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La vertigine: "perdersi nel vuoto"
All'interno dei "Nuovi poemetti", La Vertigine esemplifica non solo i caratteri della poetica del Pascoli ma anche il tema del vuoto e dello smarrimento.
Questo componimento risulta avulso dalla poesia delle "piccole cose" a cui comunemente associamo Pascoli, infatti il carattere dominante della sua poesia è costituito dall'evasione della realtà per rifugiarsi nel mondo dell'infanzia, un mondo rassicurante, dove l'individuo si sente isolato ma tranquillo rispetto ad una realtà che non capisce e quindi teme.
Il Pascoli esprime questa sua poetica in uno scritto che intitola "Il fanciullino". Egli afferma che in tutti noi c'è un fanciullo che durante l'infanzia fa sentire la sua voce, che si confonde con la nostra, mentre in età adulta la lotta per la vita impedisce di sentire la voce del fanciullo, per cui il momento veramente poetico è in definitiva quello dell'infanzia.
I 'Nuovi poemetti', pubblicati nel 1909, rappresentano, invece, una formazione più matura dell'autore. Ripartiti in sette cicli, aggiornano il lettore sulle vicende di una rustica famiglia garfagnina e raccolgono componimenti di diversa impronta: ricordi personali o familiari, poesie didascaliche, versi di ispirazione simbolica o meditativa, in cui prevale una visione storica e cosmica pervasa di forti toni apocalittici. Troviamo in essi il racconto del lavoro nei campi, umile ed epico, insieme alla turbata celebrazione del mistero della vita o a riflessioni esistenziali dominate dall'angoscia di un animo sempre più solo di fronte al baratro astrale.
La cosiddetta poesia cosmica di Pascoli allontana per un momento l'attenzione del poeta dalla contemplazione quasi ossessiva dei piccoli particolari della vita della natura e lo fa rivolgere al cielo, fino a misurarsi con le grandi categorie universali dello spazio e del tempo, dando vita a sensazioni forti di straniamento dalla realtà, di autentica perdita di certezze fisiche, fino all'abbandono inerte a dimensioni surreali. Il tema pascoliano del mistero della vita e dello smarrimento cosmico, unito al fascino che gli ultramondi esercitano sull'uomo, è il più vicino alla sensibilità del Decadentismo.
La vertigine è un'originalissima condizione psicofisica di totale abbandono alle forze imponderabili del cosmo, che paiono incredibilmente risucchiare il corpo e la mente del poeta, vittime della forza centripeta della Terra, improvvisamente incapace di attrarre alla sua superficie gli esseri che la popolano. Il vento cosmico trascina dolcemente ma irrevocabilmente l'uomo verso la profondità infinita dello spazio-tempo, fino ad un termine ultimo che non è dato di conoscere. La morte concettualmente può intendersi come tale limite invalicabile.
Il poeta esprime un senso di sgomento nel timore di essere sospeso nel vuoto e di venire proiettato vertiginosamente verso gli spazi stellari. Di qui la sua ansiosa ricerca di penetrare, al di là del mistero, la verità assoluta di Dio che, nell'universo senza confini, non si rivela una presenza tranquillizzante. Il terrore che nasce dalla contemplazione dei mondi celesti e l'angoscia per il mistero che ci circonda sfociano in una disperata quanto inutile ricerca di Dio.
Ecco che tutto pare anticipare un'esperienza religiosa, in quanto il poeta non sembra voler vivere passivamente tale privazione e desidera rintracciare l'oggetto della sua finale speranza, cogliendo una verità ed un senso ultimo nella sua esperienza di uomo.
"non trovar fondo, non trovar mai posa,
da spazio immenso ad altro spazio immenso;
forse, giù giù, via via, sperar che cosa?"
La ricerca di Dio, tuttavia, si rivela vana. La dimensione della positiva fede religiosa sfugge all'animo di Pascoli, avvolto angosciosamente nel mistero della vita.
"La sosta! Il fine! Il termine ultimo! Io,
io te, di nebulosa in nebulosa,
di cielo in cielo, in vano e sempre, Dio!"
Nell'ultimo verso del componimento l'"in vano e sempre" confermano il disorientamento di Pascoli dinanzi al mistero dell'uomo e la sua costante aspirazione verso un Dio irraggiungibile, che con quel mistero si identifica, nella sua assente indifferenza nei riguardi della vicenda umana.
È questa l'aspirazione di un'anima sgomenta di fronte all'immensità del cosmo.
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