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NIETZSCHE: il viaggio oltre se stessi e le figure della transizione
"Anch'io sono stato agli inferi, come Odisseo, e ci tornerò ancora più volte; e non solo montoni ho sacrificato per potere parlare con alcuni morti, bensì non ho risparmiato il mio stesso sangue. Quattro furono le coppie che a me, il sacrificante, non si negarono: Epicuro e Montaigne, Goethe e Spinoza, Platone e Rousseau, Pascal e Schopenhauer. Con queste persone devo discutere, dopo che a lungo ho peregrinato da solo, da essi voglio farmi dare ragione o torto, essi voglio ascoltare, quando essi stessi si danno fra loro ragione e torto. Qualunque cosa io dica, decida, escogiti per me e per gli altri, su questi otto fisso gli occhi e vedo i loro fissi su di me. Vogliano i vivi perdonarmi se essi a volte mi sembrano delle ombre, così sbiaditi e aduggiati, così inquieti e, ahimé! Così avidi di vita: mentre quelli allora mi sembrano così vivi, come se ora, dopo la morte, non potessero mai più stancarsi della vita. Ma è l'eterna vitalità che conta : che importa della «vita eterna» e della vita in genere"!
Da [Opinioni e sentenze diverse, af.408, Il viaggio nell'Ade].
Partendo da questo passo si può notare che, anche in un ambito prettamente filosofico, c'è il ritorno alla figura iniziale di Ulisse utilizzata come emblema del viaggio dell'uomo. Qui è Nietzsche che s'identifica con l'eroe omerico affermando di essere stato nell'Ade ed esprimendo l'intenzione di tornarci. Il filosofo, per trattare il tema del viaggio, utilizza la figura del viandante, vale a dire di colui che è giunto alla libertà della ragione.
Tale metafora ha una storia lunga e consolidata che s'inserisce nella tradizione allegorica del viaggio come simbolo di conoscenza e formazione. Infatti, in questo senso, è un topos sia della tradizione classica, sia, soprattutto, della tradizione romantica. Attraverso questo possibile collegamento con le epoche precedenti è possibile porre l'accento
sulle analogie e sulle differenze che sussistono tra i viandanti della tradizione e quello di Nietzsche, passaggio, questo, fondamentale per affrontare e comprendere a fondo tale tematica.
A proposito delle analogie notiamo che molti viandanti della tradizione (Ulisse, Enea, Dante) compiono un viaggio nel viaggio per entrare in contatto con gli abitatori del mondo dei morti ( le ombre) poiché esse hanno il dono della profezia. I viandanti chiedono indicazioni sulla strada da percorrere, sulle future azioni da compiere, sulle situazioni che dovranno affrontare. Come le ombre dei morti rispondono alle domande di Ulisse, Enea e Dante anche l'ombra del viandante di Nietzsche risponde agli interrogativi che gli vengono posti.
Per quanto riguarda le differenze, invece, c'è da rilevare, in primo luogo, che il viandante di Nietzsche è una figura priva d'identità definita, mentre i viandanti proposti dai classici hanno tutti un nome proprio, sono individuati, riconoscibili e tutti orientati verso una meta e determinati a perseguirla. La loro caratteristica è appunto la meta (il ritorno a casa, la patria lontana, un ideale, la fondazione di una città, la conquista di uno speciale potere) che li caratterizza a tal punto da identificarli con essa. Il viandante di Nietzsche, invece, non ha un fine, poiché ha scoperto che nel cammino dell'uomo non esiste alcuno scopo. Se c'è un elemento che lo definisce è proprio il fatto di non avere meta. Secondo Nietzsche il 'viandante' rappresenta un nuovo "modello" d'uomo che tratta la vita come 'libero esperimento' o 'esperimento permanente', e che vive costantemente senza pregiudizi, né luoghi comuni. Egli segue l'etica del coraggio, dell'intraprendenza, del rischio, della responsabilità, che può appartenere soltanto agli uomini artefici del proprio destino, come nell'età moderna lo sono stati i grandi navigatori, esploratori e condottieri. Solo oltrepassando se stesso l'uomo potrà sopravvivere alla scoperta che il suo è un cammino senza meta, che nel suo futuro nulla v'è che già non sia stato.
Per far comprendere meglio la figura del viandante, vale a dire di colui che è sempre in cammino per raggiungere la sua realizzazione, ho pensato di citare un 'altra metafora, cioè la figura del funambolo.
Il funambolo è, per definizione, «chi cammina sulla corda o cavo». Secondo Nietzsche il "cavo" rappresenta l'uomo che è teso fra due punti d'appoggio: uno al di qua che rappresenta la bestia e l'altro al di là che rappresenta il superuomo. Il funambolo, dunque, raffigura l'uomo della transizione: colui che, dopo tante illusioni, si è scoperto semplice possibilità d'altro, cammino percorribile in entrambe le direzioni, lungo il quale si può in ogni momento progredire o regredire ma mai sostare. Nella sua prospettiva l'esistenza è «ancor priva di senso» perchè qualunque cosa egli faccia, la sua vita non potrà ancora assumere l'unico senso possibile, poiché questo si dà solo in una prospettiva ulteriore, non ancora raggiunta: nella prospettiva del superuomo. Nel viaggio questo passaggio è obbligatorio per l'uomo moderno che vuole vivere fino in fondo la sua condizione storica e far valere pienamente gli istinti e i valori su cui la sua civiltà è costruita. Infatti, solo giungendo all'estremità del cavo dove si trova il superuomo, egli raggiunge una nuova dimensione che gli permette di sentirsi realizzato. L'uomo non può fare a meno di cercare questa dimensione perché, altrimenti, regredisce nel suo cammino e nell'immagine di sé che cerca di coltivare attraverso il suo peregrinare.
In questa nuova prospettiva deve rinascere ciò che è morto nella vecchia: un senso della vita che l'esistenza stessa possa convalidare, un destino a cui si possa e debba essere fedeli. Dunque, ciò che è morto nella prospettiva dell'uomo (non l'uomo stesso, che può continuare a vegetarvi, ma la possibilità di un'esistenza sensata) deve rinascere in quella del superuomo. Solo chi si muove su questo terreno ha una prospettiva d'evoluzione spirituale ed è in grado d'imparare a vivere la vita come pienezza d'istanti incommensurabili.
Terminerei affermando che Nietzsche, attraverso la figura del viandante e del funambolo, ha metaforicamente personificato l'uomo che si sente libero dal peso dei rimorsi e dei rimpianti del passato, dalle ansie e dalle preoccupazioni per il futuro; l'uomo che è divenuto ciò che è: viandante che cammina senza meta finale, che trae gioia dal semplice camminare, simbolo del nostro mutamento, della nostra transitorietà e, soprattutto, della nostra provvisorietà.
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