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Riservatezza / privacy: origine della problematica nell'esperienza giuridica italiana
Come accennato nell'esperienza italiana fu soltanto intorno agli anni '50 che si cominciò a parlare in dottrina di un diritto alla riservatezza inteso come autonoma situazione giuridica soggettiva avente ad oggetto il riserbo, l'intimità della vita privata; quando, cioè, a fronte dei sempre più frequenti casi giudiziari in cui veniva lamentata la lesione della privacy si fece urgente la necessità di trovare un fondamento normativo ad una esigenza la cui tutela, riconosciuta ormai come indispensabile ai fini del pieno sviluppo della personalità del singolo, sarebbe altrimenti rimasta insoddisfatta di fronte alle aggressioni della cronaca.
Vigente il codice civile del 1865, l'idea di un diritto alla riservatezza era ignota alla dottrina italiana, pur essendo presenti nel sistema diversi spunti normativi che avrebbero consentito una riflessione intorno all'istituto. Così ad esempio, l'art. 27 dello Statuto Albertino che sanciva l'inviolabilità del domicilio; così gli art. 157, 158 e 161 del codice Zanardelli che prevedevano come ipotesi di reato la violazione rispettivamente della libertà di domicilio e di corrispondenza; così l'art. 1151 cod. civ. 1865 utilizzabile come strumento attraverso cui, a tutela della riservatezza, si sarebbero potute avere sanzioni civili accanto a quelle penali contenute nelle norme concernenti la tutela dei segreti; così gli art. 11 e 12 del R.D.L. 7 novembre 1925 n. 1950, contenente "disposizioni sul diritto d'autore", che dettavano discipline a tutela della pubblicazione del ritratto o delle lettere.
A partire dalla riforma del codice civile, nel 1930, il sistema normativo si arricchì di nuove norme, così che facendo leva sul quadro normativo risultante dall' art. 10 cod. civ., che tutela l'immagine, dagli artt 93, 96, 97 della nuova legge sul diritto d'autore, L. 22 aprile 1941, n. 633 e dalla stessa normativa penale a tutela del segreto, artt. 616 e seg. era possibile desumere, in via non soltanto analogica, ma di astrazione, l'esistenza e la tutela, nel nostro sistema, di un diritto alla riservatezza.
Tutte queste norme che tutelano la vita privata, sebbene sotto singoli e specifici aspetti, si ispirano alla comune ratio della tutela dello svolgimento della vita privata dall'indiscrezione altrui. Già allora esisteva, dunque, nel nostro ordinamento un principio generale di riservatezza, di cui le norme sopra menzionate sono applicazioni particolari. Principio applicabile in tutte le altre ipotesi specifiche non espressamente previste, ma che hanno in comune la stessa ratio legis.
Una prima vera e propria riflessione sui caratteri e limiti dell'istituto della riservatezza é iniziata verso la metà di questo secolo, in occasione di alcuni fatti giudiziari che indussero all'esame del rapporto tra diritto alla riservatezza e diritto di cronaca, ha conosciuto fasi alterne, fino ad arrivare oggi al riconoscimento di un'autonoma situazione soggettiva che a determinate condizioni può limitare il diritto di cronaca.
Si trattò del caso avente ad oggetto la divulgazione cinematografica della vita del tenore Caruso; in quella circostanza , nel 1956, la giurisprudenza negò l'esistenza di un diritto alla riservatezza, affermando che "nell'ordinamento giuridico italiano non esiste un diritto alla riservatezza, pertanto non é vietato comunicare, sia privatamente, sia pubblicamente, vicende, tanto più se immaginarie, della vita altrui, quando la conoscenza non ne sia stata ottenuta con mezzi di per sé illeciti o che impongono l'obbligo del segreto." Da questa sentenza della Cassazione ha preso le mosse l'ampia riflessione della dottrina sull'argomento.
Alcuni autori, contrari al riconoscimento di un autonomo diritto alla riservatezza, hanno obbiettato che, da un lato, stante il principio sancito dall'art. 14 disp. prel. che fa divieto di applicare oltre i casi e i tempi in esse stabiliti le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o a altre leggi, dall'altro, mancando in relazione alle norme considerate la medesima ratio, dal nostro sistema non fosse desumibile una tutela della riservatezza quale posizione generale della persona, azionabile fuori dai casi contemplati dalla legge; ma al più singoli aspetti di essa, quelli, cioè, che emergono appunto dalle norme che tutelano da un lato l'onore, la reputazione, l'immagine e il decoro, dall'altro il segreto in senso stretto.
Altri hanno sostenuto che la vita intima sarebbe appartenuta a titolo originario esclusivamente all'individuo, di conseguenza non solo non é necessario che il legislatore attribuisca il bene della privacy al soggetto, ma anzi tale potere non gli compete, é chiamato invece a stabilire i casi in cui gli altri soggetti, privati o pubblici poteri, possono legittimamente intromettersi nel godimento di tale bene ovvero violarlo.
Non sono mancati autori che, consci della necessità di trovare un fondamento costituzionale alla riservatezza, che altrimenti sarebbe stata destinata a soccombere di fronte a diritti costituzionalmente garantiti, primo fra tutti il diritto alla libera manifestazione del pensiero, hanno fatto leva su diverse norme della Costituzione.
Per alcuni, premesso che l'art. 21 Cost tutela tanto la libertà positiva di manifestazione del pensiero quanto quella negativa di non esternare, la riservatezza, coincidendo con quest'ultima, troverebbe riconoscimento e tutela nella Cost.
Altri ritennero che il riconoscimento positivo del diritto alla riservatezza scaturisse dal recepimento nel nostro ordinamento delle norme contenute nell'art. 8 della Convenzione Europea sui diritti dell'uomo, il cui ordine di esecuzione é contenuto nella l. 4 agosto 1955, n. 848, e nell'art. 12 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, approvata il 10 dicembre 1948 dall'ONU. La prima riconosce il diritto al rispetto della vita privata e familiare; la seconda vieta che ogni individuo sia sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, e a lesioni del suo onore e della sua reputazione.
Solo nel 1963 in relazione al caso giudiziario avente ad oggetto la pubblicazione a puntate della vita di Claretta Petacci ci fu una certa apertura della giurisprudenza al riconoscimento del fondamento normativo della riservatezza, in quella occasione si affermò che sebbene non fosse ammissibile il diritto tipico alla riservatezza, violerebbe il diritto assoluto di personalità, inteso quale diritto erga omnes alla libertà di autodeterminazione nello svolgimento della personalità dell'uomo come singolo, la divulgazione di notizie relative alla vita privata, in assenza di un consenso almeno implicito, ed ove non sussistesse un preminente interesse pubblico alla conoscenza.
La svolta decisiva si é però avuta con la sentenza del 1975 relativa al caso della pubblicazione, per scopo di lucro, di un servizio fotografico su un personaggio noto, in cui la Cassazione ha riconosciuto "l'esistenza nel nostro ordinamento di un generale diritto della persona alla riservatezza, inteso alla tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari le quali, anche se verificatesi fuori del domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l'onore, la reputazione o il decoro, non siano giustificate da interessi pubblici preminenti."
Cenni in questo senso erano peraltro già rinvenibili nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale, in riferimento all'art. 15 Cost., norma che tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, aveva riconosciuto un diritto alla riservatezza delle conversazioni telefoniche . In altra pronuncia aveva ricondotto la tutela della riservatezza, "consacrata anche in Convenzioni sovranazionali, alla garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, del pieno sviluppo della persona, della libertà personale", vale a dire agli artt. 2, 3 secondo comma, 13 della Costituzione .
Dal punto di vista giuridico, il concetto di riservatezza venne elaborato per la prima volta, nell'ordinamento statunitense, con un famoso articolo sulla privacy di Warren e Brandeis, pubblicato nella Harward Law Review nel 1890. All'epoca il concetto, inteso come "diritto ad essere lasciato solo", aveva il contenuto puramente negativo di esclusione dei terzi dalle ingerenze nella propria sfera privata, ed era estremamente limitato sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo. Infatti le possibili lesioni della sfera privata potevano derivare solo dal comportamento spregiudicato della stampa nel riferire notizie riguardanti la vita privata di personaggi "pubblici" o comunque di rilievo nella vita sociale. Ma in progresso di tempo si arricchisce di nuovi contenuti, si arriva così alla teorizzazione di una zona privata della vita dell'individuo per la cui tutela non erano sufficienti gli strumenti esistenti.
Nel nostro ordinamento giuridico, come accennato, é ormai riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza, l'esistenza di un diritto alla riservatezza, in questo senso si é espressa recentemente la Corte Costituzionale che ha rinvenuto nella nostra Costituzione una tutela della riservatezza non più limitata ad ipotesi specifiche, ma generale e onnicomprensiva . Il sistema si é infatti arricchito nel tempo di norme che, pur nella specificità delle situazioni regolate, unitamente a quelle già esistenti, confermano il riconoscimento e la tutela generale della privacy, non limitata, cioè, a quegli aspetti, segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, tutela dell'immagine ecc. specificatamente presi in considerazione dal legislatore. Si pensi, ad esempio, agli artt. 3, 5, 6, e 8 della L. 1970, n. 300 (il cd. Statuto dei lavoratori) che dettano norme a tutela della privacy del lavoratore; all'art. 5 L. 1978, n. 194 (sull'aborto) che tutela la riservatezza di chi vi si sottopone; si pensi all'art. 615 bis cod. pen. (dettato con la L. 1974, n. 98) in materia di interferenze illecite nella vita privata, che si affianca alla tradizionale disciplina penalistica in materia di inviolabilità del domicilio e dei segreti; si pensi alle, già menzionate, norme della Convenzione Europea dettate a tutela della vita privata e familiare. Si pensi, infine, alle stesse norme costituzionali in particolare gli artt. 13, 14, 15 e 21, la cui rilettura consente di individuare la riservatezza come una condizione, un attributo che oramai caratterizza tutti i diritti della personalità.
1 Il fondamento normativo del diritto alla riservatezza: la tesi dell'art. 2 Cost. "clausola aperta". Critica.
Si é detto che il nostro sistema giuridico, tanto più oggi, in quanto arricchitosi nel tempo di norme che tutelano sotto diversi e molteplici aspetti la vita privata, consente di affermare il riconoscimento del diritto alla riservatezza. Il fondamento normativo del diritto alla riservatezza é rinvenibile nell'art. 2 Cost. che sancisce la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Questa affermazione merita tuttavia delle precisazioni essendo l'art 2 uno dei più controversi della Costituzione italiana.
La norma, infatti, può essere interpretata come una "formula riassuntiva", che prevede in via generica il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili, poi, indicati specificatamente e in termini tassativi negli articoli successivi, primo fra tutti il diritto di libertà personale. Ma se così fosse non si spiegherebbe l'esistenza di una norma che fa generico riferimento a diritti poi specificatamente menzionati nelle norme successive.
Oppure può essere considerata come norma a "fattispecie aperta", capace, cioè, di ricomprendere tutta una serie di "nuovi diritti" emergenti nella coscienza sociale e ritenuti meritevoli di tutela, adempiendo in questo modo ad una funzione di integrazione dell'ordinamento giuridico. All'interno di questa posizione bisogna distinguere due possibili differenti interpretazioni della norma. Il diritto alla riservatezza, potrebbe ritenersi compreso nella Costituzione ex art. 2 ab origine, cioè fin dall'avvento della Costituzione, oppure in quanto recepito successivamente.
Sotto il secondo profilo la via della recezione successiva resterebbe aperta sul presupposto della non tassatività dei diritti della personalità originariamente consacrati nella Costituzione. L'art. 2 funzionerebbe come costante recettore di nuovi interessi della personalità successivamente affermatisi come esigenze inviolabili per segni certi, come per esempio quando tali interessi trovino solenne consacrazione in atti o convenzioni internazionali. L'art. 2 andrebbe letto, cioè, alla luce dell'art 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: "nessun individuo può essere sottoposto ad interferenze nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza", e dell'art. 8 della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che afferma il "diritto di ogni persona al rispetto della sua vita privata e familiare". Nella prospettiva dell'art. 2 Cost. la Convenzione Europea si limiterebbe ad attestare l'affermarsi, in ambito internazionale, di nuovi interessi della personalità e perciò consentirebbe in via di interpretazione evolutiva l'ampliamento della portata della formula "diritti inviolabili" contenuta nell'art. 2 Cost. In materia di diritti umani, perciò, non sarebbe la legge ordinaria, con cui si da esecuzione al trattato, a permettere l'inserimento nell'ordinamento interno delle norme pattizie, ma la costituzionalizzazione avverrebbe in virtù dell'art. 2, che interpretato alla luce delle norme pattizie e in quanto capace di recepire "nuovi diritti", affermatisi nella realtà sociale, risulta di per se comprensivo appunto del diritto all'intimità della vita privata.
L'interpretazione dell'art. 2 come "fattispecie aperta" capace di recepire, cioè, diritti affermatisi successivamente all'avvento della Costituzione espone però il fianco a diverse obiezioni. Il riconoscimento, per questa via, di diritti non previsti in Costituzione ma ritenuti meritevoli di tutela, porterebbe il più delle volte delle insanabili antinomie con altre norme costituzionali; così il riconoscimento del c.d. diritto all'identità personale, avente ad oggetto la corretta diffusione di notizie concernenti la identità del singolo, verrebbe praticamente a limitare la libertà costituzionale di manifestazione del pensiero, così il diritto alla riservatezza si configurerebbe addirittura come antitetico rispetto al diritto di cronaca. I sostenitori della tesi, pertanto, non avrebbero tenuto conto della circostanza per cui all'affermazione di un diritto automaticamente consegue l'imposizione di un corrispondente obbligo a carico di qualcuno, e ciò é inammissibile in una Costituzione come quella italiana che pone regole fondamentali anche per ciò che attiene ai rapporti interprivati. Ma soprattutto il carattere rigido della nostra Costituzione, immodificabile se non con apposito procedimento di revisione previsto dall'art. 138 Cost., costituisce un'ostacolo all'accoglimento di una tesi che vede nell'art 2 Cost. un costante moltiplicatore di diritti.
Il diritto alla riservatezza non può ritenersi costituzionalizzato neppure in virtù del raccordo tra 'art. 10 primo comma Cost. "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute" e gli artt. 8 e 12, rispettivamente della Convenzione Europea e della Dichiarazione Universale. Qui l'ostacolo é rappresentato dal fatto che l'adattamento automatico dell'ordinamento italiano avviene solo rispetto alle "norme di diritto internazionale generalmente riconosciute"; norme a formazione spontanea, vincolanti indistintamente tutti i soggetti di diritto internazionale, fra le quali non rientrano quelle summenzionate.
Circa la fonte, dalla quale trarre i "nuovi diritti", é parimenti escluso che si possa fare riferimento alla "costituzione materiale". Per i suoi sostenitori la costituzione materiale é data dalla struttura fondamentale di una società in un dato momento storico, assetto che é in grado di condizionare l'ordinamento positivo, in quanto dotata di intrinseca giuridicità. Costituzione formale e materiale coincidono soltanto in una situazione ideale, più spesso si verifica uno scarto tra loro. Si tratta, allora, di eliminare o attenuare le divergenze, modificando la costituzione formale, se questa non risponde all'assetto di valori espresso dalla costituzione materiale, ovvero, al contrario, nel caso si riconosca piena validità ai principi espressi dalla costituzione formale, intervenendo nella costituzione materiale per dare attuazione alla prima. Dunque costituisce diritto, non quello valido, l'insieme delle norme positive, bensì quello che effettivamente si manifesta nella realtà sociale. La Costituzione materiale dotata di grado superiore rispetto a quella formale, rappresenta, per chi costruisce l'art. 2 come "clausola a fattispecie aperta", una fonte praticamente inesauribile per la ricerca dei diritti inviolabili, dalla quale attingere per il riconoscimento di nuovi diritti ad opera del legislatore e del giudice. Tra i tanti valori emergenti dalla Costituzione materiale e canalizzabili attraverso l'art. 2 andrebbe annoverato, appunto, il diritto alla riservatezza.
Ma affermare che il diritto é quello che si desume dalla realtà sociale, dallo spontaneo conformarsi degli uomini a regole non scritte, porta alla negazione di principi su cui é fondato il nostro sistema liberal-democcratico: la legalità e la certezza del diritto. La norma giuridica, risulterebbe non più imposta dall'esterno, ma determinata a posteriori dal giudice, in questo modo verrebbe meno, da un lato la prevedibilità delle conseguenze di una determinata condotta, e quindi la certezza del diritto, dall'altro si aprirebbe la via al diritto giudiziario, con un conseguente stravolgimento della gerarchia delle fonti.
I "diritti inviolabili" dovrebbero allora essere desunti dall'ordinamento positivo, ma la locuzione "diritti inviolabili" é eccessivamente generica, manca di quel minimo di concretezza che renda possibile la individuazione dei diritti coperti da garanzia costituzionale, o quantomeno, fornisca dei criteri per la loro individuazione visto che la caratteristica della inviolabilità é implicitamente comune a tutti i diritti.
Sotto il primo profilo la norma consente invece di comprendere, oltre ai diritti espressamente elencati nel testo costituzionale, altri interessi della personalità ma pur sempre presi implicitamente o indirettamente in considerazione dalla Costituzione e che devono essere considerati inviolabili. E' questa la posizione della Corte Costituzionale, la quale superando un primo orientamento interpretativo della norma in discorso come "clausola riassuntiva", ne ha poi affermato la valenza di norma a carattere "aperto". L'interesse alla riservatezza é appunto oggetto di considerazione da parte della Costituzione in numerose disposizioni: nell'art. 15, che garantisce l'inviolabilità della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione; negli artt. 13 e 14, i quali, pur sancendo l'inviolabilità della libertà personale e del domicilio, non escluderebbero dalla loro garanzia anche l'interesse alla riservatezza; nell'art. 27, che sebbene proclami il principio della presunzione di non colpevolezza, tutelerebbe anche l'interesse alla riservatezza dell'imputato. Questa tesi interpretativa dell'art. 2 Cost. consente da un lato di affermare il fondamento costituzionale di un' esigenza, quella del riserbo sulla propria sfera privata che, rimarrebbe altrimenti priva di tutela e destinata a cedere, salvo risultassero lesi specifici aspetti espressamente riconosciuti e tutelati dalla Costituzione, di fronte all'esercizio spesso spregiudicato del diritto di cronaca. Dall'altro supera le obiezioni mosse alla ben più radicale interpretazione della norma come clausola aperta alla recezione di nuovi diritti anche non compresi in Costituzione ma affermatisi come valori generalmente riconosciuti.
Cfr.. Schermi A., Diritto alla riservatezza e opera biografica, in Giustizia Civile 1957. cit. pp. 215 ss. e De Cupis. A., I diritti della personalità, in Trattato di diritto civile e commerciale, Cicu e Messineo, Milano 1959, cit. pp. 256 ss.
Pugliese G., Il preteso diritto alla riservatezza e le indiscrezioni cinematografiche, in Foro It. 1954, I, p. 116 ss.
Cerri A., Libertà negativa di manifestazione del pensiero e di comunicazione in Giur. cost. 1974 cit. p. 615. Vd. anche Corte Cost. sent. n. 12 del 1972
Cfr. Esposito C., La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano Giuffré 1958. Questo é anche il primo orientamento della giurisprudenza della Corte Costituzionale, vd. in materia la sentenza 3 luglio 1956 n. 11, in Giur. cost., 1956. Vd. anche Corte cost. 22/27 febbraio 1962 n. 29, in Giur. cost. 1962.
Vd. Grisolia G., Libertà di manifestazione del pensiero e tutela penale dell'onore e della riservatezza, CEDAM 1994 e Vassalli G., Libertà di stampa e tutela penale dell'onore in Arch. pen. 1967, cit. p. 22
Vd. Corte Cost. sent. n.27, 18 febbraio 1975, in Giur. cost. 1975 con la quale la Corte mutando avviso rispetto al passato, ha interpretato l'art. 2 Cost. come norma a fattispecie aperta. In seguito la Corte ha ribadito la stessa posizione nelle sentt. 5/12 aprile 1973 n.38, in Giur. cost. 197 Sent. 10/18-12-1987 n. 561, in Giur. cost., 1987. Sent. 18/24-3-1986 n. 54, in Giur. cost., 1986. Sent. 3/8-1987 n. 215, in Giur. cost. 1987.
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