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Rappresentanza e voto negli istituti religiosi




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Rappresentanza e voto negli istituti religiosi


L'ELEZIONE

Per elezione si intende il procedimento tecnico che consente alla società civile di darsi una rappresentanza politica. L'elezione avviene quindi dal basso, è l'elettorato chiamato alle urne l'unico signore ed arbitro del proprio destino. Nell'universo canonistico, la parola electio rimanda direttamente alla scelta che Dio opera nella storia individuando il suo popolo e, chi, tra gli uomini, è destinato ad entrare nel regno dei salvati. È dunque alla volontà di Dio che si deve ricondurre la chiamata elettiva. La Chiesa dei primi secoli non sente l'esigenza di regolamentare la scelta della propria classe dirigente, perché la testimonianza è così forte che le persone di maggior carisma emergono naturalmente. Da V-VI secolo il valore del termine elezione comincia a mutare e per elezione comincia ad intendersi il complesso dei procedimenti in grado di regolare in modo ordinato e equo la scelta degli ordinati in Sacris e dei Vescovi. Nelle elezioni canoniche rileva il giudizio dato dalla Fede e non la lotta per l'accaparramento del consenso. Nel tempo delle origini, il termine electio può essere meglio reso con la parola "scelta" che con il vocabolo "elezione". Secondo la tradizione apostolica delle origini, il diritto della comunità di eleggere il suo Vescovo, affonderebbe le sue radici nel Vecchio Testamento. I modi e i procedimenti circa l'elezione dei Vescovi sono, per la Chiesa delle origini, ispirati da una pratica costante delle comunità cui non è affatto estranea l'opera di Dio che spesso interviene direttamente nel processo di nomina esplicitando con segni evidenti, la propria volontà. Ciononostante, il riferimento dei Concilii alla prassi tradizionale onde i Vescovi vengono eletti dal clero e dal popolo non viene mai meno. Nei secoli successivi la nomina dei Vescovi diventa una sorta di beneficio conferito al re. Nonostante questo, rimane sempre viva, quantomeno sul terreno formale, la linea tradizionale della Chiesa secondo la quale il clero e il popolo sono da sempre i soggetti attivi nell'elezione vescovile, soprattutto per contrastare la pretesa di re e feudatari di accaparrarsi l'elezione vescovile. A questa dottrina e a questa prassi si rifanno i pontefici, che riconoscono la titolarità che spetta al clero e al popolo, ma che cominciano a riservarsi il diritto di consacrare personalmente l'eletto. Siamo nel quadro della lotte delle investiture, dalla quale uscirà vincitrice la Chiesa con una nuova concezione gerarchica fortemente accentrata intorno al pontefice.

LE PIEVI

Le Pievi venivano fondate da preti missionari che agivano in gruppo nella diffusione del verbo di Dio e che si ponevano a capo di queste nuove comunità, da loro stessi battezzate. Queste nuove ecclesiae, nel caso vi fosse già una diocesi sul territori nel quale erano situate, ne entravano a far parte. A capo di queste unità di Fede c'era l'archipresbyter affiancato da chierici. Le Pievi avevano un ruolo importante sia dal punto di vista spirituale, sia sociale, e addirittura militare. La Pieve negli anni assume la configurazione di una istituzione sempre più autonoma, seppur sempre sottoposta all'autorità del Vescovo. Ciò che è interessante sottolineare è il vincolo che lega la comunità locale al proprio clero, vincolo determinante per la scelta dell'archipresbyter. Fondamentale, in questa prospettiva, rimane l'istituto dell'Incolato, per il quale i ministri di culto ordinati presso una certa Chiesa, avevano il diritto-dovere di non abbandonarla senza giusto motivo. L'incolato facilita dunque la formazione di un clero pievano, entro il cui ambito viene scelto l'arciprete. Al Capitolo, vero e proprio organo collegiale che raccoglie i chierici intorno all'archipresbyter per discutere e deliberare le questioni più importanti, spettano diversi poteri: il diritto di dettare le norme di convivenza e di governo della Pieve; la potestà di individuare e reprimere le condotte devianti; la facoltà, indipendentemente dalla volontà del Vescovo, di governare i propri beni posseduti a titolo originario. L'autonomia delle Pievi nei confronti della sede episcopale si evince soprattutto dalla scelta dell'archipresbyter, che non viene nominato dal Vescovo, ma eletto direttamente dai membri del clero locale con la partecipazione del popolo. Vi è, nella Chiesa dei primi secoli, una tendenza ad uniformare i modi di designazione delle guide: così i Vescovi vengono eletti tra gli ordinati in Sacris della diocesi con la partecipazione del clero e del popolo, Allo stesso modo vengono scelti i responsabili delle Pievi. Questa situazione rimarrà inalterata sino alla fine dell'VIII secolo, quando si manifesta la tendenza, da parte delle autorità secolari, ad avere in concessione dai Vescovi le Pievi e i relativi patrimoni. L'autorità sulle comunità rurali comincia a fondarsi non più sulla volontà del clero e del popolo della Pieve, ma su un titolo rilasciato dal Vescovo. Le Pievi vengono ridotte a un insieme di beni appartenenti al Vescovo a puro titolo patrimoniale, e come tali sono date in concessione sia a laici che a ecclesiastici.

IL VESCOVO ROMANO - L'ELEZIONE DEL PAPA

Sin dal suo primo sorgere la Chiesa tende a riconoscere primato al Vescovo di Roma sulle altre comunità, chiamandolo a dirimere importanti questioni sorte in altre Chiese. A pieno titolo, il clero e il popolo di Roma concorrono a eleggere il proprio Vescovo che è, al contempo, anche capo della Chiesa universale in quanto successore di Pietro. Il Sinodo romano del 499, pur riconoscendo il ruolo della comunità nella scelta del suo pastore, afferma che di essa è investito soprattutto il ceto sacerdotale. Roma, in mancanza di una disciplina che regoli l'elezione del Pontefice, si trasforma in un campo di battaglia, dove clero e popolo vengono utilizzati da fazioni contrapposte che si disputano in campo aperto la nomina del Papa. Di qui nasce la consapevolezza della Chiesa di dover riacquistare la titolarità esclusiva e piena di designazione del successore di Pietro, conferendone il potere a un collegio elettorale chiuso, che incarni in modo rappresentativo il prestigio della Chiesa di Roma. Il Decreto di Niccolò II del 1059, segna l'espulsione definitiva del clero e del popolo dal processo di elezione del Papa. In questa Chiesa universale, non può sfuggire l'importanza che il gradimento dell'imperatore circa il candidato al pontificato rappresenta. Diritto di elettorato attivo riservato ai Cardinali-Vescovi da un lato, e circoscritto al gradimento dell'autorità secolare verso il futuro Vescovo di Roma dall'altro, sono due facce della stessa medaglia.

LE ELEZIONI NEI CANONI CONTENUTI NEL DECRETUM E NEI SUCCESSIVI AUTORI

Nel Decretum, opera di Graziano, sono raccolti canoni conciliari e testi pontifici di provenienze ed età diverse, che sottolineano i problemi relativi alle elezioni. Vi sono tre livelli in cui si situa il discorso sulle elezioni: la scelta del Pontefice, quella dei Vescovi, e quella degli arcipreti nelle Pievi. Per quanto riguarda il modo di eleggere il Pontefice, che prevede l'intervento dell'imperatore o dei suoi legati, esso risente di una situazione complessa, nella quale le concessioni fatte da Adriano II a Carlo Magno avevano il fine di evitare pericoli di scisma o di rotture dell'unità della Fede cristiana. Una volta stabilito che l'elezione del Pontefice spetta unicamente alla Chiesa bisogna stabilire a chi spetta l'elettorato attivo. Graziano designa per questo un collegio allargato, che non prende in considerazione i soli Cardinali, ma che elimina definitivamente la componente laica dalla scelta del Papa. Non è più richiesto il consenso del popolo. Diversa è la situazione per quanto riguarda l'elezione dell'arciprete nelle Pievi. In questo contesto la presenza del popolo è troppo forte perché questo possa essere estromesso dalla scelta della propria guida. Di lì a poco il modello pievano conoscerà il suo tramonto. Per il momento le elezioni, nel Decretum, cominciano in concreto a essere riservate a dei collegi elettorali che iniziano a delinearsi.

Nella elaborazione dei decretisti il momento elettorale si smembra in più fasi tra loro distinte. Nell'opera di Ruffino le fasi per l'elezione del Vescovo sono cinque. Nella Summa Coloniensis non solo non compare necessaria all'elezione la componente laica, ma si comincia a porre il problema se il Vescovo possa essere eletto validamente non da tutti i chierici, ma solo da quelli appartenenti al Capitolo cattedrale. Si sottolinea che la procedura elettorale non può durare troppo a lungo, perché il seggio vescovile non può rimanere vacante per più di tre mesi. Nella Summa decretorum di Uguccio è prevista una prima fase nella quale, eletto dai chierici della diocesi, si instaurerebbe una sorta di matrimonio rato tra Chiesa locale e Vescovo; e una seconda fase nella quale, intervenuta la conferma dell'elezione da parte della superiore gerarchia, il rapporto tra Chiesa e Vescovo si consolida sino a divenire una sorta di matrimonio indissolubile. All'autorità gerarchica spetta il compito di ratificare una elezione che altrimenti sarebbe destinata a rimanere non perfetta. Al Vescovo, per Uguccio, spetta il compito di amministrare i beni della Chiesa.

L'autonomia delle Chiese locali comincia a declinare e sull'orizzonte si staglia la figura del Pontefice che è il solo Capo, il quale non ammette compagno, al quale i Vescovi devono soggezione e obbedienza.

La parabola che porta dell'elezione dei Vescovi alla loro designazione per mano del Romano Pontefice, giunge a compimento del Liber Sextus di Bonifacio VIII. A questo risultato si perviene in maniera progressiva, attestando prima di tutto una competenza in via esclusiva al Vescovo di Roma nel dirimere i conflitti che possono sorgere nelle diocesi in seguito ad elezione non regolari del Vescovo, o di elezione di persona non degna. Il Liber Sextus si spinge più in là delle statuizioni dei Concilii. Innanzitutto, i controlli sulle elezioni si fanno più stringenti di quanto non fossero già nelle Decretali; ma, soprattutto, il momento della conferma dell'elezione da parte della Santa Sede non si sostanzia in una mera ricognizione delle facoltà che l'eletto deve possedere, come avveniva nelle Decretali, ma la conferma papale si eleva a vera e propria condizione di efficacia dell'avvenuta elezione. Inoltre l'eletto deve dare la conferma sull'accettazione o meno della carica entro un termine perentorio. Il processo è ormai compiuto, il Pontefice controlla capillarmente la vita di ogni comunità locale, e soprattutto ne designa la guida.


IL DECLINO DELLE PIEVI

In un processo di accentramento anche la Pieve avrebbe finito col cedere il passo a modelli organizzativi meno autonomi, le Parrocchie. Già nel Decretum è possibile trovare traccia dell'affermazione delle Cappelle, sino a questo momento sottoposte alla giurisdizione della Pieve, come autonomi centri di organizzazione ecclesiastica. Esse acquistano via via propri diritti, aprendo così la strada alla nascita delle Parrocchie destinate a soppiantare le Pievi. Via via viene meno nell'elezione del pievano, l'intervento del popolo e del clero incardinato alla comunità; inoltre vi è un progressivo sfaldamento delle Pievi dovuto al fatto che esse erano date in concessione anche a signori laici che non si opponevano alla pretesa di autonomia delle Cappelle che formavano la Pieve e che sarebbero poi divenute Parrocchie. In questa prospettiva la vita comune del clero pievano si affievolisce, dal momento che i canonici andavano a risiedere nella Cappella che gli offriva il maggior beneficio. L'autorità spirituale dell'arciprete svanisce sempre più per lasciare il posto al capo del collegio canonicale. Dissolto lo spirito comunitario, che dell'istituzione plebana era stato l'anima, anche la sopravvivenza della Pieve diventa difficoltosa. L'immagine di una Chiesa fortemente accentrata intorno alla propria gerarchia comincia così a delinearsi con grande evidenza anche nelle sue strutture periferiche: sarà questa la linea di tendenza che sancirà la sconfitta delle autonomie locali che attraverso le Pievi avevano raggiunto il grado più alto del loro sviluppo. Così come il governo della Chiesa universale ruota attorno al Pontefice, la vita della Chiesa locale ruota attorno alla figura del Vescovo.

IL VESCOVO

I Vescovi finiscono con l'incarnare non più una vocazione carismatica che si esprime in seno alle diocesi attraverso un'elezione, ma un principio di autorità posto dall'esterno, di concerto tra autorità religiosa e autorità secolare. Rischia di prevale così più la dimensione burocratico-gestionale dell'edificio cristiano che non la ragione apostolica in tutta la sua pienezza. Ciò trova riscontro nella codificazione del 1917 dove è sancito che solo il Romano Pontefice può nominare i Vescovi e se ciò è svolto da un'altra persona , questa deve esser stata autorizzata dalla Sede Apostolica. La figura del Vescovo rischia di diventare quella di semplice mandatario del Papa.


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