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Petronio: critica al caos della società
Poche e incerte sono le notizie giunte fino a noi sulla figura di Petronio, e non ci permettono di collocare con certezza l'autore e la sua opera, il Satyricon, all'interno della cronologia della letteratura latina. Contrastanti le due tesi: quella 'unionista' lo vuole vissuto nell'età di Nerone e lo identifica con il Petronio citato da Tacito in un celebre passo degli Annales; quella 'separatista' invece colloca la composizione dell'opera in un'età più tarda, che alcuni fanno coincidere con l'età dei Flavi, altri con quella degli Antonini, altri ancora con quella dei Severi.
Il Satyricon è un romanzo latino che narra le avventure di Encolpio in forma autobiografica. Il racconto, incompleto, può essere suddiviso in cinque blocchi. Encolpio, il giovane protagonista, racconta le avventure alle quali è andato incontro durante un viaggio fatto in compagnia del giovane Gìtone, di cui è innamorato, e di Ascilto che contende al narratore le grazie di Gitone. Dopo una discussione con il retore Agamennone sul tema della decadenza dell'eloquenza, i tre iniziano a vivere le avventure più disparate. Vengono anche accusati di aver offeso il dio Priapo in persona, avendo interrotto un rito in suo onore. Costretti quindi a rimediare al sacrilegio, sono coinvolti in un'orgia purificatrice, durante la quale subiscono estenuanti prove erotiche. Inizia allora il racconto della 'cena' a casa di Trimalchione, episodio centrale dell'opera, di cui occupa quasi la metà. Ospiti, oltre ai tre ragazzi, sono vari personaggi del rango di Trimalchione, liberto arricchitosi, che fa sfoggio con ostentata esagerazione delle sue ricchezze. La conversazione fra i convenuti verte su argomenti comuni (il clima, i tempi, i giochi pubblici, l'educazione dei figli), ma offre uno spaccato vivace e colorato, non senza punte di chiara volgarità, della vita di quel ceto sociale. In seguito, Encolpio, allontanatosi dagli altri due compagni, incontra Eumolpo, un vecchio letterato che, notato l'interesse di Encolpio per un quadro raffigurante la presa di Troia, gliene declama in versi il resoconto (è la celebre Troiae halosis). I due diventano quindi compagni di viaggio, rivali in amore a causa di Gitone e dopo una serie di avventure, che li vedono viaggiare per mare e rischiare anche la vita, si ritrovano, insieme nella città di Crotone, dove Eumolpo si finge un vecchio danaroso e senza figli, ed Encolpio e Gitone si fanno passare per i suoi servi: così essi scroccano pranzi e regali dai cacciatori di eredità. Nei frammenti successivi, Eumolpo recita un brano epico, in cui viene descritto il Bellum civile ('La guerra civile') fra Cesare e Pompeo e successivamente si legge di Encolpio che, per l'ira di Priapo, diventato impotente, è vittima di una ricca amante che si crede disprezzata da lui e lo perseguita. Eumolpo, invece, scrive il suo testamento, dove specifica che gli eredi avranno diritto alle sue ricchezze solo se faranno a pezzi il suo corpo e se ne ciberanno in presenza del popolo.
Il Satyricon spazia su diversi generi letterari pur ponendo le sue basi nel romanzo greco. Il titolo dell'opera è un genitivo plurale di forma greca, probabilmente di genere neutro: il nominativo Satyrica rinvierebbe così ai titoli dei romanzi greci nel senso di "libri di cose satiriche" o di "storie dal mondo dei Satiri", ad indicare che il romanzo non si svolge nel mondo idealizzato del romanzo greco, ma in un mondo dai tratti realistici, comici e satirici. L'opera di Petronio rappresenta una forma nuova e non è riconducibile ad un unico modello, ma contiene riferimenti a generi letterari diversi. Ben riconoscibile è il richiamo parodistico all'Odissea, dato che i motivi guida del romanzo sono la persecuzione dell'eroe da parte di una divinità e il viaggio avventuroso. Sono poi disseminati nomi e situazioni dell'Odissea e non mancano riferimenti umoristici all'Iliade e all'Eneide. Il Satyricon si rifà inoltre al romanzo ellenistico, di cui segue lo schema di base, ovvero le peripezie di una coppia di innamorati, che si ritrovano dopo essere stati separati. Lo schema viene però parodisticamente ribaltato, in quanto i fidanzati sono una coppia di omosessuali e il sesso diventa il filo conduttore della vicenda. Una componente importante è rappresentata dalle fabulae milesiae, i racconti licenziosi a sfondo comico che nel romanzo vengono riportati da Eumolpo: il fanciullo di Pergamo e la matrona di Efeso. Encolpio è l'io narrante della storia e ha dunque il duplice ruolo di personaggio che vive una vicenda e di narratore che la racconta. La tecnica del racconto in prima persona apparteneva alla novella milesia, nella quale forniva una parvenza di verità alle vicende. Nel Satyricon questa tecnica conferisce unità al racconto attraverso la continuità del punto di vista. Notevole sembra poi l'apporto della satira menippea, un genere serio-comico praticato a Roma da Varrone e da Seneca. Dalla satira menippea Petronio deriva vari elementi: la forma prosimetrica, ovvero il frequente alternarsi di prosa e versi (tratti da opere celebri oppure inventati), la critica verso la società contemporanea e il forte realismo, efficacemente espresso dalla varietà dei registri linguistici. Del tutto assente è il moralismo, al quale si sostituisce un distacco aristocratico dell'autore dal mondo e dai personaggi che va descrivendo.
Per Petronio, la società in cui egli vive è affondata nel caos più totale a causa del decadimento dei valori morali, piena di corruzione e di personaggi squallidi e anonimi che traggono soddisfazione solo dai piacerei esistenziali. I personaggi petroniani sono tutti succubi dei loro desideri sessuali, in una società dove la ricchezza si erge come unico parametro di valutazione dell'uomo. Petronio descrive inoltre l'ascesa sociale dei liberti e la sostituzione del denaro alla virtù senza espliciti moralismi, ma semplicemente delineando il quadro di una società degenerata e avvolta nel caos più totale. Nessun ordine si può dare in una società dove tutto è il contrario di tutto, dove la tragedia diventa grottesca e comica, la diversità è conformismo. Nei confronti del mondo narrato l'autore mantiene un superiore distacco, che gli consente di presentare gli eventi con tono disincantato e ironico. Petronio non si lascia coinvolgere dagli avvenimenti e offre al lettore la vivace immagine di un mondo irrequieto e corrotto, in cui smania di vivere e ossessivo pensiero della morte si alternano continuamente. Il metro di giudizio non è morale, ma la misura dell'autore è quella dell'equilibrio e del buongusto, nella vita e nell'arte.
La cena di Trimalchione
Il fulcro dell'opera petroniana è l'episodio della cena di Trimalchione. Encolpio, Ascilto e Gitone, che non conoscono né Trimalchione né la sua casa, rimangono interdetti di fronte all'ostentazione di ricchezza e cattivo gusto. Encolpio, pieno di curiosità per lo strano spettacolo che gli si mostra intorno, chiede spiegazioni a Ermerote, il commensale che era steso sul triclinio e che era stato più volte ospite di Trimalchione, dunque al corrente delle faccende di famiglia. Ermerote si lancia allora in una lunga descrizione dei padroni di casa e delle loro ricchezze.
Il mondo del Satyricon appare totalmente ribaltato: nell'età giulio-claudia l'affermazione economica di nuove classi produce un'inversione nei valori, tanto che per la loro ricchezza sono ora individui come Trimalchione a essere considerati "persone per bene". Tale rovesciamento può essere mirabilmente sintetizzato dall'episodio della "gaffe" di Encolpio.
Interim ego, qui privatum habebam secessum, in multas cogitationes diductus sum, quare aper pilleatus intrasset. Postquam itaque omnis bacalusias consumpsi, duravi interrogare illum interpretem meum, quod me torqueret. At ille: 'Plane etiam hoc servus tuus indicare potest: non enim aenigma est, sed res aperta. Hic aper, cum heri summa cena eum vindicasset, a conviviis dimissus est; itaque hodie tamquam libertus in convivium revertitur.' Damnavi ego stuporem meum et nihil amplius interrogavi, ne viderer nunquam inter honestos cenasse.
Nel frattempo io che avevo un posto appositamente per me, ero tutto trascinato in molte riflessioni perché fosse entrato un cinghiale con il capo coperto da un cappello. Dopo che ebbi esaurito pertanto ogni idiozia, cominciai a chiedere al mio interprete sul problema che mi tormentava. E lui mi fa: « il tuo stesso servo potrebbe spiegarti questo con facilità: infatti non è un enigma, ma una cosa ovvia. Questo cinghiale, sebbene ieri l'ultima portata l'avesse rivendicato è stato mandato indietro dai convitati, pertanto oggi ritorna indietro al banchetto come un liberto». Biasimai io stesso la mia dabbenaggine e non gli chiesi niente di più perché non sembrassi non aver mai mangiato con persone per bene.
Dum haec loquimur, puer speciosus, vitibus hederisque redimitus, modo Bromium, interdum Lyaeum Euhiumque confessus, calathisco uvas circumtulit, et poemata domini sui acutissima voce traduxit. Ad quem sonum conversus Trimalchio: 'Dionyse, inquit, liber esto.' Puer detraxit pilleum apro capitique suo imposuit. Tum Trimalchio rursus adiecit: 'Non negabitis me, inquit, habere Liberum patrem.' Laudamus dictum Trimalchionis, et circumeuntem puerum sane perbasiamus. Ab hoc ferculo Trimalchio ad lasanum surrexit.
Mentre dicevamo quelle cose, uno schiavetto bellissimo ornato sul capo di foglie di viti e di edera, dopo essersi dichiarato ora come Bromo, ora come Dioniso Bacco, portò in giro dell'uva in un piccolo cesto e declamò al suo padrone dei versi con una voce squillante. E Trimalchione, essendosi girato a quel suono, disse: «Dioniso, sii libero». Lo schiavetto tolse il cappello di lana al cinghiale e lo pose sul proprio capo. Trimalchione allora aggiunse ancora: «Non negherete che io possieda un Libero padre». Lodammo quelle parole e ne approfittammo per sbaciucchiare ben bene il ragazzetto mentre girava intorno al tavolo. Dopo questo piatto Trimalchione si alzò per andare a fare i suoi bisogni.
Il personaggio di Ermerote si esprime in sermo vulgaris: si tratta di un linguaggio fondato sulla paratassi, sulla frammentarietà e sul ricorso a frasi fatte. A proposito della lingua del Sayrikon si è parlato, infatti, di realismo mimetico, dato che ogni personaggio si esprime con il linguaggio caratteristico della propria condizione sociale. Vi è un'evidente distinzione tra i personaggi colti, che si servono di una lingua semplice ma elegante, non priva di riferimenti ai principali modelli letterari (Cicerone, Virgilio, Orazio), e personaggi non colti, che usano il latino parlato, ricorrendo a vocaboli popolareschi, espressioni gergali o idiomatiche ed a grecismi. Un caso a parte è rappresentato da Trimalchione, che nella sua ansia di sembrare diverso da ciò che è, ovvero un ricco parvenu, cerca di fare sfoggio di erudizione impiegando un linguaggio elevato, magniloquente e artificioso. Tuttavia non riesce a sostenere a lungo tale linguaggio e ricade, con effetti comici, nel modo di parlare tipico della sua classe sociale.
Alla base delle parole che Ermerote pronuncia nel corso della cena sta la convinzione che la ricchezza sia il bene maggiore e che ogni uomo, com'è perfettamente naturale, agisce per il suo utile. Ermerote non descrive soltanto Fortunata, Trimalchione e i suoi commensali, ma -senza saperlo- anche se stesso. Egli fa come Omero, che getta una luce vivida e uguale sugli uomini e le cose di cui parla. Inoltre ciò che dice è univoco e niente rimane inespresso, celato nello sfondo. Tuttavia esistono notevoli differenze nei confronti della maniera omerica.
In primo luogo nella cena Trimalchionis la forma è del tutto soggettiva: l'immagine dei commensali ci viene presentata da un personaggio che fa parte di quella stessa cerchia. Petronio lascia che un soggetto, che non coincide né con lui né con il narratore Encolpio, proietti il suo sguardo sulla tavolata. Questo espediente di prospettiva, anche se non costituisce un unicum, è tuttavia un caso rarissimo. Nella letteratura antica vi sono personaggi che parlano delle loro esperienze o delle loro impressioni, ma o viene impiegata un'esposizione obiettiva, oppure si tratta di una presa di posizione di un personaggio di fronte ad avvenimenti che lo toccano, e dove dunque l'aspetto soggettivo è inevitabile. Qui si tratta invece del soggettivismo più spinto, che viene maggiormente accentuato dal linguaggio individuale e per intenzione d'obiettività.
Inoltre a Ermerote sta molto a cuore, mentre parla, mettere in risalto la sua condizione passata in confronto con quella presente. Anche Omero intercalava notizie sull'origine, la nascita e la vita precedente dei suoi personaggi, ma i suoi accenni non ci conducono verso il trasformarsi dei personaggi, al contrario ci portano ad un saldo punto di riferimento. Al vicino di tavola, invece, interessa proprio la trasformazione, il cambiamento di fortuna. Egli concepisce il mondo in continuo movimento, dove non vi è nulla di sicuro e dove la ricchezza e la posizione sociale sono estremamente instabili. Il cambiamento di fortuna occupa un posto notevole anche nella letteratura antica, tuttavia esso appare come qualcosa di straordinario, che esce dal corso consueto delle vicende e che tocca solamente uno o pochi, mentre il resto del mondo sembra irrigidirsi nell'immobilità. Nella tragedia, ad esempio, esso appare come destino orribile e unico e nella commedia come prodotto straordinario di circostanze speciali. Nel banchetto di Trimalchione, invece, i cambiamenti di sorte sono visti come storia interna: infatti, non uno o pochi vengono colpiti da un destino unico e straordinario, mentre il resto del mondo rimane in quiete, bensì Petronio ci mette innanzi una serie di liberti arricchiti, aventi un destino simile per la sua instabilità.
Infine il banchetto petroniano si avvicina alla concezione moderna della rappresentazione realistica, per la descrizione precisa dell'ambiente sociale. La commedia presenta l'ambiente sociale in modo molto più generico e schematico, in luoghi e tempi più imprecisi e senza curare il linguaggio individuale dei personaggi; nella satira la rappresentazione è moralistica e rivolta alla critica di qualche vizio; il romanzo, infine, è così pieno di incantesimi, avventure ed elementi mitologici, che riesce impossibile considerarlo imitazione della vita quotidiana. Petronio si pone invece l'obiettivo di imitare senza stilizzazione un qualsiasi ambiente quotidiano e di far parlare alle persone il loro gergo.
La cena di Trimalchione è un'opera di carattere puramente comico. Ai tempi di Petronio, infatti, vige la legge della separazione degli stili, secondo la quale tutto ciò che è quotidiano deve essere rappresentato solo comicamente, senza approfondimento problematico. In tal modo si pongono dei limiti molto ristretti al realismo, poiché non vengono messe in luce le forze sociali che stavano a quel tempo alla base dei rapporti rappresentati. Petronio non dà alcun valore al lato storico della sua opera: egli, infatti, non cura la profondità storica, collegando i singoli avvenimenti con determinate situazioni politico-economiche delle prima età imperiale. Se la letteratura antica non poteva rappresentare la vita quotidiana problematicamente e nemmeno sullo sfondo storico, ma solamente in uno stile comico o tutt'al più idilliaco, si ha dunque non soltanto un limite al suo realismo, ma anche un limite della sua coscienza storica.
BIBLIOGRAFIA
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Fisica
Dewdney A.K., "Alla scoperta delle strane attrattive del caos", Le Scienze n°229
Cramer Friedrich, "Modelli matematici e fisici del caos deterministico" in Caos e ordine, Boringhieri
Storia
John Kenneth Galbraith, Il grande crollo, Boringhieri, Torino, 1972
Italiano
Pirandello, Luigi, Il fu Mattia Pascal, Trento, Einaudi, 2007
Pirandello, Luigi, Sei personaggi in cerca di autore, Bergamo, Bur, 2007
Battistini, Andrea, "La crisi del personaggio nel fu Mattia Pascal" in Sondaggi sul Novecento, Società editrice il Ponte Vecchio, pp. 107-120
AAVV, "Pirandello" in I giganti della letteratura, Verona, Mondadori, Marzo 1973
Filosofia
Nietzsche, Friedrich, La Gaia Scienza, Editori Riuniti
Nietzsche, Friedrich, La nascita della tragedia
Latino
Petronio, Satyricon (41, 1-9)
Auerbach, Erich, "Fortunata" in Mimesis - Il realismo nella letteratura occidentale,Torino, Einaudi, 1956, pp. 30-55
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