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Elementi architettonici e arredi




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ELEMENTI ARCHITETTONICI E ARREDI


La Pietra.


Molti giardini giapponesi contengono nell'elemento strutturale roccioso, solido e persistente, il fondamento della loro composizione. In generale, il Giapponese, poco incline alla regolarità e alla simmetria, preferisce delle pietre che abbiano aspetto, forma e colore naturali quindi non levigate artificialmente, ma lavorate solo dai segni del tempo, dall'erosione dell'acqua e del vento o in parte coperte di muschio che ne aumenti la patina dell'età e il valore decorativo. Per questo si devono scartare le pietre troppo regolari, quadrate o sferiche, o dai colori intensi e quindi il progettista le selezione con oculatezza cercando di sfruttare al meglio la loro espressività, il design e il 'temperamento' che secondo i Giapponesi è insito in ognuna di esse. Alle rocce vulcaniche si preferiscono generalmente le caratteristiche di quelle metamorfiche.

Nel giardino ciascuna pietra ha sempre una funzione ben precisa: può servire a riprodurre realisticamente una tartaruga , un airone o una nave, secondo i miti cari alla tradizione, può venire impiegata per costruire paesaggi in miniatura in cui si rappresentano monti veri o immaginari, una cascata, una spiaggia, un impetuoso corso d'acqua. Raramente le pietre vengono usate in modo isolato, ma di solito compaiono in gruppi dove il singolo componente può essere omesso o rimosso senza distruggere l'armonia dell'intera creazione. La loro ubicazione è tanto importante quanto l'aspetto individuale. Ciascun raggruppamento è formato da pietre di diverso volume sistemate in modo da costituire un riferimento ben visibile nel giardino anzi il fulcro dello stesso, intorno al quale coinvolgere, integrandoli, gli altri elementi. Tipico il gruppo di tre pietre raffigurante la triade buddista Sanzon tramite una pietra centrale più e due dimensioni ridotte ai suoi lati; questo gruppo è molto ricorrente nella formazione di cascate e montagne. Accanto al fattore numerico è parimenti importante la combinazione spaziale delle rocce più spesso distribuite secondo uno schema triangolare per evitare di cadere negli squilibri formali avvertiti dal senso estetico nipponico.

Il complesso roccioso deve garantire una sensazione di stabilità, ottenuta conficcando saldamente e profondamente ogni pietra nel terreno, nel rispetto del suo baricentro e del lato da mostrare, nei rapporti reciproci fra le pietre e con l'ambiente circostante, e infine di varietà, grazie alle linee naturali irripetute e combinate in prospettive mutevoli. Seguendo questi parametri compositivi si imbriglia la forza minerale guidandola lungo una direzione prescelta e si spinge ciascuna pietra ad esprimere pienamente la propria tensione e potenza.


Gli specchi d'acqua.


Quasi tutti i giardini più antichi erano costituiti da un grande lago navigabile. Il giardino isola era, infatti, un'autentica espressione del tipico paesaggio costiero orientale la cui acqua era destinata a diventare, nel successivo giardino aristocratico, il fulcro che permetteva il godimento del giardino stesso tramite percorsi in barca.

Nei secoli seguenti il lago, senza perdere la sua importanza compositiva fondamentale, rimpicciolisce progressivamente fino a raggiungere , talvolta, anche le dimensioni di uno stagno molto ridotto, come ad esempio avviene nelle creazioni del grande maestro Sesshu. Con l'avvento della filosofia Zen il lago scompare nella sua realtà fisica, ma rimane simboleggiato dalla sabbia il cui curato disegno allude al movimento dell'acqua. Parallelamente, tuttavia, il lago costituisce ancora l'elemento predominante di molti giardini paesaggistici e soprattutto di quelli da passeggio, sia che venga navigato, come in passato, sia che venga goduto dal sentiero sulla riva che lo circoscrive permettendo effetti panoramici sempre mutevoli.

Il lago o lo stagno non ha mai una forma geometrica, come avviene per gli specchi d'acqua del giardino storico occidentale, ma ripropone la spontaneità delle fisionomie di ambienti naturali. In alcuni casi la forma del laghetto può essere dettata dalla tradizione che gli fa assumere un disegno particolare.

La costituzione del laghetto, realizzata in passato oltre che con lo sfruttamento di situazioni naturali anche sistemando i fondali con gli scavi poi rivestiti d'argilla, viene oggi molto volte ottenuta con i fondali in calcestruzzo, secondo il metodo introdotto nel periodo Meiji. Particolare cura viene sempre dedicata alle sponde che, apparentemente lasciate in forme naturali, sono invece il risultato ricercate sistemazioni di ciottoli, pietre in blocchi, legno o bambù per garantire sia la netta definizione dello spazio acquatico sia per evitare sgradite erosioni della sponda e il conseguente intorbidimento dell'acqua. Il ricambio d'acqua, anche nei casi in cui il lago abbia aspetto stagnate, è garantito da appositi emissari e immissari, questi ultimi a volte risolti anch'essi come elementi compositivi riproducenti ruscelli e cascate del paesaggio nipponico.


Le isole.


L'isola è una delle componenti classiche del giardino giapponese. Con il nome giardino isola era solito chiamarsi un tipo particolare di giardino di epoca antica che veniva costruito con l'intenzione di riprodurre in miniatura un autentico paesaggio marino. L'acqua aveva anticamente un preciso significato religioso: i laghetti della venerazione scintoista avevano parecchie isole ognuna delle quali serviva per venerare una divinità. Anche nel giardino paradiso della fine del periodo Heian la disposizione delle isole prevedeva che il padiglione principale contente la divinità, il Budda Amida, venisse eretto sull'isola più grande in posizione centrale raggiungibile con ponti disposti secondo le immagini simmetriche del culto Mandala.

Nel corso dei secoli, l'isola rientra tra gli elementi predominanti della costituzione scenografica del giardino che ben si presta alla scopo di miniaturizzazione paesaggistica, rimando al tempo stesso espressione simbolica con rinnovamenti contenuti e forme.

Questo processo di miniaturizzazione, che non è ovviamente causale, come potrebbe apparire, oltre a riprodurre paesaggi naturali, propone forme simboliche quali la tartaruga o l'airone, indicati rispettivamente longevità e benessere. Molto spesso sulle isole prevalentemente rocciose in forma di tartaruga, il tipico paesaggio costiero viene riprodotto nell'associazione con esemplari di pino, simbolo di costanza e forza. Lo stesso numero a disposizione, apparentemente naturale delle isole, sono calibrati secondo la tradizione giardinistica che vuole che l'isola più estesa vicino all'edificio principale del giardino e collegata da un ponte, mentre quelle più piccole variamente disposte su coni visuali più allargati. Le isole rimangono come elemento compositivo anche nell'età feudale con l'avvento delle tecniche Zen di costruzione del giardino secco dove l'acqua viene sostituita dalla sabbia e le isole sono realizzate con poche pietre di ridotta dimensione, singole o in gruppo numericamente limitato.


Le cascate.


A ogni cascata in Giappone, in considerazione dell'aspetto e delle sue caratteristiche, è stato dato un nome, cosa che fa comprendere appieno l'affetto e l'attenzione del Giapponese per il proprio paesaggio. Le tipologie della compagine naturale vengono riportate nel giardino dove le cascate si rifanno a forme ben precise e distinte secondo una terminologia già ricorrente nel manuale Sakutei-ki. Ito-ochi è la cascata lineare che fa pensare alla leggerezza dei fili di una tenda, Yoko-ochi è la cascata nella quale due corsi d'acqua convergono incrociandosi. Nuno-ochi è quella che suggerisce l'idea di un lembo di tela appeso. Ma la casistica è più ampia ancora a seconda delle modalità di caduta, organizzazione o portata della stessa: ci sono infatti cascate rocciose, a gradoni, a corso unico o doppio, aderenti alla roccia o zampillanti. Come ogni altro elemento compositivo del giardino la cascata deve però integrarsi al paesaggio riprodotto senza dare alcuna impressione di artificiosità. Per questo vengono utilizzati schemi vegetali, composizione di pietre che associano la cascata a reconditi luoghi di montagna, si inseriscono alberature dal fogliame colorato in autunno per favorire pregevoli effetti cromatici sull'acqua. La pietra rimane comunque la componente costituiva e indispensabile per la costruzione di una cascata forse più della stessa acqua che viene invece contenuta nel volume e nella portata, anche per ovvi problemi di manutenzione. La riprova della non necessità, a volte, dell'elemento acqua, si trova nella realizzazione aride del giardino Zen (Karetaki) dove l'impostazione e la particolare forma delle pietre usate sono sufficienti a suggerire l'immagine e il carattere della cascata.


Le vaschette di pietra.


Vennero introdotte nella tradizione del giardino del tè diventando così elementi irrinunciabili e caratteristici del suo arredo. Ne esistono due tipi principali. Il primo tipo è la vaschetta chiamata Chotsubachi di maggiore altezza, dimensione e semplicità che serve esclusivamente per lavarsi le mani e viene posta per lo pi in adiacenza all'edificio dal quale può essere utilizzata. L'altro tipo detto Tsukubai, usato prima per accendere alla cerimonia del tè, è formato oltre che dalla vaschetta vera e propria, da un raggruppamento di rocce funzionale ad appoggiare la lanterna e il mestolo di bambù e a potersi inginocchiare. Come per le lanterne, le vaschette alle quali l'acqua viene condotta in tubazioni di bambù dette Kakehi, molte volte recuperate da altre costruzioni utilizzando elementi quali ad esempio parti di basamenti di vecchi templi. Una caratteristica fontanella interamente in bambù che, ancorata su un perno rotante, svuotandosi dell'acqua raccolta dal kakehi batte su pietra del basamento producendo con cadenza regolare nel giardino un gradevole suono che in origine doveva servire a tenere lontani gli animali dalla casa.


Muri e Recinzioni


Questi elementi architettonici sono di grande importanza nel giardino giapponese caratterizzato da una composizione perfettamente studiata, nella maggior parte dei casi, in spazi di limitate estensioni. Essi infatti rappresentano la necessaria cornice entro la quale il giardino racchiude i riferimenti e le principali prospettive quasi come quinte teatrali di un'accurata scenografica. Queste delimitazioni possono essere realizzate in vario modo, frequentemente anche solo con l'uso di materiale vegetale in forma di siepi geometricamente potate, ma il più delle volte, oltre al muro classico tipico dell'architettura giapponese, esse vengono realizzate usando in svariatissimi sistemi il bambù. Solitamente i muri veri e propri, mai superiori ai due metri d'altezza, sono realizzati con una struttura portante in legno e un tamponamento ottenuto con un impasto alleggerito argilloso poi intonacato e ricoperto di tegole. In questa tipologia, è famoso non solo per la sua ancora originaria struttura, ma anche per il ruolo scenografico che gioca nella composizione prospettica del giardino Zen, quello del Ryoan-ji a Kyoto. Alcune volte, ma soprattutto nei giardini posti sul retro di abitazioni private, in questi muri si aprono piccole aperture con grate in bambù con lo scopo di mitigare la sensazione di chiusura. Infatti l'uso del muro era fondamentale in alcuni casi per ottenere l'effetto Shakkei, dove esso costituiva la cornice inferiore del paesaggio circostante che si voleva catturare. Come muri di separazione, ma anche come semplice suddivisione all'interno del giardino, è frequentissimo l'uso, secondo la tradizione rurale, delle recinzioni in bambù (Takegaki), materiale che nel giardino ricompare molto spesso per le diverse soluzioni funzionali e d'arredo. Esistono peraltro innumerevoli modi di costruire la recinzione in bambù dei quali alcuni vengono ancora oggi identificati con il nome del loro antico ideatore. Di queste particolari forme è famoso il Sodegaki, schema a forma di manica di kimono alto anch'esso non più di due metri, al quale il giardiniere dava forma e tessitura piacevole a vedersi poiché usato in particolare nei pressi delle abitazioni per nascondere una vista poco gradita o per creare uno spazio raccolto e ad effetto per lo Chotsubachi.


Ponti


L'uso del ponte risale senz'altro ai più antichi giardini con presenza d'acqua. I ponti di quell'epoca venivano realizzati prevalentemente in legno, o legato e terra, nella tipica forma curva d'influenza cinese, spesso laccati di rosso, soprattutto utili per superare corsi d'acqua di notevole larghezza. Dove ci siano più ponti nello stesso giardino, questi devono essere di forma sempre diverse, mai ripetendosi e di aspetto armonioso. Nel periodo Muromachi, nei limitati spazi del giardino entrano nell'uso comune i ponti in pietra che danno un'impressione di solidità in quanto preferibilmente realizzati in un unico blocco sia in forma naturale sia lavorata. Tra le diverse forme possibili, particolare è lo Yatsuhashi, costruito integralmente in legno con assi collegate a zig-zag che consente, durante l'attraversamento, visuali ogni volta diverse. Nel caso in cui il corso d'acqua abbia una limitata profondità, il ponte viene realizzato con grosse pietre adeguatamente giustapposte sul fondale a distanza di passo per consentire un agevole e divertente guado: tale tipo è chiamato Sawatari-ishi, ovvero la variante acquatica delle Tobi-ishi. Nel caso in cui lo specchio d'acqua consenta, invece, la navigazione, la curva del ponte si solleva fino a lasciar passare le barche al di sotto.


Le Lanterne


L'uso della lanterna in pietra (Ishidoro) nel giardino giapponese si fa risalire alla fine del periodo Muromachi con il maestro Sen no Rikyu che le utilizzò sul finire del XVI secolo soprattutto nei giardini del tè nei quali ogni elemento anche artificiale doveva concorrere a rispettare l'eleganza e la fedeltà alla natura. La presenza della lanterna, fino ad allora elemento della dedicazione religiosa dei templi, fu in primo luogo motivata da esigenze funzionali e, in seguito, quasi esclusivamente da motivi di composizione e decorazione del giardino. Fin dalle origini il materiale più usato fu la pietra, tanto più antica e rovinata, tanto più utile a fornire al giardino la sottile patina estetica voluta dal suo progettista. Ancora oggi i diversi nomi che contraddistinguono le varie forme di lanterne ricordano o gli antichi luoghi religiosi d'origine o il nome del loro creatore. Diverse sono le tipologie disponibili alle esigenze in funzione delle esigenze progettuali: per i sentieri che dovevano essere illuminati queste venivano scelte all'incirca di novanta centimetri da terra, mentre, per i giochi prospettici del giardino, tale altezza poteva variare da un minimo di trenta centimetri circa, per lanterne poste come riferimenti visuali in luoghi strategici quali ad esempio le collinette in mezzo ai laghi, fino a un massimo di circa tre metri quando queste dovevano risolvere esclusivi motivi di decorazione del giardino. La scelta della posizione in cui collocarla all'interno del giardino è sempre determinata da precise regole prospettiche e dalla sua integrazione con la vegetazione circostante. Izawaki viene chiamato l'effetto con il quale un ramo d'albero scherma in modo casuale l'effetto della luce lasciandola filtrare delicatamente


La Sabbia


La sabbia fu introdotta nel giardino giapponese in origine esclusivamente per motivi funzionali, specialmente nelle pavimentazioni dei sentieri onde evitare di infangarsi i piedi. Nel periodo Muromachi, ripetendo l'esempio degli antichi giardini da cerimonia imperiali, l'aspetto estetico, come ancor oggi lo si riconosce nelle creazioni secche Zen, si sovrappone a quello solo funzionale. Infatti nella filosofia zen il mare di sabbia, ideale trasposizione dell'eternità, è l'elemento principale del giardino secco che, come simbolo della vita meditativa, si contrappone a quello roccioso, simbolo della vita terrena e materiale.

Esiste un'evoluzione storica dell'uso della sabbia via via divenuto più astratto: i cumuli di sabbia, originariamente approntati nel giardino per fornire il materiale di ricambio in occasione di visite importanti, finiscono per diventare un riferimento decorativo che si integra nella composizione del giardino. La tecnica zen miniaturizzata il moto ondoso dei fiumi e dei mari utilizzando le superfici minerali che, in alcuni casi con un voluto significato meditativo, raggiungono una maggiore pendenza annullando ogni altro elemento decorativo. L'esempio culmine in questo senso è dato dal giardino meridionale del Daisen-in di Kyoto, dove la sabbia rappresenta il mare dell'eternità e le due colline coniche poste al suo centro non rappresenterebbero altro che un ulteriore innalzamento dello spirito verso la perfezione interiore.

L'uso della sabbia ha quindi motivazioni che spaziano dal creare artificio e suggestione a soluzioni meramente manutentive. Il tipo di materiale infatti consente una sistemazione perfetta delle superfici da disegnarsi con appositi rastrelli e mantenibili per diverso tempo, consente effetti di luce e di spaziosità, impedisce la crescita di vegetali indesiderati e favorisce giochi luminosi in occasione delle notti di luna piena tanto amati dalla sensibilità giapponese. Il colore della sabbia, deriva dalla decomposizione e dall'erosione di massi granitici, può variare in diverse sfumature dal bianco al grigio, sempre con granelli di qualche millimetro di diametro.

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