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Presupposti oggettivi della giurisdizionalizzazione.
Risolta, ormai da tempo e con esito positivo, la questione attinente al <<se>> giurisdizionalizzare la fase esecutiva delle pene detentive, occorre ora spostare l'attenzione sul <<come>> l'esecuzione debba essere giurisdizionalizzata
L'attività giurisdizionale, com'è noto, trova la sua funzione più qualificante nel dichiarare il diritto - ius dicere - rispetto ai rapporti tra loro contrastanti e in relazione ai casi in cui occorre reintegrare l'ordine giuridico violato . L'intervento del giudice, pertanto, acquista rilevanza nel momento in cui diventa garante del corretto esercizio del potere decisionale, nelle materie di particolare interesse pubblico.
Tuttavia, attribuire ad un giudice precostituito per legge, indipendente ed imparziale, specifiche funzioni nell'ambito della fase esecutiva della pena, garantisce, sì, l'esistenza dei requisiti soggettivi della giurisdizione, ma non ne assicura la completezza . Giurisdizionalizzare non significa solo attribuire ad un giudice la competenza di decidere in merito a questioni di particolare rilevanza, ma anche predisporre, per tali decisioni, dei procedimenti che siano rispettosi dei principi fondamentali del giudizio, sanciti nella Carta costituzionale e nelle altre leggi dello Stato.
Seguendo, infatti, le indicazioni date dalla Costituzione, rispetto ai requisiti minimi della giurisdizionalizzazione, si deve assicurare l'esistenza di tutta una serie di garanzie indefettibili, non solo di natura soggettiva, ma anche di carattere oggettivo come, ad esempio, l'inviolabilità della difesa non solo tecnica ma anche personale, nonché la motivazione della decisione finale e la sua impugnabilità per Cassazione. Ovviamente, alla sussistenza delle garanzie soggettive ed oggettive, deve necessariamente far seguito la predisposizione di una struttura procedimentale che tenga conto delle peculiarità della cosa giudicata.
Nella verifica dell'affidabilità dell'esecuzione penale anche dal punto di vista giurisdizionale , emerge, ad esempio, in relazione al procedimento per reclamo ex art. 14-ter ord. penit., che i tempi riconosciuti al giudice per la deliberazione del provvedimento sono troppo brevi: sicuramente sono giustificati dalle esigenze di celerità sottese alla natura dell'oggetto del procedimento, tuttavia, non è garantito un adeguato espletamento delle attività preliminari, manca la vocatio in jus e diventa impossibile osservare il termine dilatorio stabilito per la comunicazione dell'avviso (art. 666 comma 3 c.p.p.).
Venendo, invece, al principio del contraddittorio di cui all'art. 11 Cost. e, più in generale, al fondamentale diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento riconosciuto dall'art. 24 Cost., occorre rilevarne la scarsa tutela. L'art. 678 c.p.p. disciplina il procedimento di sorveglianza operando un rinvio all'art. 666 c.p.p., relativo al procedimento d'esecuzione: tale articolo ha previsto la partecipazione necessaria del magistrato del pubblico ministero e del difensore, in modo tale da garantire la sussistenza del, cosiddetto, contraddittorio tecnico. Contrariamente, l'intervento in udienza dell'interessato non è stato ritenuto essenziale: egli, infatti, può essere ascoltato, solo se ne fa espressamente richiesta, giacché si ritiene che la presentazione delle memorie scritte sia sufficiente ad illustrarne la posizione.
Infine, si sottolinea la non ricorribilità in cassazione di alcuni provvedimenti emanati dalla magistratura di sorveglianza, come quelli relativi alla concessione o al diniego dei permessi, emanati a norma degli artt. 30, 30-bis e 30-ter ord. penit. La Cassazione ha, più volte, dichiarato che tali provvedimenti, essendo attinenti al diritto penitenziario, non sono annoverabili tra quelli in tema di libertà personale: pertanto, non ne è ammesso il vaglio da parte del giudice di legittimità[6]. Tali considerazioni seguono l'intervento della Corte Costituzionale la quale si è pronunciata, con la sentenza n. 53 del 1993, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 236 comma 2, disp. att. c.p.p. e degli artt. 14-ter commi 1, 2 e 3 e 30-bis ord. penit. nella parte in cui non consentono l'applicazione degli artt. 666 e 678 c.p.p. nel procedimento di reclamo avverso il decreto del magistrato di sorveglianza . Da tale pronuncia si evince che il procedimento di sorveglianza, così come delineato dalle norme di diritto penitenziario, non presupponeva adeguate garanzie oggettive di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei reclusi; in effetti, il legislatore, attraverso il nuovo codice di procedura penale emanato nel 1988, ha delineato un procedimento di sorveglianza unico cercando di trasferire in esso tutte le garanzie processuali che sono già state sancite per il giudizio di cognizione, nel rispetto, ovviamente delle caratteristiche precipue del procedimento di sorveglianza
Cfr. GAITO, Esecuzione e giurisdizione, in Riv. Dir. Proc. 1992, pag. 606 e ss.; nonché MARGHERITELLI, I requisiti minimi della giurisdizionalità nell'esecuzione penale, in Giur. Cost., 1993, pag. 361 e ss.
Impropriamente si parlerebbe di giurisdizionalizzazione di un'attività decisionale per l'attribuzione di essa alla competenza del giudice. In dottrina si sono chiesti se è chiesti se quando ciò accade, non si realizzi un'amministrazione del giudice più che una giurisdizionalizzazione dell'attività. In tal senso GIOSTRA, Tre settori da differenziare nei rapporti tra giurisdizione ed esecuzione penale, in Riv. Ita. Dir. Proc. Pen., 1981, pag. 1348 e ss.
Ciò è auspicabile che avvenga anche in sede esecutiva, affinché i diritti e gli interessi dei reclusi, sanciti sul piano sostanziale, possano trovare un'adeguata tutela processuale.
Posto che, garantita l'esistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi della giurisdizione, la giurisdizionalità può essere realizzata a diversi livelli In tal senso, GAITO, Esecuzione penale e giurisdizione, in Riv. Dir. proc. 1992, pag. 606.
Vedi Cass. 12-8-1988, CP, 1989, pag. 1327 e Cass. 18-3-1987, CP, 1987, pag. 1459. Così DELLA CASA, Magistratura di sorveglianza, in Dig. Disc. Pen., vol. VII, pag. 505.
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