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Diabete Mellito
Il termine diabete fu coniato da Areteo di Cappadocia (I sec. dC). In greco antico la parola diabainein significa letteralmente 'sifone attraverso il quale passa l'acqua' (dià: attraverso; baino: vado), in riferimento a quello che è il sintomo più appariscente: l'eccessiva produzione di urina. Nel Medioevo la parola fu 'latinizzata' in diabètés. Il suffisso mellito (dal latino mel:miele, dolce) è stato aggiunto per il fatto che il sangue e le urine dei pazienti diabetici avevano un sapore dolce, caratteristica peraltro conosciuta da lungo tempo dai Greci, Cinesi, Egiziani e Indiani. Nel fu confermato che il sapore dolce era dovuto a un eccesso di qualche tipo di zucchero nelle urine e nel sangue delle persone affette da DM. Nel Medioevo in tutta Europa i medici facevano diagnosi di DM assaggiando letteralmente le urine dei pazienti, questa pratica può essere ancora apprezzata in una grande varietà di opere d'arte del periodo Gotico.
Cenni storici
Sebbene il Diabete Mellito sia stato scoperto in tempi antichi, e trattamenti di varia efficacia siano stati messi in atto sin dal Medioevo, la sua reale patogenesi è rimasta completamente oscura fino al XX secolo. La scoperta del ruolo del pancreas nel DM è da ascriversi a Joseph von Mering ( - ) e a Oskar Minkowski ( - ), ricercatori europei che nel osservarono che nel cane privato sperimentalmente del pancreas prima della morte insorgevano i segni e i sintomi del DM. Nel Sir Edward Albert Sharpey-Schafer da Edimburgo ( - ) suggerì che le persone affette da DM in realtà fossero carenti di una particolare sostanza prodotta dal pancreas: egli la battezzò insulina poiché prodotta dalle isole di Langerhans localizzate appunto nel pancreas. Sir Frederick Grant Banting ( - ) e Charles Herbert Best ( - ) fecero nel un ulteriore passo avanti rispetto agli studi precedenti: cambiarono la storia della medicina e salvarono la vita a milioni di persone scoprendo che la condizione di DM nel cane pancreasectomizzato poteva essere risolta somministrando insulina estratta dalle isole di Langerhans di un cane sano. Il primo paziente fu trattato, da loro e dal loro staff, nel e nel Banting et al ricevettero il Premio Nobel per la Fisiologia o Medicina. La distinzione tra quelli che attualmente sono riconosciuti come DM di tipo 1 e DM di tipo 2 è stata fatta nel da Sir Harold Percival Himsworth ( - ) e pubblicata nel gennaio .
Classificazione
I tipi di diabete mellito vengono classificati in base all'eziologia di stampo immunologico. Esiste, invece, un profondo disaccordo sulla genetica del DM, ma certi aspetti sembrano chiariti: entrambi i due tipi principali di diabete sono correlati alla presenza di antigeni HLA. Nel corso degli ultimi anni i due tipi di diabete mellito hanno avuto nomi diversi, basati su concetti molto approssimativi, quali l'età di insorgenza più frequente (DM giovanile e DM senile) e la responsività all'insulina (DM insulino dipendente e DM non insulino dipendente). Essendoci frequentemente quadri, per esempio, di DM senile a insorgenza giovanile, o di DM non insulino dipendente in terapia con insulina, per migliorare la chiarezza espositiva nel l'OMS ha definito i due DM semplicemente come tipo 1 e di tipo 2.
Diabete Mellito di tipo 1 ha patogenesi immunitaria. Fattori genetici sono correlati, ma l'insorgenza ha una variazione stagionale e può seguire, tra l'altro, il morbillo, l'epatite o le infezioni da coxackievirus. Si teorizza che tali infezioni realizzino una risposta autoimmunitaria con la comparsa di linfociti T citotossici che completino la distruzione delle cellule β del pancreas, producenti insulina. La presenza di HLA B8 o B15 aumenta di circa tre volte il rischi di sviluppare diabete I, gli antigeni DR3 e DR4 aumentano tale rischio di 4-5 volte e un'associazione di quesi antigeni (per esempio B6/B15) fino a dieci volte. Tuttavia lo stato omozigote per un allele non fa aumentare ulteriormente il rischio. È stata dimostrata l'importanza delle posizioni 45 e 57 della catena DQb nella suscettibilità al diabete I. L'eziologia genica è però, sottolineiamo ancora, incerta: l'indice di concordanza per i gemelli monozigoti con meno di 40 anni è inferiore al 50%. Inoltre non c'è prevalenza nella trasmissione verticale.
Diabete Mellito di tipo 2 ha patogenesi non immunitaria. È correlato alla presenza di geni in prossimità del sito HLA sul cromosoma 6. È detto anche non chetosico. Ha basi genetiche più salde della I forma, sebbene la modalità di tramissione non sia nota. Questo diversamente dalla specifica variante MODY, costituito da cinque sottotipi (1-5) di alterazioni genetiche determinanti deficit nella funzione delle cellule β. La trasmissione è autosomica dominante con penetranza completa. Pertanto il 50% dei figli di un genitore diabetico affetto da MODY svilupperanno la malattia. L'associazione è col gene della glucochinasi localizzato sul cromosoma 7p, anomalia non presente nei restanti casi di diabete II. Nel diabete MODY non è stata individuata alcuna associazione col sistema HLA, né ha un'eziologia autoimmunitaria.
Epidemiologia
Il Diabete Mellito costituisce una delle più frequenti cause di morte nel mondo occidentale, secondo l'OMS almeno 171 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di DM. La prevalenza di DM a livello globale è aumentata in maniera preoccupante negli ultimi vent'anni e si stima che questo trend non subirà modificazioni nel prossimo futuro. La percentuale di popolazione mondiale affetta viene stimata intorno al 5% (con una lieve maggiore prevalenza nel sesso femminile - m:f = 1:1,25); in Italia la percentuale di individui affetti da tale patologia è mediamente del 3% (nelle fasce di età inferiori ai 35 anni è dello 0,5%, al di sopra dei 65 supera il 10%). Circa il 90% della popolazione diabetica è affetta da DM di tipo 2.
Patogenesi
Il diabete di tipo 2 ha una eziologia multifattoriale, in quanto è causato dal concorso di più fattori, sia genetici che ambientali. L'esistenza di una predisposizione genetica è suggerita dal fatto che, nel caso di gemelli, il diabete Tipo 2 è presente in entrambi in una elevatissima percentuale, molto superiore rispetto a quanto accade per il diabete di Tipo 1. Probabilmente intervengono difetti a carico di più geni (malattia poligenica) coinvolti nella produzione di insulina e nel metabolismo del glucosio; il tipo di deficit varierebbe da un paziente all'altro, dal momento che fino ad oggi non è stato possibile identificare anomalie genetiche comuni a tutti i pazienti di Tipo 2. Tra i fattori ambientali hanno un'importanza preminente l'obesità e l'inattività fisica. Anche l'età favorisce la comparsa del diabete, poiché essa si accompagna ad una riduzione fisiologica della sensibilità dei tessuti periferici all'insulina. Questi fattori causali (eziologici) provocano la malattia attraverso il concorso di due meccanismi principali (patogenesi): l'alterazione della secrezione di insulina e la ridotta sensibilità dei tessuti bersaglio (muscolo, fegato e tessuto adiposo) alla sua azione (insulino-resistenza). Difetti della secrezione di insulina sono presenti non solo nei pazienti diabetici di Tipo 2, ma molto spesso anche nei gemelli sani e nei familiari di primo grado; in questi ultimi è stata rilevata frequentemente anche resistenza all'insulina. Si pensa pertanto che il diabete Tipo 2 sia preceduto da una fase prediabetica, in cui la resistenza dei tessuti periferici all'azione dell'insulina sia compensata da un aumento della secrezione pancreatica di insulinica (iperinsulinemia). Soltanto quando si aggravano sia i difetti di secrezione insulinica sia l'insulino-resitenza (in seguito all'invecchiamento, alla obesità, all'inattività fisica o alla gravidanza), si renderebbe manifesta prima l'iperglicemia post-prandiale e poi l'iperglicemia a digiuno. L'obesità viscerale (o centrale) riveste un ruolo di primo piano nello sviluppo della resistenza all'insulina. Il tessuto adiposo è, infatti, in grado di produrre una serie di sostanze (leptina, TFN-α, acidi grassi liberi, resistina, adiponectina), che concorrono allo sviluppo della insulino-resistenza. Inoltre nell'obesità, il tessuto adiposo è sede di uno stato di infiammazione cronica a bassa intensità, che rappresenta una fonte di mediatori chimici, che aggravano la resistenza all'insulina. Di conseguenza, i markers di infiammazione, come interleuchina 6 e proteina C-reattiva, sono spesso elevati in questo tipo di diabete. La riduzione del peso corporeo è dunque un intervento basilare nella terapia del diabete di Tipo 2.
Metabolismo del glucosio
Il glucosio rappresenta la più importante fonte di energia per le cellule del nostro organismo e proprio per questo, oltre ad essere utilizzato immediatamente, viene anche immagazzinato in riserve di glicogeno. Il glucosio, dunque, dal sangue (nel quale viene disciolto dopo il processo di digestione degli alimenti) deve essere trasportato all'interno delle cellule per essere utilizzato e immagazzinato. L'insulina è il principale ormone che regola l'ingresso del glucosio dal sangue nelle cellule (principalmente le cellule muscolari e adipose; non nelle cellule del Sistema Nervoso), il deficit di secrezione insulinica o l'insensibilità alla sua azione sono proprio i due meccanismi principali attraverso cui si espleta il DM. La gran parte dei carboidrati nel cibo viene convertita entro un paio di ore in glucosio. L'insulina è prodotta dalle cellule ß del pancreas come esatta risposta all'innalzamento dei livelli di glucosio nel sangue (per esempio dopo un pasto), le cellule ß del pancreas sono infatti stimolate dagli alti valori di glicemia e inibite dai valori bassi. Se la disponibilità di insulina è insufficiente (deficit di insulina) o se le cellule rispondono inadeguatamente ad essa (insulinoresistenza) o se l'insulina prodotta è difettosa, il glucosio non può essere efficacemente utilizzato dal nostro organismo: la conseguenza di ciò è di uno stato di carenza di glucosio con elevati valori di glicemia (di glucosio ce n'è in abbondanza nel torrente sanguigno ma non può essere utilizzato). Quando la glicemia a digiuno supera i 126 mg/dl si parla di DM, mentre per valori compresi tra 101 e 125 mg/dl si parla di 'alterata glicemia a digiuno' (fattore di rischio per la futura comparsa di DM). Il glucosio compare nelle urine (glicosuria) per valori di glicemia maggiori di 180 mg/dl.
Resistenza all'insulina
La ridotta capacità dell'insulina di agire in maniera efficace sui tessuti bersaglio (muscoli e fegato) è la caratteristica principale del DM di tipo 2. Si tratta di una resistenza 'relativa' in quanto livelli sovrafisiologici di insulinemia provocano una normalizzazione della glicemia. Si ritiene che questo tipo di resistenza sia dovuto a difetti post-recettoriali, per la precisione sembra coinvolto il gene IRS-1, indispensabile per la sintesi delle proteine IRS coinvolte in una serie di vie metaboliche che in ultima istanza promuovono l'ingresso del glucosio nelle cellule diminuendo così la glicemia.
La
resistenza cronica all'insulina è definita come un fabbisogno giornaliero di insulina
superiore a 200 Ui per parecchi giorni in assenza di infezione o chetoacidosi.
Le cause più comuni sono rappresentate dall'obesità e da anticorpi
antinsulina di tipo IgG. La conseguenza più importante è il
mancato controllo della glicemia. In quasi tutti i pazienti
diabetici, entro i 60 giorni dall'inizio della terapia insulinica, si
sviluppano anticorpi. Si pensa che il loro legame all'insulina sia la causa più
importante di severa resistenza, ma la correlazione fra il titolo
anticorpale e la resistenza non è sempre stretta. Studi recenti
individuano come una precoce terapia insulinica possa scongiurare una progressione
delle due forme di diabete. Non si vuole qui dimenticare, però, l'importanza
fondamentale di una dieta priva di zuccheri.
Alterazioni della secrezione insulinica
Nel momento in cui si instaura una insulino-resistenza si ha inizialmente un aumento compensatorio di secrezione di insulina (iperinsulinemia) da parte delle cellule ß pancreatiche, tuttavia la patologia ha un decorso ingravescente che porta a una vera e propria insufficienza dei meccanismi di compenso. Nella patogenesi del progressivo deficit della secrezione insulinica hanno un ruolo determinante la necrosi e l'apoptosi della cellule beta, alle quali concorrono la dislipidemia (lipotossicità) e la iperglicemia cronica (glucotossicità), attraverso meccanismi biochimici complessi, che, tra l'altro, provocano un aumento della produzione di radicali liberi (stress ossidativo), un disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa mitocondriale e alterazioni del reticolo endoplasmatico (stress reticolare).
Aumento della produzione epatica di glucosio
Come si vedrà in seguito, il DM provoca un aumento di corpi chetonici in circolo, ciò metabolicamente equivale allo sviluppo di una ingannevole condizione di 'digiuno cronico' (anche se il paziente si nutre normalmente): in condizioni di digiuno si assiste a un aumento della glicogenolisi (liberazione di riserve glucidiche) e gluconeogenesi (sintesi ex-novo di glucosio). Tutto ciò provoca un ulteriore peggioramento dello stato di iperglicemia.
Diabete Mellito di tipo 1
Il DM di tipo 1 esordisce in circa la metà dei casi in età inferiore ai 20 anni e più frequentemente nel corso della pubertà. Sintomi di presentazione: poliuria, polidipsia (secondaria alla poliuria), polifagia paradossa (il paziente mangia molto ma dimagrisce), spesso il sintomo di esordio è costituito dalla chetoacidosi diabetica (vedi in seguito). Spesso si ha una interruzione dei sintomi subito dopo la fase di esordio. Questa fase, nota come luna di miele, dura per alcuni mesi, dopodiché i sintomi si presentano nuovamente e permangono stabilmente dando luogo, definitivamente, allo stato di diabete. La spiegazione di questo fenomeno è da ricercarsi nell'iperproduzione compensatoria di insulina da parte delle cellule β.
Diabete Mellito di tipo 2
Il riscontro di DM di tipo 2 è molto spesso casuale nel corso di esami di laboratorio a cui il paziente si sottopone per altri motivi, questo perché la patologia si instaura molto lentamente e occorre molto tempo prima che la sintomatologia possa divenire clinicamente manifesta; d'altro canto in molti pazienti sintomi di iperglicemia e glicosuria non compaiono mai. Nel caso di DM conclamato, la sintomatologia delle due forme di DM (tipo 1 e tipo 2) è molto simile.
Criteri Diagnostici
Per confermare un sospetto clinico di DM, è necessario che sia soddisfatto uno dei seguenti criteri varati dall'OMS:
glicemia a digiuno superiore a 126 mg/dl (o 7 mmol/l);
glicemia superiore a 200 mg/dl (o 11,1 mmol/l) 2 ore dopo aver assunto per os 75 g di glucosio (test di tolleranza al glucosio);
glicemia random maggiore di 200 mg/dl (o 11,1 mmol/l).
La positività a uno dei suddetti test va confermata con l'esecuzione di almeno un altro dei due rimanenti, questo per porre con certezza pressoché assoluta diagnosi di DM.
Complicanze acute metaboliche
Chetoacidosi diabetica. Si tratta di una concentrazione eccessiva di corpi chetonici nel sangue dovuta alla carenza di insulina e al conseguente eccesso di glucagone tipica del DM di tipo 1 e scatenata da forti stress (infezioni, traumi, interventi chirurgici). In condizioni normali i trigliceridi vengono immagazzinati nelle VLDL (particolari lipoproteine con funzione di trasporto); nelle condizioni di digiuno e di eccesso di glucagone accompagnato a deficit di insulina si attiva la via di formazione dei corpi chetonici: il passaggio di questi nel sangue è alla base dell'acidosi metabolica (fino a valori di pH prossimi a 7,0) che si può sviluppare nei pazienti affetti da DM. Presenti: livelli molto elevati di iperglicemia ( tra i 500 e i 700 mg/dl) e glicosuria con notevole disidratazione, dolori addominali, anoressia, vomito, nausea. In questa fase non va commesso un errore molto comune: pensare di trovarsi di fronte a una patologia gastroenterica e conseguentemente sospendere la somministrazione di insulina. Ciò potrebbe portare il paziente a una condizione di coma chetoacidosico potenzialmente mortale. Coma iperosmolare non chetosico. Caratteristico del DM di tipo 2, si osserva per lo più in pazienti anziani nei quali la condizione diabetica è aggravata da eventi ricorrenti (per es. infezioni o ictus cerebrale) e la capacità di bere è menomata così da rendere impossibile il compenso della diuresi osmotica. Sintomi: stato confusionale fino a coma e, se non trattato, morte (che comunque sopraggiunge anche nella metà dei pazienti tempestivamente trattati). Sempre presente glicosuria abnorme (sopra i 1000 mg/dl). La chetoacidosi è assente, perché forse la concentrazione di insulina nella vena porta è sufficientemente alta da prevenire la piena attivazione della chetogenesi epatica. I livelli sierici degli acidi grassi liberi sono generalmente più bassi che nella chetosi del DM I. Nella terapia di tale forma di coma occorrono parecchi litri di soluzioni saline isotoniche, seguiti da ipotoniche e poi da soluzioni glucosate al 5%, quando la glicemia raggiunge livelli normali. Anche l'insulina è necessaria, ma a dosi più basse rispetto al coma chetoacidosico del DM I.
Complicanze a lungo termine
Macroangiopatia diabetica: tendenza a sviluppare più precocemente e più intensamente di fenomeni di aterosclerosi, l'eccesso di glucosio nel sangue favorisce la glicosilazione (impropriamente glicazione) delle lipoproteine a bassa densità (LDL) che è alla base dell'aterosclerosi; Microangiopatia I77.9 diabetica: nel rene (glomerulopatia diabetica), nella retina (retinopatia diabetica) e nel sistema nervoso periferico (neuropatia diabetica); Ulcera diabetica: frequente lo sviluppo di piaghe in prossimità degli arti inferiori dovuto a sfregamenti (es. scarpe troppo strette), per questo il diabetico deve curare moltissimo la propria igiene.
Trattamento
Le linee guida per attuare una razionale terapia in caso di Diabete Mellito non complicato prevedono l'adozione da parte del paziente di uno stile di vita (dieta ed esercizio fisico) adeguato e funzionale al trattamento farmacologico impostato. Senza voler prescindere dall'importanza di una dieta con apporto limitato di zuccheri semplici, studi recenti individuano come una precoce terapia insulinica possa scongiurare una progressione del diabete di tipo 2 in una percentuale maggiore che non gli ipoglicemizzanti orali.
Stile di vita
Spesso i presidi dietetici e l'esercizio fisico sono l'unico aiuto sufficiente per i pazienti affetti da alcune forme di DM di tipo 2. D'altro canto, persino nella terapia del DM di tipo 1, un trattamento farmacologico non ha senso se non associato a un adeguato stile di vita.
Dieta
Un regime dietetico in cui i rapporti tra carboidrati, proteine, acidi grassi saturi e insaturi siano ben controllati è fondamentale affinché la terapia farmacologica riesca a controllare efficacemente la glicemia. Contrariamente a quanto avveniva in passato, non si prescrivono più regimi nutrizionali ipoglucidici, ma si ritiene che l'apporto di carboidrati debba costituire il 50-55% del totale giornaliero di calorie, l'apporto di grassi circa il 30% (cercando di ridurre i grassi saturi a meno del 10%) e l'apporto proteico intorno al 10-20% (non più di 0,8-1 gr/kg/die). L'alcool va assunto in quantità modesta se il paziente è ben compensato; è assolutamente sconsigliato nei pazienti in sovrappeso, con livelli di glicemia non ottimali nonostante la terapia, nei pazienti con ipertrigliceridemia. Ultimamente si è dimostrato che le fibre, in quantità di 20-30 gr/die, sono utilissime nel controllo glicemico, dei trigliceridi, del peso corporeo attraverso un aumento del senso di sazietà. Un diabetico deve quindi incrementare l'assunzione di frutta, verdura e cereali (soprattutto integrali).
Esercizio fisico
Nel trattamento del paziente diabetico deve essere incluso un programma di esercizio fisico, a meno che non sia controindicato per la coesistenza di altre patologie. L'esercizio non solo riduce l'intolleranza al glucosio (migliorando la sensibilità all'insulina) e diminuisce i fattori di rischio cardiovascolari ma ha anche il non trascurabile effetto di mantenere il peso corporeo entro limiti auspicabili. Inoltre, se ben strutturato, l'esercizio fisico ha anche dei favorevoli effetti psicologici. Quindi è consigliabile soprattutto per i ragazzi di età compresa tra i 10 e i 18 anni fare almeno 2 ore di sport al giorno, sono preferibili degli sport dove la fatica sia continua: atletica e nuoto rispetto ad altri, quali il calcio, che rischiano di far salire la glicemia a causa dello sforzo non continuo. Prima e/o dopo l'attività sportiva potrebbe essere opportuno diminuire l'insulina, basandosi sulle indicazioni del proprio medico curante ed eventualmente sui riscontri glicemici.
Il Controllo Medico
Il controllo continuo della terapia è obbligatorio nel DM in quanto il paziente rischia di non rendersi conto dell'eventuale inadeguatezza della terapia o della dieta, essendo il DM patologia che decorre asintomatica per lungo tempo. Classicamente il follow-up lo esegue il paziente stesso attraverso il glucometro: effettuando una serie di dosaggi del proprio livello glicemico durante tutta la giornata (eventualmente anche durante la notte), verifica che i valori siano correttamente mantenuti dalla terapia in atto. A queste si può associare (soprattutto al risveglio mattutino, ma anche nel corso di tutta la giornata)il dosaggio, mediante stick reattivi, di glucosio e corpi chetonici eventuaslmente contenuti nelle urine.
Il paziente deve verificare la correttezza del regime terapeutico adottato e del proprio stile di vita ed il medico ha l'obbligo e il diritto di verificare l'efficacia dei presidi messi in atto; proprio per questo ai controlli quotidiani si associa un controllo periodicodi tipo ambulatoristico-strumentale della emoglobina glicata e delle proteine plasmatiche glicosilate (riunite sotto il termine 'fruttosamina'). Questi dosaggi si basano sul legame irreversibile glucosio-emoglobina e glucosio-proteine plasmatiche che avviene proporzionalmente al livello glicemico. L'emoglobina ha una lunga emivita (circa 120 giorni) e si è visto che la sua glicosilazione rispecchia l'andamento glicemico delle ultime 6-8 settimane. Per quanto riguarda la fruttosamina, essa riflette l'andamento metabolico degli ultimi 10-15 giorni.
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