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Galileo Galilei
G. aristotelico: aderire al metodo proposto da A. soprattutto negli Analiti secondi:
1. Determinazione dei principi e delle ipotesi secondo un processo che muove dall'appello e dall'interrogazione dell'esperienza.
2. Deduzione per arrivare alle conclusioni
Critica il dogmatismo della scuola aristotelica, e l'imitazione pedissequa, che è in contrasto con gli stessi principi di Aristotele. Bisogna ricercare sempre, con il dovere di correggere o abbandonare la posizione errata.
La Natura è apparentemente caotica nel momento in cui non se ne conosce il linguaggio: il caos infatti nasce dal fraintendimento dei caratteri con cui è scritto il libro dell'universo, il quale è labirintico soltanto soggettivamente. È possibile interpretare la realtà solo conoscendone il linguaggio matematico e il suo disegno geometrico, immanente alla natura e non trascendente.
Il mondo fisico, strutturato secondo schemi matematici immanenti, non rinvia ad archetipi trascendenti.
G. dichiara l'inferiorità della conoscenza umana rispetto a quella divina solo da un punto di vista quantitativo [extensive], e ammette la possibilità di eguagliare la conoscenza divina qualitativamente [intensive], quindi nell'ambito delle matematiche.
Tutto ciò avviene nella consapevolezza dei propri limiti.
Essendo noi vincolati all'esperienza, G. suggerisce di rinunciare alla sostanze, che ci sfuggono, e di mirare piuttosto alle affezioni, condizioni che accompagnano sistematicamente i fenomeni e da cui non si può prescindere. Più precisamente G. ammette la necessità dell'astrazione di tutti gli aspetti soggettivi e concentrarsi solo su alcune affezioni, oggettive, quantificabili esattamente e passibili di misurazione e di elaborazione matematica. Riscontra quindi nella Natura la sua espressione matematica e dunque la sua intelligibilità.
L'esperienza scientifica non si identifica con la mera registrazione del senso, semplice apparire, ma con la idealizzazione del fenomeno fisico e la sua riduzione allo schematismo geometrico, che consentono di individuare le regolarità fenomeniche. Ciò avviene con la defalcazione delle proprietà fenomeniche necessarie al fenomeno e passibili di elaborazione matematica.
1. ESPERIENZA (osservazione e registrazione empirica)
2. ESPERIENZA SCIENTIFICA
3. RISOLUZIONE (idealizzazione del dato fenomenico), [elaborare un modello generale del processo fisico studiato]
4. COMPOSIZIONE in una ipotesi di modello esplicativo, [spiegare la generazione del fenomeno osservato]
5. ELABORAZIONE MATEMATICA
6. ENUNCIAZIONE LEGGE SPERIMENTALE
Avviato dal padre agli studi di medicina presso l'università di Pisa (1581), cominciò ben presto a interessarsi alla matematica e alla fisica. Tornò a Firenze nel 1585 senza aver terminato gli studi di medicina, tuttavia già noto ai maggiori studiosi dell'epoca per i risultati che andava ottenendo nel campo fisico-matematico, quali la scoperta dell'isocronismo delle oscillazioni del pendolo (1583), la costruzione della bilancia idrostatica per determinare il peso specifico dei solidi (1586), alcuni teoremi sul baricentro (1586- 1587). La fama di cui godeva gli consentì di ottenere nel 1589 una cattedra di matematica a Pisa, che tenne fino al 1592; in questi anni cominciò a studiare l'astronomia e si dedicò ai problemi fondamentali della meccanica, esponendo in alcuni manoscritti - raccolti sotto il titolo De motu - una teoria che superava la concezione del moto della tradizione aristotelica. Nel 1592 ebbe dalla repubblica di Venezia una cattedra di matematica a Padova, che tenne fino al 1610, in un ambiente di grande vivacità e libertà di pensiero: a Venezia, dove si recò spesso, divenne amico anche di Paolo Sarpi. Durante il soggiorno a Padova, continuò gli studi di meccanica e si occupò della caduta dei gravi: espose i suoi risultati nell'opera Della scienza meccanica e delle utilità che si traggono dagli istrumenti di quella, che fu diffusa manoscritta e pubblicata in traduzione francese dal Mersenne nel 1634, con il titolo Les Méchaniques. Si dedicò anche all'astronomia: alcune lettere, tra cui una a Keplero del 1597, testimoniano ch'egli aderiva alla teoria copernicana; in tre lezioni del 1604 sostenne anzi la validità di alcune prove di questa. Fin da allora fu carattere costante della sua opera la ricerca di applicazioni pratiche: in una piccola officina, presso la propria casa di Padova, costruì numerosi strumenti matematici (tra cui un regolo calcolatore, descritto nell'opuscolo Le operazioni del compasso geometrico militare, del 1606); inventò un termometro e costruì calamite, con uno studio accurato delle armature che ne accrescessero la potenza. Ma la realizzazione più importante fu quella del cannocchiale: lo strumento non è in realtà un'invenzione di Galileo, poiché l'uso di lenti era stato introdotto già nel medioevo e alla fine del Cinquecento vetrai italiani e artigiani dei Paesi Bassi avevano fabbricato apparecchi di questo tipo. Inoltre una teoria delle proprietà ottiche tale da permettere la costruzione del cannocchiale era stata esposta da G. B. Della Porta e da Keplero; Galileo fu tuttavia il primo che si occupò sistematicamente dello strumento, perfezionandolo e aumentandone il potere di ingrandimento e soprattutto utilizzandolo per osservazioni astronomiche, che convalidarono il sistema copernicano. Scoprì i quattro satelliti maggiori di Giove (che denominò "pianeti medicei"), le montagne e i crateri della Luna, le macchie solari: nel 1610 diede notizia delle sue osservazioni nel Sidereus nuncius, pubblicato a Venezia. Nello stesso anno Cosimo de' Medici gli conferì la carica di "matematico primario dello studio di Pisa" senza obbligo di lezioni né di residenza: poté così trasferirsi a Firenze e dedicarsi completamente alla ricerca. Benché studiosi insigni come Keplero approvassero le sue osservazioni astronomiche, queste trovavano anche molti avversari: lo scienziato sempre più intensamente cercò nell'esame del cielo nuove prove del sistema copernicano, della cui verità era certo, come appare da alcune lettere divenute celebri (a B. Castelli, suo discepolo, del 1613; a P. Dini, del 1615; a Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana, del 1615). Nello stesso periodo pubblicò il Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono (1612) [ove, contro la teoria aristotelica per la quale i corpi galleggiano per la presenza di un elemento aereo che tende verso l'alto, sviluppava la concezione di Archimede che riduce il fenomeno alla differenza di peso specifico tra il corpo immerso e l'acqua; inoltre dimostrava con misure sperimentali che l'aria pesa] e l'Istoria e dimostrazione intorno alle macchie solari e loro accidenti (1613), in polemica con il gesuita C. Scheiner, secondo cui le macchie nascevano da sciami di astri attorno al Sole, sicché restava salva la teoria aristotelica della perfezione dei corpi celesti: per Galileo era invece un fenomeno - simile alle nuvole - appartenente all'atmosfera del Sole e la rotazione delle macchie provava il moto di rotazione del Sole su se stesso. La crescente ostilità degli ambienti religiosi contro la teoria copernicana portò il Sant'Uffizio, nel 1616, a condannare recisamente questa e a riaffermare l'imposizione del sistema tolemaico: le opere di Copernico furono messe all'Indice e Galileo venne convocato a Roma a giustificare le sue opinioni. Egli sosteneva che la teoria copernicana non era in contrasto con la Bibbia: questa si doveva ritenere infatti scritta in un linguaggio tale da riuscire comprensibile agli uomini del suo tempo, senza scopi di verità scientifica, che si potevano invece raggiungere solo con l'osservazione diretta della natura; la sua posizione fu respinta e Galileo fu diffidato dall'occuparsi ancora della teoria eliocentrica. Lo scienziato non abbandonò però le osservazioni astronomiche: studiò il moto e le eclissi dei pianeti medicei, nell'intento di dedurne un metodo per determinare la longitudine durante le navigazioni. Nel 1623 pubblicò uno dei suoi scritti più importanti, Il saggiatore, il cui valore fondamentale consiste nell'affermazione vigorosa del metodo sperimentale, con il ricorso continuo all'osservazione diretta, e nell'enunciazione del carattere di certezza della conoscenza della natura, quando sia espressa in relazioni matematiche. Nel 1623 divenne papa il cardinale Barberini (Urbano VIII), che Galileo aveva già conosciuto come interlocutore aperto e illuminato in discussioni scientifiche e a cui dedicò Il saggiatore; lo scienziato (che ancora si interessava a un gran numero di problemi: nel 1624 costruì il microscopio) sperò di nuovo di potere liberamente trattare questioni astronomiche. Dopo una lunga elaborazione, nel 1632 pubblicò il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, opera fondamentale nella storia del pensiero moderno, nella quale dimostra, sotto l'apparenza di neutralità, la fondatezza del sistema copernicano contro quello tolemaico. Benché le autorità ecclesiastiche avessero autorizzato la pubblicazione dell'opera e, nella prefazione e nelle conclusioni, Galileo affermasse di accettare la verità religiosa secondo la Bibbia, la difesa del sistema copernicano era manifesta: per iniziativa dei gesuiti, grazie anche all'involuzione del papa Urbano VIII verso la più intransigente difesa delle tradizioni, lo scienziato fu nuovamente chiamato a Roma, processato, e giudicato colpevole (1633). Costretto ad abiurare, fu condannato alla prigione a vita: la pena fu subito mutata in quella dell'isolamento, che egli trascorse a Siena presso l'arcivescovo suo amico e poi nella villa di Arcetri, vicino a Firenze. Nel 1634 provò il grave dolore della morte della figlia Virginia (suor Maria Celeste); anche le sue condizioni fisiche peggiorarono e divenne quasi completamente cieco. L'asprezza delle pene fu poi attenuata dalla concessione di tenere presso di sé qualche discepolo: negli ultimi anni ebbe vicino V. Viviani, che fu poi anche il suo primo biografo, ed E. Torricelli, il più noto dei suoi allievi. Si dedicò ancora alla scienza e nel 1638 pubblicò (a Leida) un'ultima opera fondamentale: i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e i movimenti locali dove - ancora sotto forma di dialogo tra Salviati, Sagredo e Simplicio, gli interlocutori del Dialogo sopra i due massimi sistemi - sono raccolti organicamente tutti i risultati di meccanica che lo scienziato aveva ottenuto fin dal periodo pisano e padovano. Vi sono trattate la resistenza dei materiali e la dinamica; quanto alla prima, Galileo espone una teoria atomistica della materia, riduce a un problema di statica la resistenza del mezzo al moto di un corpo e, contro gli aristotelici, sostiene che il moto nel vuoto è possibile e anzi tutti i gravi vi cadrebbero con uguale velocità. Trattando la dinamica adotta un metodo rigorosamente deduttivo: da premesse e ipotesi generali ricava matematicamente le proprietà dei moti e adduce poi prove sperimentali a verifica dei risultati; gli argomenti discussi esauriscono il moto uniforme e uniformemente accelerato (e gli esperimenti con il piano inclinato provano le leggi della caduta dei gravi) e il moto parabolico dei proiettili (nella cui trattazione interviene anche l'importante principio della composizione dei movimenti). Fino alla morte, avvenuta nel 1642, Galileo continuò i suoi studi: nel 1674 il Viviani pubblicò una continuazione dei Discorsi del 1638 e altri frammenti furono ritrovati e stampati nei secoli successivi.
Nella storia della scienza Galileo occupa una posizione eccezionale per i risultati ottenuti in meccanica e astronomia; suo merito fu inoltre l'aver gettato le basi della dinamica, enunciando in forma moderna il principio di inerzia, quello della composizione dei movimenti, quello della relatività delle velocità rispetto a osservatori in moto uniforme e stabilendo per primo con chiarezza che l'effetto dell'applicazione di una forza è un'accelerazione (e non una velocità, come si riteneva ancora ai tempi suoi).
L'importanza di Galileo nella storia del pensiero è dovuta però soprattutto all'innovazione del metodo della ricerca: pur non avendo mai discusso sistematicamente il problema metodologico, egli più volte descrisse nelle sue opere un modo di procedere, sintesi di analisi sperimentale e di trattazione matematica, che è divenuto da allora il metodo della scienza moderna. Tale processo può essere schematizzato in quattro fasi, anche se la ricchezza dell'indagine galileiana non sempre è contenibile in termini così rigidi; il primo momento consiste nella raccolta dei dati sui fenomeni (la sensata esperienza) cui segue la formulazione di un'ipotesi interpretativa (assioma) come legge matematica che abbracci nel modo più semplice e generale possibile le informazioni dell'esperienza. Quindi, attraverso un terzo passo (il progresso matematico), si deducono le conseguenze logiche dell'ipotesi: poiché però "i discorsi nostri hanno ad essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta", occorre la verifica sperimentale (cimento) che sola può convalidare la teoria. L'indagine di Galileo utilizza quindi la matematica come metodo, ma desume dall'esperienza il valore di verità degli asserti: proprio in questo carattere di verifica diretta risiede l'elemento di rottura di tutta l'opera dello scienziato rispetto alla tradizione. Nelle sue polemiche, spesso anche aspre, con gli aristotelici, egli poté rivendicare a sé di essere il vero seguace di Aristotele poiché le asserzioni del filosofo greco si rifacevano all'esperienza e non a un principio di autorità: e sullo stesso piano quelle asserzioni potevano essere confutate quando nuove esperienze e più potenti strumenti di osservazione avessero mutato le informazioni sui fenomeni. In questo modo Galileo fondò la moderna scienza della natura come disciplina autonoma, indipendente dalla religione o dalla filosofia, che solo nell'indagine diretta degli eventi trova le sue verità.
Notevole è anche l'importanza di Galileo come scrittore. I suoi primi scritti furono in latino, secondo le consuetudini della scienza del tempo; ma in opere giovanili quali i Theoremata circa centrum gravitatis solidorum (1585) e il De motu, e, non meno, nel posteriore Sidereus nuncius (1610) si osserva una spiccata insofferenza per lo stile scolastico, e sia nel lessico sia nella sintassi il latino di Galileo ha somiglianze evidenti con la più snodata prosa volgare. L'indipendenza da regole e modelli è anche più spiccata negli scritti in italiano. Legato alla fiorentinità nella scelta lessicale, Galileo non può essere paragonato a nessuno dei grandi prosatori scienziati del Rinascimento, nemmeno a Machiavelli e a Guicciardini, nello stile, che, contrassegnato da una magnifica chiarezza, segue una sola norma: la logica e la necessità di riuscire evidente e concreto. La forma stessa del dialogo, che pure aveva una lunga e autorevole tradizione, rispose in lui esclusivamente al bisogno di conservare alla discussione l'immediatezza e il calore che sono propri di una discussione non fittizia, ma reale. Perciò la sua prosa ha una grande varietà di toni, dall'ironia sferzante all'alta commozione, ma è tutta dominata da un senso di calma superiore, che, meglio che nei particolari, si coglie nell'insieme delle opere. Come maestro della prosa fu ammirato per due secoli, e imitato, sebbene nessuno abbia mai saputo veramente uguagliare la signorilità e la complessa varietà del suo stile.
In epoca moderna Bacone e Galileo riaffermarono energicamente l'importanza dell'esperienza sensibile, senza la quale nulla è possibile costruire (Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu); questa rivalutazione dell'esperienza è rimasta caratteristica di tutto l'empirismo, anche se in seguito il concetto di esperienza è stato usato in senso più lato come nel caso degli empiristi inglesi che con lo stesso termine hanno voluto alludere a ogni possibile contenuto di coscienza.
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