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Prima di analizzare le varie figure criminose, occorre esaminare i concetti di violenza e minaccia che stanno alla base della maggior parte di esse. Violenza è l'impiego dell'energia fisica per vincere un ostacolo, reale o supposto. La violenza può esercitarsi sulle persone oppure sulle cose. Della violenza reale il codice fornisce una nozione nel capoverso dell'art. 392, statuendo: "Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose, allorché la cosa viene danneggiata o trasformata o ne è mutata la destinazione". Minaccia, d'altra parte , consiste nel prospettare ad una persona un male futuro, il cui avverarsi dipende dalla volontà dell'agente. Bisogna che su tale male l'agente possa influire, e cioè che esso possa essere da lui determinato o non impedito. Se fa difetto questa condizione si ha semplice avvertimento. Il male minacciato può riguardare non solo la vita e l'incolumità fisica, ma anche la libertà, il pudore, l'onore della persona. Non sono esclusi i beni patrimoniali (minaccia della distruzione di un bene). Deve però concernere un bene giuridicamente rilevante e, perciò, non può essere oggetto di minaccia, ad es., il togliere l'amicizia o l'invocare un castigo divino. La minaccia implica certamente la prospettazione di un male futuro, mentre la violenza implica un male attuale. Tanto la violenza quanto la minaccia sono spesso usate per recare direttamente al paziente un danno, vale a dire per ledere o porre in pericolo un suo interesse legittimo. Ma esse possono essere anche adoperate col fine specifico di coartarne la volontà.
Conviene distinguere la violenza propria dalla violenza impropria. La violenza propria comprende ogni energia fisica adoperata dal soggetto sul suo paziente per annullarne o limitarne la capacità di autodeterminazione. La violenza impropria comprende ogni altro mezzo che produca il medesimo risultato, esclusa la minaccia. Pertanto costituiscono violenza impropria tutte le attività insidiose con cui il soggetto viene posto, totalmente o parzialmente, nell'impossibilità di volere o di agire. L'impiego di tali mezzi è considerato dal diritto come violenza. Inoltre, la violenza impropria può consistere anche in una semplice omissione, come nel caso che sia fatto mancare il cibo ad un individuo incapace di procurarselo da sé per indurlo ad un dato comportamento. Per quanto concerne la minaccia non basta il preannunzio di un male futuro che dipende dall'agente cagionare o non impedire: occorre che tale male venga posto come alternativa. In ciò consiste la coercizione.
Generalmente nella dottrina e nella giurisprudenza si distingue la vis physica dalla vis compulsiva, ravvisandosi la seconda esclusivamente nella minaccia. Mentre la prima annullerebbe completamente il potere di autodeterminazione, la seconda lo lascerebbe in parte sussistere.
Così per la violenza, come per la minaccia, considerate quali mezzi coercitivi della volontà, valgono in generale le seguenti regole, salvo le precisazioni che saranno prospettate nell'esame delle singole figure delittuose:
l'idoneità del mezzo ai fini della coartazione della volontà va giudicata secondo la particolarità del caso concreto, e cioè tenendo del tempo, del luogo, delle modalità dell'azione e, soprattutto, delle condizioni personali della vittima;
alla violenza o minaccia esercitata sulla vittima equivale quella che sia diretta ad una terza persona legata alla prima da un vincolo particolare di affetto e di solidarietà.
Forme speciali di coercizione della volontà sono quelle previste nell'art. 46 e nell'ultimo comma dell'art. 54. In queste ipotesi la violenza e la minaccia vengono in considerazione come cause di esclusione della punibilità della persona che, subentra l'una o l'altra, commetta un fatto che costituisce reato.
Sotto tale denominazione possono essere ricomprese tre figure delittuose e pi precisamente:
VIOLENZA PRIVATA TIPICA. È prevista nell'art. 610 e consiste nel fatto di colui che, "con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa". Scopo della norma in parola è la necessità di tutelare quella possibilità di determinarsi spontaneamente, secondo motivi propri, che rappresenta uno degli aspetti essenziali della libertà personale e che generalmente è detta libertà morale.
L'elemento oggettivo è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualche cosa. La violenza o la minaccia debbono essere rivolte ad ottenere dal soggetto passivo una data azione od omissione.
Per il codice in vigore l'avvenuto costringimento costituisce requisito essenziale del reato. Esso, quindi, ne segna la consumazione. Se il costringimento non si verifica, potrà aversi il tentativo, sempre che ne ricorrano gli estremi.
Il fatto deve essere illegittimo. L'illegittimità è esclusa soltanto quando ricorra una specifica causa di giustificazione, in forza della quale l'agente abbia la facoltà giuridica imporre una determinata condotta al paziente.
L'elemento psicologico consiste nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia, prevedendo che altri farà, tollererà od ometterà qualche cosa. Trattasi di dolo generico.
Il delitto è aggravato se ricorrono le condizioni prevedute dall'art. 339 del codice, e, cioè se la violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte.
VIOLENZA O MINACCIA PER COSTRINGERE A COMMETTERE UN REATO. Con l'art. 611 viene incriminata la violenza o la minaccia viene usata per costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente il reato. L'azione tipica di questa figura di reato consiste nel semplice ricorso alla violenza o alla minaccia per conseguire il fine ora indicato. L'elemento psicologico si riassume nell'intenzione di usare violenza o minaccia per costringere o determinare taluno a commettere un reato. In questo caso è indubbio che il dolo richiesto è specifico. Se il soggetto passivo commette il reato, ne risponderà sempre chi lo ha costretto o determinato. Quanto alla responsabilità della persona coartata, essa sarà, a seconda delle circostanze, regolata dall'art. 46, dall'art. 54 o dalle norme sul concorso di più persone nel reato. Il delitto, come il precedente, è aggravato, se concorrono le condizioni indicate nell'art. 339 del codice.
STATO DI INCAPACITA' PROCURATO MEDIANTE VIOLENZA (art. 613). Risponde di tale reato "chiunque, mediante suggestione ipnotica o in veglia, o mediante somministrazione di sostanze alcoliche o stupefacenti, o con qualsiasi altro mezzo, pone una persona, senza il consenso di lei, in stato di incapacità di intendere o di volere". Per l'esistenza del reato non è necessario che si verifichi un danno alla persona; basta che si realizzi uno stato di incapacità, nel quale la legge ravvisa una situazione di pericolo per lo stesso incapace o per i terzi. È necessario che tale stato si prodotto senza il consenso del paziente. Espressamente la legge dichiara che alla mancanza del consenso equivale il consenso dato dalle persone indicate all'art. 579 e cioè:
dalla persona minore degli anni diciotto;
dalla persona inferma di mente, o che si trova in condizione di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti;
dalla persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con l'inganno.
Il delitto si consuma nel momento in cui si verifica lo stato di incapacità. Il dolo consiste nella coscienza e volontà di determinare il risultato indicato nella norma incriminatrice. Il delitto è aggravato:
se il colpevole ha agito col fine di far commettere un reato;
se la persona resa incapace commette, in tale stato, un fatto preveduto dalla legge come delitto;
quanto alla responsabilità dell'incapace per il reato che egli commette, valgono le regole generali. Si tenga presente in particolare la norma contenuta nell'art. 86 del codice.
Ai sensi dell'art. 612, concreta tale delitto il fatto di colui che minaccia ad altri un danno ingiusto. La ratio dell'incriminazione è ravvisata di solito nella necessità di proteggere la libertà morale della persona contro influenze estranee che la limitino. La minaccia è un delitto generico e sussidiario, al quale spesso si sostituiscono le ipotesi specifiche prevedute dalla legge, come quando la minaccia è considerata elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato o la qualità del soggetto passivo importa un mutamento del titolo criminoso.
Come si rileva dal testo dell'art. 612, l'elemento soggettivo postula soltanto la minaccia di un danno ingiusto. La minaccia può manifestarsi in svariate forme ed appunto in relazione alla varietà dei mezzi adoperabili la dottrina parla di minaccia esplicita o implicita, diretta o indiretta, reale o simbolica. A questa forma di minaccia si dava spesso il nome di "scopelismo". La minaccia deve essere idonea a turbare la tranquillità di una persona: in altre parole a intimidirla. L'idoneità della minaccia non va determinata sulla base dell'effetto verificatosi in concreto, ma ex ante, tenendo conto di tutte le circostanze del singolo caso che potevano essere considerate nel momento della condotta. La presenza del soggetto passivo non è necessaria: basta che costui ne venga comunque a conoscenza. Oggetto della minaccia deve essere un danno ingiusto. Danno ai fini della presente norma, è ogni lesione, o messa in pericolo di un interesse facente capo al soggetto passivo. Il danno prospettato deve essere realizzabile e verosimile, poiché altrimenti l'azione non avrebbe quella capacità di intimidire che è nell'essenza della minaccia. Circa il requisito dell'ingiustizia del danno, si suole insegnare che è ingiusto il danno minacciato contra jus. Il delitto si consuma con la percezione da parte del soggetto passivo dell'espressione minacciosa, e, in particolare, nel momento in cui la parola è udita, lo scritto o il disegno è ricevuto o il gesto è visto dal soggetto stesso. Alla possibilità di concepire il tentativo punibile è di ostacolo il fatto che la minaccia, di regola è perseguibile a querela di parte, la quale ovviamente presuppone che il destinatario ne sia venuto a conoscenza. Il dolo è escluso dall'erronea supposizione della legittimità del danno minacciato. L'elemento psicologico ha particolare importanza altresì al fine di distinguere la minaccia della violenza privata. Sono previste due aggravanti speciali. La prima si verifica quando la minaccia è grave, la seconda allorché la minaccia è fatta in uno dei modi previsti dall'art. 399 del codice, e cioè con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. La minaccia è grave quando è grave il male minacciato. La gravità del danno, però, non va valutata in modo assoluto, ma relativo, tenendo conto di tutte le circostanze del caso e specialmente delle condizioni soggettive del soggetto passivo. La minaccia è di regola perseguibile a querela della persona offesa. Si procede d'ufficio quando ricorrono le circostanze aggravanti di cui ora abbiamo parlato e nei confronti delle persone già sottoposte con provvedimento definitivo a misura di prevenzione.
Per l'art. 605 si rende responsabile di questo delitto "chiunque priva il soggetto della libertà personale". L'elemento oggettivo consiste nella privazione della libertà personale, la quale qui va intesa in senso restrittivo, e cioè come libertà spaziale o libertà di muoversi nello spazio. È indubitato che il sequestro di persona implica anche un'aggressione alla libertà psichica, tanto che nella dottrina straniera c'è chi considera il delitto in parola come una sottospecie della violenza privata. La privazione della libertà può essere effettuata nei modi più svariati: non solo con la violenza e la minaccia, ma anche con l'inganno. La dottrina suole distinguere i mezzi con cui il sequestro può effettuarsi in diretti e indiretti, a seconda che la perdita della libertà sia o meno una conseguenza immediata della condotta del colpevole. La condotta può essere sia attiva che omissiva. Per la realizzazione del delitto in parola è necessario che la perdita della libertà si protragga per un certo periodo di tempo di un certo rilievo. Il sequestro di persona è reato necessariamente permanente. Soggetto passivo del reato può essere anche chi si trovi già in stato di parziale privazione della libertà, qualora venga ulteriormente limitata la sfera di movimento a lui consentita. Il delitto si consuma nel tempo e nel luogo in cui si verifica la privazione della libertà personale nel senso sopra indicato. Non è discussa l'ammissibilità del tentativo.
L'elemento soggettivo consiste nella coscienza e volontà di privare taluno della libertà personale, senza averne l'autorizzazione. Non occorre alcun fine speciale. La considerazione dello scopo in vista del quale il soggetto ha agito, assume importanza, potendo determinare il passaggio da questa ad altre figure delittuose. Particolare interesse, in relazione a questo delitto, presenta la questione della rilevanza o meno del consenso dell'offeso quale causa di giustificazione. Il consenso deve ritenersi efficace quando abbia per oggetto una limitazione soltanto circoscritta e secondaria del bene della libertà. Esso, pertanto, deve ritenersi invalido allorché si verifica la totale soppressione della libertà, ovvero una menomazione così grave da diminuire notevolmente la funzione sociale dell'individuo, come pure nei casi in cui gli atti di consenso siano, comunque, contrari alla legge, al buon costume o all'ordine pubblico.
Il delitto è aggravato se il fatto è commesso:
in danno di un ascendente, di un discendente o del coniuge;
da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni;
da persona già sottoposta con provvedimento definitivo a misura di prevenzione.
Gli art. 606, 607, 608 e 609 prevedono un gruppo di reati che sono caratterizzati dalla qualità di pubblico ufficiale nel soggetto attivo. Essi, con i loro comportamenti in violazione dei doveri inerenti a pubbliche funzioni ledono anche un interesse della Pubblica Amministrazione e ciò spiega come siano in ogni caso perseguibili d'ufficio.
ARRESTO ILLEGALE (art. 606). Risponde di questo delitto "il pubblico ufficiale che procede ad un arresto, abusando dei poteri inerenti alle loro funzioni". Ciò che differenzia il reato in esame dal sequestro di persona è che nell'arresto illegale il pubblico ufficiale agisce con intenzione di mettere l'arrestato a disposizione dell'autorità competente, mentre ciò non si verifica in caso di sequestro aggravato. Nell'arresto anzidetto si ha, insomma, un'azione delittuosa sotto la parvenza della legalità, parvenza che non si riscontra nel sequestro di persona. La condotta importa un arresto effettuato con abuso di potere da parte del pubblico ufficiale. Il reato si consuma nel momento in cui si verifica la privazione della libertà. Quanto al dolo richiesto per questo delitto, va posto in rilievo che la consapevolezza di costituire un arresto illegale ne costituisce elemento essenziale.
INDEBITA LIMITAZIONE DI LIBERTA' PERSONALE (art. 607). Questa figura comprende tre ipotesi distinte:
il fatto del pubblico ufficiale che, essendo preposto o addetto a un carcere giudiziario o ad uno stabilimento destinato all'esecuzione di pena o di una misura di sicurezza, vi riceve taluno senza un ordine dell'Autorità competente;
il fatto del pubblico ufficiale che non obbedisce all'ordine di liberazione dato dall'Autorità competente;
il fatto del pubblico ufficiale che indebitamente protrae l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza.
La disposizione non è applicabile ai fatti commessi in stabilimenti diversi da quelli indicati. Sono da considerare pubblici ufficiali preposti ad un carcere giudiziario o ad uno stabilimento di cura, il direttore, il vicedirettore, ed il reggente; mentre sono addetti i funzionari di segreteria e ragioneria, i medici, i cappellani, gli insegnanti, i dirigenti e gli assistenti tecnici. L'azione, rispettivamente in ciascuna delle tre ipotesi contemplate nell'articolo in esame, consiste nell'ammettere taluno nelle carceri e negli stabilimenti anzidetti senza un ordine dell'Autorità, oppure nella disobbedienza all'ordine di liberazione, oppure, infine, nell'illegittimo ritardo frapposto alla liberazione. Nella prima ipotesi il delitto è di azione ed istantaneo; nelle altre due è omissivo e permanente. Secondo le regole generali, il dolo è escluso dall'errore circa i doveri del proprio ufficio. Poiché le singole fattispecie sono previste alternativamente come possibili forme di realizzazione di un'unica figura criminosa, se in un caso concreto esse vengano poste in essere congiuntamente, riteniamo che non vi sia concorso di reati.
ABUSO DI AUTORITA' CONTRO ARRESTATI O DETENUTI (art. 608). Viene incriminato il fatto del pubblico ufficiale che "sottopone a misura di rigore non consentite dalla legge una persona arrestata o detenuta, di cui egli abbia la custodia, anche temporanea, o che sia a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell'Autorità competente". Soggetto attivo del delitto può essere anche il privato che procede all'arresto in flagranza di reato ai sensi dell'art. 383 c.p.c., poiché, in virtù del criterio funzionale adottato dal nostro diritto, egli assume la veste di pubblico ufficiale. La condotta, positiva o negativa, consiste nel sottoporre a misure di rigore non consentite dalla legge le persone arrestate o detenute, in modo da modificare in peggio lo stato di limitazione della libertà personale a cui dette persone sono già sottoposte. Il delitto, che è eventualmente permanente, si consuma nel momento in cui vengono inflitte le misure di rigore non consentite dalla legge. L'esistenza del dolo postula la consapevolezza dell'illiceità delle misure adottate nei confronti del soggetto passivo.
PERQUISIZIONE ED ISPEZIONI PERSONALI ARBITRARIE (art. 609). Viene punito il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, esegue una perquisizione o una ispezione personale. Essenziale all'esistenza del reato è che il pubblico ufficiale agisca abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, il che si verifica tanto nel caso di incompetenza assoluta, che in quello di inosservanza delle formalità prescritte dalla legge, come nel caso delle perquisizioni personali eseguite non a norma dell'art. 352 c.p.p.
La perquisizione personale consiste nel sottoporre il paziente a investigazioni sul corpo e nella sfera di custodia del corpo stesso (vestiti) al fina di accertare se vi si nascondano determinati oggetti ed impossessarsene. L'ispezione personale è invece eseguita per compiere sulla persona dati rilievi (accertare la presenza di una cicatrice). Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui il pubblico ufficiale inizia la perquisizione o l'ispezione, ovvero costringe o induce la persona ad obbedirgli. Come nelle tre figure incriminatrici precedenti, il dolo è escluso se l'agente non ha la consapevolezza di abusare dei poteri inerenti alle proprie funzioni.
RIDUZIONE IN SCHIAVITU' E PLAGIO. Per l'art. 600 viene punito chiunque riduce una persona in schiavitù , o in una condizione analoga alla schiavitù. Con l'abrogato art. 603, d'altra parte, era punito a titolo di plagio colui che avesse sottoposto una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione. Per schiavitù, ai sensi della convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926, si intende lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o alcuni di essi. Condizioni analoghe alla schiavitù sarebbero tutte quelle nelle quali una persona si trova in potestà di un'altra in conseguenza d'un rapporto di servizio. Si tratterebbe insomma del lavoro forzato o altrimenti obbligatorio.
Il consenso dell'offeso non giustifica il fatto, essendo lo stato di libertà un diritto di cui il titolare non può disporre fino al punto di permetterne la completa soppressione. Per quanto disposto dall'art. 604 il fatto preveduto dall'art. 600 è punibile altresì quando sia commesso all'estero in danno di cittadini italiani.
TRATTA, COMMERCIO, ALIENAZIONE E AQUISTO DI SCHIAVI. L'art. 601 incrimina il fatto di "chiunque commette tratta o comunque fa commercio di schiavi o di persone in condizione analoga alla schiavitù", mentre l'art. 602 punisce "chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, aliena o cede una persona che si trova in stato di schiavitù, o nella condizione predetta". A norma della convenzione di Ginevra del 1926 "la tratta degli schiavi comprende ogni atto di cattura, acquisto o cessione di un individuo per ridurlo in schiavitù; ogni atto di acquisto di uno schiavo per venderlo o scambiarlo; ogni atto di cessione per vendita o scambio d'uno schiavo acquistato per essere venduto o scambiato, come pure in genere, ogni atto di commercio o di trasporto di schiavi". Questi due reati sono punibili anche quando siano commessi all'estero in danno di cittadini italiani.
Tutta la materia già appartenenti ai reati contro la libertà sessuale è stata rielaborata dalla legge 15 febbraio 1996, n. 66 e inserita nella sezione dei delitti contro la libertà personale in oggetto.
VIOLENZA SESSUALE. L'art. 609 bis prende in considerazione il fatto di chi "con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali". Il secondo comma dell'articolo pone sullo stesso piano "chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona".
Per meglio intendere i contenuti delle ipotesi suddette occorre aver presente la disciplina degli abrogati articoli 519 e 521. In questi articoli venivano introdotte distinzioni come quella tra congiunzione carnale e atti di libidine, che avevano provocato non lievi divergenze in dottrina su una serie di concetti: significato di congiunzione carnale e suoi limiti; natura dell'atto; linea di confine con le condotte libidinose diverse dal coito e tra libidine e non libidine. Nell'intenzione del legislatore più recente tali difficoltà devono intendersi superate poiché la violenza o l'induzione hanno oggi per oggetto l'ampia nozione di atto sessuale, inteso come ogni manifestazione dell'istinto sessuale espressa in tutte le forme in cui può estrinsecarsi la libidine.
La tipologia delle condotte rilevanti considera anzitutto gli atti sessuali imposti con violenza o minaccia. La costrizione può essere quindi tanto fisica quanto psichica. Non è richiesto che la minaccia o la violenza siano di particolare intensità; basta che siano idonee a vincere, nel caso concreto, la resistenza della vittima. La vis sopravvenuta dopo la dedizione spontanea di uno dei soggetti non basta a concretare il delitto, come nel caso di sevizie inflitte per sadica perversione, sevizie che tuttavia possono dar luogo a responsabilità per reati diversi. È ormai residuo storico l'assunto che non sarebbe illegittima la violenza tra coniugi per indurre all'adempimento del debito coniugale: anch'essa per certo è "contra legem" e può dar luogo al delitto in esame. Per l'integrazione del reato rileva altresì l'abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica dell'offeso. Tali condizioni non hanno più riguardo ai minori per i quali opera l'art. 609 quater. Come in passato analoga rilevanza viene attribuita alla induzione in errore mediante inganno. Così tra i soggetti per i quali si fa luogo a trattamento uguale a quello degli atti commessi con violenza o minaccia vanno annoverate le persone offese tratte in inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nulla si oppone alla configurabilità del tentativo e il momento consumativo si colloca nel tempo e nel luogo dell'atto sessuale.
Basta al dolo la coscienza e la volontà della violenza, minaccia e abuso con la coscienza della natura sessuale dell'atto e, nella ipotesi del capoverso, delle condizioni dei inferiorità fisica o psichica o dell'induzione in inganno della persona offesa.
L'art. 609 ter contempla circostanze aggravanti se i fatti sono commessi:
nei confronti di persona che non abbia compiuto gli anni quattordici;
con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;
da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;
su persona comunque sottoposta a limitazione della libertà personale;
nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore.
Infine, ma con un maggiore inasprimento della sanzione: nei confronti di persona che non abbia compiuto gli anni dieci.
ATTI SESSUALI CON MINORENNE. L'art 609 quater incrimina chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell'art. 609 bis, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto:
non ha compiuto gli anni quattordici;
non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo relazione di convivenza.
Il secondo comma dell'art. dichiara non punibile "il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 609 bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i due soggetti non è superiore a tre anni". È necessario sottolineare che avendo l'art. 609 sexies escluso, come già avveniva con l'abrogato art. 539, la possibilità per il colpevole di invocare a propria scusa, per il fatto commesso nei confronti del minore degli anni quattordici, l'ignoranza dell'età dell'offeso, resta nell'ordinamento questa presunzione dettata, in deroga alla disciplina di cui all'art. 47 del codice, dalla necessità di impedire elusioni alla responsabilità di fatti così gravi.
CORRUZIONE DI MINORENNE. L'art. 609 quinquies incrimina chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore degli anni quattordici, al fine di farla assistere. La sfera di azione di questo reato risulta assai limitata rispetto all'abrogato art. 530 del codice poiché larga parte dei contenuti di quest'ultimo appare trasferita negli art. 609 bis e 609 quater. L'agire in presenza, come in passato, ha riguardo a persona cosciente, poiché chi si trovi in condizioni di incoscienza, per qualsiasi motivo non può dirsi presente. In passato si erano prospettati dubbi in relazione al soggetto dormiente, in considerazione della possibilità che egli si destasse.
VIOLENZA SESSUALE DI GRUPPO. l'art. 609 septies contempla una figura di reato del tutto nuova ed introdotta dalla legge 15 febbraio 1996 n. 66; esso reca: "La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis". Alla consumazione del reato basta anche un solo atto se commesso in presenza e in funzione del gruppo. Il dolo consiste nella coscienza e volontà di realizzare la violenza sessuale col concorso e la presenza di altri partecipanti. La circostanze aggravanti sono quelle stesse previste all'art. 609 ter. Sono circostanze attenuanti:
la minima partecipazione nella preparazione ed esecuzione del reato, rilevando per altro difficoltà di concepire una partecipazione nella sola preparazione del reato, postochè il partecipante deve comunque essere presente alla violenza;
l'essere stata determinata a commettere il delitto persona soggetta all'altrui autorità, direzione o vigilanza, o comunque che sia soggetta alla potestà dei genitori, quando l'istigatore sia chi esercita tali forme di potere sul partecipante.
Esaminate le singole fattispecie criminose, è necessario illustrare alcune disposizioni che ad esse sono comuni e che nel codice figurano negli art. 609 sexies, septies, nonies e decies.
Per l'art. 609 sexies, quando i delitti previsti negli art. 609 ter, quater e octies sono commessi a danno di un minore degli anni quattordici e nel caso del delitto di cui all'art. 609 quinquies, il colpevole non può invocare a propria scusa l'ignoranza dell'età dell'offeso.
I delitti di cui agli art. 609 bis, ter, quater sono di regola perseguibili a querela di parte. La ratio di questa regolamentazione è evidente. L'esercizio dell'azione penale, mettendo in luce fatti che toccano la vita intima delle persone e che spesso sono rimasti poco noti o addirittura ignorati, può recare più danno che vantaggio alle vittime per la pubblicità che ne deriva: da qui la convenienza di lasciare alle persone stesse la facoltà di evitare il procedimento.
Il legislatore ha peraltro ravvisato la necessità di stabilire, in deroga alle regole generali, che la querela, una volta proposta, è irrevocabile (art. 609 septies comma 3). Quando la persona offesa muore prima che la querela sia stata proposta o se si tratta di offesa alla memoria di un defunto, il diritto di querela spetta ai prossimi congiunti, l'adottante e l'adottato.
Alla regola della perseguibilità a querela di parte la legge fa alcune importanti eccezioni, disponendo che si procede d'ufficio (art. 609 septies): se il fatto di cui all'art. 609 bis è commesso nei confronti di persona che al momento del fatto non ha compiuto gli anni quattordici; se il fatto è commesso dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore, ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia; se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni; se il fatto è commesso con altro delitto per il quale si debba procedere d'ufficio; infine si afferma che la procedibilità d'ufficio se il fatto è commesso nell'ipotesi di cui all'art. 609 quater, ultimo comma, cioè se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci.
L'art. 609 nonies del codice sancisce due norme speciali in ordine alle pene accessorie e agli altri effetti penali della condanna. Sono le seguenti: la condanna per alcun tipo dei delitti previsti dagli art. 609 bis, ter, quater, quinquies e octies importa la perdita della potestà dei genitori, quando la qualità di genitore, è elemento costitutivo del reato commesso, nonché l'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela o curatela; importa altresì la perdita del diritto agli alimenti e dei diritti successori vero la persona offesa.
L'art. 609 decies stabilisce obblighi di comunicazione al Tribunale dei minorenni e detta norme per l'assistenza effettiva e psicologica a questi ultimi.
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