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Nascita del sistema penitenziario
Le nostre società hanno raggiunto un altissimo grado di differenziazione rispetto alle funzioni necessarie al loro mantenimento, ed il campo della penalità è un settore specifico all'interno dell'economia di poteri amministrati dallo Stato; questo settore è costituito principalmente da tre componenti interrelate fra loro: la componente giudiziaria, che si occupa di circoscrivere attraverso la legge le azioni ritenute degne di condanna, la componente esecutiva che tramite le forze di polizia ha il compito di perseguire i trasgressori di dette leggi e la componente penitenziaria che ha il compito di seguire l'esecuzione della pena e assicurare che i condannati scontino la propria condanna.
A differenza delle società feudali, le nostre società riservano pressoché il medesimo trattamento punitivo ad autori di differenti delitti, esso infatti è prevalentemente differenziato su scala temporale in base alla gravità del delitto commesso, questo trattamento si chiama reclusione ovvero la perdita del diritto di disporre a proprio desiderio della propria libertà, intesa come autonomia individuale e facoltà di determinare la propria condotta presente e futura, tale punizione viene scontata all'interno di un circuito istituzionale specifico, il sistema penitenziario. La perdita della libertà come punizione presuppone un approccio materiale all'esistenza umana, infatti di pari passo con la natura della società capitalista dove qualsiasi aspetto della realtà è ritenuto quantificabile l'esistenza umana è ritenuta misurabile in termini quantitativi, e la perdita di libertà diventa il prezzo, la merce di scambio con cui si salda il proprio debito con la società, cedi parte della tua vita per risarcire la società di ciò che hai commesso[1].
Il meccanismo penitenziario ha acquisito una sua posizione autonoma rispetto alla molteplicità di pratiche penali, nel corso del XIX secolo.
In seguito ai dibattiti sulle pene sviluppatisi durante la Rivoluzione francese e proseguiti nel clima di dibattito culturale degli Stati Uniti affrancati dalla Corona inglese, il carcere diventa l'elemento punitivo principale delle nostre società.
Di pari passo ai cambiamenti culturali della società che dal mondo dell'Ancién Regime sfociano nella nascita del moderno mondo industrializzato modificazione del gioco delle pressioni economiche, innalzamento generale del livello di vita, forte incremento demografico, moltiplicazione delle ricchezze e proprietà e del bisogno di sicurezza che ne è conseguenza ( vedi Foucault in Sorvegliare e punire, 1975, p. 83), cambia anche l'attitudine verso la sofferenza inflitta come punizione del reo. La punizione era un veicolo esplicito della vendetta, il sovrano aveva rivalsa su chi osava sfidare la propria autorità, sfidando le proprie leggi, la punizione era dunque intesa come vendetta nuda e cruda del potere nei confronti degli oppositori[2].
A questa visione assoluta della punizione il dibattito cresciuto durante il periodo post rivoluzionario affianca un'altra versione, a fronte di una rivalsa irrazionale che annichilisce e distrugge il colpevole si sostituisce una punizione razionale che mira ad ottenere dei risultati dalla punizione inflitta, soprattutto si cerca di raggiungere un livello di pena la cui valenza sia più efficace rispetto al passato, invece della punizione spettacolare che però spesso e volentieri non era in grado di raggiungere la molteplicità di infrazioni che attraversavano il corpo sociale, si cerca di costituire una penalità meno simbolica e più generalizzata " il nuovo criterio direttivo è quello della capillarità, dell'estensione e della pervasività del controllo Pavarini e Melossi in " Carcere e fabbrica", 1982, p. 26) non è la vendetta che si cerca di raggiungere nella punizione del condannato, ma il suo assoggettamento incondizionato alle logiche autoritarie, la trasformazione di una massa disomogenea di individui, prodotta dai cambiamenti strutturali verso i quali la società si stava muovendo, attraverso pratiche disciplinari che agiscano sull'anima e non più sul corpo, istruendo i lavoratori alle pratiche di produzione proprie del nascente capitalismo funzione fondamentale dell'istituzione correzionale è l'apprendimento della disciplina capitalista di produzione ( Pavarini e Melossi, 1982, p. 43).
Il carcere è un laboratorio dove sull'uomo ridotto in cattività si possono innestare meccanismi di rettifica, le pratiche disciplinari coinvolgeranno il condannato in una fitta trama di operazioni che agiranno sulla sua mente soggiogandola ai propri ritmi e alle proprie esigenze. Il carcere è il laboratorio dove le nascenti scienze dell'uomo trovano finalmente un'applicazione pratica. Come diceva Foucault in Surveiller et punir nel 1975, p. 252 " La prigione si è costituita [..] quando furono elaborate, attraverso tutto il corpo sociale, le procedure per ripartire gli individui e distribuirli spazialmente, classificarli, ricavare da essi il massimo rendimento ed il massimo delle forze, codificare il loro comportamento in continuità, mantenerli in una visibilità senza lacune, formare tutto intorno ad essi un apparato di osservazione, di registrazioni e di annotazioni, costituire sopra di essi un sapere che si accumula e che si centralizza. [] Rendere gli individui docili ed utili.
Secondo la lezione di Foucault il carcere è dunque figlio del mondo moderno è prodotto di un'epoca in cui il potere muta di prassi e cambia strategia di controllo, non si limita più a scorrere sulla pelle degli uomini, adesso ne solca le menti.
Dato che la detenzione, a ragione di queste evoluzioni storiche e culturali, non è considerata essere un punizione fine a se stessa e la sofferenza che provoca ha un preciso compito pedagogico, durante la detenzione l'individuo punito deve appunto redimersi, essere in termini più moderni rieducato per un futuro reinserimento nella società.
A questo punto si innesta nel meccanismo punitivo, oltre alla condanna morale, un di più, un'eccedenza fatta di tecniche che mirino a costituire un individuo nuovo: due sono le fasi che costituiscono questo percorso e due sono gli approcci e i poteri che la legge riserva all'analisi e al giudizio del condannato: dapprima il trasgressore, sottoposto all'autorità giudiziaria, è giudicato in base all'atto criminoso commesso tramite la sentenza pubblica
di un giudice che condanna l'azione e stabilisce la durata temporale della detenzione in corrispondenza al danno perpetrato, in seguito il detenuto, subita la condanna, diventa un tutt'uno con il suo percorso detentivo, la lunghezza della pena non deve misurare il " valore di scambio" dell'infrazione; deve adattarsi alla trasformazione "utile" del detenuto nel corso della condanna.( Foucault, 1975, p.267) egli non è più solo il crimine che ha commesso, ma il cammino che ha deciso di intraprendere dal momento del suo ingresso in carcere, dalla valutazione di questo cammino ad opera dell'autorità penitenziaria e non dalla condanna del giudice dipenderà l'esito del suo futuro[3].
" Quantificare esattamente la pena secondo la variabile del tempo. Esiste una forma- salario della prigione,[..] che le permette di apparire come una riparazione. Prelevando il tempo del condannato, la prigione sembra tradurre concretamente l'idea che l'infrazione ha leso, aldilà della vittima, l'intera società. Evidenza economico- morale di una penalità che monetizza i castighi [..] e che stabilisce equivalenze quantitative delitti- durata." Foucault in "Surveiller et punir", 1975, pp. 252- 253.
" I sentimenti aggressivi tradizionalmente associati alla materia della penalità, determinati dalla persistenza nell'immaginario collettivo, della concezione arcaica della vendetta, vengono delegittimati dall'emergere del paradigma razionale e pertanto emarginati dal discorso sia istituzionale sia teorico". Mariangela Ripoli in Carcere e diritti, 2006, p. 19.
" Tutto quell'arbitrario che, nell'antico regime penale, permetteva ai giudici di modulare la pena ed ai principi di mettervi eventualmente fine, tutto quell'arbitrario che i codici moderni hanno tolto al potere giudiziario, lo vediamo ricostruirsi, progressivamente, dalla parte del potere che gestisce e controlla la punizione." Foucault in « Surveiller et punir » , 1975, p. 270.
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