano che ha autorizzato
l'imbarcazione a continuare a navigare nonostante segni non trascurabili di
corrosione allo scafo. È l'ennesima catastrofe ambientale.La lista dei disastri
provocati dalle petroliere negli ultimi decenni è infatti lunghissima. Solo per
ricordarne alcuni tra i più gravi si può citare l'incidente della Amoco Cadiz nel marzo del 1978
che causò la perdita in mare, anche questa volta in Bretagna, di 230.000
tonnellate di petrolio, quello nel marzo 1989 della Exxon
Valdez che perse 35.000 tonnellate in Alaska, poi la
fuoriuscita di petrolio dalla Haven nell'aprile 1991
nel Mar Ligure che costò anche cinque morti. Il 60 per cento del petrolio
grezzo viene oggi trasportato via mare e ormai si è quasi abituati alla notizia
che l'ambiente marino sia stato in qualche angolo del mondo contaminato da
piccole o enormi chiazze di greggio che fuoriescono dalle petroliere. La
pesante dipendenza da questo combustibile fossile della società postindustriale
ha probabilmente contribuito a sottovalutare i rischi legati al suo trasporto.
E non sono solo gli incedenti disastrosi che possono arrecare gravi danni
all'ecosistema, ma anche incaute manovre di pulizia e manutenzione causano
spesso fuoriuscite. Nel solo mar Mediterraneo sono, secondo stime del WWF,
circa 630.000 le tonnellate di idrocarburi che vengono versati in acqua ogni
anno.Il pericolo è immediato per l'ecosistema e le conseguenze sono a lungo
termine, nonostante le numerose tecniche per bonificare, come l'uso di
fertilizzanti capaci di nutrire i batteri nemici del petrolio, o di disperdenti
chimici che frantumano il petrolio in goccioline, rendendolo così più
vulnerabili all'attacco dei batteri. Dopo nove anni dall'incidente della Haven, la nave cipriota esplosa nel mar Ligure, i campioni
prelevati nella zona dimostrano ancora la presenza di gravi inquinanti come gli
idrocarburi policiclici aromatici, tra cui il
benzene, fortemente cancerogeni. Gli idrocarburi sono presenti a tutti i
livelli della catena alimentare e in alcuni casi possono aver danneggiato il
DNA di molti organismi. I problemi sono maggiori più si sale nella catena
alimentare. I predatori tendono infatti a concentrare più inquinanti delle loro
prede fino ad arrivare all'uomo che di molti organismi marini si ciba.
Nonostante quindi la vita intorno al relitto della Haven
sembra continuare quasi indisturbata e molti turisti subacquei si immergono in
quest'area, attratti anche dalle numerose colonie di molluschi e crostacei,
ottimi indicatori della persistenza di idrocarburi nell'ambiente, il danno è
grave. Nel novembre 1999, un accordo tra il ministero dell'Ambiente, la Regione
Liguria e l'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica
applicata al mare ha permesso lo stanziamento di 117 miliardi per la bonifica
dei fondali ampiamente invasi dal catrame. Si tenterà di monitorare
attentamente, grazie a robot con telecamere e poi di aspirare gli inquinanti.
Come già in altri casi la posidonia, piantata sul fondo
del mare, avrà poi il compito di aiutare l'ecosistema a ritrovare il suo
equilibrio, riaccendendo la speranza dei pescatori che hanno pesantemente
subito le conseguenze economiche dell'incidente dell'aprile 1991. La flotta
ligure è infatti in questi anni drasticamente diminuita. Ma se con l'Oil pollution Act (Opa) del 1990, in America si è cercato con misure serie e
drastiche di prevenire gli incidenti, vietando per esempio progressivamente ed
entro il 2009 l'accesso in acque territoriali alle petroliere che non
possiedono doppio scafo, sistema che garantisce un buon livello di sicurezza,
in Europa ancora non si riescono a trovare misure preventive all'altezza della
gravità della situazione. Si è poi ancora lontani dalla possibilità di
contemplare nella normativa l'obbligo di risarcimento. L'armatore di
oltreoceano è, al contrario, responsabile dei danni provocati a terzi e
all'ambiente, e deve affrontare i costi di bonifica. In Italia solo le
petroliere di nuova costruzione devono avere doppio scafo e quelle con più di
venticinque anni devono rafforzare il fondo e le fiancate. Tutte le
imbarcazioni costruite negli ultimi due decenni possono così continuare a
trasportare petrolio senza grandi precauzioni.