IL TAOISMO
Il taoismo è una
formazione particolare della religione nazionale cinese che si realizza
presumibilmente intorno al sec. V a.C. in concorrenza con il confucianesimo,
come sbocco pragmatico e soteriologico di una vasta crisi politico-sociale. In
tal senso è possibile differenziare l'orientamento confuciano da quello taoista
come «restauratore» il primo e «rigeneratore» il secondo. Il confucianesimo
pone la salvezza individuale in una «restaurazione» dell'Impero, sia pure su
nuove basi etico-religiose, mentre il t. pretende di «rigenerare» individuo e
società svincolandoli dall'«ordine imperiale» e vincolandoli (o adeguandoli)
all'«ordine cosmico», o a un principio cosmico chiamato tao. La concorrenza al
confucianesimo si esplica a vari livelli: si contrappone a Confucio un
maestro-fondatore dello stesso prestigio, Lao-Tse, figura più o meno
leggendaria; a una letteratura confuciana si oppone un canone taoista (una
raccolta sterminata di testi, studiata solo parzialmente); all'esaltazione confuciana
della cultura si oppone l'esaltazione della natura, o di una condizione
naturale più adeguata al tao. Quest'ultima contrapposizione, che è fondamentale
per la comprensione del t., ha tuttavia ingenerato interpretazioni equivoche:
si è spesso voluto vedere nel t. una religione popolare (contadina) che
tuttavia non avrebbe mancato di ispirare filosofi e persone d'alta cultura,
ferma restando una specie di frattura tra la teoria di questi e la pratica
delle masse. C'è persino chi ha voluto distinguere nello stesso t. di massa tra
un'adesione formale ai rituali taoisti e un'interpretazione popolare (magistica
e animistica) dei rituali stessi; così che si è all'assurda classificazione di
tre t.: t. filosofico, t. cultuale e t. popolare. In realtà si può e si deve
parlare di un unico t. in cui la cultura popolare (contadina) non è né fonte
d'ispirazione per una sistematica filosofica, né fonte di degradazione di
questa stessa sistematica, ma è semplicemente un segno distintivo del modo
d'essere taoista che si realizza in opposizione all'«ordine attuale»
contrassegnato a sua volta dalla «città» (contrapposta alla «campagna») e
dall'«erudizione» (contrapposta all'«ignoranza» contadina). Quanto agli
elementi tradizionali - e dunque «popolari» - utilizzati dall'ideologia taoista
per la propria realizzazione, essi sono altrettanto «popolari» di quelli
confuciani, attingendo entrambe le formazioni religiose al patrimonio
tradizionale cinese; p. es. il culto dei morti trova addirittura più
rispondenza nel confucianesimo che nel taoismo. E dunque non sono questi
elementi che possono distinguere i due diversi orientamenti, il confuciano e il
taoista, ma è piuttosto il modo con cui gli elementi stessi sono strutturati.
Il t., se si segue questa linea esegetica, ci appare realmente un indirizzo
univoco, quali che siano le sue contingenti formulazioni storiche. Il suo fine
è un ritorno alla natura inteso anche come un ritorno alle «condizioni
paradisiache» originarie del mondo. Il momento delle origini che, rispetto
all'ordine attuale è qualificabile negativamente come caotico,
nell'orientamento taoista, che invalida l'ordine attuale, assume al contrario
valori positivi e diventa un'età aurea anteriore al tempo storico. È un'«età
aurea» che a volte trova un'oggettivazione oltre che in un tempo cosmico (un
tempo «prima» del tempo in cui vive l'umanità attuale), anche in un luogo
cosmico (un luogo «fuori» del luogo in cui vive l'umanità attuale): le isole
fluttuanti su un mare abissale, nelle quali vivono i Santi Immortali. È un
luogo che non sta in «nessun luogo»: è letteralmente un'utopia. E di fatto si
ha notizia di movimenti utopistici che puntualizzano la storia del taoismo. Si
prenda come caso esemplare, o come il più clamoroso, quello dell'utopia T'ai
p'ing («Grande Pace»). Un santone taoista, Chang Chao, nel sec. II, in risposta
alla crisi politico-sociale che finì con l'eliminazione della dinastia Han,
predicava l'avvento di un'era T'ai p'ing che, nello schema tipico del t., si
doveva realizzare con la rottura dell'ordine attuale «imperiale» e «cittadino»,
per iniziativa della popolazione «contadina». La predicazione trovò immediata
rispondenza presso le classi oppresse e provocò la ribellione all'Impero; la
rivolta dei Turbanti Gialli, che organizzati da Chang Chao in 36 armate di una
decina di migliaia di uomini ciascuna, in poco tempo conquistarono tutto il
territorio a nord del Fiume Giallo. All'organizzazione militare Chang Chao fece
seguire un'organizzazione civile, naturalmente teocratica, con a capo lui
stesso come Duca del Cielo. La rivolta fu domata con una sanguinosa
repressione, ma l'utopia di Chang Chao restò come modello d'orientamento per
una prospettiva sociale del t. anti imperiale e anticonfuciana. Sul piano della
salvezza individuale evidentemente il t. si espresse in altro modo: all'utopia
subentrò l'estasi, alla rivolta armata la tecnica estatica, all'edificazione di
un corpo sociale l'edificazione o il potenziamento del corpo (fisico)
individuale, alla concorrenza con il confucianesimo la concorrenza con il
buddismo. Ferma restava la rottura con ogni principio etico fondante l'ordine
attuale, secondo gli insegnamenti del Tao-te-ching, il più antico testo
taoista: la «bontà» e l'«equità» sono idee artificiose sorte per giustificare
le azioni non più conformi al tao; la «prudenza», la «saggezza», la «lealtà»
non sono virtù ma strumenti del potere politico; la «pietà filiale» e l'«amore
paterno» sono artifici per tenere in piedi un istituto familiare in realtà
disgregato dal disarmonico comportamento dei suoi membri. Sono idee che se a
livello collettivo portavano alla rivoluzione (o alla distruzione del mondo
attuale), a livello individuale portavano alla rinuncia della vita di
relazione, ossia del «mondano», una rinuncia che, nei termini della nostra cultura,
si definirebbe mistica. Su questo terreno, come si è detto, il t. si pose in
concorrenza con il buddhismo, anche se non mancò di accoglierne certi principi
e soprattutto le tecniche estatiche caratterizzanti il tantrismo. Senonché il
t. rivendicò la paternità delle presumibili derivazioni buddhiste, asserendo
che il buddhismo derivava dal t., e persino che Buddha non è altri che una
reincarnazione di Lao-Tse. Si è detto che il t. si originò presumibilmente
intorno al sec. V a.C.; tuttavia le notizie certe di una religione taoista
organizzata non vanno oltre il sec. II a.C., quando il t. penetrò nel mondo
dell'ufficialità. Bisogna giungere al sec. V d. C. per trovare una complessa
organizzazione di tipo ecclesiastico, retta da un Maestro Celeste, il cosiddetto
«papa taoista». In tale organizzazione s'istituzionalizzarono concetti
fondamentali e modi di espressione. Gli astratti principi si personificarono in
esseri sovrumani. Si stabilì una relazione di culto tra gli uomini e questi
esseri. L'universo si popolò di geni e di «santi», o «puri», o «venerabili». Su
tutti primeggiava una triade costituita da Yu Ching, Shang Ching e Tai Ching.
Il culto, che ignora il sacrificio, consiste sostanzialmente nella preghiera e
in riti di venerazione. Il fondamentale rifiuto del mondano ha trovato
espressione nell'istituto monastico, di chiara derivazione buddhista. Sotto la
dinastia Tang (a partire dal sec. VII) il t. raggiunse oltre che il
riconoscimento ufficiale anche un prestigio tale da varcare i confini della Cina;
penetrò persino in India (Assam). L'ultimo imperatore Tang, tuttavia, mise al
bando il t., insieme al buddhismo e ad altre religioni penetrate in Cina
(nestoriani, manichei, zoroastriani), in una politica di rivalutazione del
confucianesimo (sec. X). Con l'avvento dei Mongoli e la loro politica
favorevole al buddhismo, fu quest'ultimo e non più il confucianesimo
l'avversario del taoismo. Il t. perse irrimediabilmente prestigio e non sarebbe
mai più tornato all'ufficialità. Sopravvisse tuttavia come un autentico
prodotto della cultura cinese, emergendo in varie occasioni e in varie forme di
contestazione dell'ordine costituito o, in assoluto, della mondanità.