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E' notazione comune che lo svolgimento del procedimento penale, intendendosi con tale espressione la vicenda che prende avvio con l'iscrizione della notitia criminis nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. e termina con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, richiede di regola, un periodo di tempo più o meno ampio durante il quale possono verificarsi eventi o determinarsi situazioni suscettibili di pregiudicare l'accertamento dei fatti ovvero di vanificare l'attuazione della sentenza di condanna. A tali circostanze deve inoltre aggiungersi il pericolo che durante il tempo necessario allo svolgimento del procedimento la persona sottoposta alle indagini o imputata commetta ulteriori reati (si parla comunemente, per indicare in modo riassuntivo tali fatti e circostanze, di pericula libertatis)[1]
Il periodo di tempo più o meno ampio è dovuto sia alla complessità dei fatti da accertare, accertamento che deve avvenire nel rispetto del principio del contraddittorio ex art. 111, 4° comma Cost., sia alle forme e alle garanzie da rispettare per assicurare il pieno ed effettivo rispetto del diritto di difesa, sia alla possibilità di impugnare le decisioni emesse in primo grado o in grado di appello.
Al fine di neutralizzare i suddetti pericoli, e dunque al fine di assicurare l'effettività della giurisdizione penale, la legge attribuisce al giudice il potere di adottare, in presenza di determinate condizioni, un apposito procedimento che trae impulso dalla richiesta del pubblico ministero, quei provvedimenti provvisori ed immediatamente esecutivi costituiti dalle misure cautelari disciplinate nel libro IV del c.p.p..
Il procedimento cautelare è pertanto definibile come il procedimento che ha per oggetto la restrizione della libertà personale, o della liberà patrimoniale, della persona sottoposta alle indagini mediante provvedimenti finalizzati alla realizzazione di uno specifico interesse di giustizia: quello di impedire che il decorso del tempo normalmente necessario allo svolgimento del processo, possa pregiudicare la realizzazione degli scopi connessi ad un efficace esercizio della funzione giurisdizionale.
Le caratteristiche principali delle misure cautelari sono tradizionalmente individuate nella provvisorietà e nella strumentalità.
La provvisorietà implica che l'efficacia del provvedimento impositivo di una misura cautelare è condizionata dall'esito del procedimento principale: si pensi a quanto dispone l'art. 300, 1° comma c.p.p. secondo cui "le misure disposte in relazione ad un determinato fatto perdono immediatamente efficacia quando, per tale fatto e nei confronti della medesima persona, è disposta l'archiviazione, ovvero è pronunciata sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento"; in altri termini i provvedimenti cautelari non condizionano la decisione che definisce il processo, ma sono condizionati da quest'ultima.
La strumentalità comporta che le misure cautelari non sono mai fine a se stesse, ma sono finalizzate ad impedire, mediante la neutralizzazione dei pericula libertatis sopra richiamati, che il tempo necessario per lo svolgimento del rito possa pregiudicare l'effettivo conseguimento degli scopi ai quali il processo è preordinato (accertamento del fatto ed espiazione della pena).
E' appena il caso di ricordare che l'esigenza di assicurare l'effettività della giurisdizione non può essere perseguita incondizionatamente: i fini processuali preventivi al cui perseguimento è preordinata l'applicazione delle misure cautelari deve essere contemperata con la necessità di tutelare adeguatamente gli interessi su cui vengono ad incidere i provvedimenti emanati nell'esercizio del potere cautelare; ed è evidente che la necessità di attuare siffatto bilanciamento si pone in maniera pressante con riguardo al settore delle misure cautelari personali che per loro natura incidono sulla libertà della persona sottoposta alle indagini.
In questa prospettiva la presunzione di non colpevolezza enunciata dall'art. 27, 3° comma Cost. non si limita ad impedire l'esecuzione della pena a chi non è stato condannato con sentenza definitiva, ponendo un limite all'esercizio della potestà punitiva dello Stato, ma impone al legislatore di disciplinare la materia cautelare mediante la predisposizione di modelli e procedimenti "costruiti secondo modalità tali da ridurre quanto più possibile la limitazione della libertà personale di un imputato" che all'esito del processo non sarà assoggettato ad una pena[2].
Siffatta esigenza è stata realizzata dal legislatore vincolando il potere del giudice di adottare provvedimenti cautelari che incidono sulla libertà personale dei cittadini sottoposti ad indagine alla sussistenza di due presupposti ben precisi; i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari.
Tuttavia sarebbe irrealistico negare che la eccessiva lunghezza del processo penale ha determinato lo svuotamento del principio della prontezza della pena, e, conseguentemente, ha snaturato la funzione della custodia cautelare. Quest'ultima tende infatti a perdere la sua peculiare connotazione preventiva, per assumere una vera e propria valenza punitiva: la custodia cautelare di fatto si surroga a quella sanzione che il processo non è più in grado di applicare in tempi accettabili[3].
Il codice prevede una articolata tipologia di misure cautelari.
Come è stato puntualmente osservato in dottrina la molteplicità delle misure cautelari costituisce un aspetto qualificante di un sistema processuale ispirato ai principi del modello accusatorio "perché permette di configurare la custodia in carcere come ultima possibilità cautelare (extrema ratio) da applicarsi soltanto quando le esigenze cautelari, esistenti in concreto, non possono essere soddisfatte con nessuna delle altre misure"[4].
Non è questa la sede per procedere all'esame delle singole misure disciplinate dalla legge, esigenze di completezza della trattazione impongono tuttavia di richiamare la distinzione, vera e propria summa divisio, tra le misure personali - in quanto comportano limitazioni, più o meno incisive, alla libertà personale o alla libertà di svolgimento dei rapporti familiari e/o sociali - e quelle reali; nonché l'ulteriore partizione, nell'ambito della prima categoria, tra le misure coercitive - in quanto implicano la sottoposizione dell'indagato o dell'imputato ad una situazione di custodia di tipo detentivo - e quelle interdittive.
Gli arresti domiciliari nella misura in cui comportano per l'indagato o per l'imputato l'obbligo di non allontanarsi dalla propria abitazione o da un altro luogo di privata dimora ovvero da luogo di cura o di assistenza appartengono pertanto al genus delle misure cautelari personali e coercitive.
La trattazione relativa agli arresti domiciliari si articolerà in tre parti concernenti rispettivamente le condizioni di applicabilità, i criteri di scelta della misura ed il regime della stessa.
Esula dalla trattazione, in quanto non direttamente ed immediatamente pertinente al tema oggetto del presente lavoro, l'esame degli aspetti che riguardano il procedimento di applicazione delle misura cautelari ed i mezzi d'impugnazione esperibili avverso i provvedimenti emessi in questa materia.
Ai
fini che qui interessano è sufficiente ricordare:
a) che le misure cautelari sono disposte dal giudice che procede (giudice delle
indagini preliminari o del dibattimento a seconda della fase in cui si trova il
processo) con ordinanza motivata secondo il modello prefigurato dall'art. 292
c.p.p., su richiesta del pubblico ministero il quale deve presentare al giudice
"gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore
dell'imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate"
(art. 291, 1° comma c.p.p.);
b) che in virtù del principio della domanda, corollario della separazione tra
funzione requirente e funzione giudicante, che vieta al giudice di decidere ultra petitum, il giudice non può
applicare ex officio una misura più
afflittiva rispetto a quella richiesta dal pubblico ministero (così se il
pubblico ministero si è limitato a chiedere l'applicazione degli arresti
domiciliari il giudice non può disporre l'applicazione della custodia in
carcere);
c) che l'applicazione della misura deve essere seguita, entro i termini di cui
all'art. 294 c.p.p. la cui inosservanza comporta la caducazione del
provvedimento cautelare, dall'interrogatorio c.d. di garanzia, la cui funzione
è quella di mettere in condizione il giudice di valutare "se permangono le
condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari previste dagli articoli
273, 274 e 275 c.p.p." onde eventualmente provvedere alla revoca o alla
sostituzione della misura cautelare già disposta;
4) che avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare coercitiva, quindi anche degli arresti domiciliari, l'indagato o il suo difensore possono esperire, davanti al Tribunale che ha sede nel capoluogo del distretto comunemente chiamato Tribunale della Libertà, un particolare mezzo d'impugnazione: si tratta della "richiesta di riesame" di cui all'art. 309 c.p.p., mediante il quale l'interessato potrà censurare il provvedimento cautelare sia in punto di legittimità che di merito.
Mette conto precisare che la richiesta di riesame è stata configurata dal legislatore come un mezzo d'impugnazione a carattere pienamente devolutivo, ciò significa che il Tribunale della Libertà è dotato degli stessi poteri del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato con la conseguenza che il Tribunale può "annullare il provvedimento, riformarlo in senso favorevole all'imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso" (art. 309, 9°comma c.p.p.);
5) che avverso le decisioni emesse dal Tribunale della Libertà è esperibile, in attuazione del principio enunciato dall'art. 111, 7°comma Cost., ricorso per Cassazione ex art. 311 c.p.p..
E. Marzaduri, Accertamenti non definitivi sulla responsabilità dell'imputato ed attenuazione della presunzione di non colpevolezza, in Cass. Pen., 2000, pp. 238 ss.
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