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L'unificazione processuale.
Le disposizioni innovative, introdotte dalla legge di ordinamento penitenziario, presuppongono un rito giurisdizionale per l'applicazione di particolari misure e per la tutela delle situazioni giuridiche riconosciute al recluso . Al processo predisposto in materia di misure di sicurezza, si è affiancato, pertanto, il procedimento di sorveglianza , destinato, inizialmente alle misure alternative quali l'affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà e la riduzione di pena per la liberazione anticipata; ai provvedimenti di remissione del debito e di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario; alle modalità d'esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata ed, infine, agli accertamenti sull'inosservanza delle prescrizioni relative a tali istituti . Successivamente, la l. n. 663 del 1986 ha operato una laboriosa messa a punto del procedimento di sorveglianza, finalizzata ad assicurare una razionalità e una sistematicità alla fase esecutiva, superando la tendenza a giurisdizionalizzare tale fase in maniera disorganica .
Solo un anno dopo, nella direttiva n. 98 dell'art. 2, legge delega 16 febbraio 1987 n. 81, il legislatore ha previsto il coordinamento con i principi della legge delega dei procedimenti d'esecuzione e di sorveglianza[5]. Pertanto, il legislatore delegato ha ritenuto di procedere all'unificazione dei sistemi processuali - quello di cognizione da un lato e quelli d'esecuzione e di sorveglianza dall'altro - partendo dal presupposto che alla base degli stessi, vi fossero materie analoghe se non addirittura identiche . L'assunto ha suscitato numerose perplessità, soprattutto in considerazione delle particolari funzioni rieducative e risocializzative sottese alla fase esecutiva. Tuttavia, l'unificazione processuale è avvenuta modellando il nuovo procedimento di sorveglianza, alla disciplina già prevista dall'ordinamento penitenziario e in modo tale da conservare le peculiarità del sistema processuale della fase esecutiva garantendone il rispetto delle particolari esigenze che sottende .
Attualmente il procedimento di esecuzione, quello di sorveglianza e il procedimento de plano sono disciplinati da apposite disposizioni che trovano la loro sede all'interno del nuovo codice di procedura penale [8]. In particolare, al procedimento di sorveglianza - contrassegnato dalle forme del Capo II-bis del Titolo II ord. penit. - subentra una nuova disciplina normativa ai sensi dell'art. 678 c.p.p., il cui schema rispecchia il procedimento giurisdizionale d'esecuzione svolto in camera di consiglio .
L'area d'applicazione del nuovo procedimento di sorveglianza è determinata dal 1° comma dell'art. 678 c.p.p., che, adottando un criterio d'individualizzazione misto, stabilisce che il giudice monocratico ricorra a tale rito in una serie di casi analiticamente elencati[10]; mentre la competenza dell'organo collegiale è individuata in via residuale. Da tali disposizioni, deriva l'esclusione di tutta la gamma di situazioni, rispetto alle quali la magistratura di sorveglianza si deve avvalere ora del procedimento de plano a norma dell'art. 667, comma 4 c.p.p., ora del procedimento giurisdizionale per reclamo ex art. 14-ter ord. penit. - opportunamente integrato dalla normativa codicistica (artt. 666 e 678 c.p.p.) - ora del procedimento amministrativo per reclamo a norma dagli artt. 35 e 30-bis ord. penit. . Le conseguenze potrebbero essere sconcertanti e potrebbero comportare, in un sol colpo, la scomparsa di tutti i procedimenti di sorveglianza cosiddetti "atipici", dei quali l'ordinamento penitenziario prevede l'applicazione nei casi in cui è opportuno rispettare le relative esigenze, proprio attraverso l'utilizzo di schemi procedurali semplificati.
Una soluzione arginante rispetto agli effetti devastanti del disposto del 1° comma dell'art. 678 c.p.p., sembra essere stata adottata dal legislatore, attraverso la previsione di uno spartiacque tra la normativa del procedimento di sorveglianza, introdotta dal nuovo codice di procedura penale, e quella penitenziaria dei procedimenti "atipici", rimasta, lo stesso, in vigore, anche dopo l'avvenuta unificazione processuale[12]. La soluzione normativa cui si fa riferimento, è rappresentata dall'art. 236 disp. att. c.p.p. : esso, infatti, prevede che il tribunale di sorveglianza continui ad osservare, per i provvedimenti di sua competenza, le disposizioni dell'ordinamento penitenziario diverse da quelle contenute nel Capo II-bis del Titolo II del medesimo testo legislativo. Si tratta di una formula aperta che consente di dilatare in maniera illimitata l'applicazione delle norme processuali previste dall'articolo; tuttavia, sembra essere stata conferita al legislatore futuro, la possibilità di derogare in ogni tempo a tale disposizione, attraverso la facoltà di emanare, per materie specifiche, particolari riti "atipici" secondo le esigenze del caso .
Un'ultima notazione va fatta in relazione all'intervento della Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza n. 53 del 1993 , si è pronunciata sull'illegittimità degli artt. 236 disp. att. c.p.p. e 53-bis ord. penit., nella parte in cui non consentono l'applicazione degli artt. 666 e 678 c.p.p. Il rito speciale disciplinato dall'art. 14-ter ord. penit., al quale l'art. 53-bis ord. penit. fa rinvio per disciplinare il procedimento di reclamo, non garantisce una piena giurisdizionalizzazione del procedimento e ciò accade per una serie di ragioni quali, ad esempio, la ristrettezza del tempo di deliberazione riconosciuto al tribunale (comportante la violazione del principio della vocatio in jus); la previsione della non necessaria presenza dell'interessato al procedimento (comportante la violazione del principio del contraddittorio); il non univoco riconoscimento, in giurisprudenza, della ricorribilità in Cassazione di alcuni provvedimenti conclusivo del procedimento per reclamo.
L'intervento della Corte ha, censurato la scelta del legislatore di mantenere in vita quella parte delle norme procedurali atipiche ritenendo che non garantissero in pieno il diritto di difesa e della tutela della libertà personale in ogni momento dell'iter procedurale: anche nella fase esecutiva risultano, infatti, inderogabili i principi della vocatio in jus, l'attivazione integrale del contraddittorio, l'impugnabilità dei provvedimenti del giudice[16]. Di qui la dichiarazione d'illegittimità degli articoli menzionati, la quale presuppone la necessaria applicazione delle norme contenute negli artt. 666 e 678 c.p.p.: in caso di reclamo quindi, l'avviso di fissazione dell'udienza deve essere notificato anche all'interessato con almeno 10 giorni di anticipo e la partecipazione all'udienza da parte di quest'ultimo non è più esclusa automaticamente ma rimessa alle regole di cui all'art. 66 c.p.p .
Originariamente, la sua disciplina era contenuta nell'art. 71 ord. penit., con la legge 12 gennaio 1977, n. 1, l'art. 71 fu sostituito con l'intero Capo II-bis (artt. 71 - 71-sexies), dal titolo "Procedimento di sorveglianza". In seguito, l'art. 71-quinqies fu abrogato dall'art. 27 l. 663 del 1986.
Si cercò di definire il perimetro operativo del procedimento di sorveglianza, visto che la legge n. 354, si era occupata prevalentemente del modulo processuale. In tal senso GIOSTRA, Procedimento di sorveglianza in AA. VV., L'ordinamento penitenziario dopo la riforma, Padova, 1988, pag. 384 e ss.
La legge delega contempla l'obiettivo della giurisdizionalità della fase esecutiva e tutto quanto attiene alla pena e alle misure di sicurezza, in tre distinte direttive contemplate nei punti n. 96, 98 e 104 della legge delega. Così, MARGARITELLI, I requisiti minimi della giurisdizionalità nell'esecuzione penale, in Giur. Cost., 1993, pag. 361.
Cfr La "Relazione al progetto preliminare di codice di procedura penale", in Speciale documenti giustizia, vol. II, Roma, 1988, p. 318.
In tal senso, KOSTORIS, Procedimento di sorveglianza, in L'ordinamento penitenziario tra riforma ed emergenza, Padova, 1994, pag. 539 e ss.
Si veda DE MAESTRIS, Art. 678 - Procedimento di sorveglianza, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da Chiavario, VI, Torino, pag. 587 e ss. Come conseguenza immediata della reductio ad unum delle procedure penali di cognizione, di esecuzione e di sorveglianza, sorge un doppio ordine di considerazioni: in primo luogo, in dottrina, si è notato che il procedimento di sorveglianza ha dovuto rinunciare ad alcuni suoi connotati essenziali. In tal senso anche DELLA CASA, La magistratura di sorveglianza: organizzazioni, competenze, procedure, Torino, 1992, p. 78; in secondo luogo, si è messo in risalto la valenza giurisdizionale del procedimento di sorveglianza, grazie alla trasposizione, in esso, delle regole e delle garanzie proprie del procedimento di cognizione. Si veda GIOSTRA, Il procedimento di sorveglianza nel sistema processuale penale, Milano, 1983, p. 242 e ss.
Si tratta di un catalogo chiuso il quale presuppone la facoltà per il magistrato di sorveglianza particolare di utilizzare la normativa di cui all'art. 678 c.p.p, solo ove l'oggetto della cognizione investa le materie tassativamente indicate. In tal senso CORSO, Manuale della esecuzione penitenziaria, Bologna 2000, pag. 256.
Dai lavori preparatori, emerge, con chiarezza, l'intento del legislatore di far salve le procedure speciali della normativa penitenziaria, quali appunti, quelle indicate negli artt. 14-ter, 30-bis, 30-ter, 47, 47-bis ord. penit. In tal senso DE MAESTRIS, Art. 236 - Disposizioni concernenti il tribunale di sorveglianza, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da CHIAVARIO, II, Torino, pag. 199 e ss.
<<Di tipo integrativo è la previsione del comma 2 dell'art. 236 attraverso la quale si specifica l'ambito di applicazione del procedimento di sorveglianza. Più in particolare, essendo stabilito dall'art. 678 co 1° che a questa procedura il tribunale di sorveglianza deve far ricorso per le materie di sua pertinenza ed essendo, in sede penitenziaria, annoverate, tra queste competenze in relazione alle quali il procedimento di sorveglianza è espressamente escluso ovvero conosce talune varianti, si chiarisce la portata della disciplina per relationem contenuta nella norma da ultimo citata>>. PRESUTTI, Disposizioni concernenti il tribunale di sorveglianza, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, app. norme di coordinamento e transitorie, a cura di Amodio, DOMINIONI, Milano, 1990, pag. 236 e ss.
In Giur. Cost. 1993, pag. 361, con commento di MARGHERITELLI, I requisiti minimi della giurisdizionalità nell'esecuzione penale.
Anche i procedimenti speciali sono stati unificati, estendendo ad essi le garanzie giurisdizionali previste dal codice di procedura penale e riducendo la specialità alle modalità di promozione dell'azione. IOVINO, Contributo allo studio del procedimento di sorveglianza, Torino, 1995, pag. 102.
Nonostante l'importanza della pronuncia, risulta difficile individuare gli effetti che in concreto si sono verificati all'interno del sistema. Innanzi tutto perché la pronuncia non ha portata generale e cioè non si rivolge a tutti i procedimenti di sorveglianza atipici, ma solo a quelli previsti dall'art. 53-bis ord. penit.; inoltre, occorre rilevare che la giurisprudenza, chiamata a dare pratica applicativa al provvedimento, applica i vari procedimenti a seconda dell'oggetto della trattazione. In tal senso CORSO, Manuale della esecuzione penitenziaria, Bologna, 2000, pag. 296 e 297.
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