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NUVOLE E OROLOGI
La scoperta della perfezione del caos tra Europa e America
In principio.
Il mondo è ordine o caos? Cosa si intende per caos? La natura ci appare caotica perché abbiamo una percezione limitata di essa o perché caotica è la natura dell'uomo?
La nozione occidentale di caos attraversando contesti storici e culturali diversi subisce variazioni.
Il concetto di caos nella mitologia classica spiega l'origine del mondo in quanto cosmo: letteralmente, ordine scaturito da un disordine iniziale per opera di una entità superiore che dà forma alla realtà; dai greci ai latini, nei testi filosofico - scientifici come in quelli letterario - poetici vengono fornite visioni dell'universo in grande e in piccola scala.
Costruzioni e interpretazioni sul mondo e sulla vita si susseguono nel dibattito filosofico - letterario: concezioni soggettive della realtà e soggettive accezioni del concetto di caos.
L'idea di un mondo armonico ipotizzato dagli antichi viene ripreso dalla fisica classica: gli eventi naturali si svolgono deterministicamente ed è allora possibile una descrizione deterministica della natura con delle leggi. La fisica moderna giunge a scoperte sconvolgenti per gli stessi scienziati: comportamenti caotici all'interno delle leggi deterministiche. Il concetto di caos assume carattere scientifico.
Le rivoluzioni scientifiche hanno stretto legame con la caduta di certezze del mondo occidentale, testimoniata dalla letteratura di inizio novecento e dalle avanguardie storiche: il caos esteriore si riflette in un caos interiore, che cerca uno sfogo.
In principio era il Caos
«Prima del mare, della terra e del cielo che tutto avvolge unico era il volto della natura in tutto l'universo, quello che è detto Caos, mole informe e confusa, non più che materia inerte, null'altro se non semi in un medesimo luogo, stipati di disarmoniche cose. E per quanto lì ci fossero terra, mare ed aria, malferma era la prima, non navigabile l'onda, l'aria priva di luce: niente aveva forma stabile, ogni cosa s'opponeva all'altra, perché in un corpo solo il freddo lottava col caldo, l'umido col secco, il molle col duro, il peso con l'assenza di peso. Un dio, col favore di natura, sanò questi contrasti [.]»
Ovidio, Metamorfosi, libro I - vv. 5-10
Così Ovidio spiega la creazione del cosmo (per lui la prima di tutte le metamorfosi): il caos da lui descritto è un ammasso caotico che definisce "rudis indigestaque moles".
L'idea di un originario caos che si fa ordine, cioè cosmo, aveva già trovato voce nel mondo Greco con Esiodo e Platone. Il primo nella Teogonia intende il caos come una indefinita entità primordiale che sola inizialmente esiste ma aperta a ogni possibilità di creazione (quindi una entità produttiva e generatrice): "dunque per primo fu caos, voragine spalancata, che "spontaneamente" e per volontà divina mutò la propria natura nel suo contrario (caos/cosmo) e allora sparse ed espanse fuori di sé, come in una semina, le forme del cosmo. Il secondo nel Timeo presenta una essenza formativa ("madre") del tutto, una sorta di essenza del possibile che, trasformandosi e originandosi, genera il cosmo; le particelle fondamentali che popolano l'universo nei suoi primi istanti si creano e annichiliscono, in continuo e caotico plasma: l'ordine per opera del Demiurgo fa scaturire da poche entità elementari (di acqua, fuoco, aria e terra) la molteplicità delle creazioni del cosmo.
La volontà di dare risposta al più antico dei quesiti - "cosa c'era prima che ci fosse qualcosa?" - ha originato dunque innumerevoli miti.
Una rappresentazione della nascita dell'universo la si trova anche nel De Rerum Natura di Lucrezio che riprende temi della filosofia epicurea: "quell'accozzo fortuito della materia [.] atomi [.] che sogliono sin dall'eternità vagar spinti dagli urti [.] ed in tutte le guise unirsi [.] si fan principi sempre di cose grandi, la terra, il mare, il cielo [.]". E proprio Lucrezio influenza Ovidio per le sue Metamorfosi (nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma).
L'opera di Ovidio testimonia quelle che erano le idee nell'antichità sul concetto di caos contrapposto a cosmo e come già allora le teorie di valenza scientifica influenzassero la letteratura contemporanea.
Il carattere complessivo del mondo è [.] caos per tutta l'eternità, non nel senso di un difetto di necessità, ma di un difetto di ordine, articolazione, forma, bellezza, sapienza e di tutto quanto sia espressione delle nostre estetiche nature umane.»
F.
Nietzsche,
Se gli antichi vedono il caos come qualcosa di immediatamente antecedente alla creazione del mondo, quest'ultimoinvece inteso come ordine di tutte le cose, in contrapposizione alla visione metafisica del mondo, l'interpretazione di Nietzsche consider ail caos come sua caratteristica fondante. Non più la visione metafisica del mondo di Platone che aveva un atteggiamento di fuga nei confronti del mondo concreto, ma l'accettazione dell'imperfetto immanente. Il filosofo Tedesco, nella seconda metà dell'Ottocento, sviluppa la visione del mondo in quanto caos attraverso tutto un percorso privo di sistematicità.
Nella Nascita della tragedia, opera giovanile a base filologica, rintraccia nella tragedia greca i caratteri del dio Dioniso e del dio Apollo, che incarnano spiriti opposti, rispettivamente il caos e l'ordine: spirito dionisiaco e spirito apollineo rappresentano le opposizioni insolubili che sono proprie del mondo.
Nella Grecia presocratica essi convivono distinti e contrastanti. Nella tragedia attica (Eschilo e Sofocle) avviene un "miracolo metafisico" giacché questi spiriti si armonizzano. In seguito alle idee socratiche si osserva un prevalere dell'apollineo sul dionisiaco, poiché le tragedie vengono costruite con rigide concatenazioni razionali: Apollo, che è forma tenta di dominare Dioniso, patos, cioè la vita stessa. Nella concezione nietzscheana ciò assume carattere negativo perché in questa rappresentazione della vita risulta annichilita l'istintualità dell'uomo. Nonostante, attraverso la tragedia l'uomo riesca a dare forma alla vita, nella realtà è destinato a fallire poiché Dioniso sfugge immancabilmente ad Apollo: l'allegoria indica che non si può costringere l'infinito nel finito, ridurre il divenire alla stasi.
L'opera filologica di Nietzsche assume dunque un pretesto filosofico: quanto esposto nella Nascita della tragedia riflette ciò che è avvenuto nel percorso storico dell'Occidente e il tentativo dell'uomo moderno di dare forma razionale e armonica alla vita. Nietzsche ritiene tale società in declino poiché, non capace di accettare l'esistenza così com'è, ha cercato di nascondere il suo carattere dionisiaco, costruendosi certezze che in realtà sono menzogne. Come risulta dagli scritti successivi, l'esistenza appare priva di senso e il mondo dominato dal caos, perché l'uomo non può elevarsi al di sopra di tutte le cose e cogliere l'assoluto (come tenta di fare la filosofia).
Infatti la condizione dell'uomo di appartenenza al mondo non lo rende capace di osservarlo nella sua totalità, ma soltanto da un punto di vista specifico, ossia la sua percezione particolare del mondo: ciò non gli consente di carpire il senso totalizzante delle cose e tutto risulta caotico.
Ma non può essere altrimenti. Se l'uomo potesse scorgere il mondo nel suo insieme (in modo metafisico), dovrebbe poterlo cogliere non antropomorfizzato (sciolto dal suo punto di vista umano ) e per questo occorrerebbe un punto di vista esterno all'uomo. Ma nessuno può guardare con occhi che non sono suoi. Dunque il concetto di caos del mondo, essendo dovuto alla percezione dell'uomo, non può essere rifuggito. E, afferma Nietzsche, il caos pertiene al mondo in modo necessario.
L'uomo che non accetta la sua posizione, fortemente legata agli aspetti "terreni", è portato a credere di poter abbracciare la totalità delle cose, servendosi ad esempio della filosofia o della scienza. In particolare la scienza è un esempio concreto del tentativo apollineo di definire il dionisiaco. Infatti la scienza, in quanto strumento dell'uomo per indagare il mondo, non può che avere una visione parziale (si occupa del mondo nel particolare, in modo fisico, dunque) e non potrà mai cogliere la verità assoluta, ma soltanto una verità pro tempore. Poiché si può definire qualcosa nella sua totalità solo se non se ne fa parte, è evidente che questa posizione rispetto al mondo è impossibile per l'uomo (sebbene sia stato questo il suo tentativo nel percorso scientifico): tale prerogative sarebbe quella di un ipotetico Dio.
Con le sue opere, Nietzsche intende "profeticamente" svelare all'uomo le sue false verità; certo che questa scoperta provochi negli uomini un atroce sgomento e un immenso senso di vuoto,egli offre loro il modo di superare la "voragine" spalancatasi dal crollo di tali fittizie certezze che consiste proprio nell'accettare la vita nella sua dimensione tragica e dionisiaca, nell' accettare l'appartenenza ad un mondo animato da insolubili opposizioni, vivere l'esistenza nei suoi aspetti contingenti, nel cogliere, infine, in ogni attimo una parziale verità. Solo così l'uomo avrà vinto l'annichilimento, liberato le proprie pulsioni e posto le basi per il "superamento di se stesso". Proprio in virtù del caos potrebbe aprirsi per l'uomo un "mare aperto" di possibilità.
In principio era l'Azione
«Io sono figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco Xaos.»
L. Pirandello, frammento di autobiografia (1893)
Se il mondo nietzscheano è dionisiaco e in quanto tale dominato da opposizioni insolubili, allora proprio l'uomo ancora lontano dal diventare "oltre-uomo" si costruisce intorno un mondo che risponda al suo bisogno di armonia e stabilità.
Pirandello scorge nelle convenzioni sociali, nelle simulazioni coscienti, ma anche nelle funzioni psicologiche inconsce l'atteggiamento umano a rifuggire dal caos della vita, da cui derivano le sue teorie di maschera e umorismo.
L'umorismo, secondo lo scrittore siciliano, è la chiave di lettura del mondo e della vita perché permette di evidenziare contemporaneamente le sfasature della realtà attraverso quel meccanismo che egli chiama "sentimento del contrario". La scomposizione umoristica rivela ciò che si nasconde dietro le forme dell' "umana ragione": avviene nell'umorista l'epifania dell'inconscio in quanto realtà "oltre i limiti" che apre sugli "abissi del mistero" a rischio di impazzire. Così l'umorista comprende la vita nelle sue innumerevoli varianti e scopre come dal comico possa scaturire il senso tragico della vita.
In modo forse un po' azzardato si potrebbe considerare l'umorista pirandelliano una trasposizione in campo letterario del superuomo nietzscheano. In fondo entrambi prendono atto dell'assurdità della vita.
A tal proposito è significativo il frammento autobiografico richiamato. Egli stesso infatti è l'umorista per eccellenza e l' affermazione "sono figlio del Caos." fornisce una sintesi di tutta la sua letteratura.
Caos è la piccola contrada in cui è nato; ma, in una lettura che va oltre l'apparenza del testo e oltre quanto lo stesso autore ammette (laddove dice che si riferisce al caos in modo non allegorico), il caos si può intendere proprio allegoricamente: è la realtà storica, frantumata e caotica, in cui egli nasce e vive. Ne risulta che l'affermazione racchiude per contrasto la piccolezza del suo chiuso mondo siciliano e la totalità del mondo contemporaneo, così come quella insignificante contrada di Girgenti rimanda nel suo nome a una confusa molteplicità.
Ecco che ancora una volta Pirandello ha messo in atto quella scomposizione del reale tramite i piani letterari della finzione, scoprendo "l'impreveduto che è nella vita" e "l'abisso che è nelle anime".
«Quando sono nel mio quadro, non sono cosciente di quello che faccio. Solo dopo una specie di "presa di coscienza" vedo ciò che ho fatto. Non ho paura di fare dei cambiamenti o di distruggere l'immagine perché un quadro ha vita propria. Tento di lasciarla emergere. Solo quando perdo il contatto col quadro il risultato è caotico. Altrimenti c'è armonia totale, un rapporto naturale di dare e avere e il quadro riesce.»
J. Pollock, la mia pittura, in "possibilities", New York (1947)
Alla figura di Pollock ben si adattano le parole di Pirandello nel saggio sull'umorismo in cui fa riferimento ad una molteplicità di anime diverse che si agitano nell'individuo: è la vita in noi che si manifesta come "flusso continuo, indistinto, oltre i limiti che ci imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una personalità"; l'istinto che è dentro l'uomo in certi momenti straripa e sconvolge tutto.
Pollock è una di quelle anime pirandelliane "irrequiete", quasi in uno stato di "fusione continua" che riversa il suo istinto straripante nella sua arte e ciò che emerge da essa è appunto una energia esplosiva, imprevedibile e caotica.
L'artista americano, che negli anni Quaranta viene a contatto con gli esponenti dell'espressionismo, del cubismo e del surrealismo, sfuggiti ai regimi nazi-fascisti, dà vita a un'arte informale, l'Action painting, quasi una sintesi istintiva di mezzo secolo di rivoluzioni artistiche europee.
Le prime avanguardie si sono sviluppate in sincronia con le scienze umane e notevole importanza hanno avuto gli studi di Freud: l'artista prende coscienza della propria psiche, abbandona ogni controllo e si abbandona all'insieme dei frammenti indeterminati di un caos interiore. Il soggetto dell'artista dunque non è più al di fuori di sé. Di conseguenza anche l'arte informale mette da parte appunto le forme del razionalismo per esprimere il carattere dionisiaco e tormentato dell'artista.
Pollock stesso dice "l'arte moderna lavora per esprimere l'energia, il movimento e altre forze interiori", inoltre essendo espressione dell'epoca contemporanea non può più essere descritta attraverso mezzi tradizionali: la devastazione conosciuta nel corso dei primi decenni del '900 stimola nuove esigenze che richiedono nuove tecniche. Perciò Pollock si lascia andare ad un automatismo psichico di stampo freudiano: dagli angoli remoti della psiche esplodono imprevedibili i sentimenti repressi dal mondo che lo circonda; l'impulso dalla mente passa attraverso il corpo e si riversa sulla tela, liberato dalla forma, in un automatismo gestuale. Grazie al gesto artistico l'artista ha epifania dell'energia nascosta dentro di sé. La pittura diventa la scoperta di sé: porta alla luce elementi altrimenti sconosciuti. Non si tratta perciò di un'arte senza soggetto, perché dipinge l'inconscio e le figure che ne scaturiscono.
L'arte di Pollock però non è casuale, poiché attraverso l'esperienza ha imparato a dominare la tecnica: il dripping non è senza controllo; egli ritiene di poter controllare gli schizzi di colore. Anche Freud sosteneva che il caso non esiste: avendo avuto coscienza di sé e imparato i concetti della psicoanalisi, l'artista utilizza la pittura come cura, come se facesse autoanalisi, dunque ecco che nega il caso.
In questa sorta di sfogo dell'inconscio, unito al controllo della tecnica, che è il processo di creazione dell'opera, Pollock instaura uno stretto legame con il quadro e genera dal caos la sua armonia, realizzando quel "miracolo metafisico" di cui parla Nietzsche. Le pulsioni sono solo apparentemente contraddittorie, perché scaturite dal medesimo flusso vitale.
Poiché sulla tela viene espressa in modo diretto e del tutto esteriore l'interiorità dell'artista, il quadro diventa un suo prolungamento, dunque "l'uomo non è più artista, egli è diventato opera d'arte" (Nietzsche, La nascita della tragedia). Anzi, come dice Pollock, "essere artisti è la vita stessa" e la sua arte vuole essere affermazione della vita: l'action painting produce tensione e complessità della linea, intrecciata staticamente in un movimento perpetuo, rompe la superficie piana dando l'impressione che il quadro possa essere prolungato in ogni direzione; vuoto e pieno, azione e inerzia si trasformano e si fondono nell'energia che li anima. Le contraddizioni dell'io si mescolano in perfetta sintonia nel quadro, come le contraddizioni della vita coesistono nel mondo.
In principio era il Pendolo
«Un intelletto che, in un momento dato, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, e che fosse abbastanza vasto per poter sottoporre tutti questi dati ad analisi, abbraccerebbe nella medesima formula i moti dei massimi corpi dell'universo e quello dell'atomo più leggero; nulla sarebbe per lui incerto, e il futuro, come il passato, sarebbe presente al suo sguardo.»
P. S. Laplace, Saggio filosofico sulle probabilità (1814)
La celebre frase di Laplace, impregnata di un ingenuo ottimismo, rappresenta l'apice della concezione meccanicistica di Newton: possibilità di precisione con esattezza ad ogni livello e in ogni momento. A questo mirava il determinismo classico, a porsi dalla prospettiva di Dio.
Ma con lo stesso Laplace -tra Settecento e Ottocento - comincia la fase discendente della fisica classica, una crisi accentuatasi nel secolo successivo con la nascita di nuove scienze a sfondo probabilistico, come la meccanica quantistica di Einstein.
In effetti già in questa frase si cela l'imprevedibilità (e un fondamentale errore di valutazione umano): in natura non è mai possibile conoscere con esattezza lo stato iniziale di un sistema ad ogni istante, le misurazioni - per cause che molto spesso esulano da nostri errori di calcolo - non possono essere mai perfette; invece la scienza newtoniana ha sviluppato la tendenza a trascurare le influenze piccolissime per arrivare a dire in sostanza che, data una conoscenza approssimata delle condizioni iniziali di un sistema e una comprensione della legge naturale, è possibile calcolare il comportamento approssimativo del sistema. Questa concezione funziona perfettamente in campo astronomico dove un errore minimo non ha decisive conseguenze in relazione ai tempi lunghissimi del cosmo.
Se a governare lo spazio c'è un moto periodico (in cui l'attrito gioca un ruolo trascurabile), sulla terra ogni oscillazione regolare proviene in qualche modo dal pendolo, emblema della meccanica classica, esemplare di azione vincolata e regolarità (tanto che sul suo moto si basa il meccanismo degli orologi).
Questo strumento ha attraversato secoli, diventando oggetto di studio da Aristotele (che considerava il moto una sorta di mutamento, un processo "evolutivo") a Galileo a Foucault (che guardavano al pendolo come concretizzazione di regolarità).
In particolare Galileo aveva già formulato una teoria che prediceva la regolarità del pendolo e proprio grazie a essa fu in grado di vedere ciò che non era: un movimento regolare che tende a continuare il suo moto in virtù della velocità che acquista dal movimento; Galileo sapeva che il mutamento nella velocità - perché in realtà il moto tende a esaurirsi - o nella direzione sono spiegabili solo con una forza esterna, l'attrito; però cercava la perfezione del moto e allora trascurò i dati di non-linearità come l'attrito e la resistenza dell'aria, per ottenere i suoi risultati precisi.
Così agirono anche gli scienziati nei secoli successivi a Galileo e a Newton: spinti da teorie ideali, ricercavano nell'esperimento la regolarità. Nel mondo dell'esperienza però i pendoli si fermano, dissipano la loro energia; paradossalmente Aristotele non aveva sbagliato, giacché in qualche modo il sistema del pendolo si evolve, muta al passare del tempo.
Si cercava dunque la perfezione e ci si allontanava dalla realtà delle cose, nel tentativo di descrivere il reale attraverso formule matematiche; alla ricerca dei principi semplici, perciò sempre più ideali.
Nel caso del pendolo le equazioni che ne studiano il principio connettono l'angolo di oscillazione, la velocità del movimento, l'attrito e la forza che impartisce il movimento: quindi si considerano le singole componenti per arrivare all'intero meccanismo. La tradizione scientifica considera i sistemi in base locale per poi sommarne i singoli elementi; le equazioni differenziali descrivono come i sistemi cambiano in modo continuo nel tempo.
Poincaré - nella seconda metà dell'Ottocento - fu uno dei primi scienziati a voler osservare i sistemi in una prospettiva globale, studiandone l'intero ambito delle possibilità simultaneamente. Egli allora comprese che piccole differenze nelle condizioni iniziali ne producono di grandissime nei fenomeni finali:una previsione diventa impossibile perché il risultato sembra dominato dal caso. In sostanza Poincaré intuì il caos insito nei fenomeni fisici.
Questa intuizione non ebbe grande influenza diretta sulla scienza del suo periodo, ma i suoi studi furono ripresi da alcuni scienziati (ciascuno autonomamente) nel corso del XX secolo. Accolsero questo nuovo modo di vedere i fenomeni naturali soprattutto quegli scienziati lontani dalla fisica "fondamentale" o matematici interessati ad applicazioni in vari campi scientifici.
«Può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?»
E. Lorenz, conferenza (1979)
Negli anni Sessanta il matematico meteorologo Edward Lorenz con mezzi limitati (e poco seguito da parte del mondo scientifico ufficiale) costruì un modello-giocattolo della meteorologia grazie ad un rudimentale computer.
Pose la sua attenzione sul cambiamento delle configurazioni scientifiche nel corso del tempo. Costruì il suo piccolo universo meteorologico mettendo in pratica le leggi di Newton per rispondere ad un quesito che già Poincaré si era posto: "perché i meteorologi hanno tanta difficoltà a prevedere il tempo con un certo grado di esattezza?" - e a cui si era anche risposto - dandosi come soluzione che in realtà è un sistema con dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali, per cui in mancanza di misurazioni abbastanza precise e ravvicinate tutto sarebbe sembrato dovuto all'intervento del caso. Lorenz arrivò alle stesse valutazioni.
Escogitò una sorta di grafica primitiva per poter rappresentare il suo sistema e in un primo momento osservò modelli ricorrenti, si potrebbe dire un disordine ordinato.
Successivamente, nell'esaminare una fase piuttosto lunga, decise di non iniziare dal principio ma inserire lui stesso i dati da cui voleva che il computer ripartisse, approssimati però di un decimillesimo. Tale minuscola variazione fece divergere rapidamente la fase rispetto alla precedente. Egli invece aveva supposto che avendo inserito un punto di partenza leggermente diverso l'evoluzione sarebbe stata leggermente diversa. Era la scoperta del caos: instabilità in ogni punto; ecco il motivo per cui le previsioni a lungo termine sono impossibili. Era una versione parodistica dell'atmosfera, ma in quanto tale rispecchiava la realtà nei tratti essenziali. Però nell' aperiodicità del sistema meteorologico non vedeva casualità ma intravedeva ordine.
Cercò equazioni semplici che riproducessero tale instabilità, inserendo vari tipi di complicazioni minori. Dimostrò così che quel comportamento imprevedibile , non era accidentale, ma necessario: conseguenza inevitabile del modo in cui le piccole scale si intrecciano con le grandi.
Lorenz riuscì quindi a simulare sia la aperiodicità sia la dipendenza dalle condizioni iniziali, utilizzando come base poche equazioni calcolate continuamente con efficienza meccanica. Sconvolse il mondo scientifico la considerazione che il caos derivasse da un semplice sistema deterministico.
In seguito mise da parte il tempo e cerco modi ancora più semplici per produrre questo comportamento complesso: concepì un sistema di tre equazioni non-lineari che applicò alla convezione. Il sistema non forniva un modello completo di tale fenomeno, ma risultò valido in sistemi reali. Volle rappresentare i dati ottenuti dalle tre equazioni, con tre variabili, nello spazio tridimensionale. Il grafico rivelò una infinita complessità: il movimento non diventava periodico né si arrestava, tracciava una sorta di doppia spirale (denominata poi attrattore di Lorenz) in tre dimensioni, simile ad una farfalla. Nessun punto o sistema di punti si ripeteva mai, perciò la linea non si intersecava: ritraeva il disordine, eppure segnalava anche un nuovo ordine.
Per la prima volta le immagini di Lorenz avevano mostrato che cosa significasse dire "è una cosa complicata". In esse c'era tutta la ricchezza del caos.
Questa scoperta, insieme a molte altre nello stesso ambito, portò a riconsiderare la descrizione fondamentale della natura e a riscoprire il ruolo fondamentale del caos a ogni livello descrittivo., microscopico, macroscopico, cosmologico.
Il concetto di legge della natura implicava la sostanziale eliminazione del tempo, soprattutto su influenza teologica: per dio tutto è dato, ai suoi occhi nel presente c'è il futuro come il passato. Infatti, paradossalmente, mentre si riusciva a calcolare (grazie al pendolo!) con precisione sempre maggiore lo scorrere del tempo, questo concetto veniva eliminato dalla fisica classica, portata invece ad astrarre dalla freccia del tempo ogni evento. Ma nel nuovo contesto scientifico aperto dal caos fu recuperato il concetto di tempo inteso come irreversibilità dei processi.
Iniziò la ricerca dell'imprevedibile nella natura, scoprendo che la maggior parte dei sistemi di interesse fisico sono instabili. Lo stesso concetto di pendolo venne ripreso e indagato nella sua aperiodicità, reintegrato dell'attrito di cui era stato privato. Quindi si verificò un' inversione di rotta rispetto al tentativo positivista di porsi al posto di Dio e, analogamente a quanto predicato da Nietzsche, si produsse una sorta di riavvicinamento a quello che è il punto di vista proprio dell'uomo, legato agli aspetti terreni della scienza e al quotidiano della vita. Come se lo scienziato avesse preso coscienza finalmente della natura dionisiaca del mondo e avesse posto l'attenzione sulle contraddizioni che lo dominano.
In sostanza avvenne quella che Kuhn definisce "rivoluzione" scientifica. L'epistemologo statunitense mise in crisi la concezione di scienza come processo ordinato che progredisce per domande e risposte. Invece sostenne che una nuova scienza ha origine da un'altra che è venuta a trovarsi in un vicolo cieco. Le scoperte provengono da persone che si spingono oltre i confini della tradizione scientifica esistente. Questi scienziati spesso vanno anche oltre i normali limiti delle loro discipline e incontrano l'ostilità dei colleghi che non riescono ad assimilare le nuove idee, perché esse richiedono una riorganizzazione della propria immagine del mondo. Questo si verificò nella esplorazione del caos: apriva la strada al futuro, ma occorreva rinunciare a gran parte del passato. E allora gli "esploratori del caos" cominciarono a predicare le loro scoperte ai "miscredenti". Era il nuovo sistema: il cuore del caos era matematicamente accessibile; così è diventato non solo teoria, ma anche metodo, un nuovo modo di fare scienza.
La scoperta di comportamenti caotici in equazioni "classiche" non fu legata esclusivamente agli studi fisici, ma esulò in altri campi. Oltre al caso del meteorologo Lorenz, si può ricordare anche il biologo Robert May che osservò come si evolvono le popolazioni degli animali, in relazione a numerosi fattori, attraverso una semplicissima equazione deterministica, la mappa logistica, e parallelamente agli studi di Lorenz nel suo grafico vide il caos.
L'esplorazione del mondo da un punto di vista materialistico iniziata dal caos non si limita solo studio della fisica ma va oltre lo stesso campo scientifico. Infatti la nuova scienza, affermatasi soltanto fra gli anni Settanta e Ottanta (grazie anche allo sviluppo della tecnologia dei computer, che hanno reso i calcoli e le rappresentazioni grafiche più rapidi) ha spinto alcuni matematici a guardare con occhi diversi l'intreccio di linee tracciate da Pollock: un suo quadro, pur essendo uno spazio finito, ha infinità profondità, quindi presenta le caratteristiche fondamentali del frattale, ossia la forma matematica migliore per esprimere comportamenti caotici. Il frattale ha una dimensione frazionaria; in qualche modo il dripping può essere pensato come un gomitolo che pur occupando uno spazio tridimensionale in realtà è un complesso groviglio di un filo assimilabile alla bidimensione.
Come la scoperta dei comportamenti caotici all'interno di sistemi semplici aveva spinto molti scienziati a ritornare su alcune questioni tradizionalmente convalidate, così con la nozione di frattale è stata possibile una rilettura dei quadri di Pollock in chiave scientifica che ha mostrato come l'artista con la sua intuizione sia arrivato prima del matematico alla nuova geometria (forse perché più libero di osare!).
.in conclusione
Se dunque il caos mitologico, come abbiamo visto, apre l'universo - caos che secondo l'etimologia sta a indicare una fenditura, uno spalancamento -, così il caos scientifico apre quasi "strappando" (lo "strappo nel cielo di carta", L. Pirandello, Il Fu Mattia Pascal) a un nuovo modo di fare scienza e vedere l'universo nella sua perfezione.
BIBLIOGRAFIA
Abbagnano, N.; Foriero, G.
Itinerari di filosofia Paravia.
Anselmi, G.M. ; Finocchio, G.
2004 Tempi e immagini della letteratura Mondadori
Pirandello, L.
1908 L'umorismo Garzanti
Pontiggia, E. (a cura di)
2006 Jackson Pollock, lettere, riflessioni, testimonianze Abscondita
Bonito Oliva, A.
2003 Pollock, Art Dossier Giunti
Prigogine, I
1993 Le leggi del caos Laterza
Vulpiani, A.
1994 Determinismo e caos Carocci
Gleick, J.
1987 CAOS - La nascita di una nuova scienza Bur
In copertina : Full fathom five, J. Pollock, 1947
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