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Canto i, ii, iii, iv, v




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Dante afferma che la sua poesia s'innalzerà per cantare il regno della purificazione e invoca l'aiuto della musa Calliope. Il cielo è sereno ed è illuminato ad oriente da Venere e a sud da quattro stelle splendenti (quattro virtù cardinali). Un vecchio, Catone, dall'aspetto venerabile e saggio, con il volto illuminato dalla luce delle quattro stelle, si rivolge adirato a Dante e Virgilio ritenendoli i dannati che hanno infranto le leggi divine. A scelta di questo personaggio con la funzione di custode del Purgatorio è per molti aspetti sorprendente, in quanto Catone è un pagano e un suicida. Questa scelta si spiega se consideriamo la storia di Catone nell'aspetto che Dante sottolinea, ossia la ricerca della verità. Virgilio fa inginocchiare Dante e spiega come il loro viaggio, iniziato per consiglio di una donna benedetta, ha come scopo la libertà per il suo protetto, quella libertà per la quale lo stesso Catone ha affrontato la morte: le leggi divine dunque non sono infrante poiché Dante è ancora vivo e Virgilio risiede nel Limbo dove si trova anche Marzia, molto cara a Catone. Egli acconsente a farli entrare nel suo regno, poiché lo ha voluto una donna benedetta e non certo per il ricordo terreno dell'amata moglie Marzia. Virgilio deterge con la rugiada il volto di Dante, offuscato dalle tenebre infernali e rotto un ramo di giunco (umiltà) che subito rinasce, ne cinge il discepolo.










Spunta il sole sulla spiaggia e all'orizzonte appare una luce splendente che, avvicinandosi rapida, si rivela come il volto dell'angelo nocchiero che, con le sue bianche ali, spinge velocemente sul mare una navicella colma di anime che cantano in coro il salmo dell'esodo (canto della liberazione dalla schiavitù). Giunto a riva l'angelo fa sbarcare le anime e riparte velocemente. Le anime, giunte in un luogo sconosciuto, si guardano attorno e chiedono informazioni ai due poeti. Virgilio rivela che anche loro sono nuovi del luogo e alcune anime, accortesi che Dante è vivo, prese da grande meraviglia, lo circondano. In particolare una di esse si fa incontro a Dante con grande affetto: è l'amico musicista Casella. Questi spiega a Dante come tutte le anime destinate al Purgatorio si raccolgono sulla foce del Tevere dove l'angelo nocchiero sceglie, secondo un criterio insindacabile, le anime da traghettare. Da tre mesi, in occasione del Giubileo, l'angelo però accoglie tutte le anime che vogliono traghettare senza alcuna obiezione. Dante prega l'amico di intonare una canzone ed egli intona la seconda canzone del Convivio. Tutte le anime sono prese dall'incanto della musica, dimenticando lo scopo della loro presenza in quel luogo. Catone interrompe questo momento rimproverando aspramente la loro negligenza. Così le anime si disperdono rapidamente e anche Virgilio e Dante si allontanano.












Dante si avvicina al suo maestro che vede profondamente turbato dal rimorso, dopo di che ammira la montagna che si innalza verso il cielo. Quando torna a guardare davanti a sé e vede solo la sua ombra ha paura di essere rimasto solo, ma Virgilio lo rincuora spiegandogli che il suo corpo riposa a Napoli e quindi non può proiettare alcuna ombra, poiché le anime non hanno consistenza corporea anche se soffrono le pene corporali. E' questo uno dei tanti misteri che la mente umana non può risolvere, gli uomini debbono dunque limitarsi a conoscere le cose come appaiono. Una schiera di anime (scomunicati) si ferma meravigliata nel vedere l'ombra di Dante e dopo la spiegazione di Virgilio, una si rivolge a Dante: è Manfredi di Svevia. Egli appare bello e regale anche se due ferite gli deturpano il viso e il petto. Si presenta come nipote dell'imperatrice Costanza d'Altavilla e racconta come, ferito mortalmente in battaglia, abbia implorato il perdono di Dio. L'infinita bontà divina lo ha perdonato, ma non altrettanto fecero le autorità ecclesiastiche che disseppellirono il suo corpo fuori dal Regno di Napoli ma la scomunica papale non può impedire il perdono di Dio se il peccatore è sinceramente è pentito ma, per quella condanna, dovrà trascorrere trenta volte il tempo della scomunica nell'antipurgatorio. Manfredi termina il suo racconto pregando Dante di rivelare alla figlia Costanza il suo stato affinché con le sue preghiere possa abbreviare il suo tempo di attesa.






Il sole è ormai alto sull'orizzonte e Dante se ne meraviglia: l'interesse che ha suscitato in lui l'incontro con Manfredi gli ha fatto dimenticare il tempo che scorreva. Con Virgilio riprende il cammino, faticoso per la ripidità dell'ascesa e raggiunge il balzo sovrastante. Durante una breve sosta di riposo Dante è colpito dal fatto che i raggi del sole provengono da sinistra. Virgilio gli spiega come, trovandosi nell'altro emisfero, il cammino del sole appaia invertito. Conforta poi il suo discepolo preoccupato per la difficoltà della salita, dicendogli che l'ascesa sarà in seguito molto più agevole. A queste parole fa seguito un'espressione arguta pronunciata da un'anima (pigri) accovacciata presso una grossa pietra. E' Belacqua, un fiorentino ben conosciuto da Dante e rinomato per la sua pigrizia. Egli spiega che deve attendere nell'antipurgatorio tanto tempo quanto è durato il suo ritardo a pentirsi ed è dunque inutile affannarsi a salire, poiché l'Angelo di Dio non lo farà comunque entrare fino a quando non sarà trascorso il tempo dovuto che può essere abbreviato solo dalle preghiere di coloro che vivono nella grazia di Dio. Senza commentare le parole di Belacqua, Virgilio sollecita il discepolo a riprendere il cammino poiché il tempo incalza.







Alcune anime che si meravigliano per la presenza di un vivo, attirano l'attenzione di Dante distogliendolo dall'impegno della salita. Virgilio lo rimprovera aspramente poiché nessun indugio è consentito a chi ha iniziato la via della penitenza e della purificazione. Intanto si avvicina verso di loro una schiera di anime che intonano il Miserere: sono i morti di morte violenta. Virgilio invita Dante a continuare a camminare ascoltando le anime che, sapendolo vivo, sperano conosca qualcuno dei loro cari. Comincia a parlare uno di loro, Jacopo del Cassero, che prega Dante di ricordarlo ai cittadini di Fano, la sua città, e racconta la sua tragica fine: si oppose alle mire espansionistiche di Azzo VIII d'Este, signore di Ferrara, che lo fece raggiungere ed uccidere dai suoi sicari nei pressi di Padova. Dante definisce Antenori gli abitanti della città alludendo a una tendenza al tradimento trasmessa dal fondatore Antenore, ma Jacopo sembra escludere ogni forma di risentimento o rancore nei riguardi del nemico. Un secondo spirito inizia poi a parlare: è Buonconte da Montefeltro (l'uso di tempi verbali diversi vuole indicare il distacco dell'anima dalla nobiltà terriera). Dante lo interroga sulla scomparsa del suo corpo alla battaglia di Campaldino e Buonconte racconta come, ferito a morte, implorasse il perdono divino. Nella disputa tra l'angelo e il demonio per il possesso della sua anima, il demonio sconfitto si vendicò facendo straripare il fiume Archiano che lo trascinò nell'Arno dove su sommerso sul fondo. Appena egli termina il suo racconto inizia a parlare una terza anima: il suo nome è Pia dei Tolomei, nata a Siena e morta in Maremma per opera di colui che l'aveva fatta sua sposa. La figura dell'assassino sembra dissolversi in quella dello sposo, ed è proprio in quest'atmosfera malinconica che prende fascino questa breve storia.





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